Uno straordinario libro sulla vita e la morte in un campo di lavoro nazista, viste con gli occhi dei sopravvissuti. Questo libro diverrà un classico.
Saul Friedländer, Premio Pulitzer 2008
In un'aula di tribunale di Amburgo, l'8 febbraio 1972, Walther Becker, agente di polizia in pensione, attende il suo verdetto. È sotto processo per il ruolo svolto nella liquidazione del ghetto ebraico di Wierzbnik in Polonia il 27 ottobre 1942, nel corso del quale circa 4.000 ebrei sono stati mandati a morte nelle camere a gas di Treblinka, 60-80 uccisi sul posto e circa 1.600 inviati in tre campi di lavoro nella vicina Starachowice. Decine di sopravvissuti testimoniano la partecipazione di Becker all'operazione nazista. È stato visto uccidere, picchiare numerosi ebrei e ordinare che altri venissero ammazzati. In sua difesa, l'anziano signore dichiara che si è trattenuto per quarantacinque minuti nella piazza del mercato, dove gli ebrei sono stati rastrellati e caricati sul treno, per poi allontanarsi senza far nulla.
Il giudice crede a lui. I testimoni oculari sono secondo il giudice poco attendibili. Non hanno le caratteristiche di un teste «'ideale', ossia di un osservatore 'indifferente, attento e intelligente' che guarda agli eventi in modo 'disinteressato e distaccato'». Il verdetto decreta l'assoluzione e Becker esce dal tribunale da uomo libero.
«Fu un marchiano errore giudiziario, amplificato dalla ricusazione di tutte le testimonianze giudicate secondo forzati e irragionevoli parametri di perfezione, ad attirare la mia attenzione sugli ebrei di Wierzbnik e sui campi di lavori forzati industriali di Starachowice. Se Becker era sfuggito alla giustizia tedesca, sentivo che almeno meritava di finire nell'inferno degli storici».
Dalla psiche di un bimbo di 5-6 anni alle dinamiche psicologiche dell’adulto e dell’anziano, uno strumento di base per comprendere le diverse fasi dello sviluppo umano.
I rapporti e le relazioni fra adulti e bambini e fra adulti e adolescenti sono regolati, come in altri casi, da fattori psico-biologici, economici e socio-culturali che si intrecciano e si influenzano. Ripercorrendo e confrontando epoche storiche diverse, è possibile ravvisare analogie ma anche differenze rilevanti nel modo di allevare i bambini e nel tipo di inserimento degli adolescenti nella società. Soprattutto nell’età contemporanea l’adolescente si trova a fronteggiare cambiamenti che avvengono ‘dentro’ (fisici, intellettivi) e cambiamenti nei suoi rapporti con ciò che sta ‘fuori’ (famiglia, scuola, società). Le nuove tecnologie e l’evolversi dei costumi hanno trasformato fortemente le relazioni fra adulti e ragazzi. Mutamenti che richiedono atteggiamenti nuovi, un nuovo linguaggio, strategie differenti rispetto a quelle usate negli anni dell’infanzia. In questo volume sono prese in esame le condizioni che influenzano le relazioni umane nel corso dello sviluppo e sono analizzate le dinamiche psicologiche dell’intero arco vitale, dalla prima infanzia all’età adulta, a confronto con le principali teorie sullo sviluppo della personalità e la costruzione dell’identità.
Sono le cinque del mattino del 17 giugno 1885. La fregata Isère getta l'ancora all'ingresso del porto di New York. A bordo, divisa in blocchi numerati e distribuita in 214 casse, c'è la statua della libertà, pronta per cominciare la propria vita in America dopo essere stata assemblata da un'equipe di operai italiani. Non è la statua più alta al mondo, e neanche la più pesante. Alla città l'hanno regalata i francesi e gli americani che l'accolgono ancora non sanno che diventerà la statua più famosa al mondo. Che cosa rappresenta? Da dove vengono il ferro delle sue ossa e il rame della sua pelle? E quali sono le origini della sua popolarità mediatica?
Francesca Lidia Viano racconta la storia inedita di un'icona simbolo della nostra modernità e la vicenda dei suoi artefici, lo scultore Frédéric-Auguste Bartholdi e il giurista Édouard de Laboulaye. Il lettore li seguirà nella costruzione, prima intellettuale e poi materiale, della statua. Tra spedizioni fotografiche, viaggi magnetici, riunioni massoniche e operazioni bancarie, passerà da Colmar e Strasburgo a Parigi, da Londra a Monaco, dalla Svizzera alle rive del Mar Rosso, dalle soglie del mitico regno di Saba all'Abissinia, da Pompei a St. Louis e a New York, dove la statua abbandonerà la sua vita virtuale per incarnare il sogno di libertà per tutti i popoli.
Le città e le produzioni della Magna Grecia e della Sicilia durante la colonizzazione greca: una 'cultura delle colonie' fatta di pratiche, consuetudini e simboli che combinano insieme saperi, tecniche e modelli culturali originati nella madrepatria.
Il volume affronta il tema, centrale nella vicenda coloniale dell'Antica Grecia, dell'insieme di forme ideali dominanti nel mondo greco attinenti alla sfera della religione, dei culti e delle pratiche della devozione, che i coloni hanno recato con sé dalla madrepatria e hanno via via sottoposto a una serie di modificazioni successive. Ma esamina anche come nelle nuove sedi queste forme religiose si siano articolate secondo specifici rituali, informando edifici, monumenti, immagini e materiali artigianali.
Mario Torelli, fra i maggiori archeologi italiani, si confronta dunque non con uno, ma con due 'discorsi sull'antico' fondati su religione e artigianato. Sulla base di una ricchissima documentazione, studia il vasto materiale che la ricerca sul campo ha raccolto in due secoli di scavi. Attraverso quelle produzioni artigianali e architettoniche, destinate di volta in volta ad accogliere e contenere le manifestazioni di radicata ideologia religiosa, può ricostruire alcuni comportamenti sociali come il simposio o cerimonialità di rituali come il matrimonio, le dediche votive o le tradizioni patrie di religiosità domestica o funeraria.
«Questi dieci anni, dal mio trasloco Milano-San Francisco, nello specchietto retrovisore mi appaiono come un periodo di inaudita accelerazione dei cambiamenti. Hanno 'concentrato' due o tre ère geologiche, in una compressione del tempo. Sono arrivato a San Francisco quando sembrava che chiunque avesse un'idea legata a Internet potesse diventare milionario (se non miliardario) nel giro di pochi mesi, qualche anno al massimo. L'Alitalia aveva inaugurato un volo diretto da Malpensa, ed era sempre pieno: per il pellegrinaggio di imprenditori italiani alla Mecca dell'innovazione tecnologica, la Silicon Valley. Poi arrivò il crac, il Nasdaq precipitò. Poi l'11 settembre, la mini-recessione successiva, poi la supercrisi del 2008. Ma invece di fermarsi per le botte ricevute, la Silicon Valley continuò a partorire nuove idee, nuovi protagonisti della modernità. La rapidità con cui si bruciavano i miti e se ne creavano altri, è diventata ancora più vertiginosa».
Federico Rampini racconta l'America con gli occhi dell'esploratore, misurando le differenze tra l'estremo Occidente e l'angolo di Vecchio mondo da cui proviene. Dalla grande politica ai piccoli gesti della vita quotidiana, questo libro è un itinerario culturale insolito, un diario intimo e un'appassionata dichiarazione d'amore per una città. Ma è anche una speciale guida turistica per il viaggiatore curioso che ha voglia di scoprire la West Coast andando oltre le apparenze.
Il capitalismo è entrato in un'epoca di distruttività radicale. Dissolve le strutture della società, cannibalizza gli strumenti della democrazia, desertifica il senso della vita.
Viviamo in una delle più paradossali società che la storia umana abbia mai edificato nel suo lungo cammino. Una ricchezza straripante che dilaga dappertutto e la condanna alla marginalità degli uomini e delle donne che la producono. Oceani di beni intorno a noi, che non servono però a dare tempo di vita, non ci liberano dalla precarietà, ci gettano nell'insicurezza, obbligano a un lavoro crescente, a rapporti umani definitivamente mercificati e privi di senso. Il culto dell'individualismo esorta al consumismo solitario di prodotti effimeri, degrada l'ambiente che abbiamo intorno, danneggia l'habitat sociale comune, è in conflitto con l'interesse generale. Paradossalmente, mentre spinge alla solitaria soddisfazione di ognuno, compromette alla radice la possibile felicità di tutti. È altra invece la direzione di marcia richiesta da un approdo più avanzato di civiltà. L'utilizzo dei beni comuni richiede non il possesso, ma la condivisione d'uso, non la predazione individuale, ma il godimento collettivo. Tale nuova dimensione pubblica della ricchezza deve oggi trovare il linguaggio che l'esprime, le parole capaci di raccontarla.
Sotto i nostri occhi sta avvenendo una trasformazione radicale della città. Nessuno riesce a definire con certezza quale possa essere il suo destino, perché ha perso una delle caratteristiche che l'ha sempre contraddistinta: l'essere circoscritta. Non si sa che cosa diverrà proprio nel momento in cui diventa il luogo di vita della maggioranza degli abitanti del mondo. La città perde la sua fisionomia e invade il territorio circostante, che non acquista caratteri di urbanità, ma non è neanche più campagna. Il fenomeno è planetario e interessa sia i paesi industrializzati che quelli più poveri, anche se le forme di questo cambiamento sono molto diverse in Europa rispetto al Sud America o all'Africa. Ma questa lunga conversazione con Francesco Erbani, giornalista e scrittore, non è solo un bilancio dell'architettura e dell'urbanistica contemporanee. È anche un'autobiografia intellettuale e politica dove Benevolo racconta se stesso, la propria formazione, la crescita delle città italiane dal dopoguerra, le anomalie del nostro paese, le battaglie per la difesa del paesaggio da una speculazione aggressiva, i risultati raggiunti e le sconfitte, a Roma e a Palermo, a Venezia, a Urbino e a Brescia. E dove con passione sostiene la pratica di un'urbanistica che coniughi saperi diversi, slancio ideale e concretezza nelle realizzazioni, senza risparmiare giudizi "fuori dai denti" dei grandi protagonisti della scena internazionale.
«Il Novecento che racconto comincia dal 1880 circa e finisce con gli anni Settanta del Novecento. Si apre con l'emigrazione in America e si chiude con la perdita d'importanza dell'Europa e l'affermarsi sempre maggiore del mondo ebraico americano e di Israele. Due significativi momenti di cambiamento che riguardano gli ebrei tutti.»
Un libro importante per metodo e contenuti, un appassionante excursus che parte dall'ultimo ventennio del XIX secolo e accompagna l'esperienza ebraica fino ai tempi più recenti. Anna Foa dimostra lucidamente quanto la Shoah, che pure tutto travolge, sia qualcosa di ‘alieno' all'esperienza ebraica, a quella sua ricchezza e complessità di cui il '900 è testimone non meno che dell'orrore.
Elena Loewenthal, "Tuttolibri"
Uno stile avvincente. Anna Foa racconta la storia della nuova identità ebraica che si forma nel confronto con la modernità, un'identità ricca di sfaccettature e di aspetti imprevedibili che ancora attende di essere compresa e compiuta.
Lucetta Scaraffia, "Corriere della Sera"
«Schumann recensì nel 1831 le mie Variazioni op. 2, quelle sul tema del Don Giovanni, in un modo, in un modo talmente, talmente… “Giù il cappello, signori: un genio!” Scrisse proprio così. Avevo diciassette anni, quando composi di getto quelle Variazioni.»
Chopin, considerato dai contemporanei come un esponente eccellente di un settore minore della musica, quello del pianoforte, diventerà per i posteri uno tra i maggiori creatori in assoluto. A raccontarne la storia, nella forma della finzione letteraria, in questo libro sono Chopin stesso e coloro che lo incontrarono.
La forma è romanzata, la sostanza, però, è solidissima dato che il maestro Rattalino è uno dei massimi esperti di pianismo e che al pianoforte il musicista polacco dedicò per intero la sua breve vita.
Corrado Augias, “Il Venerdì di Repubblica”
Conosciamo questa immagine, conosciamo quel bambino. La fotografia del ghetto di Varsavia è diventata un'icona della Shoah, un oggetto nomade che erra nel campo della memoria occidentale da più di sessant'anni. Ma come è nata la fotografia simbolo dell'Olocausto? È ancora in grado di parlarci o la guardiamo senza più vederla?
«La fotografia del bambino di Varsavia è vittima della sua grande efficacia. Nell'era multimediale planetaria, un piccolo clic ci fa passare da una vittima all'altra: clic! Mohammed al-Durah cancella il bambino di Varsavia; clic! È il turno del piccolo Elián González... La confusione sentimentale e politica è totale. L'immagine del ghetto di Varsavia non è più un documento: ha smesso di essere uno strumento pedagogico; sfocata, travestita, abusata, stravolta, sequestrata, ha perduto la sua capacità di messa in guardia; non informa più, è erosa dagli usi distorti.
L'immagine si è modificata, consumata: portatrice all'inizio di una verità fondamentale, è diventata supporto di menzogne al servizio dei peggiori deliri. All'interno di un processo accelerato di globalizzazione degli affetti, delle emozioni, delle sensibilità, si fa sempre più riferimento ‘all'opinione pubblica mondiale'. E ormai l'unico dovere di questa opinione pubblica è di commuoversi, di commuoversi spesso, di commuoversi e basta. L'analisi e la comprensione dei processi storici vengono messe da parte a favore della sola dimensione emotiva delle immagini. In sostanza, in una certa misura sono delle storie senza storia – né quella degli individui né quella dei popoli – quelle che oggi offrono agli occhi e alla comprensione queste immagini. L'immagine ha cessato di essere archivio. Non sollecita più il nostro desiderio di conoscere. Dopo essere stata verità, l'immagine si è trasformata in menzogna.»