Perché il male? Come dire l’innominabile? Come prenderne le distanze per capirlo meglio? Noi vi siamo implicati: il male sconvolge le nostre vite. È un fatto: tristezza, dolore, sofferenza, morte irrompono in ogni esistenza, anche prima che ci pensiamo.
Sia come sia, le diverse forme del male hanno un punto in comune: il male non è una cosa. Si presenta come una frattura in ciò che è, come un parassita che corrode il bene, senza il quale però non potrebbe nemmeno esistere. Il bene ha dunque un primato assoluto, che nutre la speranza: il bene sarà sempre più forte. L’esperienza stessa dell’infelicità, per esempio, testimonia implicitamente che siamo fatti per essere felici.
L’intelligenza che cerca di affrontare il paradosso del male si sforza così di distinguere, senza separarli, il male oggettivo dalla sua risonanza soggettiva. L’impresa è rischiosa perché, volendo fare il bene, l’uomo compie talvolta atti orribili, in cui il male si mescola con l’amore. E questo rende la ricerca ancora più intrigante.
Nel latino patristico e medievale la parola traditio è talvolta usata come sinonimo di traductio. L'ampia gamma di implicazioni, tanto ideologiche quanto socio-culturali, connesse all'idea di 'tradizione' nel lessico e nella coscienza culturale di età tardo-antica, medievale e rinascimentale le hanno consentito di correre parallelamente, e talvolta anche di sovrapporsi, alla nozione di versio o translatio e di indicare lo sforzo consapevole di preservare, nel corso dei secoli, un ricco patrimonio di testi e dottrine. La collana Traditiones presenta il testo originale (latino o greco) e la traduzione italiana, corredati da ampia introduzione, commenti e apparati, di alcune fra le più importanti opere della tradizione filosofica tardo-antica, medie vale e umanistica, nell'intento di assicurarne una nuova traditio. Il "Tractatus de praedestinatione et de praescientia Dei respectu futurorum contingentium", composto da Guglielmo di Ockham tra il 1321 e il 1324, costituisce uno snodo cruciale nelle discussioni medievali sul tema del fatalismo teologico e sulle questioni che vi sono implicate, come la conoscenza dei futuri contingenti e il compatibilismo tra prescienza divina e libero arbitrio. Raccogliendo e ripensando fonti di diversa provenienza, Roberto Grossatesta e Pietro Lombardo in primis, il Venerabilis inceptor sposta il problema sul piano epistemologico e linguistico, affrontandolo dal punto di vista di un'analisi proposizionale degli enunciati che parlano dei contingenti futuri. In questo modo egli affida agli strumenti dell'argomentazione logica e dell'indagine semantica il compito di sciogliere le implicazioni teologiche della questione, in una teoria che garantisca al contempo la prescienza di Dio e la libera volontà umana. Il principio della soluzione ockhamiana, che costituirà un punto di riferimento - pro o contro - nei dibattiti teologici del XIV secolo, consiste nell'intreccio tra analisi proposizionale e logica fidei, in nome di una soluzione pragmatica del dilemma compatibilista: come mostra il caso esemplare della profezia, gli enunciati della scienza divina costituiscono i postulati di una logica della credenza che poi procede da quelle premesse, attraverso una catena argomentativa, a formulare i precetti che guideranno i passi del cristiano nel mondo. Il volume rende disponibile per la prima volta al lettore non soltanto la prima traduzione in italiano del Tractatus, ma anche un ricco apparato di testi (le distinctiones 38, 39 e 40 dell'Ordinatio, i capitoli 7 e 27 della Summa Logicae, la quaestio IV.4 dei Quodlibeta, le Quaestiones in Libros Physicorum 41 e 44, il prologo della Expositio in libros Physicorum e un estratto dalla Expositio in Librum Perihermeneias Aristotelis) che consente di ricostruire in modo coerente una teoria ockhamiana della contingenza e di gettare luce su una nuova interpretazione del pensiero del teologo e filosofo inglese.
Quando qualcuno ci chiede chi siamo, rispondiamo con un racconto: si chiama storytelling. Oggi questo è vero più che mai, in quanto la tecnologia – smartphone, pc, social network – ci espone – sia attivamente che passivamente – a una narrazione costante e una costante rielaborazione della nostra identità. La narrazione accompagna la nostra vita e se da un lato ci aiuta a preservare la memoria, dall’altro rischia di sostituire la realtà, di occultarla, di impedirci di vedere le cose così come sono o di frammentarla. L’efficacia del racconto era nota già al mondo antico, da Aristotele a Sant’Agostino ed è da lì – passando per Heidegger e Leopardi – che Piccolo parte in un viaggio che arriva fino a noi, uomini immersi nell’era della comunicazione globale, per raccontare l’enigma dell’identità.
Con il titolo Pensiero filosofico e teologico, Raimon Panikkar non intende avallare la dicotomia moderna fra filosofia e teologia , ma trascenderla. La teologia contemporanea non può sottrarsi alle congetture della critica moderna e, nel momento in cui diventa critica, deve essa stessa necessariamente avvicinarsi alla riflessione teologica. Per quanto la "fede" sia sovrarazionale, è l'intelletto umano che la accoglie, la manipola e l'interpreta. In altre parole, la critica della ragione teologica è ineludibile e imperativa. E questa critica non può che essere filosofica. La filosofia odierna, dopo i traumi delle due guerre mondiali, non può accontentarsi di operare solo analisi linguistiche e si trova ad affrontare problemi esistenziali che appartengono interamente all'ambito degli interessi teologici. I problemi ultimi dell'umanità, sia nell'ambito individuale che in quello politico ed ecologico, esigono soluzioni urgenti e non è corretto escludere risposte o problematiche perché non appartengono alla nostra sfera di specializzazione. Come Panikkar stesso afferma nell'Introduzione, "La filosofia è tanto la saggezza dell'amore quanto l'amore della saggezza. E un vero amore è non solo spontaneo, ma anche estatico, vale a dire non-riflessivo. Si è filosofi come si è innamorati: semplicemente capita". Il volume testimonia la ricerca amorosa dell'intera vita dell'autore, come mostrano i numerosi scritti qui riportati che coprono più di mezzo secolo.
Chi crea l'opera d'arte, l'uomo o Dio? In questo testo, tradotto sulla base dell'edizione critica danese, Kierkegaard si interroga sul rapporto, ambiguo e dialettico, tra apostolici - l'essere un chiamato da Dio - e genialità - l'essere ispirato.
Un dilemma sia esistenziale, vissuto in prima persona e sotteso all'intera opera kierkegaardiana, sia teoretico: l'essere apostolo in che modo è compatibile con l'essere un creatore in se stesso? E' l'antinomia che riecheggia nella categoria di "genialità apostolica", l'aspirazione al carattere divino della creazione umana.
Il tema del male, presente in ogni uomo lungo tutta la storia, è una questione sempre aperta che si amplifica quando si studia nel suo rapporto con Dio, considerato buono e onnipotente. Charles Journet (1891-1975), sulla scia di san Tommaso d’Aquino, intende affrontarne il problema fin alle radici, soffermandosi in modo particolare sul male della colpa (peccato). Grazie anche al confronto con l’amico filosofo Jacques Maritain (1882-1973), soprattutto a partire dalla sua intuizione metafisica della dissimmetria tra la linea del bene e del male, egli intende dare prova dell’assoluta innocenza di Dio davanti al male, senza, però, proporre una teodicea a discapito dell’uomo. La presente ricerca si impegna nell’analisi del pensiero di due studiosi tomisti che, pur muovendosi all’interno del dibattito a loro contemporaneo, hanno portato inedite e notevoli soluzioni divenute un patrimonio imprescindibile per l’attuale dibattito filosofico e teologico.
La proposta di Duns Scoto in merito alle idee divine si muove sul filo del rasoio di due istanze contrapposte: (a) subordinare le idee all'essenza divina, in modo tale che le idee non siano giustapposte a essa; (b) garantire comunque la co-eternità all'essenza divina, in modo tale che non si possa ipotizzare un solo istante in cui Dio non sia pienamente sapiente e onnisciente. L'essere intellegibile - essere ridotto, ma vero e reale - salvaguarda a sua volta la consistenza delle idee, che non sono un puro nulla, ma neanche un ente già dotato di una sua essenza, indipendente dalla mente di Dio. Il presente volume contiene la prima traduzione italiana di quattro questioni trattate dai due commenti di Sconto alla Sentenze, Lectura e Ordinato, impreziosito dai rimandi alle più recenti edizioni critiche disponibili, ed è arricchito da un dettagliato studio introduttivo che offre una prospettiva globale sulla dottrina del Sottile.
Al fine di navigare meno pericolosamente in questa epoca di transito, in questo volume Giuseppe Colombo scandaglia le proposte dell'universale antropologico dell'umanesimo classico e del post-umano. Entrambe, quando definiscono il 'genere uomo', presumono di formulare un giudizio universale pacificante. L'antico e il nuovo Edipo conosce l'essenza dell'uomo e annienta la Sfinge, il caos: sapere è potere. Quando però si tratta di passare dalla conoscenza del genere astratto a quella del singolo concreto, la riduzione antropologica dell'universale (l'essenza 'eterna') al particolare (l'uomo in carne e ossa 'finito') si incarica di 'esistenzializzare' e 'personalizzare' il male, la sofferenza, la morte. Viene allora annientata la presunzione di conoscere e dominare il proprio io e il proprio destino. L'Edipo trionfante si rovescia nell'Edipo annichilito. S'impone allora una radicale rivisitazione dell'universale antropologico.
Il volume raccoglie articoli scritti da Lonergan tra il 1943 e il 1967 su argomenti diversi: la forma dell’inferenza, il tema della grazia, la teologia del matrimonio, l’assunzione di Maria, il desiderio naturale di vedere Dio. Si tratta di testi scritti in massima parte dopo la pubblicazione di Insight e offrono una griglia ermeneutica fondamentale per la comprensione del capolavoro di Lonergan. Il teologo canadese fu tra i primi ad avvertire la necessità per la Chiesa di un serio balzo in avanti per essere all’altezza dei tempi, le indicò l’urgenza di una riorganizzazione generale del sapere in cui anche la teologia doveva entrare per non rimanere in ritardo. Lonergan era convinto della necessità di conoscere il nostro passato culturale per avanzare con creatività e successo verso il futuro.
Una sfida teologica e antropologica di fronte al relativismo morale contemporaneo
L’autore si propone di spiegare, di fronte al relativismo morale, che la vocazione morale e le sue esigenze fondamentali si radicano nel dono come verità ontologica della persona.
L’esistenza dell’uomo, creato ad immagine di Dio-Amore, non solo implica l’obbligo morale strettamente connesso alla libertà umana, ma è anche caratterizzata essenzialmente dal ricevere-donare secondo la logica del dono.
Filosofia e teologia non si possono dire l’una senza l’altra, ricevendosi ciascuna dalle viscere dell’altra. Si tratta di un motivo trasversale alla riflessione hemmerliana, volta a interrogarsi e dialogare sul reciproco riceversi e donarsi dei due ambiti, in vista di un contributo rispondente alle domande più profonde dell’essere umano del nostro tempo. Ritrovare il senso e il valore di un autentico rapporto tra le due discipline può non solo rivitalizzare i singoli ambiti di ricerca, ma anche proporsi come orizzonte comprensivo e interrogante per il mondo in cui viviamo.