La domanda che dà titolo al libro oggi è ben presente a tutti i genitori dotati di una consapevolezza anche minima del proprio compito: padri e madri sanno quanto sia decisiva una relazione educativa capace di consegnare ai figli un’immagine vera e buona della vita. Insieme, però, essi incontrano difficoltà tali da suscitare il dubbio sull’effettiva praticabilità di questa loro opera. Temono di essere senza risorse affidabili. Dall’attenzione a questo disagio, spesso sotterraneo, nasce l’idea del saggio. Esso intende favorire il superamento dell’apprensione verso una cura fiduciosa. Perché ciò possa avvenire, occorre prendere le distanze dai luoghi comuni della cultura pubblica, con i suoi miti fuorvianti, e capire che cosa è realmente in gioco nel rapporto educativo, chi sono i figli, quali le loro attese più vere. La persuasiva lettura dell’infanzia, della fanciullezza e dell’adolescenza delineata in queste pagine offre a padri e madri quelle risorse dell’intelligenza che oggi paiono così importanti nel concreto della responsabilità educativa. Essa, prima ancora di costituire un dovere arduo, è un evento che strappa all’affannosa ricerca di sé, schiudendola a quella dedizione che è il segreto di una vita riuscita. Educare si può, e forse è il compito più grato che possa accadere a un uomo e a una donna.
Giuseppe Angelini insegna Teologia morale alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, della quale è anche preside. Tra le sue opere in volume si segnalano: “Laico e cristiano” (Marietti, Casale Monferrato 1987), “Il figlio: una benedizione, un compito” (Vita e Pensiero, Milano 1991), ”Le virtù e la fede” (Glossa, Milano 1994), ”Assenza e ricerca di Dio nel nostro tempo” (Centro Ambrosiano, Milano 1997), ”Lettera viva. I vangeli e la presenza di Gesù” (Vita e Pensiero, Milano 1997), ”Teologia morale fondamentale” (Glossa, Milano 1999), ”La malattia, un tempo per volere” (Vita e Pensiero, Milano 2000).
La ricerca educativa, i suoi paradigmi e metodi, sono oggetto continuo e problematico di riflessione. L’educazione è un compito primario e complesso della società di oggi; le scienze dell’educazione sono sollecitate con forza a considerare in modo critico i propri fondamenti, gli strumenti teorici e metodologici da esse impiegati, le prospettive pratiche e operative a cui si orientano. Il discorso pedagogico e quello sperimentale appaiono antitetici, se si accostano in modo superficiale. Il primo intende infatti avvalorare l’originalità e l’unità dinamica e differenziata della persona; il secondo cerca invece di cogliere le regolarità e i principi generali sottesi alla varietà delle condotte e delle relazioni umane. È compito della ricerca educativa superare tale dicotomia con uno sforzo incessante di sintesi, per evitare che la scienza dell’educazione si riduca, da un lato, a un discorso su modelli formativi astratti e, dall’altro, a un empirismo di pratiche disordinate. Il volume accoglie siffatto obiettivo e propone l’idea di una scienza non dell’educazione bensì per l’educazione, luogo di dialogo evolutivo e non di contrapposizione fra arte, ragione, tecnica, scienza, filosofia, sapienza. La ricerca è in esso presentata come domanda di senso prima ancora che di conoscenza, e come processo ininterrotto per tradurre nel linguaggio dei metodi e degli strumenti, storicamente e culturalmente determinati, aspirazioni e ideali metastorici e metaculturali. La metodologia della ricerca educativa, anche nei suoi ambiti più specifici e tecnici, va intesa, impiegata e costruita in tale prospettiva.
Renata Viganò è professore ordinario di Pedagogia all’Università Cattolica del Sacro Cuore. Ha svolto attività di ricerca e di insegnamento all’Università di Lovanio. Oltre a temi di pedagogia generale, ha approfondito in particolare le problematiche della metodologia della ricerca in campo educativo; in questo settore ha pubblicato il volume Metodi quantitativi nella ricerca educativa (Vita e Pensiero, Milano 1999).
Diversi sono i percorsi e diversi i temi che convengono in questo volume: dalla finitudine dell’esistenza all’incontro col sacro, dalla declinazione drammatica del tempo agli argomenti risolutivi della metafisica, dalla concettualità speculativa al linguaggio dell’analogia e della metafora, dall’identità della coscienza religiosa al suo confronto con i moduli più propri del sapere filosofico. Tuttavia la molteplicità dei percorsi obbedisce a un’unica intenzione speculativa, che per se stessa poteva, appunto, dispiegarsi solo per lati e per approcci concentrici. I principi della tradizione classica vengono così a coniugarsi con i metodi che la modernità, da Cartesio a Husserl, ha via via affinato. Ritorna in tal senso l’analisi della vita coscienziale, orizzonte invalicabile in cui si decide del senso stesso dell’essere. Ma proprio risalendo alle condizioni ultime della coscienza, la ricerca di Melchiorre giunge al versante più alto della domanda filosofica, dove la fenomenologia si traduce in metafisica, dove da ultimo si fa presente il richiamo dell’originario, del primo Principio dell’essere. L’asserto del Principio deve poi incrociarsi con la finitudine e con la storicità dei linguaggi: la sua dizione trapassa, infine, nei modi della concettualità analogica o in quelli dell’espressione poetica, nella ricerca dei rigori logici e insieme nel circolo delle letture ermeneutiche. L’incontro col sacro resta dialetticamente teso fra parola e silenzio. Ed è, insieme, sempre approdo e rinvio, contemplazione e distanza.
Virgilio Melchiorre è nato a Chieti nel 1931. Ha insegnato Filosofia morale presso l’Università di Venezia e presso l’Università Cattolica di Milano, ove ora insegna Filosofia teoretica. Ha iniziato le sue ricerche con alcuni studi su Kierkegaard, volgendosi poi a Kant, Hegel, Marx, Gramsci, Mounier, Maritain, Husserl, Heidegger, Maréchal. Sul piano teoretico la sua ricerca è volta a coniugare il metodo della fenomenologia trascendentale con i grandi temi della metafisica classica. In questa direzione ha approfondito le costituzioni del pensiero moderno portandole alla possibilità di fondare sia una nuova interrogazione ontologica, sia una rinnovata concezione antropologica. Fra i suoi scritti più recenti si possono ricordare: "Essere e parola", Vita e Pensiero, Milano 1993 (4a ed. integrata e ampliata); "Corpo e persona", Genova 1987; "Studi su Kierkegaard", Genova 1998 (2a ed. ampliata); "Analogia e analisi trascendentale. Linee per una nuova lettura di Kant", Milano 1991 (opera insignita del Premio Mursia per la cultura e la ricerca scientifica); "Figure del sapere", Vita e Pensiero, Milano 1994; "La via analogica", Vita e Pensiero, Milano 1996; "Creazione, creatività, ermeneutica", Brescia 1997; "Al di là dell’ultimo", Vita e Pensiero, Milano 1998; "I segni della storia", Ghezzano La Fontina 1998; "Sulla speranza", Brescia 2000; "Ethica", Genova 2000.
Il problema dei rapporti fra la guerra e il diritto, teorizzato dai Romani nella concezione del bellum iustum, affonda le sue radici, prima che nella propaganda degli stati, nella coscienza religiosa dei popoli: l’uccisione dell’uomo da parte dell’uomo è sempre oggetto di orrore presso i Greci e i Romani, ma diventa necessaria, e perciò giustificabile, quando lo esige la difesa propria e degli altri. Solo la necessità di respingere un’aggressione rende legittima l’uccisione di altri uomini e la guerra, ma, anche in questo caso, il sangue versato va in qualche modo espiato davanti alla divinità.
È antica sfida per la riflessione filosofica confrontarsi con l’enigma dell’azione, problematico luogo di frontiera in cui s’incontrano il naturale e lo storico, l’individuale e il collettivo, l’interiore e l’esteriore. Dinanzi a questo paradossale Giano bifronte, anche i filosofi hanno percorso vie diverse, non di rado antitetiche. Ripartire oggi dall’azione significa intercettare un antico dilemma, attraverso il quale è possibile rintracciare in forme nuove, meno divaricate e più dialogiche, il volto e la responsabilità dell’essere personale. Il presente volume intende riprendere alcune domande fondamentali intorno a questo tema, affidando la riflessione a studiosi di livello internazionale, che aprono prospettive di notevole rilievo, in un intreccio di percorsi storiografici e proposte speculative: l’eredità del pensiero antico e moderno è posta a confronto con il dibattito epistemologico più recente, la ricerca di fondamenti ontologici ed etici si apre ai temi del diritto e della storia. In tale contesto, interrogarsi sulle radici personali della prassi rappresenta un antidoto contro ogni forma di semplificazione epistemologica e, nello stesso tempo, porta in primo piano l’anomalia della condizione umana, costantemente in bilico tra il peso mortificante del patire e il coraggio instancabile dell’agire. È proprio attraverso l’azione che la persona umana restituisce al mondo più di quanto riceve, affidando al coraggio dell’iniziativa e alla gratuità della speranza il compito di riqualificare un’antropologia sospesa tra fattuale e progettuale, tra finitezza e infinito.
Luigi Alici è professore ordinario di Filosofia morale presso l’Università degli Studi di Macerata e docente di Filosofia teoretica presso la Lumsa di Roma. Tra i suoi scritti: "Il linguaggio come segno e come testimonianza. Una rilettura di Agostino", Roma 1976; "Tempo e storia. Il 'divenire' nella filosofia del ’900", Roma 1978; "Il valore della parola", Assisi 1984; "Il pensiero del Novecento", Brescia 1989 (terza edizione); "Presenza e ulteriorità", Assisi 1992; "Con le lanterne accese. Il tempo delle scelte difficili", Roma 1999; "L’altro nell’io. In dialogo con Agostino", Roma 1999. Ha curato l’edizione italiana di varie opere di sant’Agostino, tra le quali: "La città di Dio"; "La dottrina cristiana"; "Confessioni"; "La natura del bene". Dirige la rivista «Dialoghi» e la collana «Le ragioni del bene», presso la quale ha pubblicato, con F. Santeusanio e F. D’Agostino, "La dignità degli ultimi giorni" (Milano 1998).
L'obiettiva problematicità con cui si pone oggi qualsiasi discorso sul sacro, secondo un'opinione diffusa, è legata agli stessi presupposti del pensiero moderno che mettono in dubbio la possibilità di articolare l'anelito religioso con la funzione critica della ragione. Nella riflessione contemporanea, inoltre, al venire meno del consenso sulla ragionevolezza della fede si è aggiunta una serpeggiante sfiducia riguardo alla legittimità dell'esercizio della ragione. Di là dai preconcetti ideologici e dall'intolleranza fideistica, questo volume si propone di indagare le condizioni di possibilità di un'ermeneutica pedagogica che comprende tanto la consapevolezza storico-critica quanto l'intenzionalità dell'appartenenza e della convinzione. La ricerca persegue un duplice compito: contribuire alla ridefinizione dello statuto epistemologico della pedagogia, ponendo in luce la specificità della dimensione religiosa in ordine al discorso dell'educazione; articolare una prospettiva di ricerca aperta ai significati educativi in vario modo suscitati dall'esperienza del sacro, dalla coscienza credente allo smarrimento della certezza della fede, dall'agnosticismo alla negazione di qualsiasi riferimento trascendente. Lo studio, secondo un'impostazione teoretico-pedagogica, si inserisce nell'odierno dibattito sulla 'cultura religiosa', indagandone la legittimità argomentativa e alcune irrinunciabili finalità. L'educazione religiosa, contraddistinta da 'principi regolativi', sempre da perseguire e mai del tutto realizzati, deve essere contrassegnata dal rispetto per la pluralità delle credenze, da non confondersi con un indistinto indifferentismo, e dal riconoscimento della dignità della risposta di fede, di cui sono parte integrante la ricerca dell'Assoluto e l'annuncio della speranza. In questa prospettiva, la possibilità della proposta e della scelta religiosa è condizionata dalla verità dell'invocazione, costituisce un appello alla responsabilità della testimonianza, designa una tensione orientata al compimento esistenziale e alla pienezza dell'amore fraterno.
Pierluigi Malavasi insegna Pedagogia generale nella sede bresciana dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.
L’odierno dibattito sulla globalizzazione si arricchisce, con il presente volume, di un originale contributo che intende superare due limiti di prospettiva assai diffusi nel proliferare della pubblicistica sull’argomento: da un lato, quello di pronunciarsi, ora a favore, ora contro una dinamica storica che sembra procedere autonomamente, senza dipendere dal consenso di nessuno e dall’altro quello di concentrarsi solo sui suoi aspetti economici. Senza negare né sottovalutare il ruolo fondamentale dell’economia nel processo di mondializzazione, Mastrojeni sottolinea come esso si estenda ormai oltre il piano dei mercati e delle relazioni commerciali tra gli stati: non si tratta più, solamente, di far cadere le barriere mediante le quali le economie nazionali, specie in passato, tendevano a proteggersi dalla competizione internazionale, ma anche di favorire lo sviluppo e tutelare i diritti degli individui e dei popoli. L’equilibrio globale del pianeta intreccia, infatti, molteplici dimensioni, tra loro inseparabili: il rispetto per l’ambiente, lo sviluppo per tutti, la libertà e la pace. La consapevolezza di tale interdipendenza indirizza oggi l’operato delle organizzazioni internazionali, delle quali si sottolinea l’insostituibile ruolo di attori di una globalizzazione orientata alla realizzazione del bene comune. E tuttavia non si nasconde che il cammino da compiere in questa direzione è ancora lungo, poiché, se è vero che la comunità internazionale è giunta a una lucida analisi della situazione attuale, le strategie di guida della globalizzazione sono ancora tutte da inventare. A partire da un principio fondamentale, ossia la centralità dell’uomo, la sua funzione di protagonista di un fenomeno storico del quale egli non è solo beneficiario o – nel peggiore dei casi – vittima, ma responsabile artefice.
Grammenos Mastrojeni, diplomatico di carriera, ha ricoperto, a partire dal 1991, numerosi incarichi tra cui quello di delegato alla 49a Assemblea generale delle Nazioni Unite, di vice-capo della Segreteria particolare del Ministero degli Esteri, di console d’Italia a Belo Horizonte. Attualmente capo dell’Ufficio Stampa Estera presso il Ministero degli Affari Esteri, è autore di numerosi articoli sul ruolo delle organizzazioni internazionali e del volume “Il negoziato e la conclusione degli accordi internazionali” (Padova 2000).
INDICE
Presentazione di Gianpaolo Salvini
Introduzione
I. Il migliore dei mondi: un modello di globalizzazione responsabile
1. Il nucleo duro della nebulosa
2. Una certa idea di globalizzazione
3. Lo spazio economico
4. Il sistema chiuso e il principio di interdipendenza generale: globalità geografica e globalità intrinseca
5. La responsabilità globale come fondamento di un’etica transculturale
6. I titolari della responsabilità globale e i destinatari dei nuovi precetti etici: individui e istituzioni
7. Qualità della vita e quantità nella vita
8. La libertà come fonte di responsabilità: la democrazia e il rispetto dei diritti dell’uomo quali presupposti dell’equilibrio globale
9. Cicli virtuosi e cicli viziosi
10. Il moltiplicatore degli investimenti sulle condizioni di vita e di realizzazione personale degli individui: natura, contenuti e benefici
11. Il primato dell’uomo e il principio di cooptazione
12. Strutture di pace
II. Il mondo reale: verso nuove strutture di pace?
1. La pace come condizione e obiettivo della globalizzazione responsabile
2. Il primato dell’uomo e il rifiuto della guerra
3. Il tramonto della superiorità nazionale
4. La paura della guerra e la coscienza della sua inutilità
5. La coscienza delle alternative alla guerra
6. Il primato dell’uomo: implicazioni passive e implicazioni attive
7. Un contesto istituzionale di pace
8. La necessità economica della pace e dell’integrazione
9. La fine del bipolarismo e la necessità della democrazia: dal controllo all’autocontrollo
10. La risposta della società
11. La natura necessariamente globale delle strutture di pace
12. La tela di fondo
III. Il mondo reale: l’economia della disparità
1. La disparità: un dato di fatto
2. L’inesistenza del grande complotto
3. Ragioni teoriche degli oppositori alla globalizzazione
4. La tesi dell’imperialismo onnivoro dell’Occidente
5. La tutela delle specificità regionali e la protezione delle economie fragili
6. I gestori della globalizzazione
7. Le Nazioni Unite: l’equità come condizione dell’efficienza
8. Il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale: l’efficienza come strumento per costruire la giustizia
9. ‘Eppur si muove’
10. Il punto di svolta: la confluenza dei metodi delle Nazioni Unite e della famiglia di Bretton Woods
11. L’OMC: un foro di dialogo?
12. La filosofia dell’OMC: il commercio come meccanismo di coinvolgimento nello sviluppo
13. Gli investimenti e il ruolo delle multinazionali
14. Il metodo dell’integrazione economica a misura d’uomo
15. Il capitale privato e l’investimento socialmente responsabile
16. Un’autorevole opinione: Amartya Sen
IV. Il mondo reale: un pianeta in prestito dalle future generazioni
1. La sovranità evanescente
2. La triplice alleanza
3. La nascita del concetto di sviluppo sostenibile
4. La nozione attuale di sviluppo sostenibile
5. Progresso tecnico e sviluppo sostenibile
6. Fatti e progetti
7. Cupi scenari
8. Dallo sviluppo sostenibile alla solidarietà ambientale globale: l’acqua, un caso concreto
V. La realtà del mondo: l’uomo come fine, i suoi diritti come mezzo
1. Un metodo efficiente: i diritti dell’uomo
2. La dematerializzazione dei consumi e il Grande Fratello
3. Cultura globale e diritto all’autodeterminazione culturale
4. Le politiche a misura d’uomo
5. Il volontariato e il nuovo ruolo delle ONG
6. Uno sguardo nuovo sulle migrazioni
7. Il microcredito
8. Il commercio equo e solidale alla prova del mercato
9. Conclusione: la famiglia, la scuola, il villaggio
Introduzione
La globalizzazione ha i suoi sostenitori e i suoi avversari. È normale che entusiasmi, paure e perplessità si mescolino alla vigilia di mutamenti epocali. Nel momento in cui perdono alcuni dei loro punti di riferimento, le società esprimono due moti inconciliabili e tuttavia connaturati all’essere umano: il timore di un futuro incerto, ma anche la speranza che nell’incertezza ci siano i semi di un progresso.
Tale atteggiamento ha in sé, in realtà, un prezioso meccanismo di salvaguardia. È da esso che nasce la capacità di valutare collettivamente i rischi e i vantaggi di cui è portatore qualsiasi fenomeno. È quindi da esso che dovrebbe prendere le mosse quel dibattito che conduce le società a governare ogni mutamento in modo da indirizzarlo al bene comune.
All’ora attuale, il dibattito sulla globalizzazione è intenso, ma pare falsato da diversi errori di prospettiva. Il primo è frutto di una diffusa semplificazione linguistica: in teoria, è possibile essere semplicemente ‘contrari’ o ‘favorevoli’ alla globalizzazione, alla rivoluzione industriale, allo Stato, o alle nuove tecnologie. Tuttavia, è lecito domandarsi se ha un senso dibattere pro o contro una dinamica storica che procede autonomamente, senza dipendere dal consenso di nessuno. Il vero problema non è probabilmente quello di dire ‘sì’ o ‘no’ alla globalizzazione, ma si impernia sulla definizione di un bene comune cui essa dovrebbe indirizzarsi. Si tratta quindi di comprendere quali progressi si potrebbero conseguire assecondando il naturale sviluppo della storia del XXI secolo. Ma si tratta anche di identificare i suoi risvolti negativi e di adottare le misure adeguate per contenerli o contrastarli. In altri termini, il problema non è quello di accettare o rifiutare la globalizzazione, bensì di governarla correttamente.
Il secondo errore di prospettiva consiste nel concentrare l’analisi solo sui risvolti economici della globalizzazione. Tale ottica – prevalente, ma limitata – nasce dalla riluttanza ad affrontare pragmaticamente alcune questioni finora rimaste dominio riservato dei filosofi, come le aspirazioni collettive e il destino dell’umanità.
Senonché tali questioni divengono oggi ineludibili. Pur astenendosi dal concepire grandi progetti, siamo costretti a constatare che la globalizzazione non è un fenomeno qualsiasi: essa appare il punto d’arrivo di un moto millenario di ‘sinecismo’ che – con alterne vicende – ha portato l’umanità a organizzarsi in comunità sempre più vaste e articolate. Un moto che pare prossimo al suo esito finale e pone oggi l’individuo dinanzi al suo referente collettivo naturale: la famiglia umana, che abita su un unico pianeta e che, perciò, ne condivide le sorti.
Si presenta in questo volume una serie di studi dedicati a Vigilio di Trento, accomunati da una attenzione privilegiata alle fonti letterarie, e soprattutto ai testi delle sue due cosiddette epistole. Sulla base d’una attenta analisi filologica dei testi, si è cercato di stabilire innanzitutto, nella maniera più completa possibile, il retroterra culturale (classico, biblico ed ecclesiastico) di una personalità non ancora studiata sotto questo profilo e liquidata, forse troppo frettolosamente, come di scarso rilievo culturale. Poi, l’analisi della concezione del martirio, che discende dai due testi, è strettamente connessa con la sottostante visione dell’evangelizzazione e pastorale in genere, che motiva e spiega le modalità della testimonianza martiriale stessa. Il capitolo su Vigilio scrittore rappresenta il primo tentativo di giudizio letterario complessivo sul ‘modus scribendi’ di Vigilio e, più latamente, sulla sua concezione espressiva. Un’attenzione specifica è riservata al testo dei due documenti letterari vigiliani, presentati secondo le loro linee compositive e analizzati nel loro dettato; di essi si offrono non poche proposte di lettura discordanti dalle edizioni oggi in uso, e si dà una nuova versione corredata di un commentario analitico. L’esito di queste ricerche sembra offrire di Vigilio una visione sicuramente più completa e complessa; permette di inserirlo in un circuito culturale e pastorale aperto e dialogante, ben lontano da quella semplificante posizione contrappositiva che ci si attenderebbe da un ambiente e da un’epoca che parevano destinati a favorire chiusure e separatismi.
Sulla sussidiarietà e sullo sviluppo deve fondarsi il rapporto tra Italia ed Europa. Con tono divulgativo la tesi viene qui proposta nei suoi aspetti economico-istituzionali e politico-sociali. L’intento è di evidenziare che i princìpi di sussidiarietà e sviluppo hanno trovato valorizzazione crescente nella storia e nei trattati europei. Non altrettanto si può dire a proposito dell’Italia e della sua Costituzione economica, come peraltro confermano le riforme fallite (la Bicamerale) e quelle attuate (Titolo V). Eppure nella storia italiana post-bellica i due princìpi hanno conosciuto nei fatti una significativa applicazione, specie attraverso la vivacità economico-sociale dei distretti produttivi, quella socio-civile del pubblico-libero, quella politico-innovativa di Enti territoriali e pur a fronte di resistenze dirigistiche. Vero è anche che l'Italia della seconda parte del XX secolo ha contribuito, con i suoi Governi, alla costruzione europea e ha talvolta attraversato stagioni di successo, tra cui quello recente dell’euro. Ma il XXI secolo chiede di più per il nostro Paese e per l’Unione Europea. È in questa prospettiva che nel volume si ritorna al passato riaffermando l’identità unitaria italiana e si guarda al futuro seguendo il dibattito sull’avvenire dell’Europa e sulla sua nascente «Costituzione». Viene infine avanzata la proposta di una «Convenzione italiana» da affiancare alla «Convenzione europea» per promuovere con pacatezza e ampio consenso, anche attraverso una riforma parziale della nostra Costituzione, il liberalesimo sociale e il federalismo solidale: due applicazioni di sussidiarietà e sviluppo ai rapporti tra Europa, Stato, Regioni e tra questi Soggetti, la Società, il Mercato.
Alberto Quadrio Curzio è professore ordinario di Economia politica e preside della Facoltà di Scienze politiche dell’Università Cattolica. È autore di varie pubblicazioni di economia istituzionale sull’Italia, l’Europa, lo sviluppo, l’internazionalizzazione.
I grandi progressi della medicina e della tecnologia dischiudono scenari nuovi che coinvolgono, a diverso titolo, sia coloro che operano nelle professioni mediche e sociali sia coloro che a essi si rivolgono. Questo volume, promosso dal Centro di Formazione Permanente Mons. Luigi Moneta dell’Istituto Sacra Famiglia e dalla Sezione di Milano del Centro di Bioetica dell’Università Cattolica, riprende le lezioni e i contenuti del Corso in Bioetica da loro organizzato, mantenendone pertanto lo stile e il carattere. Il testo, infatti, è pensato come un percorso formativo che, tracciando i fondamenti etico-antropologici del ragionamento morale in bioetica, indichi alcuni criteri e ricadute operative rispetto a temi particolarmente problematici.
Pur rivolgendosi agli operatori socio-sanitari che prestano la loro cura a persone con deficit fisici e psichici, ai pazienti, alle loro famiglie e agli amministratori degli Istituti di cura, il testo è pensato anche per tutti coloro che sono interessati alle tematiche bioetiche e vogliono comprenderle più da vicino, allo scopo di rendere omaggio all’intrinseca dignità di ogni singola persona umana.