In Maria Montessori, pedagogista e scienziata, personaggio complesso e sui generis, si intersecano positivamente interesse e pratica della scienza, ispirata allo "spirito scientifico" e aperta ai più moderni sviluppi del sapere; spiritualità, legata a un cattolicesimo interpretato a suo modo e alle posizioni della teosofia; azione sociale: a difesa dei carcerati, dei bambini disabili, della donna, dell'infanzia mortificata. Tutto ciò raccordato nella centralità della fiducia nelle infinite potenzialità del bambino, all'insegna dell'ottimismo e della libertà e sostenuto da un'educazione discreta, con un ambiente e materiali appositi, che ne sviluppi l'autonomia.
In occasione del decennale della scomparsa di Edda Ducci si riportano, in questo volumetto, alcune pagine dell'amico e collega, Francesco Mattei, e di uno dei suoi ultimi allievi, Cosimo Costa. Sono pagine da cui trarre l'azione viva dell'autrice, capace di lasciare sane impronte nell'animo di chi personalmente la conobbe e di chi tuttora la legge. Amante appassionata della conquista umana del vero, lontana dall'enfasi che la recente ricerca pedagogica ha evidenziato, Ducci è qui ricordata attraverso le annotazioni e le sottolineature delle dispense usate a Bari nel corso delle sue prime letture ebneriane e alcune delle sue principali "categorie paidetiche". Intenta a riflettere sulla parola per farla divenire Logos, Edda Ducci giunge a una concezione pedagogica dove l'uomo diviene umano grazie ad una paideia di natura dialogica che scava nell'in sé e si dà all'altro come necessarietà. Un ricordo affettuoso, dunque, e un invito alla lettura di pagine non ancora stinte dal tempo.
Quando nei primi decenni del secondo Novecento la pedagogia era ancora impegnata nel definire la propria identità di sapere, Edda Ducci era appena uscita dagli studi di filosofia teoretica e si apprestava ad entrare nel complesso logos del sapere pedagogico. Nonostante il sospetto dei pedagogisti, timorosi di una indebita colonizzazione filosofica, l'autrice stava per intraprendere una strada, quella del dialogo, che la porterà negli anni ad una singolare interpretazione del rapporto filosofia-pedagogia. Per l'autrice è sempre stato chiaro che la «pedagogia è un contenitore troppo vasto» e che la differenza non consiste soltanto nel considerare l'uomo come oggetto o soggetto, ma piuttosto come l'esplicitarsi di due possibilità: l'una sostiene il sapere circa l'oggetto/soggetto; l'altra mira al costituirsi di una dialettica costantemente alimentata dalla simbiosi tra sapere e modo di essere del soggetto/oggetto. Perciò la filosofia dell'educazione di Edda Ducci non è vista come techne, ma come qualcosa che imprime un suo sigillo ad una praxis che pensa e vive la persona come un "al di là" dell'oggetto.
Trovare un fondamento per una paideia filosofica attraverso una metafisica dell'essere: questo il fine che può riscontrarsi nei primissimi studi di Edda Ducci. Anche lei, dunque, si pone la domanda che tanto ha inquietato gli spiriti ricercanti della filosofia: "quale la verità dell'essere?". E proprio in queste pagine iniziali la studiosa casentinese ha tentato di offrire una risposta attraverso le voci di due commentatori alessandrini. Simplicio e Filopono, da lei allora frequentati, "tappe non inutili e forse obbligate ella scrive per chi voglia affrontare seriamente il perenne interrogativo". Tale fine diviene vitale per il pensiero filosofico-educativo di Edda Ducci, maturato attraverso Platone e il mito della caverna e intento ad offrire stimoli per una corretta azione educativa in cui la comprensione del proprio essere risulti essenziale per partecipare autenticamente alla propria natura e alla propria storia. In un tempo di aridità e di crisi per l'identità personale, l'impegno dell'autrice, che passa da una "filosofia dell'essere" ad una "pedagogia dell'essere", insegna che solo attraverso la decodificazione sempre più agile di situazioni interiori, e il ruminare la parola metexis, si può seriamente intendere la significanza dell'essere uomo in educazione.