Nella società attuale l'idea cristiana di Dio sembra aver perso ogni potenziale di provocazione, condannata all'indifferenza e all'inattività. è necessario liberarla da tutto ciò che, nel corso di secoli, l'ha paralizzata fino a soffocarla per conferirle un senso nuovo e riscoprirne le implicazioni per l'esistenza. L'autore propone allora, sulla base del Vangelo di Giovanni, l'idea che Dio è de-coincidenza: non può essere ridotto al dogma o all'ideologia, lo si può pensare solo disfacendo ogni definizione, ogni significato attribuitogli dalla tradizione, per intenderlo invece come l'apertura da cui scaturisce l'inaudito. Questo genera inevitabilmente nel pensiero un senso di vertigine. Come noi viviamo solo se de-coincidiamo dal già vissuto, se apriamo nella nostra vita nuovi "possibili", così Dio è vita se è de-coincidenza.
Questo breve trattato sull'amore - in tutte le sue accezioni, da quella sensibile alle vette dell'estasi mistica - si colloca nell'ampia analisi compiuta da Josef Pieper sulle virtù, cardinali e teologali. Il testo, che si rifà tanto ai classici della filosofia e della teologia - Platone, Agostino, Tommaso d'Aquino, Francesco di Sales, Karl Barth, Anders Nygren - quanto alla psicanalisi del Novecento, da Freud ai suoi contemporanei americani, fornisce l'impianto architettonico della virtù e, al contempo, della persona umana. è un dialogo con il lettore stesso, che vedrà in queste pagine declinate le varie sfumature dell'amare - carnale, psicologica, spirituale - e insieme un ritratto del suo essere uomo e creatura di Dio. «L'essenza dell'amare e dell'essere amati», scrive nella Prefazione Andrea Aguti, è per Pieper «sentirsi, nonostante tutto, "giustificati nella propria esistenza"».
Com’è possibile che il cristianesimo sia davvero una religione universale? Quali sono i processi e gli stili dell’evangelizzazione? In modo pionieristico e profetico, nell’immediato secondo dopoguerra, il teologo parigino Jean Daniélou traccia in questo saggio orizzonti e criteri che mantengono intatta la loro attualità. Incarnazione e redenzione, Pentecoste e Parusia, storia e mistero e altre tensioni generative che innervano la storia della salvezza vengono esplorate con il piglio dell’intellettuale e con l’ardore del missionario. Una raccolta di meditazioni nate all’interno dell’esperienza del Circolo san Giovanni Battista, di cui Daniélou fu instancabile animatore per decenni. L’affresco di una teologia della missione che già all’epoca delineava il nascente volto di un cristianesimo in India, in Cina, in dialogo con religioni e culture mondiali.
Jean Daniélou (1905-1974), cardinale francese, è stato tra i maggiori teologi del Novecento. Nel catalogo Morcelliana ricordiamo, di Daniélou, Il mistero dell’avvento, I Vangeli dell’infanzia, Saggio sul mistero della storia e, di G. Pasquale, Jean Daniélou.
I testi qui proposti cercano di dare una risposta alla "questione ebraica". Interpretata come esigenza di una rinascita spirituale e culturale prima che politica, essa è meta di un cammino personale che muove da spunti diversi, tutti volti a superare, con uno sguardo universale, la crisi del rapporto dell'uomo con la realtà: il sionismo di Theodor Herzl; la responsabilità verso la verità di Achad Haam; il tentativo, compiuto da Hermann Cohen, di conciliare l'amore per Dio e la filosofia, la Scrittura e le verità di Platone e Kant; la possibilità, testimoniata da Franz Rosenzweig, di un dialogo fecondo tra religiosità ebraica e cultura occidentale. Queste figure dell'ebraismo sono per Martin Buber, ciascuna a suo modo, maestri, se maestro è colui che crede nella verità anche in "un tempo in cui gli uomini vivono in illusioni di comodo".
Martin Buber (1878-1965) è stato uno dei più importanti pensatori tedeschi del Novecento. Tra le sue opere nel catalogo Morcelliana: Amicizia nella Parola. Carteggio (con F. Rosenzweig, 2011); Religione come presenza (2012); Israele e i popoli. Per una teologia politica ebraica (2015); La vita come dialogo (Scholé, 2019).
I testi qui per la prima volta raccolti rientrano nell'ampia ricerca che Ricoeur svolge su questioni di filosofia politica, dove la disamina del concetto di tolleranza (e dei suoi opposti) è condotta secondo la dialettica dell'et et: mostrare affinità e differenze tra i concetti e gli slittamenti di significato nei diversi piani del discorso. La tolleranza ha tre giustificazioni - politico-giuridica, culturale e teologica - e nasce come contingenza propria dell'età moderna, per poi diventare condizione di possibilità di una vita giusta. Nell'età post-moderna l'esito inatteso: la tolleranza rischia di scivolare nell'indifferenza. Di qui l'intollerabile, «ultimo rifugio di tolleranza pensata e voluta», paradossalmente esso stesso intollerante quando si erga a giustiziere dell'immoralità degli altri. La stessa indignazione necessita quindi di prudenza e mitezza: è un invito all'etica di compromessi ragionevoli. La tolleranza, in tal senso, resta una virtù incompiuta, un compito senza fine.
Gesù è stato un rivoluzionario, un capo politico sfortunato nella sua iniziativa di ribellione antiromana, oppure un difensore dell'ordine stabilito? Oscar Cullmann, di fronte alle teorie scientifiche contrastanti del suo tempo, ha voluto in questo libro - edito per la prima volta nel 1970 e più volte ristampato - esaminare sul piano puramente storico ed esegetico l'atteggiamento di Gesù sulle questioni fondamentali del culto ebraico, del problema sociale e di quello politico. Gesù attende un Regno che non è di questo mondo ponendosi oltre l'alternativa tra ordine stabilito e rivoluzione. Sebbene non risparmi le critiche più aspre alle istituzioni esistenti, altrettanto nettamente respinge le tendenze politiche rivoluzionarie del suo tempo: nel loro ideale, che mescola il messianismo religioso alle aspirazioni politiche, vede una, se non la tentazione diabolica per eccellenza e proclama la necessità prioritaria assoluta della conversione personale del cuore. Una pietra miliare nel dibattito sul Gesù storico.
Sono qui raccolte le ventisette lettere che Pietro Rossano scrisse al "rabbino di Asti" Paolo De Benedetti nell'arco di un ventennio (1968-1988). Traspare l'esperienza di un'amicizia autentica tra due intellettuali di alto calibro, che condividono impressioni, letture e pareri. Si trovano tracce del contesto storico e delle vicende culturali di quegli anni, specialmente di ambito editoriale: De Benedetti ha lavorato in Bompiani, Garzanti e Morcelliana, mentre Rossano è stato direttore editoriale di una collana di Utet e poi di un'altra di Rusconi. è proprio come direttore editoriale e curatore di libri che lo ricorda De Benedetti, in una testimonianza riproposta nel libro. Ma è la sapienza la cifra più sintetica per parlare di questo rapporto: quella della Bibbia, da entrambi studiata e amata, del giudaismo, della filologia che dice cura e passione per la Parola e le parole, del dialogo, unica strada per incontrare se stessi e la pace.
In risposta ai tragici eventi della Seconda guerra mondiale, Gabriel Marcel si interroga sul ruolo del filosofo «chiamato a confrontarsi con l'ansia di un mondo in cui la possibilità di una distruzione totale non appare più come un'ipotesi remota». Questo scritto, presentato per la prima volta al lettore italiano, riconosce agli intellettuali il compito di "essere in situazione", di uscire dall'isolamento e riprendere contatto con la realtà, di indagare il mondo nella sua assurdità senza tentare di semplificarla. Il cuore della Filosofia non è l'astrazione dalla vita, ma il dialogo continuo con essa. Le riflessioni di Marcel si rivelano attuali di fronte alle sfide che oggi minacciano l'equilibrio globale, dal cambiamento climatico alla crisi delle democrazie, dalla disuguaglianza economica alle minacce dei nuovi conflitti. Si ripropone così la necessità, per il filosofo, di tornare a riflettere criticamente sulle radici della propria vocazione.
Il volume presenta in prima edizione italiana le tre celebri conferenze tenute nel 1968 dal filosofo John Niemeyer Findlay sul tema dell'Assoluto. Il nucleo della teoria qui esposta è che tutte le cose, dai corpi fisici agli oggetti dello spirito, sono unite da una rete di relazioni. Compito della filosofia è percorrere queste connessioni per ascendere all'essenza, indagare l'assurdo e il negativo dell'esistenza per cogliere in essi le tracce di un trascendente che dà loro significato e offre una possibilità di redenzione. I temi trattati - lo Spazio e il Tempo, la sostanza e la causalità, la vita interiore della mente, la conoscenza, i valori morali, il male - sono per Findlay passi verso la definizione di un Assoluto che sappia risolvere in una sfera oltremondana le contraddizioni di questo mondo.
Con il termine "anima" la teologia cristiana, riprendendo alcune acquisizioni della cultura biblica e della filosofia greca, ha voluto salvaguardare l'identità singolare dell'essere umano e la sua destinazione a superare la morte. Negli ultimi decenni, alcuni orientamenti delle neuroscienze hanno invece ritenuto che anche la dimensione "spirituale" degli esseri umani sarebbe espressione di processi neuronali. Il libro si confronta con questi orientamenti per verificare se quanto la tradizione ci ha lasciato in eredità sia da abbandonare o non piuttosto da interpretare come utile strumento per riaffermare l'originalità dell'essere umano tra i viventi. L'obiettivo che l'autore si prefigge è anzitutto metodologico: di fronte al fenomeno umano qual è la spiegazione che meglio corrisponde all'aspirazione al trascendimento che anche la cultura e la tecnica testimoniano? Il confronto si sviluppa a partire dai grandi pensatori del passato - in particolare Tommaso d'Aquino - e dalla ricerca esegetica attuale.
«Una donna schizofrenica in forma grave doveva essere trasferita in un altro ospedale per essere sottoposta a cure psichiatriche. Gli autisti dell'ambulanza vennero mandati in una stanza nella quale la donna stava seduta sul letto, vestita, con la borsa pronta. Nel momento, però, in cui la si invitò ad alzarsi, la paziente diventò con tutta evidenza di nuovo schizofrenica, oppose resistenza, si spersonalizzò e alla fine dovette essere sedata. Quando l'ambulanza era già in viaggio ci si accorse che si aveva a che fare con uno scambio di persona. La signora sull'ambulanza era una donna che intendeva andare a trovare un parente». Ecco uno degli esempi con cui Watzlawick mostra come la normalità nelle relazioni umane sia sempre una costruzione dei singoli individui. Costruzione che, lungi dal portare al relativismo e al nichilismo, paradossalmente consente all'uomo di essere libero.
Re, saggio e architetto, e, più tardi, mago, profeta, esorcista e compositore, Salomone è una delle figure più complesse e famose della letteratura antica. Se le sue immagini più familiari sono ispirate da ciò che racconta di lui la Bibbia ebraica, meno conosciute sono le tradizioni su Salomone elaborate dal giudaismo rabbinico e i ricchi ricami narrativi costruiti dai Maestri ebrei. Le pagine di questo libro offrono per la prima volta al lettore italiano leggende rabbiniche tradotte dall'ebraico o dall'aramaico - oltre a tre saggi introduttivi che inquadrano la figura e la recezione di Salomone. Radicate nell'antico folklore di Israele, sono allo stesso tempo innovative perché forniscono nuove interpretazioni e prospettive sia degli episodi biblici sia dei loro protagonisti.
Sono qui presentate due meditazioni bibliche che Karl Barth ha dedicato all'Avvento e al Natale. Soffermandosi sulle figure di Giovanni Battista e di Maria, che incarnano la condizione dell'attesa per l'adempimento della promessa di Dio con la venuta del Redentore, Barth offre ai suoi ascoltatori una profonda penetrazione teologica del testo sacro. Questa prosegue nella seconda meditazione, che si sofferma sul mistero natalizio: ascoltando l'invito a «non temere», ne considera la realtà come motivo di nuovo splendore al mondo intero, e, nel nascondimento dell'Uomo-Dio, sa vedere il momento della rivelazione divina.
Costante è stato il confronto di Ricoeur con Kant, in particolare con la dottrina del male radicale contenuta in La religione nei limiti della semplice ragione. I saggi qui per la prima volta tradotti e raccolti possono essere visti come la ricapitolazione di questo confronto, una messa a punto sulla filosofia della religione kantiana, intesa come «ermeneutica filosofica della speranza». Un'ermeneutica che ha a suo fondamento un enigma storico-esistenziale - «il fatto che il libero arbitrio esiste solo sotto la forma del servo arbitrio» - e un paradosso antropologico: l'inerenza nell'uomo di una tendenza al male morale innestata su una disposizione al bene. Il male - quale inversione, nelle massime dell'azione, della priorità tra il dovere e il piacere - è sì radicale ma non originario: sta qui, nota Ricoeur, il pelagianesimo di Kant. Per lui la religione è, nella sua essenza, rigenerazione del principio buono nella volontà cattiva. Una rigenerazione che è una dialettica tra sforzo morale e dono della grazia.
In questo straordinario «resoconto» di un viaggio a Lourdes, compiuto per osservare con imparzialità scientifica i fenomeni considerati miracolosi presso il famoso santuario, Carrel narra come venga coinvolto nella vicenda di una ragazza ammalata, gravissima e incurabile, che viene condotta dalla Madonna in una estrema speranza di guarigione prodigiosa. Contrariamente a ogni sua previsione di medico saldamente legato a una visione «positiva» dei fatti biologici, egli assiste al miracolo, che descrive con partecipazione ansiosa, incredula e poi stupefatta. L'autore non depone il suo atteggiamento da scienziato, tuttavia entra «in una indicibile confusione di pensiero», poiché nelle domande che gli si affollano dentro non si tratta «di una semplice adesione ad un teorema di geometria, ma di cose che possono cambiare l'orientamento della vita». Ed ecco la conversione, della mente e del cuore, e lo sbocciare in lui della preghiera. L'autore, pur non diventando un «bigotto» e mantenendo la sua vigile disposizione critica, diventa e rimane un cristiano, come attestano le originali Meditazioni e i Frammenti di diario qui aggiunti.
Il primo fra i maestri del Ratzinger teologo è senza dubbio il pensatore italo-tedesco Romano Guardini, a cui torna spesso in quasi tutti i suoi scritti. Sono qui pubblicati - e introdotti da Silvano Zucal, curatore dell'Opera Omnia di Guardini - i due testi a lui interamente dedicati. Quella di Guardini è sempre stata per Ratzinger una voce ancora attuale che va resa nuovamente udibile: senza alcuna esitazione scommetteva che la diversità che lo caratterizza, per il diverso destino epocale in cui Guardini ha vissuto, avesse in sé quella "forza dell'incontro" che può ricondurci davanti a noi e in noi stessi.
La riflessione di Schwarzschild sul divieto di idolatria - tema fondamentale per la fede e la prassi religiose del mondo ebraico - è un commento filosofico-rabbinico al precetto di non farsi alcuna immagine di Dio. È, però, anche un'applicazione di questo comando alla storia del sentimento religioso e della spiritualità, dal momento che farsi immagini costituisce un bisogno umano che, proprio perché tale, va sottomesso all'imperativo divino. Rinunciando a stigmatizzare le pur pericolose idolatrie del nostro mondo, Schwarzschild si concentra sulla "madre di tutte le idolatrie", quella religiosa, perché è l'idolatria che pretende di non esserlo, quella che si smercia per veritas e vera religio. Nell'approccio di questo originale pensatore ebraico, idolatra è chiunque creda o pensi che si possa eliminare la cesura tra divino e umano, tra idealità e realtà. La proibizione dell'idolatria diventa, in questa prospettiva, la formula negativa con cui si tutela la primaria e più alta verità della rivelazione divina e della riflessione razionale umana: esiste un Dio uno e unico, nel quale l'unità numerica sfuma e si trascende nella sua dimensione morale.
Paolo Sacchi, grande figura di ebraista e storico di fama internazionale, ben noto per la ricchezza del suo lavoro sulla Apocalittica e la "Bibbia dei Settanta", ritorna qui a interrogarsi su Gesù e dunque sui Vangeli. Focalizzandosi sul Vangelo di Marco, tenta di capire che cosa Marco abbia voluto dire mettendo in bocca a Gesù l'enigmatica e ancor oggi discussa espressione "Figlio dell'Uomo", che va intesa a partire dal rapporto dell'evangelista con la tradizione apocalittica: «Gesù si autorivela come Figlio dell'Uomo perché Dio lo rivela come Figlio di Dio». Tale rivelazione dà anche il significato all'Ultima Cena, dove Gesù stringe il suo Patto, con la promessa di risurrezione, con i discepoli e quindi con tutti gli uomini. Sono pagine che sorprendono il lettore, perché, come scrive l'autore, «nello scorrere degli anni ho amato sempre più Gesù. Ho studiato la sua vicenda con un entusiasmo particolare che vorrei comunicare al lettore con parole che, pur nella freddezza dell'esposizione, lo lasciassero trapelare».
Che ne è della fede in questo mondo secolarizzato? La mentalità occidentale, che pone al centro l'essere umano e le sue esigenze materiali, pervade il mondo. Forse la fede non esiste più o magari ce n'è troppa, ma non di tipo religioso, dato che spesso viene confusa con credenze varie e con opinioni più o meno giustificate. Eppure, anche in tale mentalità continua a esserci bisogno di credere, ma non sono più le religioni monoteistiche a dirigere le dinamiche umane. Per fare i conti con questi fenomeni occorre approfondire in cosa consiste davvero il rapporto con Dio, quali sono i significati e le forme della fede, che si configura come un'esperienza di relazione e di fiducia in grado di dare senso a ogni altra nostra relazione, di offrire prospettive ulteriori. L'esito di questa indagine è un cristianesimo come "religione impossibile", che, nella sua trasgressività, permette di considerare l'"impossibile" come una possibilità e in tal modo salva dalla compromissione con il male che caratterizza l'agire umano.
In questo breve, denso volume Hubert Jedin ripercorre, con la consueta chiarezza e la rigorosa documentazione delle sue opere maggiori, la storia dei Concili, dagli otto Concili della Chiesa unita sino al Vaticano II. Attraverso queste importanti occasioni d'incontro e di verifica, il lettore può ripercorrere l'intera storia della Chiesa, dai primi secoli sino ai giorni nostri, con i suoi personaggi maggiori e minori, i suoi momenti più importanti, i successi e le sconfitte. Un libro fondamentale, utile per comprendere meglio la Chiesa di oggi.
"Tutti proviamo, prima o poi, una ""notte dell'anima"": un lutto, una separazione, una malattia o un'ingiustizia che paiono senza rimedio. Certezze distrutte e speranze stroncate, che ""infrangono il cuore"" e ben riassunte nell'antica esperienza ebraica dell'esilio. - Un viaggio terapeutico nella saggezza dei maestri di Israele. La fede qui descritta non è la ""soluzione"" al dolore dei cuori affranti, ma è la ""scintilla"" che riaccende il motore spento e che riattiva le nostre più intime energie. - Dio è il guaritore dei cuori infranti: è in esilio con noi, condivide la nostra lotta quotidiana in cerca di più luce e più senso. - Un percorso spirituale che mentre sollecita l'intelligenza, consola il cuore e blocca la deriva della rassegnazione e la fuga nell'illusione."
Poesie nonsense, cantilene, strofe dedicate ai tanto amati gatti delineano il volto sconosciuto ai più di Paolo De Benedetti. Una raccolta di componimenti che svela l'ironia sottile del Rabbi di Asti, la passione per i giochi linguistici, sensati e non, nati nelle redazioni dell'editore Bompiani dall'intesa con Celestino Capasso, Mario Spagnol, Umberto Eco e Giampaolo Dossena, e proseguiti poi come attività parallela ai libri di esegesi biblica e teologia. Completano la produzione nonsensica una lettera a Eco, Micceide e le melanconiche lamentazioni per la perdita degli amici felini, "angeli" del Creatore, per i quali l'autore litiga con Dio.
Confrontarsi con alcuni orientamenti delle neuroscienze significa accettare che siano messe in discussione le acquisizioni della tradizione filosofica e teologica, secondo le quali gli esseri umani si stagliano al di sopra di tutti gli esseri viventi perché, essendo dotati anche di un principio spirituale, costituiscono il confine tra il mondo dello spirito e quello della materia. Ma per comprendere il fenomeno umano basta attenersi all'indagine scientifica? Nessuna demonizzazione dei saperi scientifici, piuttosto un tentativo di comprendere i dati che essi offrono alla teologia, la quale ha la convinzione di dare un contributo per la custodia dell'essere umano da ogni possibile manipolazione cui lo si esporrebbe qualora lo si considerasse soltanto un vivente tra gli altri.
Cuore e ragione in Pascal sono indissolubilmente legati come esprit de finisse ed esprit de Gèometrie: nella loro unità costituiscono la facoltà conoscitiva, del vero e del bene, propriamente umana. I testi qui tradotti insieme all'opuscolo incompiuto De l'esperit geometrie illuminano la genesi dell'epistemologia pascaliana, fungendo da "discorso sul metodo".
Collocato tra le ortodossie e la critica radicale alla religione, tra lo scandalo delle divisioni fratricide tra Chiese, delle guerre di religione, e lo scetticismo libertino e ateo, Herbert di Cherbury - statista e filosofo inglese (1582-1648) - delinea un'autentica terza via nel dominio religioso che fa di lui, come già Wilhelm Dilthey aveva colto, l'esponente di quella linea speculativo-teologica «trascendentale o spiritualista» che, dal Cinquecento in poi, muovendo dal teismo rinascimentale e dalla mistica, aveva dichiarato l'universalità della rivelazione, il primato della coscienza e del lumen Dei in essa inscritto sul dogma e sulle istituzioni. Herbert, in questo senso, scrive Dilthey, è colui che «primo tra tutti nell'Europa cristiana pose le basi dell'autonomia della coscienza religiosa mediante l'analisi della capacità conoscitiva in materia di religione». Tra le sue opere ricordiamo, oltre a De religione laici (1645) - qui tradotto e commentato da Gabriella Bartalucci -, De ventate (1624), De religione gentilium (postumo, 1663) e l'Autobiografia (postuma, 1769). Roberto Celada Ballanti.
Il tema della giustificazione - l'azione salvifica di Dio, che rende l'uomo "giusto" ai Suoi occhi -, attorno a cui ruota lo Scisma protestante, fu una questione decisiva per il giovane Lutero, e oggetto precipuo della sua esegesi biblica, in particolare delle lettere paoline. Il volume ricostruisce questo particolare aspetto della dottrina luterana facendo luce, al tempo stesso, sul senso della Riforma nel suo differire dalla teologia cattolica. L'interpretazione luterana del concetto di "grazia" - ripresa e commentata in queste pagine - rappresenta anche il focus di una più profonda conoscenza fra le due confessioni, e il modo per superare reciproci pregiudizi e condanne dottrinali sulla via della comune fede in Cristo, di cui tanto più bisognosi sono gli uomini del nostro tempo.
Come può declinarsi una teologia razionale alla fine della modernità? Holm Tetens esplora la via di un discorso razionale su Dio, essenzialmente basato sulla negazione dell'autorità di fonti esterne alla ragione - siano i testi sacri, la dottrina, l'esperienza di fede... - e sul principio di non contraddizione. Elaborare tesi e argomentazioni chiare, condivisibili universalmente, sulle questioni inerenti l'esistenza di Dio e il suo rapporto con la natura, con il mondo e con l'uomo, è un tentativo inusuale per la teologia e la filosofia contemporanee, le quali rinviano perlopiù la discussione dei contenuti teologici alle particolari tradizioni ermeneutiche, riducendo la religione come oggetto di studio alla sua dimensione storica. La prospettiva qui sviluppata da Tetens è in grado di rimettere in questione la differenza fra teismo e naturalismo, mostrando come il primo sia una valida opzione razionale anche per l'uomo d'oggi.
«Un lettore del testo di Mosca Mondadori può sentirsi estraneo alla sua esperienza spirituale e tuttavia esserne attratto, non tanto in ragione del suo mito fondante - in questo caso il Cristo -ma dal fatto di potere, in ragione di quel mito, guardare al mondo e ai suoi orrori sotto il segno del riscatto e della redenzione. Ma perché questo accada bisogna operare perché accada, è necessario un atto di donazione, è necessario identificarsi in Cristo, modellare su di lui la propria vita. "La morte nell'Amore - scrive Mosca Mondadori - ed è Cristo a trascinarci in essa. È Lui a portarci dentro l'Origine dove noi vivremo per sempre". Mosca Mondadori sperimenta quest'elevazione, si sente "innalzato d'improvviso nella gloria". Detto questo, perché mai un laico dovrebbe essere interessato a questi testi? Direi, proprio in ragione della loro assurdità. Credo quia absurdum.» (Salvatore Natoli)
Il carmelitano Giovanni della Croce (1542-1591) è considerato uno dei più importanti mistici cristiani. Come si apprende in queste pagine, la sua figura rappresenta la cifra stessa del mistico moderno nella propria vocazione universalistica. Nel saggio del 1948, qui per la prima volta tradotto da Domenico Bosco, Jean Baruzi, collocando Giovanni della Croce dentro la storia della religione, ne ritrae al tempo stesso la forza poetica - di alcuni celebri simboli: la "notte", la "fiamma" - e quella speculativa. Un modo di esprimere l'indicibile - foriero di profonde intuizioni metafisiche sul rapporto fra Dio, gli uomini e il mondo - che per Baruzi assume la dignità di metodo filosofico: una filosofia della religione che si fonda sull'esperienza e la logica della mistica.
Le parole di San Francesco d’Assisi che danno il titolo a questo volume, suggeriscono una riflessione biblica, ebraica e cristiana, sul tema del creato divenuto molto popolare con l’attuale pontificato. Un'attenzione a "madre terra", alla "nostra casa comune" che si estende, secondo papa Francesco, alla società odierna in senso lato. Contributi di Jean Louis Ska, Daniel Marguerat e Romano Penna.
Questo libro ricostruisce il percorso compiuto dalla Chiesa nella sua relazione con il moderno, assumendo un punto di vista specifico: l'atteggiamento elaborato dal papato. Se il confronto di quest'ultimo con la cultura moderna era iniziato già nel corso della Rivoluzione francese, il punto di partenza prescelto è il pontificato di Pio X che, con la solenne condanna del modernismo nell'enciclica "Pascendi" del 1907, segna una svolta: il moderno, da avversario con cui misurarsi anche per poter essere al passo con i tempi, diventa il nemico che penetra nascostamente all'interno della Chiesa per dissolverla. Vengono qui delineati i tratti fondamentali con cui ciascuno dei pontefici successivi, fino a papa Francesco, si è confrontato con questo insieme di problemi, cercando di definire una linea di presenza della Chiesa nella modernità. Tra continuità dottrinali, differenze pastorali e, talvolta, innovazioni teologiche.
Un volume di spiritualità, sul modello della meditazione monastica degli antichi Padri della Chiesa: in preciso riferimento alle Scritture, l'autore commenta i temi della speranza e del perdono, quanto mai attuali.
L'autore mette in risalto la specificità della meditazione buddista, basata su una modalità essenziale: la consapevolezza, come presenza a se stessi e, nello stesso tempo, presa di distanza dal mondo. Questo genere di meditazione ha una valenza spirituale che permette di afferrare il significato anche esistenziale del buddismo: essa è un valido antidoto contro le situazioni di disagio e ansia tipiche della nostra cultura. E' però soprattutto il suo valore conoscitivo a essere qui indagato: il metodo proposto per prendere coscienza di sé - e la sua forza mistica di possibile via al normanna - costituisce un fertile terreno di dialogo tra scienze cognitive e fenomenologia, che sono invitate a riconoscersi reciprocamente integrandosi per giungere a un'autentica concezione dell'io nel suo rapporto con la trascendenza.
La bioetica, per definizione, è un terreno nel quale si confrontano la vita e la riflessione teorica e normativa su di essa. È perciò anche il luogo di aspre opposizioni cui assistiamo nell'odierno scenario culturale, e non sempre riconducibili alla divisione fra laici e cattolici. La vera contrapposizione su cui il volume fa luce è quella fra una bioetica ideologica e una bioetica critica, capace di fornire argomenti per discutere le singole questioni e non per confutare un presunto nemico. Un modello di bioetica dialogica, o "in punta di piedi", che in queste pagine individua alcuni momenti significativi dell'esistenza come possibili luoghi di convergenza delle diverse riflessioni sull'umano. Seguendo, e sviluppando, la prospettiva di Ricoeur, l'etica applicata alla vita si misura qui con le sue esperienze-limite - la malattia, il dolore, la morte - che consentono di pensare i concetti di "fragile" e "prezioso" fuori dall'opzione relativista o fondamentalista, ma in un'etica della cura.
La narrazione dell'itinerario intellettuale di uno storico della cultura è uno scavo nel ricordo personale e collettivo: una "archeologia" della memoria e dei popoli che è la cifra del pensiero di Assmann. Noto, e avversato, per le sue analisi sulla radice violenta dei monoteismi, in questa intervista l'egittologo racconta gli esordi, i grandi maestri che lo avvicinarono all'antica cultura egizia ed ebraica (Eberhard Otto, Georges Posener, Jacob Taubes, Guy Stroumsa), la storia del concetto di "distinzione mosaica" - dove "religione" sta per "distinzione" tra vero e falso, tra fedeltà e tradimento di Dio - dall'antichità all'età moderna, nel confronto con pensatori come Lessing e Mendelssohn nel '700 e, nel '900, Gandhi, Sloterdijk, Freud per la prospettiva psicanalitica, fino a Gadamer e Lévi-Strauss. L'idea di "traducibilità" dei nomi di Dio da una religione all'altra, propria degli antichi politeismi, e la moderna ermeneutica della religio duplex - doppia verità, universale e rivelata - permettono di ripensare il monoteismo oltre se stesso: un movimento della memoria e del concetto che va dalla religione esclusiva di Mose alla possibilità di una religione universale.
Il contributo di Trendelenburg alla revisione del sistema hegeliano passa attraverso lo studio critico della storia della filosofia, coniugando analisi filologica dei classici ed elaborazione di una filosofia propria. Il testo "Per la storia del termine persona", un manoscritto del 1870 pubblicato solo nel 1908, è un esemplare scavo storico-filosofico sul formarsi del concetto di persona che rientra nella sua concezione organica dell'etica, di cui fanno parte non solo i diritti del singolo, ma anche lo stato, la società. La doppia matrice del termine - filosofica e teologica - è rintracciabile già nella filosofia antica greco-romana e si riflette, pur con diversi percorsi, nel pensiero giuridico sino ad oggi. Per comprendere questo intreccio l'autore chiave è Kant, nel quale si trovano nodi tematici - come dignità, dialettica mezzo-fine - in cui ha origine, e può avere nuovo sviluppo, il concetto moderno di persona come soggetto etico-giuridico.
Unde male faciamus? O meglio, unde malum? (donde viene il male?) Partendo da queste domande - domande classiche in forza dell'enigma in esse raccolto Ricoeur torna a riflettere sullo scandalo del male. In pagine intessute di finezza ermeneutica e rigore teoretico, Ricoeur disegna da un lato una fenomenologia del male: la sofferenza, la pena, il peccato, l'intreccio di male subìto e male commesso... D'altro lato ricostruisce il formarsi dell'onto-teologia e delle sue diverse teodicee, in quanto tentativo - da Agostino a Leibniz, da Kant a Hegel, fino alla paradossale dialettica spezzata di Barth - di coniugare realtà del male e credenza in un Dio onnipotente. Ma reggono queste soluzioni dinanzi alle forme estreme del male nel nostro secolo? Per Ricoeur, consumatosi il progetto stesso dell'onto-teologia, alla fine non resta che il riconoscimento dell'aporia di un male in sé ingiustificabile e di una fede che ripeta il gesto ultimo di Giobbe: credere in Dio per nulla. In margine al saggio di Ricoeur, De Benedetti, nella Postfazione, si sofferma sui riflessi teologici dell'enigma del male, dopo che la caligine di Auschwitz ha oscurato (fino a quando?) i segni di Dio.
Riflettere su parole chiave dei monoteismi (ebraico, cristiano, musulmano) e dell'umanesimo, quali dignità dell'uomo, imitatio dei, agape o amore universale, genera contrapposizioni: la spinta alla secolarizzazione con la pretesa moderna di ricondurre il diritto e la convivenza fra popoli e religioni a ideali umanistici, ma anche la presa di posizione critica verso le religioni in quanto portatrici di violenza, e, all'opposto, la loro rivendicazione di un primato etico-valoriale. Il paziente lavoro filologico qui svolto sulle fonti scioglie le contrapposizioni in una prospettiva poliedrica: l'umanesimo, di matrice greca, non è un dato conchiuso, ma diviene di pari passo alla contaminazione delle culture - ellenistica, ebraico-cristiana, musulmana. La filantropia del mondo classico si riflette, e da lì va ricompresa, nei comandamenti della Torà e della Bibbia: un bacino di significati da cui hanno origine le prime comunità di credenti. Lo sforzo di interpretazione su cui esse si fondano - della Parola, della Rivelazione e dei concetti della filosofia - funge da modello ermeneutico per il dialogo e per il rispetto.
La Logica Maggiore o Logica della ragione vera (Logica Major) è un frammento incompiuto del 1934 - per la prima volta tradotto integralmente - da ricondurre a due opere fondamentali: gli Elementi di filosofia (Logica formale) e Distinguere per unire. I gradi del sapere. Una ripresa del tomismo, nel confronto con il metodo delle scienze empiriche così come era presentato dal positivismo, tesa qui a definire lo statuto della filosofia, e della teologia, come scienza (le Savoir). La metafisica, messa in scacco dal pensiero moderno, in quanto conoscenza che si spinge fino alle cause ultime è una scienza "sapienziale", riabilitata in una prospettiva epistemologica realista, nella sua possibilità di conoscenza certa e vera. A questa dimostrazione dell'Essere nel suo massimo grado è orientata la "logica materiale", che corrisponde a due criteri: certezza (della forma) e necessità (del contenuto). Una prospettiva che, se appare in controtendenza rispetto al suo tempo, resta ancora oggi un classico del pensiero cristiano nel suo rigoroso tentativo di fare spazio alla metafisica nella cultura del '900.
Albert Schweitzer (1875-1965) è fra i primi ad aver pensato la "crisi della civiltà", che affonderebbe nell'Illuminismo e di cui la prima guerra mondiale sarebbe il risultato più che l'origine. Il testo di Cassirer offre i lineamenti biografici e intellettuali che rendono Schweitzer un pensatore sentinella nella cultura del '900 per il suo invito a riflettere sul ruolo della filosofia, a partire dalla critica dei concetti di "ragione" e "etica". Il loro punto di incontro emerge nel primato della "ragione pratica", una razionalità responsabile della vita alla luce della quale si comprende la scelta di Schweitzer di abbandonare l'insegnamento della filosofia per seguire la professione di medico missionario e lo sforzo di Cassirer nell'affermare il valore pratico della filosofia, vale a dire etico, sociale, antropologico.
I personaggi biblici - uomini, donne e altre creature - tratteggiati in queste pagine sono il frutto della collaborazione di Paolo De Benedetti alla redazione del "Dizionario delle opere e dei personaggi" per la Bompiani. Voci che, affondando nelle figure bibliche, talvolta poco note, con essenzialità e profondità danno il senso dell'inesausta lettura della Bibbia che ha accompagnato la riflessione di De Benedetti, nei suoi risvolti editoriali e teologici, nella sua dimensione filologica ed ermeneutica: un lento e continuo "ruminare" l'Antico, il Nuovo Testamento e il Talmud. Nelle pieghe più umili della Bibbia, in ognuno dei suoi personaggi minori, riluce il messaggio del Dio ebraico e cristiano, e nell'insieme da loro disegnato appare l'invito per il lettore ad avanzare la propria, peculiare, unica interpretazione: il "settantunesimo senso" che si aggiunge ai canonici settanta.
Se spesso si parla di media digitali dandone una connotazione negativa, questo libro riprende la tradizione delle virtù per proporre un nuovo modo di accostarsi al web. Si tratta di ripartire da un'etica che si costruisce attraverso la pratica. Cosa significa essere prudenti in internet? Come vi si può esercitare la temperanza? E possibile essere giusti, forti, in uno spazio quanto mai "liquido"? C'è posto per la speranza, la carità e la fede? È la ripresa delle virtù - cardinali e teologali - a permettere, senza presupporre adesioni di principio, di individuare strategie e indicazioni operative volte ad acuire la consapevolezza e la responsabilità di chi utilizza i media digitali. Consapevolezza e responsabilità attraverso le quali è la stessa cittadinanza a costruirsi in un vero e proprio circolo virtuoso.
"'Lo Spirito soffia dove vuole', dice Cristo. E ora, mentre sono qui in questa chiesa e Lo guardo, immagino che vi sia un altro uomo dall'altra parte del mondo che non Lo conosce ma che avverte in se stesso lo stesso, medesimo sospiro d'amore". (Arnoldo Mosca Mondadori)
Rimanere seduto davanti alla tela senza fare niente è quanto riferisce Giacometti del suo tentativo di ritrarre Isaku Yanaihara, professore di Filosofia francese all'Università di Osaka scelto come modello nel 1956: data ricordata dai critici come "crisi Yanaihara". Una battuta d'arresto che non si traduce nell'annullamento dell'opera ma in un nuovo sviluppo: una svolta nel percorso artistico di Giacometti che si confronta con i temi dello spazio e della profondità, adottando soluzioni diverse dalle tecniche tradizionali. Ne offrono un'acuta analisi i due testi qui presentati di Sachiko Natsume-Dubé, affiancati in appendice da alcune pagine del diario di posa di Yanaihara che costituiscono una testimonianza imprescindibile per la comprensione dell'opera dello scultore e pittore svizzero. L'esperienza dell'impossibile - ritrarre il volto di Yanaihara che non si riesce a catturare sulla tela - è la "catastrofe" e al tempo stesso la sua nuova possibilità: il tentativo di superare la prospettiva. Nella questione della tecnica pittorica è in gioco il rapporto dell'opera d'arte con il vero.
Nella Bibbia ricorrono numerose le immagini di Dio: ha occhi per guardare, orecchi per ascoltare, bocca per parlare e, come ci ricorda questo libro, per sorridere. Anzi, Paolo De Benedetti nella Prefazione afferma che, in quanto Dio è amore, il suo rapporto con gli uomini è legato soprattutto alle sue labbra che sorridono. Se la storia della salvezza parte dal riso di Sara di fronte alla promessa divina, a lei sterile e anziana, di una sterminata discendenza, la Bibbia - e in particolare la Bibbia ebraica - non manca di humour, emerso dalla recente attenzione alle sue dimensioni letterarie. Ma l'origine dell'umorismo che caratterizza l'animo ebraico è da rintracciarsi nella tradizione orale della Torah e nelle procedure della letteratura talmudica con le sue serie di domande e risposte destinate a sfociare in altre domande e i suoi aneddoti spesso paradossali e irrealistici. Un'ironia biblico-teologica, dissacrante ma mai in antagonismo alla fede, si ritrova anche nella tradizione popolare americana: innumerevoli film, fumetti e cartoni sono l'espressione di una libertà nella religione di cui l'umorismo è parte essenziale.
Il mondo religioso occidentale, e in particolare quello cristiano, è diventato nella sua liturgia monotono e freddo. Ma il rito ha essenzialmente una natura ludica - colta, tra i primi, da Romano Guardini -: la liturgia, come il gioco, è fine a se stessa, rientra in un mondo simbolico caratterizzato da modi di agire liberi, non dominati da rapporti di causa/effetto. La danza, la musica, il teatro si ritrovano nel passato religioso dell'umanità dove aspetti razionali e sensibili si coniugavano in una sintesi armoniosa. Il sopravvento incontrastato della ragione sui sentimenti e sull'agire umano, ma anche la riduzione della religione a interiorità, all'opposto, e della liturgia a parola hanno determinato la scomparsa di gesti rituali intensi e indebolito musiche, canti e movimenti. Come poter allora parlare ancora di gioco? Ritornando, grazie all'antropologia e alla storia delle religioni, alle strutture di fondo della liturgia.
Se "dire grazie" è un'esperienza quotidiana, traspare in essa quel "grazie originario" che accomuna tutti gli uomini: davanti al mistero della vita, oppure - religiosamente - di fronte alla grandezza di Dio. Massimo Giuliani ne ricava i tratti universali e il significato etico-filosofico a partire da una fenomenologia che spazia dall'obbligo di gratitudine verso i genitori al rapporto fra il provare tale sentimento e l'esprimerlo, dal riconoscimento che il popolo ebraico conferisce ai giusti delle nazioni alla benedizione giudaica dopo il pasto. Nella Bibbia l'esclamazione di gioia e di riconoscenza per eccellenza è hallelujah, "date lode a Dio": Paolo De Benedetti mostra come tale espressione, attraverso i testi ebraici e quelli cristiani, giunga a noi come un grido dal cuore, che nasce dall'esperienza e risuona in tutto il creato, educandoci a un dialogo costante con Dio.
È con la sensibilità dell'artista - e del lettore appassionato - che Stefano Levi Della Torre si accosta alla Divina Commedia, sondandola con brevi scritti e rapidi tratti di penna e matita che catturano l'esattezza fisica ed emotiva dei versi danteschi. Il realismo di Dante è paradossale: se da un lato il poeta traduce i suoi argomenti in fatti riconducibili all'esperienza che l'uomo ha delle cose, dall'altro accompagna il lettore in un mondo altro dove, per esempio, Virgilio, Beatrice e il Minotauro sono resi con la medesima plasticità, in un reciproco potenziamento di fantasia e verosimile. È il parlare figurato proprio dell'arte in cui la finzione è rappresentazione della verità, in un rapporto che si ritrova rovesciato nella frode - il falso che si presenta come vero - raffigurata da Dante in Gerione, serpente con "faccia d'uom giusto". Questo libro vuole essere un invito a gustare la Divina Commedia, in una sorta di lettura originaria che metta tra parentesi gli apparati di note per godere delle pure modalità narrative, in grado di evocare effetti figurativi e percettivi, ricostruendo con la parola le atmosfere e gli spazi fisici del viaggio nell'oltretomba, facendo vedere, udire, odorare e toccare le cose raccontate.