La civiltà islamica è stata per molto tempo invidiata dal resto del mondo. Grazie a un susseguirsi di capitali scintillanti e cosmopolite, gli imperi islamici hanno dominato in Medio Oriente, in Nord Africa, nell'Asia centrale e nelle fasce del subcontinente indiano, mentre l'Europa indietreggiava ai margini. Per secoli il califfato era al tempo stesso vittorioso sul campo di battaglia e trionfante in quello delle idee, le sue città erano ineguagliabili per bellezze artistiche, potenza commerciale, spiritualità e raffinata cultura. Justin Marozzi si sofferma sulle dinastie più importanti alla guida del mondo musulmano - gli Abbasidi di Baghdad, gli Omayyadi di Damasco e Córdoba, i Merinidi di Fez, gli Ottomani di Istanbul, i Moghul dell'India e i Safavidi di Isfahan - e su alcuni dei più carismatici leader della storia musulmana, dal Saladino del Cairo e il potente Tamerlano di Samarcanda al poeta-principe Babur nel regno montano di Kabul e l'irrefrenabile dinastia Maktum di Dubai. L'autore descrive in modo brillante tutte queste grandi dinastie e le loro capitali, inquadrandole all'interno dei momenti decisivi della storia islamica: dalla rivelazione a Maometto alla Mecca e la prima crociata (1096-99) alla conquista di Costantinopoli nel 1453 e la repubblica mercantile di Beirut nell'Ottocento, per toccare infine i paradossi della Dubai contemporanea.
La Riforma ha trasformato il mondo più di qualsiasi altro evento dalla fine dell'antichità: da allora il cattolicesimo non è stato più lo stesso. Thomas Kaufmann racconta la storia di questa rivoluzione avvalendosi di fonti di prima mano e delle più aggiornate ricerche storiche e storico-religiose. La Riforma iniziò lontano dai centri politici, economici e culturali dell'Europa, eppure mise in subbuglio l'intero continente. Molto è stato ipotizzato sui fattori politici e sociali alla base di tale sovvertimento. Kaufmann, uno dei maggiori esperti in materia, individua le principali motivazioni anche nella religione stessa. I riformatori si preoccupavano della salvezza dell'anima. Quando il papa condannò Lutero e i suoi insegnamenti, la questione avrebbe potuto chiudersi. Ma Lutero riconobbe nello stesso papa un peccatore degno della dannazione eterna. E la divisione della Chiesa fece il suo corso. L'odio spinse molti in guerra e in tantissimi lasciarono la patria, portando cosi la Riforma lontano nel mondo. Si trattò di un immane terremoto religioso, le cui scosse di assestamento giungono fino a oggi.
In questo ampio saggio riccamente illustrato, S. Frederick Starr racconta la storia affascinante e in gran parte sconosciuta dell'illuminismo medievale nella Grande Asia centrale. La vita movimentata in popolose città organizzate e le sorprendenti creazioni di molte importanti personalità nei piú svariati campi del sapere vengono collocate dall'autore all'interno di un vivace affresco storico del periodo. Poiché molti scienziati e intellettuali scrissero per lo piú in arabo, a lungo sono stati definiti «arabi». In realtà, appartenevano a popolazioni persiane e turche che vivevano nella vasta regione che oggi si estende dal Kazakistan all'Afghanistan e dall'area piú orientale dell'Iran fino allo Xinjiang, in Cina. Fu infatti nell'Asia centrale che tra il 750 e il 1150 si diede un nome all'algebra, si calcolò il diametro della Terra con una precisione senza precedenti, si scrissero alcune delle piú belle poesie del mondo e libri che sarebbero serviti a definire la medicina europea. Con i soli strumenti della logica, basandosi sui dati dell'osservazione diretta, il persiano Biruni dedusse persino che dovevano esistere altre terre oltre a quelle conosciute, scoprendo in un certo senso l'America cinque secoli prima di Colombo. Raramente nella storia vi fu una simile concentrazione spaziale e temporale di saperi. Non c'è da stupirsi che ciò abbia influenzato la cultura europea dai tempi di Tommaso d'Aquino fino alla Rivoluzione scientifica, e abbia avuto un medesimo, profondo impatto in India e in gran parte dell'Asia. Questa storia culturale e intellettuale dell'Asia centrale inquadra nascita, sviluppo e declino di un periodo cruciale nella storia dell'umanità.
Trentasette testi - in massima parte mai raccolti prima d'ora - che restituiscono, lungo più di mezzo secolo, gli itinerari di una tra le più belle voci del Novecento italiano. Realizzato con mezzi che sembrano poverissimi, ogni racconto di Natalia Ginzburg è una rivelazione, una vicenda che scorre su più nastri, che imperturbabile va addizionando gesti, oggetti e battute di dialogo, che si toccano per vie segrete e non si dimenticano. Il mezzo capace di fare accadere tutto questo è la voce, ruvida, duttile, scontrosamente intonata, di una narratrice che si è rivelata infallibile nel descrivere la realtà. E "Un'assenza" è la storia di questa voce nel suo lungo percorso. I lettori vi scopriranno ben undici racconti finora ignoti, una suite autobiografica in cui la Ginzburg racconta di sé senza trarsi in disparte, e sorprendenti cronache dalle fabbriche di Torino o dalla desolazione di Matera. S'imbatteranno in "Memoria", una poesia scritta per il marito Leone Ginzburg, e nel "Discorso sulle donne": due testi da rileggere, da ripensare, da custodire.
Il modo in cui i cristiani consideravano il destino dell'anima nell'aldilà subí una radicale e rivoluzionaria mutazione tra la fine del mondo antico e l'inizio del Medioevo, cioè tra il 250 e il 650 d.C. Peter Brown descrive come questo cambiamento abbia trasformato il rapporto istituzionale della Chiesa con il denaro e posto le basi al suo dominio della società medievale d'Occidente. Secondo la dottrina cristiana delle origini i vivi e i morti erano ugualmente peccatori, bisognosi gli uni degli altri per ottenere «il riscatto dell'anima». Le intercessioni devote dei vivi potevano dunque determinare il diverso destino, tra paradiso o inferno, delle anime dei defunti. Nel III secolo, il denaro cominciò dunque a giocare un ruolo decisivo: i cristiani benestanti iniziarono a far uso di pratiche devozionali sempre piú raffinate per mettere in salvo la propria anima e quella dei loro cari: assicurandosi sepolture in luoghi privilegiati e facendo ricche donazioni alla Chiesa. A partire dal VII secolo, in Europa cominciarono a proliferare sontuosi monasteri e cappelle funerarie che attraverso lo splendore dei marmi rendevano visibile le qualità cristiane dei morti piú facoltosi, come se una parte del tesoro immaginato in cielo fosse ricaduto sulla terra. In relazione alla crescente influenza del denaro, la dottrina della Chiesa sulla vita dopo la morte da argomento speculativo si trasformò in qualcosa di molto piú concreto. L'uso della ricchezza personale per cercare di raggiungere la salvezza dell'anima, oltre ad alimentare sbalorditive dimostrazioni di generosità, scatenò accesi dibattiti, destinati a protrarsi per secoli, sul significato e l'uso appropriato della ricchezza come anello di congiunzione tra cielo e terra, vivi e morti.
Di Galileo si parla quasi ininterrottamente ormai da quattro secoli: dalla pubblicazione, cioè, del Sidereus Nuncius, l'asciutto resoconto delle scoperte astronomiche compiute dallo scienziato pisano, allora a Padova, con l'ausilio del cannocchiale. La realtà dell'ipotesi copernicana, già difesa in teoria, veniva messa per la prima volta sotto gli occhi di tutti: con un piccolo libro di circa sessanta pagine, uscito a Venezia il 13 marzo 1610, si voltava pagina una volta per sempre. Le "grandi cose" annunciate dallo scienziato pisano sul frontespizio e in apertura del testo si rivelarono decisive per l'affermazione della teoria eliocentrica, ma il cammino che portò alla sua definitiva accettazione come vera descrizione della struttura dell'universo fu ben più lungo e tormentato di quanto, forse, lo stesso Galileo aveva immaginato. Con gli anni, i suoi contributi scientifici sono diventati un punto di riferimento per gli scienziati, e la sua vicenda personale è divenuta il simbolo della lotta per la libertà della ricerca scientifica contro ogni dogma o vincolo imposto dall'esterno. Fisico di formazione, Heilbron presenta con non comune competenza i dettagli tecnici della scienza galileiana, inserendoli nel più ampio quadro degli eventi storici che l'hanno accompagnata e fornendo un'immagine inedita della personalità e della formazione umanistica di Galileo.
L'avvento del cristianesimo diede vita a una delle rivoluzioni più profonde che il mondo abbia mai conosciuto, caratterizzata in ogni sua fase da continue espansioni, conflitti e resistenze. Ma in che modo una comunità che nei primi due secoli della sua esistenza rimase in gran parte invisibile, riusci a trasformare dalle radici la cultura e la politica delle civiltà che la ospitarono ? Questo libro si sofferma in particolare sui primi secoli dell'era cristiana, che rivestirono un'importanza senza pari. Spaziando tra Occidente latino e Oriente bizantino e slavo, Wilken ne illustra i diversi momenti tratteggiandone le figure principali: la formulazione delle principali credenze, l'evolversi delle pratiche, la formazione delle prime istituzioni e i rivolgimenti del mondo romano dopo la conversione di Costantino. L'autore, in un libro che costituisce la summa di una vita dedicata allo studio dell'argomento e la cui stesura lo ha impegnato per un decennio, non si limita però a raccontare questa storia da una prospettiva occidentale: anche le comunità cristiane di Etiopia, Nubia, Armenia, Georgia, Persia, Asia centrale, India e Cina contribuirono a plasmare il corso della storia cristiana. Né si può dimenticare il violento impatto prodotto dalla diffusione dell'Islam sul futuro del cristianesimo.
Furono i roghi, ad accendere i Lumi. Nello splendore come nella ferocia, il Gran secolo, che tanto amò il paradosso, fu inarrivabilmente paradossale: la meraviglia barocca convisse con il rigorismo formale, l'impulso ascetico con la dissimulazione più o meno onesta, il libero pensiero con un dogmatismo occhiuto e vendicativo. Solo il Seicento avrebbe potuto generare tutte le grandi idee che alimentarono la modernità, e solo il Seicento avrebbe potuto cercare con tanta pertinacia di distruggerle appena nate. Senza riuscirci, certo, e anzi stimolandole, quasi in virtù di quella "reazione uguale e contraria" teorizzata - non a caso proprio in quegli anni - da Newton. Ci fu chi pagò con la vita, con il carcere, con l'infamia e il bando le proprie tesi; ma le difese. E le affidò ai libri, che a loro volta patirono la confisca, la clandestinità, il rogo; ma sopravvissero. Perché le idee non bruciano, anche se possono accendere le menti e provocare rivoluzioni. Ed è proprio di quelle idee e di quei libri cosi travagliatamente giunti fino a noi - che forse non li leggiamo nemmeno più - che siamo gli eredi. Questo nuovo, volume di Steven Nadler è appunto la storia di un libro sulfureo e dannato, il "Trattato teologico-politico"; del suo autore, pessimo ebreo, mediocre mercante, buon tagliatore di lenti, immenso filosofo; del suo funambolico stampatore, cui certo non difettava l'ingegno.
A un secolo dall'assassinio dell'arciduca d'Austria Francesco Ferdinando, le ripercussioni del devastante conflitto mondiale che ne segui durano ancora oggi. In questo saggio, lo storico Ian Beckett isola dodici eventi cruciali della prima guerra mondiale. Soffermandosi su episodi sia celebri sia pressoché dimenticati, l'autore racconta la storia della Grande Guerra da una prospettiva inedita, sottolineando di volta in volta il ruolo del caso come quello della strategia, episodi giganteschi come solo apparentemente poco rilevanti, la dimensione sociale come quella militare e l'evento di lungo periodo come quello che esaurisce rapidamente la sua portata storica. "La prima guerra mondiale" adotta una prospettiva globale, accompagnando il lettore dai campi belgi intenzionalmente inondati per arrestare l'avanzata tedesca alle immagini della tragica battaglia della Somme proiettate nei cinematografi inglesi, dall'idealismo della Washington di Thomas Woodrow Wilson alla catastrofica offensiva tedesca del Lys, nel 1918. La guerra è di per sé un enorme agente di trasformazione, ma Beckett ci mostra che gli sviluppi storici più significativi non si verificarono solo sui campi di battaglia o nei palazzi del potere, bensì anche nei cuori e nelle mentalità dei popoli.
Nel panorama delle rivoluzioni del 1848-49 ha una posizione di spicco Venezia, col suo passato glorioso e le sue vocazioni mercantili, col tradizionale repubblicanesimo e con la sua peculiare composizione sociale in cui ai grandi e ricchi commercianti si contrappone un popolo minuto di artigiani, barcaioli, piccoli negozianti, domestici, poveri. Da un esame approfondito della complessa situazione economico-sociale e politica, fluida e con tutte le possibilità aperte, emerge la figura più significativa: Daniele Manin, cui spetta il merito della presa di potere il 22 marzo, ma nel quale cade anche la colpa dell'insuccesso della strategia politica e militare; un insuccesso che ebbe una parte importante nella sconfitta dell'ala democratica della borghesia durante il Risorgimento, in quello che fu forse l'unico momento in cui la situazione internazionale era a suo favore.
Questo volume raccoglie la totalità dei testi sparsi di Gilles Deleuze usciti in Francia e in altre parti del mondo tra il 1953 e il 1974, dall'apparizione di "Empirismo e soggettività", sua opera prima, fino ai dibattiti che seguirono la pubblicazione dell'Anti-Edipo. Sono articoli, relazioni, prefazioni, interviste o conferenze che non compaiono all'interno di nessun'altra opera di Deleuze. I testi forniscono alcune tracce ed alcune tappe essenziali, illuminando aspetti sconosciuti del divenire filosofico di Deleuze e dotando il lettore di una chiave centrale per comprendere la permanenza dei problemi che lo hanno accompagnato.
Mai come oggi la nozione di persona costituisce il riferimento imprescindibile di tutti i discorsi - filosofici, etici, politici - volti a rivendicare il valore della vita umana in quanto tale. È cosi nell'ambito della bioetica, dove cattolici e laici, pur in contrasto sulla sua genesi e la sua definizione, convergono sulla valenza decisiva dell'elemento personale: solo in base ad esso, la vita umana è considerata intangibile. Ed è cosi sul piano giuridico, lungo un percorso che lega sempre più strettamente il godimento dei diritti soggettivi alla qualifica di persona: questa appare l'unica in grado di riempire lo scarto tra uomo e cittadino, diritto e vita, anima e corpo, aperto fin dalle origini della nostra tradizione. La tesi radicale e inquietante di questo saggio è che la nozione di persona non sia in grado di ricomporre tale scarto perché è proprio essa a produrlo. Più che un semplice concetto, quello di persona è un dispositivo di lunghissimo periodo il cui effetto primario è la separazione, all'interno del genere umano e anche del singolo uomo, tra una zona razionale e volontaria fornita di particolare valore e un'altra, immediatamente biologica, spinta dalla prima verso la dimensione inferiore dell'animale o della cosa.
Grazie alla tecnologia e alle cosnoscenze scientifiche che incorpora, un terzo della popolazione mondiale gode oggi di condizioni e di una durata della vita enormemente migliorate rispetto a un secolo fa. Gli altri due terzi del mondo vivono invece come un secolo fa, o peggio, perché di tecnologie non dispongono, o di esse hanno conosciuto solo i costi ambientali e umani. Molti scienziati temono inoltre che le tecnologie alla base dei nostri elevatissimi consumi, cui guarda con legittime aspettative la maggioranza della popolazione mondiale, stiano diventando insostenibili proprio per i sistemi che sostengono la vita. Considerata la posta in gioco, dovremmo forse adoperarci maggiormente per comprendere i poteri della tecnologia "scientificizzata", i loro effetti a lungo periodo, e quali possibilità sussistono per indirizzarli più efficacemente a scopi umani. Senza rinunciare ai benefici acquisiti, ma anche senza ignorare che essi dipendono da ciò che la tecnologia e la scienza sapranno fare per gli esclusi del mondo, e per il futuro del pianeta. I saggi organicamente raccolti in questo volume tratteggiano da differenti prospettive una serie di risposte ai complessi interrogativi che nascono dalle contraddizioni e incognite sopra delineate.
Ogni vivente può essere osservato da due prospettive distinte: la sua forma e la funzione cui è chiamato a rispondere. Com'è fatto e cosa fa. La forma è il campo di studi della biologia dello sviluppo, che ci racconta come si costruisce un organo durante l'embriogenesi; la funzione è appalto dell'evoluzionismo, che studia perché quell'organo è fatto cosi e non altrimenti e come opera nell'ambiente secondo le leggi darwiniane. Sono due prospettive che hanno dialogato poco tra loro, ma che di recente hanno trovato una composizione nella nuova disciplina della "biologia evoluzionistica dello sviluppo", evo-devo per gli amici. Gli esseri viventi si trovano all'incrocio fra queste due logiche e devono soddisfarle entrambe: riusciamo a fare poca strada se cerchiamo di leggere la storia delle forme biologiche solo in termini di espressione genica. La natura non ha un progettista che possa sbizzarrirsi in esercizi di libera creazione, ma parte sempre da ciò che ha già imparato a produrre e che ha dato buona prova di sé, in ogni stadio dello sviluppo. Questo libro racconta il divenire delle forme, in un viaggio zoologico appassionato e illuminante.
L'autore in questo libro fa il punto della situazione sulla memoria. Egli spiega perché a breve la comprensione dei misteri relativi ad essa potrebbe modificarsi: la ricerca sta forse per sciogliere i molti nodi relativi alla 'falsa memoria', al morbo di Alzheimer, all'amnesia e al recupero dei propri ricordi. Schacter si avvale di sorprendenti, talvolta bizzarre, testimonianze dirette di pazienti che hanno subito perdite delle facoltà mnemoniche in conseguenza di traumi cerebrali o psicologici.
I due testi qui tradotti sono felicemente complementari. Il primo raccoglie una lunga serie di note che, verso la metà degli anni Trenta, Ludwig Wittgenstein stese in preparazione di un corso di lezioni a Cambridge: il secondo contiene gli appunti che Rush Rhees, suo allievo, amico e futuro esecutore letterario, prese durante una parte di quelle lezioni. Entrambi sono una vivida testimonianza del lavoro filosofico di Wittgenstein e ci fanno con grande chiarezza capire che la scrittura e l'insegnamento erano per Wittgenstein non il deposito, bensì il luogo e l'elemento vitale del suo pensiero: Wittgenstein pensava scrivendo e insegnando. Al centro di queste note e appunti vi è il tentativo di smascherare le immagini (interno/esterno; diretto/indiretto; profondità/superficie) che hanno condotto la filosofia quella che qui Wittgenstein chiama anche "metafisica" o "metapsicologia" - a relegare la nostra soggettività in un interno "superprivato", nascosto e invisibile a tutti eccetto che a noi stessi, formato di "oggetti" mentali privati che l'occhio della mente vede, indica e battezza, E questo rinchiudersi della soggettività in un interno impenetrabile che ha prodotto, di volta in volta, il problema degli altri, reso plausibile l'ipotesi di una mendacità universale, reso attraente, per alcuni, la via del solipsismo, per altri, quella del comportamentismo.
Da tempo nel nostro paese la riforma delle professioni è al centro di un acceso dibattito. Questo libro ci aiuta a comprendere un tema di così stringente attualità ripercorrendo la storia delle principali professioni liberali europee dalla caduta degli antichi regimi al 2006. L'analisi privilegia il campo legale e quello contabile, i medici e gli ingegneri: professioni di cui è sottolineato il ruolo "costituzionale" esercitato nella costruzione e nelle trasformazioni dell'Europa contemporanea. L'autrice prende in esame, oltre all'Italia, anche Gran Bertagna, Francia e Germania. Quest'approccio comparativo tra le singole professioni in differenti contesti nazionali permette di rilevare interessanti elementi di somiglianza e discontinuità, particolarmente visibili nel momento in cui si affronta la questione femminile. La storia delle professioni infatti è stata anche una storia di esclusione di genere, risoltasi oggi con la femminilizzazione della maggior parte delle professioni, anche di quelle che furono una roccaforte maschile inespugnabile.
La domanda che, con angolazioni diverse, ci si pone nel libro è questa: in che modo la sfera dei modelli e delle regole comportamentali, la pratica della gestualità quotidiana, la concezione dei sentimenti e delle emozioni si incontrano e si intersecano nell'arte greca? Gli artisti greci elaborano una "grammatica" capace di far sì che le immagini non siano solo oggetti da ammirare, ma strumenti per aprire una relazione con lo spettatore: l'immagine artistica diviene, così, mezzo per orientare l'osservatore verso norme e valori etici, per consentirgli la pienezza dell'esperienza religiosa e una partecipazione anche emotiva al racconto mitico.
Questo libro propone la ricostruzione di quattro capitoli fondamentali della cultura europea: la teoria del fantasma nella poesia d'amore del '200 (La parola e il fantasma); il concetto di malinconia dai Padri della chiesa a Freud (I fantasmi di Eros); l'opera d'arte di fronte al dominio della merce (Nel mondo di Odradek); la forma emblematica dal '500 alla nascita della semiologia (L'immagine perversa). Così la ricostruzione della teoria del fantasma nella filosofia medievale apre la via a una interpretazione della teoria dell'amore cortese e a una lettura inedita di alcuni testi poetici: da Cavalcanti a Dante.
Questo libro, che raccoglie le lezioni di Adorno all'Università di Francoforte nel semestre estivo del 1965, si connette strettamente alla sua opera maggiore, la "Dialettica negativa". L'ultima parte del corso ripercorre, infatti, i temi che saranno svolti, a un livello di maggiore complessità stilistica ed espressiva, in quella parte della "Dialettica" che s'intitola "Meditazioni sulla metafisica". Nel corso sulla metafisica Adorno affronta le questioni ultime alle quali la filosofia non può sottrarsi: la difficoltà di pensare dopo Auschwitz, il modo in cui questo evento trasforma l'interrogazione sul senso e rende obsoleta ogni filosofia affermativa, le domande radicali sulla morte e sulla finitezza del singolo, la natura paradossale della trascendenza, che non si lascia né affermare né negare. Nelle lezioni qui pubblicate, però, emerge anche un altro aspetto della riflessione adorniana: il confronto diretto e puntuale con il pensiero di Aristotele, inteso come l'originario momento fondativo della tradizione metafisica dell'Occidente. Nell'interpretazione dei concetti cardine della metafisica aristotelica (universale e particolare, forma e materia, potenza e atto, movimento e motore immobile) emerge l'acume critico del pensatore francofortese, che lo colloca a pieno titolo tra i grandi maestri del Novecento.
Secondo l'autore il mistero di Vermeer non dipende, come si è sempre sostenuto, da una enigmatica qualità poetica; al contrario, Vermeer ha costruito deliberatamente questo mistero, con l'intento di esercitare un particolare effetto sullo spettatore. Attraverso l'analisi dettagliata delle opere, delle loro strutture e contenuti, Arasse dimostra, ad esempio, come ogni "scena d'interno" diventi in lui pittura dell'intimità, "d'interno di un interno", una sfera riservata e inaccessibile nel cuore del mondo privato. La poetica di Vermeer è inseparabile dalle sue ambizioni pittoriche. Ambizioni non senza relazioni col cattolicesimo del pittore, con la fede nell'immagine dipinta che incorpora una misteriosa presenza.
La concezione secondo la quale sarebbe possibile creare degli esseri viventi ricorrendo a pratiche magiche si trova nelle tradizioni di molti popoli. Molte popolazioni antiche conferivano il potere della parola a idoli e immagini. Greci e arabi associavano queste attività creative a speculazioni astrologiche consistenti nel captare la spiritualità delle stelle e a insufflarla nelle creature. Nel giudaismo, invece, lo sviluppo dell'idea di Golem è del tutto indipendente dall'astrologia; poggia su concezioni che hanno a che fare con il potere creativo del linguaggio e delle lettere: "la pratica della creazione del Golem costituisce un tentativo umano di conoscere Dio per tramite del mezzo che Dio mise in opera per creare l'uomo".
Gli storici di Roma contemporanei datano la sua fondazione ancora prevalentemente alla fine del VII secolo, ma la tradizione antica la fa risalire alla metà dell'VIII. Secondo Tacito, Romolo eresse intorno al Palatino il muro fondante. La corrispondenza fra questo «avvenimento» della saga romulea e la scoperta fatta da Carandini di un edificio proprio nel luogo indicato dal mito è singolare e rimette in questione l'idea che i miti siano sempre e soltanto favole affermando, piuttosto, che i miti possono a volte servire a fondare la realtà.
Minkowski, psichiatra e psicopatologo vissuto tra il 1885 e il 1972, ha elaborato questo testo nel 1936, prima e dopo la redazione delle sue due opere principali, "La schizofrenia" e "Il tempo vissuto". Nel libro sono raggruppati ventiquattro brevi testi fisolofici su vari temi, nei quali il grande psichiatra esprime la sua opposizione allo scientismo e al dominio della tecnica; trattando anche delle funzioni cerebrali, o della visione del mondo implicita nelle società moderne. Con questo titolo l'autore intendeva ampliare i limiti della psichiatria e della psicopatologia in una direzione filosofico-antropologica.
"Romanzo della vita umana" è secondo Leibniz la storia universale, la sola storia vera, già da sempre contenuta in quella sterminata biblioteca che è la mente di Dio. Ci sarà chi prenderà Leibniz alla lettera e scriverà quel romanzo in chiave filosofica: tale è la hegeliana Fenomenologia dello Spirito, romanzo della storia universale o storia universale come romanzo filosofico che condanna all'inattualità tutti gli altri romanzi. Negli ultimi tre secoli, a cominciare da Leibniz e da Hegel, la filosofia ha inseguito il sogno dell'unica storia vera, la sola degna di essere pensata filosoficamente. Ma che ne è oggi della filosofia della storia? Che cosa resta dell'ultimo, grande sogno della ragione?
Sono molte le immagini di donne con armi in mano e con il seno scoperto adottate come vere e proprie allegorie a rappresentare un'intera nazione. A partire da queste figure, Alberto Mario Banti ricostruisce l'incrociarsi tra sesso, amore, virtù e patria nella letteratura sentimentale e nelle icone del patriottismo repubblicano del XVIII secolo; per poi studiare la retorica del nazionalismo ottocentesco elaborata intorno alla metafora del sangue e della parentela. Materiali diversi (da Kleist, Schiller, Hayez, Delacroix, Sue, Garibaldi, Wagner) convergono nella formazione del discorso patriottico che verrà utilizzato nella Grande Guerra, per accettarne i massacri ed esaltare qualità eroiche.
In un momento di ritorno delle religioni, un autore impregnato di cultura illuministica racconta come nei secoli la filosofia abbia considerato quelle particolari credenze e pratiche che sono i miracoli. Una interpretazione trasversale del rapporto tra il pensiero filosofico e il divino offerta da Carlo Augusto Viano, docente fino al 2004 di Storia della filosofia all'Università di Torino e autore di saggi per Laterza ed Einaudi.
Vengono raccolti in questo volume i verbali degli incontri che ebbero luogo tra i ministri fascisti della Cultura Popolare (Alfieri, Pavolini e Polverelli) e i direttori dei quotidiani italiani dal 1939 al 1943, gli anni cruciali della disfatta fascista e della caduta di Mussolini. Un insieme di documenti preziosi, finora trascurati dagli storici, attraverso i quali è possibile ricostruire il funzionamento di una macchina organizzativa impegnata fino allo stremo nell'incessante pianificazione del "consenso" perseguita attraverso un'opera d'intimidazione dei giornalisti costretti a seguire le mutevoli e spesso grottesche parole d'ordine del regime di fronte alla tragedia che stava sconvolgendo l'Europa.
"Se tutto il mondo fosse diviso, esattamente, in rossi e neri, mettendomi dalla parte dei neri sarei nemico dei rossi, mettendomi dalla parte dei rossi sarei nemico dei neri. Non potrei stare in alcun modo al di fuori degli uni e degli altri, perché - questa è l'ipotesi - essi occupano tutto il territorio. E, quando quell'ipotesi si avvera, il mestiere dell'intellettuale, che rifugge o dovrebbe rifuggire dalle alternative troppo nette, diventa difficile". Cosi scriveva Bobbio nel 1955, data della prima pubblicazione di questo volume. Eppure, come illustra Franco Sbarberi nella sua introduzione, proprio negli anni Cinquanta, dominati da un'esasperata tensione politica e dalla guerra fredda, quella difficoltà fu affrontata da Bobbio all'insegna del dialogo.
Il volume raccoglie diversi saggi che approfondiscono i temi affrontati nella "Banalità del male" e nella "Vita della mente", e in primo luogo la responsabilità personale durante le dittature. Il lungo saggio centrale è una riflessione sull'inadeguatezza delle tradizionali verità morali come metro per giudicare ciò di cui siamo capaci, e riconsidera la nostra capacità di distinguere il bene dal male, il morale dall'immorale. Nella seconda parte i temi teorici vengono applicati nel particolare con alcune considerazioni sull'integrazione razziale, il Watergate, la sconfitta in Vietnam, i processi ai criminali nazisti.
Da qualche tempo nessuno dei grandi eventi che scuotono il mondo è più interpretabile fuori della categoria di biopolitica: dovunque si volga lo sguardo, la questione del bíos appare al centro di tutte le traiettorie politicamente significative. E tuttavia, a tale straordinario rilievo non corrisponde una adeguata chiarezza sul significato del concetto. Esso sembra percorso da un'incertezza di fondo, da un'inquietudine semantica, che lo espone a letture contrastanti. Ciò che, in tale contrasto, resta irrisolta è la domanda posta per la prima volta da Michel Foucault: come mai la relazione sempre più diretta della politica con la vita rischia di produrre un esito di morte? Nel libro l'autore cerca una risposta a questo interrogativo.
Scritta tra il 1959 e il 1966 è l'opera più organica e probabilmente il vertice filosofico di Adorno, il sistema di un pensatore profondamente antisistematico. Dopo un'introduzione in cui lo spirito di sistema viene contrapposto al procedimento dell'esperienza filosofica, Adorno avanza una critica dell'ontologia e delinea il movimento della dialettica negativa, che culminando nel riconoscimento del primato dell'oggetto, diventa dialettica materialistica, ma di un materialismo "senza immagini", opposto alla "coscienza reificata" del materialismo dialettico. La dialettica negativa viene poi applicata a "modelli" che corrispondono ad alcuni concetti chiave della filosofia: la libertà, la storia e la metafisica.
"È più grande del cielo, il cervello". Da questo verso di Emily Dickinson trae spunto questa introduzione divulgativa alle indagini delle neuroscienze. La ricerca neuroscientifica cerca di motivare il modo in cui gli eventi fisici messi in moto dai neuroni possano provocare sensazioni soggettive, pensieri ed emozioni. A differenza di molti studiosi, che ritengono misterioso il nesso fra mente e cervello, per l'autore esiste una spiegazione delle connessioni esistenti fra i meccanismi neurali e la coscienza. Essa è un processo dinamico e non è possibile concepire la mente senza che sia "incorporata": prima succede qualcosa nel cervello, qualcosa di cui non siamo coscienti, e solo dopo sentiamo l'intenzione di compiere un'azione.
Il "Laozi" (Vecchio Maestro), secondo solo alla Bibbia per numero di traduzioni, è una delle opere più importanti prodotte dall'umanità, vantando quasi un migliaio di commentari e una letteratura critica sconfinata. La sua influenza in Cina, in Asia Orientale e in Occidente è stata, ed è ancora oggi, immensa. Nonostante la brevità, il Laozi ha svolto un ruolo di primissimo piano nello sviluppo del pensiero e della cultura cinesi ed è considerato da sempre il testo canonico del Daoismo.
Un'interpretazione filosofico-sociologica della musica novecentesca, ricca di acute intuizioni critiche. Una serie di saggi tradotti per la prima volta in italiano a cento anni dalla nascita del principale filosofo della Scuola di Francoforte. Nel suo pensiero musica e filosofia si sono sempre integrate e oggi i suoi saggi musicali restano il territorio dove meglio è custodita la parte più feconda della sua ricerca. La sua interpretazione della "crisi" della cultura musicale, dell'alienazione della soggettività dell'artista, trova riscontri a questa frammentazione nei barlumi di verità che le grandi figure del Novecento hanno saputo trovare. Dal dittico Wagner-Mahler passa attraverso Richard Strauss, Stravinskij per culminare con la scuola di Vienna.
Questa edizione dell'opera di Zevi presenta aggiornamenti riguardanti l'ultimo quarantennio e una radicale revisione filologica e critica delle vicende che, prendendo le mosse dagli "architetti della rivoluzione" francese, sfociano nelle grandi figure di Wright, Le Corbusier, Gropius, Mies van der Rohe, Mendelsohn, Aalto. Per la vastità del materiale illustrativo, questa storia dell'architettura potrebbe essere considerata una vera e propria enciclopedia dell'architettura moderna, anche perché include l'intera opera urbanistica, dai grandiosi lavori ottocenteschi di Parigi, Vienna e Madrid alle "New Towns" britanniche e scandinave, ai progetti della città del 2000.
Per Li Zehou l'arte e l'estetica cinese sono figlie della psiche cinese che, nel corso del suo secolare sviluppo, ha costantemente perseguito un punto di equilibrio fra emozione e realtà. Traendo spunto da un vasto campionario di prodotti artistici cinesi, dai bronzi alle ceramiche, dai manufatti alle sculture, dalla letteratura alle opere pittoriche, l'autore esplora il mondo della cultura cinese offrendo al lettore occidentale i principali strumenti per studiarla e interpretarla.
Pubblicato nel 1956, questo testo permise una metamorfosi della filosofia analitica: ruppe la linea - fondata sulla dottrina del "sapere per conoscenza" - che univa Russell e Ayer a Locke e Hume. Per Sellars il mito del dato della tradizione dell'oggettivismo scientifico è il risultato di una confusione tra l'acquisizione e la giustificazione delle conoscenze, tra la spiegazione casuale di come veniamo a conoscere una certa cosa e la giustificazione delle credenze che ci siamo formati circa la realtà. Il "mito del dato" nasce nel momento in cui confondiamo il piano della comunicazione con quello degli eventi mentali, mentre per Sellars le intuizioni, la perspicacia e le conoscenze prelinguistiche sono apprese di fatto attraverso il linguaggio.
Questo volume, insieme a "La schizofrenia", è uno dei più importanti classici della letteratura psichiatrica novecentesca. La polemica contro il naturalismo della psichiatria ufficiale implica un'accusa non solo verso il medico che oggettivizza il malato di mente, limitandosi a classificare i sintomi, ma anche verso chi si illude di fare della fenomenologia solo raccogliendo tracce e testimonianze di stati d'animo personali. Su quest'ultimo punto si coglie un dissenso di fondo con Karl Jaspers, al quale Minkowski attribuisce l'errore di identificare atteggiamento fenomenologico e psicopatologia soggettiva. Un'opera chiave sia sul piano del dibattito sui "metodi" della psichiatria, sia su quello filosofico, come dimostra l'introduzione storica di Enzo Paci.
L'espressione "comunità di massa" riflette una contraddizione prodotta nella condizione umana e nella vita sociale contemporanee da due istanze principali. La prima ricerca il senso di una relazione sociale più profonda, tale da avere valore in sé, al di là del semplice interesse personale ed egoistico. La seconda riflette invece la chiusura in un privato che non è vera privacy, perché investito da modi comportamentali uniformizzati e da rappresentazioni di sé e delle cose prefabbricate da una dimensione sociale massificata. Questa analisi delle tematiche derivanti dall'utilizzo di tale espressione è condotta nell'ambito di un'indagine di alcuni nodi fondamentali della riflessione psicologica, filosofica ed etica.
Pubblicato per la prima volta nel 1951, è un classico della filosofia politica e della politologia del Novecento ed elabora una teoria del totalitarismo destinata ad assumere valore paradigmatico. Per la prima volta il fenomeno totalitario viene preso in esame nel suo significato generale, considerandone anche le implicazioni culturali e filosofiche oltre a quelle storiche e politiche. La Arendt sostiene che il totalitarismo rappresenta il luogo di cristallizzazione delle contraddizioni dell'epoca moderna, ma segna anche la comparsa nella storia occidentale di un fenomeno nuovo e impensato. Le categorie della politica, del diritto, dell'etica risultano inutilizzabili poichè è un fenomeno che travalica i confini della semplice oppressione.
Un'interpretazione delle tragedie di Shakespeare viste in relazione alla crisi del sapere e alla nascita dello scetticismo del primo Seicento. Lo scetticismo che prenderà forma nelle "Meditazioni" di Cartesio è, infatti, già del tutto presente nelle grandi opere teatrali del drammaturgo inglese. Otello con la sua "gelosia" e la sua violenza consente di analizzare le conseguenze dello scetticismo sull'uso umano della conoscenza. Amleto è il dramma di un uomo che si rifiuta di nascere, che non vuole farsi avanti nel mondo che lo attende. Una parte notevole del volume consiste nell'esplorazione di "Re Lear", uno dei più importanti contributi critici di scuola anglo-americana dedicato al capolavoro shakespeariano.
In questo saggio il sociologo francese evoca le utopie di Moro, Campanella, Saint-Simon, Fourier e Comte ma risale fino a Colombo e Vespucci, per cogliere l'origine di un allargamento delle frontiere che, invece di tradursi in un allargamento di mentalità, si trasformò di fatto in un allargamento dello spirito di conquista. Mattelard si chiede: perché sono falliti i grandi imperi e le grandi religioni? Perché è fallito il loro tentativo di unione universale? Perché è fallita l'utopia della "pace perpetua" di Kant, o quella della Società delle Nazioni del presidente Wilson?
Questo saggio ripercorre, fra mito, fonti letterarie e ritrovamenti archeologici, le tappe dell'insediamento romano dal 1700 al 750-725 a.C. Questa seconda edizione è corredata da aggiornamenti a cura dell'autore, docente di archeologia classica all'Università di Roma La Sapienza.
La globalizzazione è un fenomeno economico, e come tale sfugge a ogni possibile intervento da parte nostra? Oppure possiamo attribuirgli un "senso" diverso, il senso di un mondo che, per l'appunto, noi "creiamo" con le nostre mani e le nostre teste? Filosofo francese, Jean-Luc Nancy affronta in questo volume i temi della "creazione" del "mondo", tentando di ripensare in termini filosofici il fenomeno della globalizzazione.
Lo Stato governato dai Savoia ha costruito la sua stessa esistenza nel contesto europeo praticando incessantemente i teatri di guerra: per stringervi alleanze, per garantirsi guadagni territoriali e stabilità istituzionale. Fra il secolo XVI e il XIX, fortune finanziarie, feudi, titoli nobiliari, o le semplici braccia dei più umili sono state gettate sul tappeto di una generale contrattazione di ruoli, di privilegi e di precedenze in cambio di una disponibilità a seguire il principe nelle sue guerre. Una storia della guerra che diventa la via originale per indagare su vari piani il tema classico dei rapporti fra società e Stato nel lungo e contraddittorio periodo di transizione dal feudalesimo al capitalismo.
Jürgen Habermas affronta in questo saggio il tema controverso dell'ingegneria genetica e cerca di rispondere alla "controdomanda" suscitata dagli sviluppi della genetica: può la filosofia intromettersi nel dibattito senza rinunciare alle convinzioni del pensiero postmetafisico?
Jullien rivisita Confucio e gli altri grandi pensatori taoisti: il saggio è senza idee perché non ne ha di preconcette, è aperto a ogni possibilità. Nella sua ricerca Jullien s'inoltra su sentieri cinesi a braccetto con Eraclito, Montaigne e Heidegger, dando al lettore l'idea che la saggezza permetta a un filosofo europeo di andare un po' più in là rispetto a dove arrivano tutti gli altri.
Le Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica rappresentano un momento fondamentale della ricerca filosofica di Husserl. In nessun'altra opera la fenomenologia è dispiegata con la stessa ampiezza, in modo da fare emergere il progetto complessivo e le ambizioni di una teoria della ragione logica e pratica, radicata in un'nalisi delle strutture fondamentali della coscienza. Se in Idee I la teoria fenomenologica della ragione è delineata nelle sue coordinate generali, attraverso una presentazione dei concetti fondamentali della fenomenologia, in Idee II e III Husserl, proseguendo la descrizione delle caratteristiche strutturali delle principali regioni ontologiche del nostro mondo circostante, mette in luce le radici «sensibili» della costituzione fenomenologica e dei processi originari, associativi e precategoriali, che sono alla base del suo procedimento. Ogni riflessione sulla fenomenologia dovrà dunque sempre prendere avvio da quest'opera considerata nella sua pur stratificata unità; e ad essa dovrà tornare come essenziale punto di riferimento per confrontare e analizzare i successivi sviluppi del pensiero husserliano.La nuova traduzione di Idee I, che restituisce allettore italiano il testo definitivo dell'opera husserliana, ha reso necessaria anche una profonda revisione di alcune scelte terminologiche relative agli altri due libri, comportando, di conseguenza, una radicale revisione della precedente traduzione italiana. In questo modo si presenta, con Idee II e Idee III, un lavoro fondamentale della filosofia contemporanea che è non soltanto da rileggere, ma soprattutto da rimeditare e riscoprire.
Il paradigma di "immunizzazione" consiste nell'esigenza sempre più pressante di salvaguardare la vita nel suo nudo significato biologico. Come il corpo individuale, così anche quello sociale può essere immunizzato dal male che lo minaccia soltanto attraverso la sua immissione preventiva. Per sfuggire alla presa della morte, la vita è costretta a incorporarne il principio. Alla fine dell'epoca moderna, tuttavia, questo meccanismo immunitario sembra giunto al limite. E oltre questo limite si dischiude la drammatica scelta fra un esito autodistruttivo e il suo rovesciamento in una possibilità ancora inedita. "Immunitas" intreccia il linguaggio giuridico a quello teologico e antropologico, la prospettiva politica a quella biologica.
In questo testo lo sguardo dell'autore si rivolge alla costituzione della realtà, nella sua forma singolare e plurale. Quello che la tradizone filosofica ha chiamato "essere" non è che la relazione originaria attraverso cui le singole esistenze si incrociano in un nodo comune. A partire da questo presupposto il libro di Nancy si presenta non come un trattato sistematico bensì nella forma di un'interrogazione profonda e radicale della nostra contemporaneità: dei suoi bagliori e delle sue rovine, dei suoi idoli e delle sue potenzialità. Dal dispiegamento della tecnica alla società dello spettacolo, dalla mondializzazione alla metamorfosi dei corpi, dalla fuga del senso alle sue nuove configurazioni. Introduzione di Roberto Esposito.
Quali sono i rapporti fra vedere e pensare, fra corpo e mente, fra estetica e logica? Che cos'è un'anima? Gli angeli vedono meglio o peggio di noi? Che cos'è un fantasma? Interrogando una tradizione che va dai classici, agli scolastici, agli illuministi, passando per alchimisti, mistici e razionalisti, questa antologia intende riportare alla luce un patrimonio sepolto e indicare nuovi percorsi di ricerca.
Il saggio ripropone la teoria del libero cittadino e del libero Stato e ricostruisce il contesto politico e intellettuale che ne rese possibile la nascita e ne determinò il declino. Rispetto all'edizione inglese, quella italiana è arricchita da due saggi: "L'ideale repubblicano di libertà politica" e "Teoria antiliberale della libertà in Thomas Hobbes".
Perché alcuni processi che avvengono in certe zone del nostro cervello danno origine al "mondo della coscienza" dove è racchiuso tutto ciò che noi sentiamo, sappiamo e siamo? Illustrando i meccanismi fisici e chimici del corpo umano e analizzando le ipotesi scientifiche e filosofiche formulate al riguardo, il Premio Nobel per la medicina Gerald Edelman e lo psichiatra Giulio Tononi costituiscono una vera e propria teoria della coscienza.
L'arte contemporanea può ancora essere "grande"? Molti ne dubitano: il mondo dell'arte sembra infatti dominato da interessi mercantili che riducono l'arte alla produzione e alla promozione di opere da sfruttare economicamente. In questo documentato volume, che costituisce un utile strumento di aggiornamento sulla problematica attuale dell'arte, Mario Perniola discute con competenza e familiarità le tendenze artistiche (posthuman, realismo psicotico, arte estrema) e i movimenti culturali (postmoderno, cyber-punk) più recenti e più provocatori.
Uscito dieci anni fa in prima edizione, ma oggi profondamente rielaborato, il libro analizza il Terrore durante la Rivoluzione francese, basandosi soprattutto sulla letteratura memorialistica: ciò che Luzzatto ricostruisce sono le modalità secondo cui il ricordo del Terrore si è trasmesso di generazione in generazione.