
Legami, identità, limite. Non è aria, a quanto sembra, per queste categorie. Nell’antropologia come nella pedagogia, il trend sembra più indirizzato verso il culto dell’autoreferenzialità, l’elogio della diversità, l’incentivo dell’apertura illimitata e della crescita continua. Eppure, qualcosa sta cambiando. La soggettività moderna, che era partita così sicura, diventa consapevole dei suoi rischi e delle sue incertezze. Nella metropoli cosmopolita si allargano i «deserti dell’anima»: luoghi psichici caratterizzati, a dispetto dell’apparente eccitazione dello scenario post-moderno, dalla freddezza emotiva e dall’amoralità ignara del limite. Non si tratta di opporre a questa deriva un moralismo di complemento, o qualche supplemento d’anima. Né si deve immaginare di doversi allineare alla stucchevole denuncia del nichilismo che avvolge l’Occidente. La comprensione qui è in vista di una più consapevole empatia con le opportunità culturali di un umanesimo non retorico, nello spazio offerto dalla condizione sociale presente. Rimane il fatto che il soggetto autonomo ha imboccato anche la deriva – non necessaria – di un’identità perfettamente autoreferenziale. L’ani-ma, e con essa l’umana coscienza, diviene mente e costrutto mentale; il corpo macchina e organismo biologico. È questa semplificazione – del soggetto, come dell’umano tout-court – che ora ci complica la vita. È precisamente il filo che questo saggio insegue e dipana. L’itinerario della sua ricognizione approda, non per caso, a quella esigenza di cura appassionata per l’umano-che-è-comune, in pensieri e opere (senza omissioni). La misteriosa qualità dell’umano-che-è-comune è la risorsa più decisiva di cui l’individuo dispone. È il fondamento più solido per l’elaborazione della dignità e del senso della propria singolarità esistenziale. Di quell’umano-che-è-comune, ciascuno è ospite non padrone. Esso è il più sicuro referente del bene comune: in grado di giustificare i tratti – non negoziabili e non dispotici – di un patto sociale eticamente vincolante. Alla prova del suo stesso limite.
PierAngelo Sequeri, nato a Milano nel 1944, è docente di Teologia fondamentale alla Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale. È anche direttore del Laboratorio di Musicologia Applicata di Milano. Nell’ambito della sua ricerca e delle sue pubblicazioni in opere e riviste specializzate è prevalente l’interesse per le questioni di confine tra filosofia e teologia, psicologia e teologia, estetica e teologia. Fra gli scritti più recenti: "L’oro e la paglia", Milano 1990; (con A. Torno) "Divertimenti per Dio. Mozart e i teologi", Casale Monferrato 1992; "L’indicibile emozione del sacro: R. Otto, A. Schönberg, M. Heidegger", Milano 1993; "Il timore di Dio", Vita e Pensiero, Milano 1993; "Il Dio affidabile. Saggio di teologia fondamentale", Brescia 1996; "L’estro di Dio. Saggi di estetica", Milano 2000; "Senza volgersi indietro. Meditazioni per tempi forti", Vita e Pensiero, Milano 2000.
La vecchia Europa vive una nuova stagione, come epicentro amato e odiato di una profonda migrazione di popoli che convengono soprattutto dall’oriente e dal sud del mondo, in cerca di una vita migliore o semplicemente per sfuggire alla fame, al dolore e alla morte. In non pochi casi, anche per ritrovare una dignità di vita. Come è accaduto e continua ad accadere per la vita sociale (e politica) americana, anche per noi europei v’è il problema di stabilire il giusto rapporto fra la necessità di reperire un codice comune di convivenza e l’istanza della molteplicità etnico-culturale. La letteratura sull’argomento oscilla tra due estremi, non facilmente componibili: da un lato, si cerca la soluzione per sottrazione, e si bada al reperimento di alcune costanti dell’umano che dovrebbero da tutti essere riconosciute per via della loro universalità; dall’altro lato si nega che un tale compito possa essere eseguito e si ricorre a una soluzione per addizione. Il molteplice culturale dovrebbe essere semplicemente registrato e tutte le differenze essere coltivate. La fragilità di entrambe le soluzioni, che pure contengono una loro verità, è diventata fin troppo evidente. Bisognava, dunque, volgere lo sguardo altrove. Bisognava dare indicazioni intorno a una universalità concreta degli umani, che onorasse tanto ciò che li accomuna quanto ciò che li fa differire. Questo libro ci ha provato, mettendo in campo, nell’istruzione determinata delle molteplici questioni (universalità dei diritti, flussi migratori, cittadinanza globale, ruolo pubblico della religione, politiche dell’identità) il principio della reciprocità del riconoscersi, come architettura di senso dei rapporti tra noi.
Carmelo Vigna è ordinario di Filosofia morale presso l’Università di Venezia, dove ha diretto il Dipartimento di Filosofia e T.d.S. e ha fondato e attualmente dirige il Centro Interuniversitario per gli Studi sull’Etica (C.I.S.E.). Insegna anche presso l’Università Cattolica di Milano. Tra i suoi scritti recenti ricordiamo: “La politica e la speranza” (Roma 1999, con V. Melchiorre); “L’enigma del desiderio” (Cinisello Balsamo 1999, con L. Ancona e P.A. Sequeri); “Il frammento e l’Intero” (Vita e Pensiero, Milano 2000). Ha curato i volumi: “La libertà del bene” (Vita e Pensiero, Milano 1998); “Essere giusti con l’altro” (Torino 2000) e “Introduzione all’etica” (Vita e Pensiero, Milano 2001).
Stefano Zamagni è ordinario di Economia politica presso l’Università di Bologna; docente a contratto presso l’Università L. Bocconi di Milano e presso la Johns Hopkins University, Bologna Center. Direttore del Master in Economia della cooperazione. Membro del Comitato editoriale di «Economia Politica»; «Economics and Philosophy»; «Journal of Economic Methodology»; «Mind and Society»; «Ragion Pratica»; «Brock Review». Tra i suoi scritti ricordiamo: “Economia e Etica” (Roma 1994); “Profilo di Storia del pensiero economico” (Roma 1997, con E. Screpanti); “Complessità relazionale e comportamento economico” (Bologna 2002, con P. Sacco).
Non si può comprendere a fondo Platone senza considerare la sua peculiare concezione della poesia, e quindi anche della musica, che nella cultura greca alla poesia era intimamente connessa. La funzione della poesia nel mondo antico era essenzialmente educativa e formativa, lontana dal risolversi in un divertimento spirituale di carattere prevalentemente estetico. Per questa ragione, al contrario di quanto comunemente si crede, Platone accorda alla poesia un ruolo importante, mantenendola nello Stato ideale, sia pure con una riforma strutturale. Se infatti la poesia e la musica non possono essere sottostimate a causa del loro potere di interpellare e influenzare la parte non razionale dell'anima umana, tale potere deve essere sottratto a ogni occasione di abuso e reso un immancabile strumento di formazione. Agli occhi di Platone, la musica è autentica bellezza solo nel momento in cui persegue ciò che è meglio per l'uomo, ovvero la verità. In questo saggio Moutsopoulos ripercorre la teoria platonica sulla musica in un quadro che delinea le coordinate spirituali dell'essenza stessa della grecità, nella quale la musica trova il suo coronamento nell'amore del bello, dove si manifestano il bene e la verità.
«Come si fa a pregare?». Questo interrogativo parla di noi, e dice la verità: noi non riusciamo a pregare, dobbiamo impararlo. E nessuno è in grado di insegnarcelo, se non il Signore. I discepoli stessi riconobbero la propria incapacità chiedendo a Gesù: «Insegnaci a pregare». Coltivare questa domanda già di per sé conduce alla soglia dell’incontro con Dio: la richiesta, infatti, presuppone il riconoscersi poveri, e confessare la propria impotenza permette al dono di Dio di essere accolto. Dio dona la preghiera a chi gliela chiede: semplicemente e infallibilmente. Gratis. Con questa idea di fondo, il libro pone l’accento di volta in volta su aspetti diversi dell’esperienza orante: sulla fatica estenuante che un autentico apprendimento della preghiera comporta, ma, soprattutto, sulla dimensione di gratuità che abita la preghiera, e sola le consente di esprimersi in pienezza. Particolare attenzione è dedicata alla preghiera vocale, il canale per eccellenza dell’orazione nella tradizione ebraico-cristiana, nella quale si prega anzitutto per mezzo delle parole: i Salmi, il Padre Nostro, le preghiere mariane, quelle che si recitano a tavola, per strada o al capezzale dei malati sono altrettante formule con cui le parole pongono alla presenza di Dio e consentono di vivere nella sua alleanza. Ma nel dialogo con Dio le parole si accompagnano sempre al silenzio. C’è un silenzio che sta al di qua dell’espressione verbale, quando la parola ancora non ha preso forma: è la «preghiera originaria» con cui si apre il libro; e c’è un silenzio più forte e più ricco, esperienza che si compie al di là di tutte le parole: è la «preghiera perfetta» che conclude il prezioso itinerario tracciato da p. Standaert. In essa lo Spirito, secondo l’insegnamento di Paolo, «viene in aiuto alla nostra debolezza e intercede per noi con gemiti inesprimibili».
Benoît Standaert è monaco benedettino e uno tra i più innovativi e pensosi esperti di spiritualità biblica. In traduzione italiana ha pubblicato: "Il Vangelo secondo Marco", Roma 1984; (con O. Clément), "Pregare il padre nostro", Magnano Vercellese 1988; "Le tre colonne del mondo. Vademecum per il pellegrino del XXI secolo", Magnano Vercellese 1999; (con C.M. Martini e G. Danneels), "Lo spirito dell’apostolo. Quando il ministero ha un’anima", Milano 2002
Cristiani, musulmani ed eretici sono i protagonisti di questo volume, i cui saggi spaziano nell’ambito del Mediterraneo tra IX e XIII secolo. È all’interno di questa cornice ideale che vengono delineate mentalità e situazioni storiche di particolare rilievo: dai giudizi sull’‘altro’ espressi dai cristiani dell’Italia meridionale nel IX secolo, a quelli formulati da parte musulmana in Spagna tra X e XI secolo; dalla produzione storiografica medievale legata alla prima crociata, alle caratteristiche della dominazione latina in Oltremare; dalla riflessione medievale genovese sulla partecipazione della città ligure alle crociate, agli echi e alle interpretazioni in seno alla Cristianità di un grande evento bellico oltremarino; infine, la crociata contro gli albigesi viene rivisitata alla luce di un autore contemporaneo agli eventi. L’attenzione rivolta alle fonti a disposizione dello storico costituisce un ulteriore elemento unificante dei saggi qui raccolti, che mostrano la viva esigenza di rintracciare la specificità di ogni fonte, pur sempre all’interno di un contesto più generale che aiuti a comprenderne senso e portata. Ne risulta un quadro complesso e articolato che vede fedi, culture e poteri diversi confrontarsi e talora duramente scontrarsi.
Marco Meschini (Varese, 1972) è dottorando di ricerca in Storia medievale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Le sue ricerche più recenti sono dedicate all’eresia medievale e alla crociata contro gli albigesi. Collaboratore di giornali e riviste, è autore della monografia San Bernardo e la seconda crociata, Milano 1998.
Chi vivrà?, si chiede Victor Fuchs in questo libro che è ormai un classico dell’economia sanitaria e affronta una delle questioni sociali e politiche oggi più urgenti nel mondo occidentale: coniugare, nel campo della medicina, le istanze dell’efficienza e quelle dell’equità.
L’autore sviluppa l’analisi a partire dalla società nord-americana, ma le sue conclusioni sul rapporto tra salute e fattori socio-economici si applicano anche alla nostra, europea e italiana in specie, che attraversa attualmente una fase di ripensamento.
La riflessione oscilla tra due poli: da un lato, il timore che il sistema sanitario pubblico costringa i cittadini in una sorta di ‘zoo’, dove protezione e tutela della salute sono garantiti, ma la spesa è incontrollata e il livello delle prestazioni tende ad abbassarsi; dall’altro, il rischio che un’organizzazione più libera del settore, dove le assicurazioni private svolgano un ruolo determinante, lo trasformi in una ‘giungla’, in balia delle regole del libero mercato.
Se, infatti, un sistema sanitario pubblico controlla a fatica i costi che il progresso tecnologico, anche in campo medico, contribuisce a far crescere, una gestione manageriale della sanità razionalizza le risorse riducendo i servizi. A farne le spese sono in questo caso le fasce povere della popolazione che più difficilmente hanno accesso all’assistenza.
D’altro canto, sebbene, grazie al rapido sviluppo della ricerca in campo farmaceutico, la medicina abbia contribuito a migliorare notevolmente la nostra salute, su di essa incidono oggi lo stile di vita e i comportamenti individuali (dal fumo delle sigarette al consumo degli alcolici, dall’esercizio fisico alla dieta).
Queste e altre questioni propone Fuchs a chi opera nel mondo della sanità, nella piena consapevolezza dei limiti dell’economia. Infatti, alla radice di gran parte dei problemi aperti ci sono scelte di valore che riguardano chi siamo, come vogliamo vivere, che tipo di società vogliamo costruire. Di tali scelte non dovrebbe essere l’economia a farsi carico. Piuttosto, esse sono di pertinenza della politica cui spetta il compito di governare i processi sociali.
Victor R. Fuchs è professore emerito alla Stanford University (California), dove è stato docente, tra il 1974 e il 1995, presso l’Economics Department e il Department of Health Research and Policy della School of Medicine. Si occupa di analisi economica applicata ai problemi sociali con particolare riferimento ai temi della salute e dell’assistenza sanitaria. Tra le sue pubblicazioni più recenti: “How we Live” (1983), “The Health Economy” (1986), “Women's Quest for Economic Equality” (1988), “The Future of Health Policy” (1993).
INDICE
Presentazione di Cesare Catananti e Americo Cicchetti
Prefazione all’edizione ampliata
Prefazione all’edizione tascabile (1982)
Ringraziamenti
Introduzione. Salute ed economia
I. Problemi e scelte
1. I problemi che abbiamo di fronte
2. Scelte inevitabili
II. Chi vivrà?
1. Il primo anno di vita
2. Tre volte vent’anni più dieci anni
3. Il sesso ‘debole’
4. La storia dei due Stati
5. Riepilogo
III. Il capitano della squadra
1. Prendersi cura e curare
2. ‘Non si riesce a trovare un dottore!’
3. Il ‘surplus’ chirurgico
4. Raccogliere la sfida
IV. La casa della speranza
1. Il problema centrale: il costo elevato
2. Gli ospedali oggi
3. Perché gli ospedali sono così costosi?
4. Come impedire l’aumento dei costi degli ospedali
V. La chiave della medicina contemporanea
1. La produzione dei medicinali
2. La vendita al minuto
3. I nuovi farmaci
4. Sostanze biologicamente attive e danni alla salute
5. I costi delle terapie farmacologiche
6. Problemi etici
VI. La copertura della spesa sanitaria
1. Il sistema attuale
2. Chi?
3. Cosa?
4. Come?
5. Le HMO
6. Conclusioni
Conclusione. Salute e scelte sociali
1. Sintesi
2. I limiti della prospettiva economica
3. Raccomandazioni
Appendice
Salute, economia e scelte sociali
Quello che ogni filosofo dovrebbe sapere su economia e sanità
1. A chi non sa dove va, qualunque strada va bene
2. Le condizioni necessarie e sufficienti della copertura universale
3. Il contenimento del costo: ‘nessuna rinuncia uguale nessun risparmio’
4. Il problema fondamentale dell’economia sanitaria
5. Il secondo problema fondamentale dell’economia sanitaria
6. Imparare a gestire una società di anziani
Povertà e salute: le vere domande
1. Cos’è la povertà?
2. Qual è il rapporto tra povertà e salute?
3. Il basso reddito è la causa della cattiva salute?
4. Come spiegare la correlazione tra povertà e salute?
5. Perché la correlazione tra livello di istruzione e salute è così elevata?
6. In che modo il basso reddito influisce sulla salute?
7. Quali sono i più importanti problemi di salute dei poveri?
8. Quali problemi di salute dei poveri sono più facili da risolvere?
9. Ci sono altre ragioni per offrire assistenza sanitaria ai poveri, oltre al miglioramento della salute?
10. Quali strumenti politici sono disponibili per aiutare i poveri?
11. Perché gli americani sono più contrari di altri popoli ai contributi pubblici alle spese sanitarie dei poveri?
12. Qual è il modo più efficiente di fornire l’assistenza medica ai poveri?
13. Cos’è l’assistenza sanitaria ‘a due livelli’?
14. Quali sono le cure mediche fondamentali?
15. Sintesi
Da Bismarck a Woodcock: la corsa ‘irrazionale’ al servizio sanitario nazionale
1. Gli Stati Uniti possiedono già un servizio sanitario nazionale implicito
2. Un tentativo di controllare l’offerta
3. Vantaggi fiscali
4. Le esternalità
5. Le ‘questioni di vita o di morte’
6. La crescita dell’ugualitarismo
7. Paternalismo
8. Un contrappeso a un ‘tributo iniquo’
9. Il declino della famiglia
10. Il declino della religione
11. La funzione ‘politica’
12. Perché gli Stati Uniti per ultimi?
13. Sintesi
Il servizio sanitario nazionale rivisitato
1. I non assicurati
2. Due modelli di assicurazione sanitaria
3. Servizio sanitario nazionale e costo del’assistenza sanitaria
4. Servizio sanitario nazionale e salute
5. Le prospettive del servizio sanitario nazionale negli Stati Uniti
Dalla Prefazione:
Dicono i francesi, "plus ça change, plus c’est la même chose", più si cambia, più tutto è come prima. A dispetto dei drammatici mutamenti tecnologici e istituzionali della sanità nell’ultimo quarto di secolo, i temi principali di "Chi vivrà?" sono pertinenti oggi come alla prima uscita del libro. Anzi, il tema più importante - la necessità di scegliere, da parte della società e dei singoli - è sentito ai giorni nostri più che nel passato. In tutto il mondo, cresce la consapevolezza del fatto che nessuna nazione può dare ai cittadini tutta l’assistenza sanitaria che vorrebbe. Le risorse devono essere allocate. In ogni società, la sfida consiste nel tentare di farlo in modo equo e insieme efficace, cioè col minimo di ingiuste differenze e recando il massimo dei vantaggi. Il libro si propone di fornire una cornice concettuale in cui inscrivere tale sfida. (...)
La domanda che dà titolo al libro oggi è ben presente a tutti i genitori dotati di una consapevolezza anche minima del proprio compito: padri e madri sanno quanto sia decisiva una relazione educativa capace di consegnare ai figli un’immagine vera e buona della vita. Insieme, però, essi incontrano difficoltà tali da suscitare il dubbio sull’effettiva praticabilità di questa loro opera. Temono di essere senza risorse affidabili. Dall’attenzione a questo disagio, spesso sotterraneo, nasce l’idea del saggio. Esso intende favorire il superamento dell’apprensione verso una cura fiduciosa. Perché ciò possa avvenire, occorre prendere le distanze dai luoghi comuni della cultura pubblica, con i suoi miti fuorvianti, e capire che cosa è realmente in gioco nel rapporto educativo, chi sono i figli, quali le loro attese più vere. La persuasiva lettura dell’infanzia, della fanciullezza e dell’adolescenza delineata in queste pagine offre a padri e madri quelle risorse dell’intelligenza che oggi paiono così importanti nel concreto della responsabilità educativa. Essa, prima ancora di costituire un dovere arduo, è un evento che strappa all’affannosa ricerca di sé, schiudendola a quella dedizione che è il segreto di una vita riuscita. Educare si può, e forse è il compito più grato che possa accadere a un uomo e a una donna.
Giuseppe Angelini insegna Teologia morale alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, della quale è anche preside. Tra le sue opere in volume si segnalano: “Laico e cristiano” (Marietti, Casale Monferrato 1987), “Il figlio: una benedizione, un compito” (Vita e Pensiero, Milano 1991), ”Le virtù e la fede” (Glossa, Milano 1994), ”Assenza e ricerca di Dio nel nostro tempo” (Centro Ambrosiano, Milano 1997), ”Lettera viva. I vangeli e la presenza di Gesù” (Vita e Pensiero, Milano 1997), ”Teologia morale fondamentale” (Glossa, Milano 1999), ”La malattia, un tempo per volere” (Vita e Pensiero, Milano 2000).
La ricerca educativa, i suoi paradigmi e metodi, sono oggetto continuo e problematico di riflessione. L’educazione è un compito primario e complesso della società di oggi; le scienze dell’educazione sono sollecitate con forza a considerare in modo critico i propri fondamenti, gli strumenti teorici e metodologici da esse impiegati, le prospettive pratiche e operative a cui si orientano. Il discorso pedagogico e quello sperimentale appaiono antitetici, se si accostano in modo superficiale. Il primo intende infatti avvalorare l’originalità e l’unità dinamica e differenziata della persona; il secondo cerca invece di cogliere le regolarità e i principi generali sottesi alla varietà delle condotte e delle relazioni umane. È compito della ricerca educativa superare tale dicotomia con uno sforzo incessante di sintesi, per evitare che la scienza dell’educazione si riduca, da un lato, a un discorso su modelli formativi astratti e, dall’altro, a un empirismo di pratiche disordinate. Il volume accoglie siffatto obiettivo e propone l’idea di una scienza non dell’educazione bensì per l’educazione, luogo di dialogo evolutivo e non di contrapposizione fra arte, ragione, tecnica, scienza, filosofia, sapienza. La ricerca è in esso presentata come domanda di senso prima ancora che di conoscenza, e come processo ininterrotto per tradurre nel linguaggio dei metodi e degli strumenti, storicamente e culturalmente determinati, aspirazioni e ideali metastorici e metaculturali. La metodologia della ricerca educativa, anche nei suoi ambiti più specifici e tecnici, va intesa, impiegata e costruita in tale prospettiva.
Renata Viganò è professore ordinario di Pedagogia all’Università Cattolica del Sacro Cuore. Ha svolto attività di ricerca e di insegnamento all’Università di Lovanio. Oltre a temi di pedagogia generale, ha approfondito in particolare le problematiche della metodologia della ricerca in campo educativo; in questo settore ha pubblicato il volume Metodi quantitativi nella ricerca educativa (Vita e Pensiero, Milano 1999).
Diversi sono i percorsi e diversi i temi che convengono in questo volume: dalla finitudine dell’esistenza all’incontro col sacro, dalla declinazione drammatica del tempo agli argomenti risolutivi della metafisica, dalla concettualità speculativa al linguaggio dell’analogia e della metafora, dall’identità della coscienza religiosa al suo confronto con i moduli più propri del sapere filosofico. Tuttavia la molteplicità dei percorsi obbedisce a un’unica intenzione speculativa, che per se stessa poteva, appunto, dispiegarsi solo per lati e per approcci concentrici. I principi della tradizione classica vengono così a coniugarsi con i metodi che la modernità, da Cartesio a Husserl, ha via via affinato. Ritorna in tal senso l’analisi della vita coscienziale, orizzonte invalicabile in cui si decide del senso stesso dell’essere. Ma proprio risalendo alle condizioni ultime della coscienza, la ricerca di Melchiorre giunge al versante più alto della domanda filosofica, dove la fenomenologia si traduce in metafisica, dove da ultimo si fa presente il richiamo dell’originario, del primo Principio dell’essere. L’asserto del Principio deve poi incrociarsi con la finitudine e con la storicità dei linguaggi: la sua dizione trapassa, infine, nei modi della concettualità analogica o in quelli dell’espressione poetica, nella ricerca dei rigori logici e insieme nel circolo delle letture ermeneutiche. L’incontro col sacro resta dialetticamente teso fra parola e silenzio. Ed è, insieme, sempre approdo e rinvio, contemplazione e distanza.
Virgilio Melchiorre è nato a Chieti nel 1931. Ha insegnato Filosofia morale presso l’Università di Venezia e presso l’Università Cattolica di Milano, ove ora insegna Filosofia teoretica. Ha iniziato le sue ricerche con alcuni studi su Kierkegaard, volgendosi poi a Kant, Hegel, Marx, Gramsci, Mounier, Maritain, Husserl, Heidegger, Maréchal. Sul piano teoretico la sua ricerca è volta a coniugare il metodo della fenomenologia trascendentale con i grandi temi della metafisica classica. In questa direzione ha approfondito le costituzioni del pensiero moderno portandole alla possibilità di fondare sia una nuova interrogazione ontologica, sia una rinnovata concezione antropologica. Fra i suoi scritti più recenti si possono ricordare: "Essere e parola", Vita e Pensiero, Milano 1993 (4a ed. integrata e ampliata); "Corpo e persona", Genova 1987; "Studi su Kierkegaard", Genova 1998 (2a ed. ampliata); "Analogia e analisi trascendentale. Linee per una nuova lettura di Kant", Milano 1991 (opera insignita del Premio Mursia per la cultura e la ricerca scientifica); "Figure del sapere", Vita e Pensiero, Milano 1994; "La via analogica", Vita e Pensiero, Milano 1996; "Creazione, creatività, ermeneutica", Brescia 1997; "Al di là dell’ultimo", Vita e Pensiero, Milano 1998; "I segni della storia", Ghezzano La Fontina 1998; "Sulla speranza", Brescia 2000; "Ethica", Genova 2000.
Il problema dei rapporti fra la guerra e il diritto, teorizzato dai Romani nella concezione del bellum iustum, affonda le sue radici, prima che nella propaganda degli stati, nella coscienza religiosa dei popoli: l’uccisione dell’uomo da parte dell’uomo è sempre oggetto di orrore presso i Greci e i Romani, ma diventa necessaria, e perciò giustificabile, quando lo esige la difesa propria e degli altri. Solo la necessità di respingere un’aggressione rende legittima l’uccisione di altri uomini e la guerra, ma, anche in questo caso, il sangue versato va in qualche modo espiato davanti alla divinità.