La Replica a Giuliano imperatore è il primo testo composto da un autore cristiano, intorno al 380 d.C., in risposta all'opera Contro i Galilei, scritta dall'imperatore poco prima di morire nel 363. Autore della Replica è il più importante teologo della scuola esegetica di Antiochia, Teodoro di Mopsuestia. Dell'opera sono rimasti solo ampi frammenti, pubblicati da Augusto Guida nel 1994 nella collana di Biblioteca patristica. Solo in seguito è emerso un nuovo ampio passo che arricchisce notevolmente l'opera, al quale si aggiungono le ricerche condotte negli ultimi decenni sull'opera di Teodoro e sul testo della Replica. La nuova edizione critica si compone di: introduzione, testo critico dei frammenti greci con traduzione italiana; commento filologico e storico; appendice su altri testi di Teodoro riguardanti obiezioni pagane ai Vangeli; indice completo del testo greco. L'opera si presenta quindi non solo arricchita di nuovi passi e testimonianze, ma completamente rivista e aggiornata in base agli studi più recenti riguardanti sia Teodoro e il suo metodo esegetico sia le controversie fra pagani e cristiani nel IV secolo, uno degli argomenti divenuti centrali in questi ultimi anni negli studi storici sul Tardo antico.
Ambrogio Autperto (†784), fecondo esegeta e abate di San Vincenzo al Volturno, redasse due sermoni in occasione della Purificazione (l’antica Presentazione del Signore al Tempio) e dell’Assunzione di Maria, primi scritti in ambito latino dedicati alle due festività mariane.
Pensati nella classica forma omiletica di un commento spirituale alla pericope di Lc 2,22-40 e al Magnificat, i due sermoni spaziano dalla speculazione dottrinale (anche controversa, come nel caso della questione di una «assunzione con il corpo» o meno) a una policroma lettura simbolica del testo sacro e liturgico. Dei due testi, pregevoli per sapienza esegetica e armonia retorica, si offrono l’edizione critica e la traduzione, assieme a un puntuale commento di taglio filologico, storico e liturgico. I sermoni mariani di Autperto rappresentano la cifra di una mariologia che si nutre abbondantemente dell’antica lezione dei Padri e dei Concili (Efeso e Calcedonia) e al tempo stesso intraprende sentieri teologici originali, dischiudendo quell’orizzonte, trapuntato di culto, affetto e devozione alla Vergine che costituisce una delle note più caratteristiche della spiritualità e della cultura del Medioevo occidentale.
Composto tra la fine del 428 e l'inizio dell'anno successivo, il "De laude" eremi di Eucherio è un documento di grande rilievo nella storia del cenobio fondato da Onorato agli inizi del V secolo su un'isola dell'arcipelago di Lérins, nella Francia meridionale. L'operetta, redatta in forma di epistola, trae lo spunto da un preciso episodio. Chiamato alla cattedra episcopale di Arles, Onorato si era fatto accompagnare dal suo discepolo e parente Ilario, il quale aveva presto ceduto al richiamo della vita solitaria e aveva fatto ritorno al monastero. Tuttavia, qualche mese dopo aveva nuovamente raggiunto Arles e alla morte di Onorato gli era succeduto dando inizio a un ventennale episcopato, denso di memorabili eventi. Nel temporaneo ritorno di Ilario all'isola, Eucherio trova l'occasione per predicare l'abbandono del secolo ed esaltare la solitudine dell'eremo, che si apre ad accogliere coloro che cercano un rifugio dai travagli e dalle tentazioni del mondo come il porto si apre al naufrago scampato al mare tempestoso. Il filo conduttore dello scritto è dato dalla lettura della Bibbia, della quale l'autore seleziona in fitta successione pagine ed episodi. Muovendo dalla Genesi e dalla migrazione di Abramo, il testo ripercorre i libri dell'Antico Testamento - in particolare l'Esodo, il Deuteronomio e i Salmi - i Vangeli, in particolare Matteo e Giovanni, e le Lettere di Paolo.
I frammenti esegetici pubblicati sono stati trasmessi anonimi in un codice della Biblioteca Ambrosiana di Milano, l'Ambrosianus I 101sup, proveniente da Bobbio, codice particolarmente prezioso per la storia del cristianesimo perché tramanda anche il cosiddetto Frammento Muratoriano. Essi contengono una interpretazione di alcune porzioni di testo del Vangelo secondo Matteo e precisamente: parte della pericope escatologica (Mt 24,20-42), letta in una prospettiva moderatamente millenarista, di stampo spirituale; la parabola del regno dei cieli paragonato al lievito (Mt 13,33); una argomentazione relativa all'apostolo Pietro incentrata sull'uso della spada che egli fece al momento della cattura di Gesù e sul suo successivo rinnegamento del Maestro (Mt 26,51-53.72-75). I frammenti fanno dunque emergere l'interesse dell'autore per gli ultimi tempi: lo sguardo rivolto alla parusia del Signore sollecita l'agire dell'uomo nell'oggi della storia, di fronte alle diverse circostanze che lo interpellano (rapporto con il potere politico, con le osservanze religiose, con le esigenze derivanti dall'adesione a Cristo). Il contesto storico e dottrinale che traspare dall'opera consente di ambientarla nella seconda metà del IV secolo. Essa manifesta significative corrispondenze con i Commentari paolini e le Quaestiones Veteris et Novi Testamenti dell'Ambrosiaster, tali da indurre a ritenere che sia uscita dalla sua mano.
Descrizione dell'opera
Il Discorso ai giovani di Basilio Magno si colloca in un periodo storico (370-375 c.) ancora segnato dal tormentato problema dell'incontro fra cristianesimo e cultura classico-pagana, e penetrato dall'eco tuttora viva della riforma dall'imperatore Giuliano. L'opuscolo, se pure composto per esigenze e prospettive contingenti e limitate al modo di trar profitto dalle lettere pagane, fu accolto dalla tradizione, specialmente in epoca umanistica, in una più vasta atmosfera, e inteso come manifesto programmatico che varca i tempi. Al centro della parentesi basiliana si pone un atteggiamento autonomo di scelta critica nei confronti della letteratura pagana, intesa come propedeutica alla verità della rivelazione evangelica. Su questa linea il programma prospettato da Basilio supera gli orizzonti puramente intellettuali, puntando alla prassi dell'ascesi cristiana e ad una sorta di "umanesimo integrale". Il Discorso mette così in luce motivi e interessi di viva attualità, in particolare quando illustra l'esigenza di uno scopo adeguato nella vita e di un'attiva libertà di spirito motivata e illuminata dal Vangelo. Con accento ispirato insieme a Platone e alla parola di Cristo, Basilio esorta i giovani a "non consegnare agli altri il timone della propria coscienza".
Sommario
I. INTRODUZIONE. 1. Significato della «Oratio ad adolescentes». 2. Destinatari, datazione. 3. Genere letteratio e stile. 4. Struttura e motivi dominanti. 5. Fonti di cultura pagana. 6. «Paideia» origeniana e tradizione patristica. 7. La fortuna della «Oratio» basiliana e la versione latina di Leonardo Bruni. 8. Sulla tradizione manoscritta e sulla presente edizione. II. DISCORSO AI GIOVANI. Testo e traduzione. III. COMMENTO. IV. VERSIONE LATINA DI LEONARDO BRUNI. Bibliografia. Citazioni e riferimenti biblici. Citazioni di autori classici. Indice dei nomi. Indice della parole.
Note sul curatore
MARIO NALDINI (1922-2000), sacerdote della diocesi di Firenze dal 1945, dal 1964 è stato assistente del Movimento ecclesiale di impegno culturale (MEIC) di Firenze. Ha insegnato letteratura cristiana antica nelle Università di Lecce e di Perugia. A Firenze ha fondato il Centro di studi patristici e ha dato vita alla prestigiosa collana EDB «Biblioteca patristica». Fra le sue pubblicazioni: Tempi dello Spirito. Voci dei Padri (1998), La Bibbia nei Padri della Chiesa. L'Antico Testamento (1999) e Il Nuovo Testamento (2000).
Descrizione dell'opera
Poeta tardoantico del V secolo, nativo di Panopoli, Nonno ha composto il più lungo poema mitologico di tutta la letteratura greca, le Dionisiache e, sul versante cristiano, con la Parafrasi ha scelto di tradurre nella sublime musica di eleganti esametri il Vangelo secondo Giovanni, il più consono ad attuare un maggiore richiamo alla filosofia classica e neoplatonica. Mosso dall'intento di realizzare una poesia valida dal punto di vista teologico, un commentario sui generis al quarto vangelo capace di dialogare con un pubblico cristiano, ma anche pagano, poco incline allo stile umile delle Scritture, il poeta di Panopoli recupera il bagaglio espressivo della cultura classica, unita al fascino per la divinità di Cristo.
Frutto di una nuova complessiva riconsiderazione della tradizione manoscritta, il testo preso in esame è il Canto sesto della Parafrasi, che presenta l'episodio del miracolo dei pani, la traversata di Cristo sulle acque, il discorso di Cafarnao e la confessione di fede di Pietro. Riproponendo queste tematiche nel raffinato intreccio del codice biblico e di quello epico, Nonno intraprende il difficile lavoro parafrastico anche con il proposito di armonizzare alcuni di quegli aspetti che possono condurre a una sovrapposizione tra paganesimo e cristianesimo, sollecitando il lettore dotto al riconoscimento della portata allusiva insita nei suoi versi. Ecco allora che la figura di Cristo, cantata con i toni dell'epica eroica, può richiamare per certi aspetti Dioniso, Iside o Serapide. Il paganesimo ormai in decadenza si mostra pronto ad accogliere motivi cristiani, per attuare un rinnovamento alla luce della nuova spiritualità dominante. Grazie all'originalità stilistica e all'eleganza letteraria, il sincretismo nonniano rende la Parafrasi uno dei testi poetici più creativi non solo della cultura tardoantica e protobizantina, ma anche di quella cristiana.
Guidato da un'ampia introduzione e da un ricco commentario alla comprensione dei problemi esegetici, teologici e filologici che l'arduo testo parafrastico sottopone, il lettore rimarrà affascinato dalla raffinata poesia cristologica nonniana, già apprezzata e ritenuta altamente edificante nel periodo umanistico.
Sommario
Premessa. Bibliografia e abbreviazioni. Introduzione. 1. Una lettura del canto sesto della Parafrasi. 2. Tecnica parafrastica, lingua e stile. 3. La tradizione manoscritta. Stemma codicum. Conspectus siglorum. PARAFRASI DEL VANGELO DI SAN GIOVANNI. CANTO SESTO. Testo e traduzione. COMMENTO. Indice degli argomenti e delle cose notevoli. Indice dei termini greci.
Note sulla curatrice
ROBERTA FRANCHI è laureata in lettere classiche, con una tesi in Letteratura cristiana antica, svolta presso la Facoltà di lettere e filosofia dell'Università di Firenze, ove ha conseguito anche il dottorato di ricerca in Filologia greca e latina. Ha ottenuto un master in studi storico-religiosi all'Università L'Orientale di Napoli. Dopo aver trascorso un periodo di ricerca all'Institut für Klassische Philologie, Mittel-und Neulatein dell'Università di Vienna, attualmente svolge attività di ricerca presso l'Università di Aarhus (Danimarca), dove sta lavorando a una traduzione italiana con commento del dialogo Il libero arbitrio di Metodio d'Olimpo. Si occupa prevalentemente di poesia cristiana, di Metodio, di mariologia e di gender studies.
Opera di Gelasio, vescovo di Roma dal 492 al 496, l'Epistula de duabus naturis si colloca nel contesto di un'affermazione rinnovata del Credo calcedonese. Fin dai primi tempi della controversia cristologica era evidente che il punto di maggior contrasto tra la cristologia unitiva alessandrina e quella degli antiocheni era costituito dal fatto che questi ultimi ragionavano secondo una logica di marca aristotelica, assai comune all'epoca, che faceva corrispondere a una natura, perché fosse reale e concreta, un'ipostasi. Conseguentemente, affermando in Cristo l'esistenza di due nature, rifiutavano di ammettere in lui una sola ipostasi, affermazione che ai loro orecchi implicava necessariamente la dottrina dell'unica natura degli apollinaristi. Sul fronte opposto, la stessa logica portava gli alessandrini a rifiutare le nature, corrispondenti per loro a due ipostasi, della dottrina calcedonese, che consideravano semplicemente nestoriana. Inoltre, per gli alessandrini, il termine "natura" indicava ciò che appartiene al soggetto da sempre, fin dalla nascita, e inerisce in modo permanente al soggetto medesimo. Necessariamente e in modo permanente al Lógos divino non poteva che appartenere la sola natura divina. L'Epistula de duabus naturis è senza dubbio un'eccezione nel panorama della speculazione cristologica occidentale. Si colloca, infatti, al cuore di un trentennio sterile dal punto di vista del pensiero teologico che sparisce nell'"equilibrio del silenzio", imposto dalla politica religiosa...
Colta matrona romana, madre di famiglia, innamorata a un tempo delle Scritture e di Virgilio, Proba si cimenta nella stesura di un componimento in 694 esametri di argomento biblico. L'opera, divisa un due sezioni di estensione quasi eguale - la prima relativa a episodi dell'antica storia d'Israele, la seconda incentrata su fatti della vita di Gesù - venne presto a godere di notevole fama.
L'età di Proba è il IV secolo, un'epoca che vede il cristianesimo affermarsi definitivamente: attraverso una poesia di carattere dotto, diventa finalmente possibile e insieme opportuno dare dignità letteraria ai contenuti di questa religione. Traendo ispirazione dai testi sacri e riproponendone i temi nelle forme proprie dei centoni virgiliani, Proba e altri poeti cristiani del tempo puntano a stabilire un collegamento fra mondo classico e mondo cristiano. Nel caso della poetessa e teologa romana, a suscitare interesse non sono tanto gli argomenti della sua opera, già affrontati da altri scrittori ecclesiastici, quanto piuttosto le prospettive da cui ella li esamina, che sono sempre quelle di una donna di profonda cultura e spiccata sensibilità.
Antonia Badini è autrice del commento dell'opera e dell'analisi del contesto storico, letterario e iconografico in cui essa s'inquadra.
Antonia Rizzi ha curato la traduzione del poema e la supervisione degli aspetti più strettamente filologico-letterari del volume.
Sommario
Premessa. Introduzione. Centone. Testo e traduzione. Commento. Bibliografia. Indici.
Note sulle curatrici
ANTONIA BADINI (Castelnuovo Bocca d'Adda [Lodi], 1948) ha conseguito il baccalaureato allo Studio teologico Collegio Alberoni di Piacenza e il dottorato in Sacra Theologia alla Facoltà teologica dell'Italia centrale di Firenze. Ha frequentato il corso di perfezionamento in scienze storico-antropologiche delle religioni all'Università di Urbino. Ha pubblicato «I progenitori nella poesia biblica di Proba» in Studia Ephemeridis Augustinianum 108, che raccoglie i contributi del XXXVI Incontro di studiosi dell'antichità cristiana (Roma, 3-5.5.2007). È docente di antropologia teologica all'UNITRE di Milano.
ANTONIA RIZZI (Codogno [Lodi], 1969), laureata in lettere classiche presso l'Università degli Studi di Milano, insegna italiano e latino nei Licei.
Sinopsis: Las cincuenta y cinco Homilías a los Hechos de los Apóstoles predicadas por san Juan Crisóstomo (345-407) en su sede de Constantinopla constituyen el único comentario completo a los Hechos que se ha salvado de los diez primeros siglos de predicación cristiana.
San Juan Crisóstomo pronunció dos series de homilías sobre los Hechos de los Apóstoles. Una primera, compuesta de cuatro homilías, sobre el comienzo de los Hechos, y otra segunda, integrada por cincuenta y cinco homilías, sobre la totalidad de las páginas de los Hechos. La primera serie fue predicada durante su estancia en Antioquía, mientras que la segunda lo fue en Constantinopla. Esta última serie es la que ocupa las presentes páginas.
El lector habituado a leer los comentarios bíblicos del Crisóstomo observará en estas homilías las mismas excelentes cualidades que distinguen sus otras obras exegéticas, en particular la exposición clara del sentido histórico. También se encontrará con desarrollos temáticos sobre la oración, la importancia de leer las Escrituras y otros aspectos muy cercanos a las inquietudes morales de quien entonces ocupaba la sede episcopal de Constantinopla, como son sus observaciones sobre la castidad, la justicia, la pobreza, la condena del juramento, etc.
Pero no es menos cierto que el lector se sentirá un tanto extraño al leer estas homilías, ya que su estructura interna difiere notablemente de lo que nos tiene acostumbrados el Crisóstomo.
La presente traducción es la primera edición íntegra en lengua castellana, y se publica en dos volúmenes debido a su extensión. En este segundo tomo aparecen las 25 últimas homilías así como los índices –bíblico y de nombres y materias–, que hacen referencia a la obra completa.
A veces, no sin cierto halo publicista, las Constituciones apostólicas han sido presentadas como el Derecho Canónico de la Iglesia del siglo IV. Se trata de una obra compuesta hacia el año 380 en la zona de Siria y que se alza sin duda como la obra más monumental entre los que se han dado en denominar «ordenamientos eclesiásticos» (Kirchenordnungen, Church Orders) de los primeros siglos de la Iglesia. El autor recopiló y reelaboró una considerable cantidad de materiales previos que permiten conocer la conducta de los cristianos (trabajo, lecturas, acicalamiento, baños, matrimonio…); la elección y consagración de los obispos, presbíteros y diáconos así como otros ministerios; la misión y el ejercicio de los mismos, la liturgia, la configuración de las reuniones cristianas y de sus lugares de culto; las disposiciones acerca de las viudas, los huérfanos, la limosna, las relaciones entre amo y siervo; el estatuto de las vírgenes, el honor debido a los mártires, la descripción de los cismas, las normas en torno al ayuno y los tiempos de oración; el texto de diversas oraciones usadas por los cristianos, las fiestas y solemnidades… La obra aparece como fruto de una reunión de los apóstoles, pero esto no se ha de ver como un mero procedimiento de falsificación con el fin de engañar a los lectores, sino como un recurso estilístico para expresar que el contenido responde al espíritu de los apóstoles o a la vida de la Iglesia que se construye sobre el fundamento de la apostolicidad. En suma, una manera de afirmar que los apóstoles habrían decidido lo mismo de haberse encontrado en las mismas circunstancias. Las Constituciones apostólicas se han comparado últimamente a los Talmudim, donde los rabinos compilaban diversas tradiciones legales, y se ha afirmado que son como el prólogo decisivo para el posterior desarrollo del derecho en la Iglesia. No obstante, nos encontramos todavía en una fase en la que el derecho (salvo en los 85 cánones de la última parte del libro VIII) se expresa mediante un lenguaje que recuerda más a las exhortaciones del predicador que al modo de hablar del jurista.
Divenuto vescovo di Alessandria nel 328, Atanasio si trova al centro dell'intricato dibattito trinitario che attanaglia le Chiese del tempo e, nella primavera del 362, convoca un concilio nella stessa Alessandria, quale tentativo di pacificazione. Tra le testimonianze dell'evento pervenuteci, un posto privilegiato è occupato dalla Lettera agli antiocheni, indirizzata da Atanasio e dai padri sinodali con lui riuniti a cinque vescovi, incaricati di regolamentare la complessa situazione ad Antiochia. Il testo si presenta come testimone diretto dell'assise conciliare, contenendone il resoconto di alcune deliberazioni adottate, in ambito sia disciplinare che dottrinale. Dopo un'ampia introduzione, il curatore lo propone nell'edizione critica di H.Ch. Brennecke e altri, pubblicata dall'Accademia delle Scienze di Berlino nella collana degli Athanasius Werke, affiancandogli un'accurata traduzione e un ricco commento.
Sommario
Premessa. INTRODUZIONE. 1. Breve storia della crisi tra Nicea e Alessandria (362). 2. Il concilio di Alessandria del 362: circostanze. 3. Gli effetti del concilio di Alessandria e del Tomus ad Antiochenos. 4. La tradizione testuale del Tomus ad Antiochenos. Conspectus siglorum. LETTERA AGLI ANTIOCHENI. Testo e traduzione. COMMENTO. Bibliografia. Indici.
Note sul curatore
ANGELO SEGNERI (1979), presbitero religioso dei Canonici Regolari dell'Immacolata Concezione, si è licenziato nel 2009 presso l'Istituto Patristico Augustinianum in Roma con una tesi sul Tomus ad Antiochenos di Atanasio di Alessandria, diretta dal prof. Manlio Simonetti. È dottorando presso il medesimo istituto patristico e sta lavorando, sotto la guida del prof. Simonetti, a una tesi su Anfilochio di Iconio.
Sinopsis: Las cincuenta y cinco Homilías a los Hechos de los Apóstoles predicadas por san Juan Crisóstomo (345-407) en su sede de Constantinopla constituyen el único comentario completo a los Hechos que se ha salvado de los diez primeros siglos de predicación cristiana. San Juan Crisóstomo pronunció dos series de homilías sobre los Hechos de los Apóstoles. Una primera, compuesta de cuatro homilías, sobre el comienzo de los Hechos, y otra segunda, integrada por cincuenta y cinco homilías, sobre la totalidad de las páginas de los Hechos. La primera serie fue predicada durante su estancia en Antioquía, mientras que la segunda lo fue en Constantinopla. Esta última serie es la que ocupa las presentes páginas. El lector habituado a leer los comentarios bíblicos del Crisóstomo observará en estas homilías las mismas excelentes cualidades que distinguen sus otras obras exegéticas, en particular la exposición clara del sentido histórico. También se encontrará con desarrollos temáticos sobre la oración, la importancia de leer las Escrituras y otros aspectos muy cercanos a las inquietudes morales de quien entonces ocupaba la sede episcopal de Constantinopla, como son sus observaciones sobre la castidad, la justicia, la pobreza, la condena del juramento, etc. Pero no es menos cierto que el lector se sentirá un tanto extraño al leer estas homilías, ya que su estructura interna difiere notablemente de lo que nos tiene acostumbrados el Crisóstomo. La presente traducción es la primera edición íntegra en lengua castellana, y se publica en dos volúmenes debido a su extensión. En éste aparecen las primeras 30 Homilías, y en el segundo las 25 restantes. Los índices –bíblico y de nombres y materias– se encuentran en el segundo volumen y hacen referencia a la obra completa.
La "Oratio catechetica magna" de Gregorio de Nisa, escrita hacia el año 386, que ahora aparece en lengua castellana, es una de las síntesis más exactas de la dogmática cristiana de los primeros siglos. Tiene una originalidad propia.
Mientras que las demás síntesis de este tipo (dejando a un lado la "De catechizandis rudibus", de san Agustín) estaban dirigidas, en la mayoría de los casos, a la enseñanza de los catecúmenos en las principales verdades de la fe, con vistas al bautismo, y se dirigían directamente a los iniciados y a los fieles para instruirles sobre los fundamentos de la doctrina evangélica, la "Oratio catechetica magna" está dirigida a los "dirigentes eclesiásticos", a los maestros o "catequistas", que en la Iglesia tenían la misión de promover en los creyentes una adecuada formación sobre el patrimonio doctrinal de la tradición apostólica teniendo en cuenta las tendencias heréticas en el interior del cristianismo y las dificultades que provenían del ambiente pagano o judío.
Gregorio teje una magistral síntesis teológica adaptada a las instancias fundamentales de su época, respondiendo, sin el menor tono polémico, a las objeciones que se le hacían a la fe cristiana.
Así pues, trata los grandes temas de la dogmática: el misterio trinitario, la creación del hombre, el origen y naturaleza del mal, la encarnación del Verbo, la redención del hombre, los sacramentos del bautismo y de la Eucaristía, la necesidad de la fe y de la conversión interior, para concluir con los fines últimos del hombre
Los autores cristianos más antiguos, después del Nuevo Testamento, son los "Padres Apostólicos". Con esta designación se engloban una serie de escritos que se caracterizan por su cercanía cronológica y espiritual con los textos apostólicos que forman el Nuevo Testamento, y que tienen una gran importancia porque representan un cuadro auténtico e inmediato de la vida, sentimientos e ideas que circulaban entre las primeras comunidades cristianas.
La expresión "Padres Apostólicos" se ha convertido en una designación útil, aunque poco rigurosa, por lo que no hay un acuerdo unánime a propósito de los escritos que se deben englobar bajo ese título.
Se trata de obras heterogéneas por su interés teológico, género literario, autoridad, datación y origen, que miran a las necesidades y circunstancias que viven las comunidades cristianas entre la segunda mitad del siglo I y mediados del siglo II.
Algunos de los autores de esos escritos son conocidos, como es el caso de Clemente de Roma, Ignacio de Antioquía, Policarpo de Esmirna o Hermas; otros han permanecido en el anonimato o en la pseudoepigrafía como la Enseñanza de los Doce Apóstoles, la Epístola del Pseudo-Bernabé, la Carta de la Iglesia de Esmirna a la Iglesia de Filomelio (también conocida como Martirio de Policarpo) o la homilía que ha llegado hasta nosotros como Segunda de Clemente.
En el presente volumen de "Padres Apostólicos" se ha incluido la denominada Carta a Diogneto, aunque en realidad es un escrito más emparentado por su temática y forma con la posterior literatura apologética: son las respuestas que un cristiano anónimo dio a las preguntas que bullían en la cabeza de un pagano llamado Diogneto.
La obra contiene los escritos siguientes:
Didaché
Doctrina de los Apóstoles
Epístola del Pseudo-Bernabé
Carta a los Corintios de Clemente de Roma
Cartas de Ignacio de Antioquía
Carta de Policarpo a los Filipenses
Martirio de Policarpo
El Pastor de Hermas
Homilía anónima
A Diogneto<br/
Quinto Settimio Florente Tertulliano (155-220 d.C. ca.) è una delle voci più incisive e mordaci dell'Africa romana dei primi secoli. La lingua latina, da lui impreziosita e vivacizzata grazie al conio di un altissimo numero di neologismi, alcuni dei quali destinati a grande fortuna, viene forgiata sino a divenire uno strumento quanto mai idoneo a esprimere un pensiero complesso e sfaccettato, dalle mille sfumature. Con "L'eleganza delle donne" egli si rivolge alla donna cristiana, invitandola a evitare di adornarsi con eccessiva cura, per non divenire strumento del demonio, che persevera nella sua opera di rovina seduttiva trascinando nel peccato l'uomo e pregiudicandone la salvezza eterna. Rispetto alla prima edizione (1986), il volume viene riproposto con una nuova introduzione, che tiene conto dei più recenti studi, e un aggiornamento della bibliografia.
Sinopsis: El siglo IV de nuestra era conoció una de las mayores crisis doctrinales que han tenido lugar en la historia de la Iglesia: la crisis arriana, que tuvo su origen en Alejandría. Por esta razón, la vida y la obra de san Atanasio (295 - h. 373), como obispo y como escritor, estuvo caracterizada en gran medida por su oposición doctrinal al arrianismo, lo cual le valió el destierro en cinco ocasiones. Los Discursos contra los arrianos –su obra dogmática más importante– destacan por la riqueza de información que encontramos en ellos y por el análisis preciso de la doctrina arriana, que Atanasio rebate punto por punto, para demostrar la plena divinidad del Hijo, idéntica a la del Padre, según la fe definida en el Concilio de Nicea. El tono de la discusión es firme y decidido –en algunos momentos incluso apasionado– y ha de entenderse a la luz de las circunstancias históricas y eclesiásticas que nuestro obispo tuvo que vivir. Estos Discursos contribuyeron significativamente a la reflexión teológica posterior sobre la Trinidad que llevaron a cabo los Padres capadocios y san Agustín. La presente traducción es la primera edición íntegra de la obra que se publica en lengua castellana.
Sinopsis: San Ambrosio es uno de los cuatro grandes Padres de la Iglesia Occidental, juntamente con san Jerónimo, san Agustín y san Gregorio Magno. Nació hacia el año 339 en Tréveris, donde su padre era prefecto de las Galias. Por circunstancias familiares el joven Ambrosio se trasladó a Roma, donde recibió una formación esmerada; llegó a ser jurista y ejerció la abogacía. Hacia 370 fue nombrado gobernador de las provincias de Liguria y Emilia, con residencia en Milán. En diciembre de 374 –tras la muerte de Auxencio, obispo arriano de Milán–, fue elegido por el pueblo para ocupar la sede episcopal milanesa, en la que permaneció hasta su muerte, acaecida en 397. El tratado que presentamos en este volumen –De fide ad Gratianum– es una de las obras propiamente dogmáticas de san Ambrosio. Fue escrito por el obispo de Milán en respuesta a la petición del emperador Graciano, que deseaba ser instruido en la fe. Está compuesto por cinco libros en los cuales Ambrosio expone y defiende la fe del Concilio de Nicea y rebate la doctrina arriana. Ambrosio no hace una exposición sistemática, sino que expresa llanamente la doctrina sobre la fe con argumentos basados en las Sagradas Escrituras. La presente traducción es la primera edición íntegra que se publica en lengua castellana.
Arbitrariamente attribuita sin dalle origini a Cipriano, vescovo di Cartagine, l'omelia "Adversus iudaeos" appartiene a quella letteratura cristiana del II-III secolo solitamente definita di polemica antigiudaica. L'omelia si contraddistingue per l'originalità e la peculiarità dell'argomentazione. Infatti, avvalendosi largamente di categorie giuridiche, l'autore assume come fondamentale il tema del testamento e della mutata volontà del testatore - Dio Padre -, che, in conseguenza del tradimento dei figli, li disereda. L'erede designato per primo perde l'eredità, poiché ha rinnegato Cristo-Dio, e questa ora, per effetto di un testamento nuovo, viene destinata ai gentili.
La dimensione simbolica degli animali, un tempo corrente e universalmente accettata, ha lasciato traccia nel mondo moderno. Man mano che la fauna selvatica sparisce dal nostro habitat, sembra quasi che gli animali simbolici tornino sempre più a popolarlo: la colomba rappresenta i movimenti pacifisti, il cavallino rampante è l’emblema di una casa automobilistica orgoglio degli italiani, leoni leopardi lupi e aquile sono adottati dalle più agguerrite squadre di calcio. Ancora oggi additiamo negli animali lo stereotipo di vizi e virtù umani: il coraggioso è un leone, il vigliacco è un coniglio; la ragazza intraprendente fa la civetta e il maestro chiama asini gli studenti.
Alla ricerca delle radici remote da cui ha tratto alimento il simbolismo animale, scopriamo il ruolo centrale dell’esegesi biblica: non può sfuggire come, dalla Genesi all’Apocalisse, dal serpente al drago, la Bibbia si apra e si chiuda con una bestia-simbolo.
L’opera tratta degli animali menzionati nella Bibbia, che hanno quindi goduto dell’attenzione degli antichi esegeti. Il secondo volume ospita in ordine alfabetico gli animali dalla L alla Z. La curatrice, di cui è nota la sicura competenza in quest’ambito, propone una ricchissima e accurata antologia. Due i possibili livelli di lettura: per informazione e per consultazione. I capitoli possono essere letti l’uno di seguito all’altro o consultati come voci di un’enciclopedia; si può inoltre andare direttamente agli indici, alla ricerca di un autore o una citazione specifica.
Ogni capitolo ha la medesima struttura tripartita: un’introduzione traccia brevemente la storia del simbolo animale, seguono i passi antologici suddivisi per simbologie, il corredo di note accorpate a fine capitolo fornisce il necessario complemento di passi paralleli e le spiegazioni più essenziali.
Il rigore scientifico che contraddistingue il volume e il prestigio della collana che lo accoglie non traggano in inganno: scritto con uno stile agile e accessibile a tutti, corredato sempre di traduzione per quanti non conoscono (o più non ricordano) il greco e il latino, il testo è veramente “godibile” dal più ampio pubblico.
Sommario
23. Leone. 24. Lepre. 25. Locusta. 26. Lupo. 27. Mosca. 28. Pantera/leopardo. 29. Passero. 30. Pecora. 31. Pellicano. 32. Pernice. 33. Pesce. 34. Porco/cinghiale. 35. Riccio. 36. Serpente. 37. Toro (e altri bovini). 38. Tortora. 39. Unicorno/rinoceronte. 40. Verme. 41. Vipera. 42. Volpe. 43. Zanzara. Al lettore. Bibliografia. Indici.
Note sulla curatrice
Maria Pia Ciccarese è professore ordinario di letteratura cristiana antica nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università La Sapienza di Roma, dove dirige il Dipartimento di studi storico-religiosi; dal 1998 al 2004 è stata presidente della Consulta universitaria di letteratura cristiana antica. Si occupa di esegesi biblica, di escatologia e visioni dell’aldilà, di edizioni critiche di testi cristiani; da oltre dieci anni pubblica contributi sul simbolismo cristiano degli animali. Ha curato i volumi: Il «Contra adversarium legis et prophetarum» di Agostino, Atti dell’Accademia Nazionale dei Lincei, Roma 1981; Visioni dell’aldilà in Occidente. Fonti modelli testi, Biblioteca patristica n. 8, Firenze 1987; La Letteratura cristiana antica nell’Università italiana, Letture patristiche n. 5, Fiesole 1998; presso le EDB ha curato Animali simbolici. Alle origini del Bestiario cristiano. I (Agnello - Gufo), Biblioteca patristica n. 39, 2005.
Sinopsis: Basilio de Cesarea (330-379), uno de los grandes Padres de la Iglesia Oriental, destacó entre otras razones por sus brillantes dotes de orador. Nos ha legado una interesante producción homilética difícil de abarcar, tanto por su diversidad temática como por su extensión. Las homilías que se presentan en este volumen, muchas de ellas en primera traducción al castellano, reflejan mejor que otros discursos el aspecto pastoral de su actividad. Tienen en general una intención moral y contienen numerosas citas de la Sagrada Escritura. Los Panegíricos a los mártires son el testimonio y la memoria de aquellos que, con el sacrificio de su vida, sellan su adhesión inquebrantable a Cristo. Mediante una acertada argumentación, Basilio logra su propósito final: despertar la devoción de sus oyentes y exhortar a la imitación; sin dejar de lado, en alguno de los panegíricos, su postura ante las herejías en auge. El segundo conjunto de discursos, las Homilías contra las pasiones, nos transmite imágenes de la vida cotidiana en Capadocia durante la época imperial y es una fuente de información de gran valor para la historia de la moral y las costumbres de la época. Basilio, observador minucioso, logra vívidas descripciones que le proporcionan argumentos contra aquellos que obran en oposición al ideal evangélico. El encuentro, siempre nuevo, con los Padres de la Iglesia nos brinda la oportunidad de revalorar temas y soluciones que siguen siendo actuales.
Il volume propone la prima traduzione in lingua italiana, con ampia introduzione e ricco commento, di uno scritto cristiano in passato attribuito a san Cipriano, vescovo di Cartagine, ma oggi ritenuto opera di un ignoto vescovo operante verosimilmente a cavallo tra III e IV secolo. In questa catechesi rivolta ai fedeli, l’autore mette in evidenza la connotazione idolatrica e le gravi implicazioni morali connesse al gioco dei dadi.
Per argomento lingua e stile, lo scritto costituisce qualcosa di unico nella letteratura cristiana dei primi secoli, e dunque rappresenta una testimonianza di straordinario interesse per conoscere sia il gioco d’azzardo nel mondo tardoantico sia la posizione della Chiesa in merito ad esso. Tale pratica doveva all’epoca essere piuttosto diffusa, se il concilio di Elvira, all’inizio del IV secolo, prendeva provvedimenti contro i cristiani che giocavano ai dadi per denaro, allontanandoli dalla comunione finché non si fosse completamente estirpato il loro vizio.
Sommario
Introduzione. Il gioco dei dadi: testo critico e traduzione. Commento. Bibliografia. Indici.
Note sulla curatrice
Chiara Nucci, laureata in lettere classiche presso la Facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Perugia, è docente di latino e greco al Liceo classico. Il lavoro sul De aleatoribus costituisce uno sviluppo della sua tesi di laurea, discussa in filologia patristica.
Il lavoro è l’esito di oltre quindici anni di studi in un ambito disciplinare della ricerca filologica patristica – lo studio della tradizione catenaria – in cui l’autrice, allieva di Sandro Leanza, è da tempo nota specialista. Il testo del commento origeniano al Cantico dei cantici, forse il più interessante tra quelli affrontati dal grande teologo ed esegeta alessandrino del III secolo d.C. e finora conosciuto solo attraverso parziali traduzioni latine, viene ora finalmente presentato in una forma più ampia rispetto a tutte le precedenti edizioni e traduzioni e accompagnato da una dotta introduzione. Nel commento viene spiegato il significato complessivo di ogni passo e sono segnalati i testimoni e il riscontro del contenuto esegetico nelle altre opere di Origene. Largo spazio è anche dedicato alle interpretazioni di autori successivi che dipendono da Origene e consentono, in taluni casi, il recupero del testo originale perduto. Il volume è inoltre corredato di un’aggiornata bibliografia e ricchi indici.
Sommario
Introduzione. Commento al Cantico dei cantici: testo critico e traduzione. Commento. Bibliografia. Indici.
Note sulla curatrice
Maria Antonietta Barbàra, docente di letteratura cristiana antica all’Università di Messina, studia soprattutto l’interpretazione della Bibbia nei Padri della Chiesa greci e la loro fortuna in età bizantina. Oltre a numerosi contributi in riviste scientifiche, ha curato la pubblicazione delle seguenti opere: Thomae de Chaula Bellum Parthicum, Reggio Calabria 1983 (Edizioni di “Historica”, Quaderni 5); Prospero d’Aquitania, La vocazione dei popoli. Introduzione, traduzione e note, Roma 1998 (Città Nuova, Collana di Testi patristici 143); ha pubblicato La tradizione catenaria del commento al Cantico dei cantici di Origene. Edizione critica con osservazioni esplicative dei capitoli 1-6, Messina 2000; Commento di Origene al Cantico dei cantici nella tradizione catenaria. Introduzione, edizione critica, note di commento, indici, Messina 2002. Attualmente ha in preparazione una traduzione con commento delle Complexiones in Epistulas Canonicas di Cassiodoro.
La dimensione simbolica degli animali, un tempo corrente e universalmente accettata, ha lasciato traccia nel nostro mondo moderno. Anzi, man mano che la fauna selvatica sparisce dal nostro habitat, sembra quasi che gli animali simbolici tornino sempre più a popolarlo: la colomba rappresenta i movimenti pacifisti, il cavallino rampante è l’emblema di una casa automobilistica orgoglio degli italiani, leoni leopardi lupi e aquile sono adottati dalle più agguerrite squadre di calcio. Ancora oggi additiamo negli animali lo stereotipo di vizi e virtù che contraddistinguono il comportamento umano: il coraggioso è un leone, il vigliacco è un coniglio; la ragazza intraprendente fa la civetta e il maestro chiama asini i suoi studenti.
Alla ricerca delle radici remote da cui ha tratto alimento il simbolismo animale scopriamo il ruolo centrale dell’esegesi biblica: a nessuno può sfuggire come, dalla Genesi all’Apocalisse, dal serpente al drago, la Bibbia si apra e si chiuda con una bestia-simbolo.
L’opera tratta di animali: non tutti gli animali, è ovvio, ma solo quelli che sono menzionati nella Bibbia e hanno quindi goduto dell’attenzione degli antichi esegeti. La curatrice, di cui è nota la sicura competenza in questo ambito, propone una ricchissima e accurata antologia. Due i possibili livelli di lettura: per informazione e per consultazione. Ciascun capitolo è dedicato a un animale, rigorosamente in ordine alfabetico (il volume arriva fino alla lettera G). Si possono leggere tutti, l’uno di seguito all’altro, o consultarli come voci di un’enciclopedia, a seconda dei propri interessi; si può andare direttamente agli indici, alla ricerca di un autore o una citazione specifica.
Ogni capitolo ha la medesima struttura tripartita: un’introduzione traccia brevemente la storia del simbolo animale, seguono i passi antologici suddivisi per simbologie, il corredo di note accorpate a fine capitolo fornisce il necessario complemento di passi paralleli e le spiegazioni più essenziali.
Il rigore scientifico che contraddistingue il volume e il prestigio della collana che lo accoglie non traggano in inganno: scritto con uno stile agile e accessibile a tutti, corredato sempre di traduzione per quanti non conoscono (o più non ricordano) il greco e il latino, il testo è veramente "godibile" dal più ampio pubblico.
Note sull’autore
Maria Pia Ciccarese è professore ordinario di letteratura cristiana antica nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università La Sapienza di Roma, dove dirige il Dipartimento di studi storico-religiosi; dal 1998 è presidente della Consulta universitaria di letteratura cristiana antica. Si occupa di esegesi biblica, di escatologia e visioni dell’aldilà, di edizioni critiche di testi cristiani; da oltre dieci anni pubblica contributi sul simbolismo cristiano degli animali. Ha curato i volumi: Il "Contra adversarium legis et prophetarum" di Agostino, Atti dell’Accademia Nazionale dei Lincei, Roma 1981; Visioni dell’aldilà in Occidente. Fonti modelli testi, Biblioteca patristica n. 8, Firenze 1987; La Letteratura cristiana antica nell’Università italiana, Letture patristiche n. 5, Fiesole 1998.
Il Contra fatum di Gregorio Nisseno (ca. 335/340 - ca. 395) rappresenta il contributo più denso e significativo di un Padre della Chiesa al dibattito antiastrologico, prosecuzione della riflessione sul fato e il libero arbitrio avviata nelle scuole filosofiche di età ellenistica. In un fitto succedersi di argomentazioni, in parte certamente attinte alla tradizione filosofica, in parte forse nuove, o almeno non attestate altrove, Gregorio difende la libertà dell’uomo: «sorte e destino è la volontà di ciascuno». Non sono le stelle che assegnano all’uomo la sua sorte: egli è libero, e se vuole avere parte di vero bene, rivolga il suo sguardo a Dio, che ne è l’unica fonte.
Note sull'autore
Michele Bandini (Firenze 1964) ha studiato filologia classica presso la Scuola Normale Superiore di Pisa. Si è occupato in particolare di prosa filosofica greca – curando l’edizione critica dei Memorabili di Senofonte nella «Collection des Universités de France» (Parigi 2000) e pubblicando una serie di contributi filologici a Senofonte, Platone, Dione di Prusa – e di letteratura cristiana antica. In quest’ultimo ambito ha pubblicato un nuovo frammento del Pastore di Erma («Revue d’histoire des textes» 30, 2000) e vari contributi all’opera di Gregorio Nisseno. Attualmente insegna filologia classica e letteratura cristiana antica presso l’Università degli Studi della Basilicata.
Alla fine del IV secolo Sulpicio Severo, colto avvocato aquitano, entusiasta ammiratore di Martino, vescovo-monaco di Tours, evangelizzatore delle Gallie e grande taumaturgo, scrive una biografia del proprio campione ancora vivente. La sua Vita – composta per difendere la figura del santo contro gli attacchi di una parte dell’alto clero gallo-romano che non ha mai visto con simpatia questo vescovo dal passato militare e dallo stile di vita austero –, pur ispirandosi ai modelli offerti dalle coeve celebrazioni dei monaci dell’Oriente, presenta tratti di tale originalità e vivace efficacia da affermarsi da subito come un vero best-seller della spiritualità cristiana occidentale. Celeberrimo tra tutti e ampiamente ripreso dall’iconografia è l’episodio in cui Martino con la spada taglia in due il mantello per offrirne parte a un povero ignudo.
Lo scritto, che lungo tutto il medioevo conobbe una fortuna superiore a quella di qualunque altra opera del medesimo genere, rappresenta un testo chiave della cultura europea e un documento biografico e agiografico di eccezionale rilievo, anche per la capillare diffusione che il culto del santo ha sino ai nostri giorni avuto in Occidente, con migliaia di luoghi di culto a lui dedicati.
Il volume è costituito di tre parti. Nell’introduzione, oltre all’esame dei principali temi di natura letteraria e storica, si presenta un’analisi minuziosa tanto del lessico, della lingua e dello stile dell’autore come dei problemi di critica testuale presentati dallo scritto. Il testo latino, accompagnato da una elegante traduzione italiana, è il frutto di una nuova complessiva riconsiderazione della tradizione manoscritta e presenta un apparato di varianti ben più ricco di quello recato dalle precedenti edizioni. Un commento, ampio e informato, guida il lettore nell’approfondimento delle questioni storiche ed esegetiche poste dall’opera.
Sommario. Introduzione. Vita di Martino: testo critico e traduzione. Commento. Bibliografia. Indici.
Note sul curatore
Curatore. Fabio Ruggiero (Parigi 1959) svolge attività di ricerca presso il Centro Interdipartimentale di Scienze delle Religioni dell’Università di Bologna. Tra le sue pubblicazioni: Atti dei Martiri Scilitani. Introduzione, testo, traduzione, testimonianze e commento, Accademia Nazionale dei Lincei, Roma 1991; La follia dei cristiani. Su un aspetto della “reazione pagana” tra I e V secolo. Prefazione di M. Simonetti, Il Saggiatore, Roma 1992 (2a edizione aggiornata e accresciuta, Città Nuova, Roma 2002); Tertulliano, De Corona. Introduzione, testo critico, traduzione e note, Mondadori, Milano 1992; Liturgia ed evangelizzazione, nell'epoca dei Padri e nella Chiesa del Vaticano II, in collaborazione con E. Manicardi, EDB, Bologna 1996; I volti della pace. Testi dall'epistolario di Agostino d'Ippona, Città Nuova, Roma 1999.
Sinopsis: Escrita en el siglo VIII al final de la vida de Juan Damasceno, la Exposición de la Fe es una ambiciosa síntesis de teología. En sus 100 capítulos se condensan los grandes misterios del cristianismo. Los primeros capitulos, que desarrollan los temas de la existencia, unidad y trinidad de Dios, forman el tratado propiamente teológico, ya que versan sobre la vida íntima de Dios. Sigue luego la parte de la economía, o tratado sobre el designio redentor de Dios. Forma parte de esta economía el tratado sobre la creación y las criaturas, que culmina con un resumen de la antropología filosófica. Esta parte no es superflua a toda la obra, pues sin una sana antropología no se puede realizar una correcta cristología. El tratado cristológico se desarrolla sobre estos dos grandes pilares. Según el Damasceno, si no sabemos qué es el hombre tampoco sabremos quién es Cristo. El tratado cristológico se desarrolla sobre estos dos grandes pilares. El Damasceno repite a menudo que Cristo es perfecto Dios y perfecto hombre. El misterio de la vida íntima de Dios y de la creación son usados para iluminar el misterio de la vida de Cristo y de su obra redentora.
Nuestro autor cita Pr 22,28 al inicio de la Exposición de la Fe para asegurarnos que no transgredirá ni la Revelación ni la Tradición. Se ciñe a dicho objetivo citando literalmente y por extenso a los mejores maestros del oriente cristiano. La labor de síntesis del Damasceno ha legado a la posteridad una gran obra que ha sido seguida, sobre todo en su estructura y método, por los grandes autores cristianos occidentales y orientales hasta nuestros días.
Juan Damasceno es el último teólogo de la antigua Iglesia griega que goza de fama universal, y con él se concluye, en oriente, la época patrística. Fue declarado doctor de la Iglesia en 1890.
La presente traducción es la primera edición íntegra de la obra que se publica en lengua castellana.
Sinopsis: El más célebre de los Padres de la Iglesia latina (354-430) nació en Tagaste, población de Numidia, en el norte de África. Su madre, Mónica, fervorosa cristiana, desarrolló en él el sentimiento religioso; pero sin llegar a administrarle el bautismo.
Cursó sus estudios en Tagaste, Madaura y Cartago. Durante los cuatro años de estancia en esta última ciudad se dejó arrastrar por el ambiente disoluto allí reinante, y de una relación ilícita tuvo un hijo a quien puso por nombre Adeodato.
Del año 373 al 386 tuvo lugar su evolución interior. Auque nunca fue un maniqueo convencido, aceptó los presupuestos del maniqueísmo. Se trasladó a Roma y el año 384 obtuvo la cátedra de retórica de Milán, donde la predicación de san Ambrosio lo fue disponiendo para su conversión. Recibió el bautismo el año 387, después de lo cual regresó a África y se dirigió a Hipona. El año 395 fue consagrado obispo de esta ciudad, donde desarrolló toda su actividad pastoral y literaria hasta la muerte.
La rica personalidad de san Agustín y su sorprendente fecundidad literaria han hecho de él una de las más grandes figuras del Occidente cristiano. Las Confesiones, su obra más célebre, no es sólo la confesión de sus pecados, sino también una profesión de fe, una alabanza a Dios y una acción de gracias por todo lo que Él ha obrado en su alma. Al mismo tiempo es una obra que contiene muchos otros aspectos de psicología, filosofía, teología, mística y poesía.
La obra se divide en dos partes: en la primera, libros I-IX, Agustín relata su vida y su evolución interior hasta su conversión y la muerte de su madre. La segunda parte, libros X-XIII, refleja el estado de su alma en el momento en que escribe y contiene profundas reflexiones sobre Dios, el tiempo y la creación.
Es difícil encontrar una obra, después de la Sagrada Escritura, que haya sido tan leída, citada y traducida. Con razón ocupa un lugar de honor entre los grandes clásicos de la literatura universal.
Grazie anche al ricco patrimonio letterario che ci ha lasciato, Leone Magno è uno dei Padri della Chiesa la cui voce è risuonata ininterrottamente nei secoli della storia cristiana. La dottrina, l’azione pastorale e la personalità di questo papa sono testimoniate soprattutto dai 98 sermoni pronunciati a Roma durante il pontificato (440-461), in occasione di varie ricorrenze liturgiche. "Biblioteca patristica" offre per la prima volta al lettore italiano l’intera raccolta, di cui sono già stati pubblicati I sermoni del ciclo natalizio (1998) e I sermoni quaresimali e sulle collette (1999). I 21 sermoni pasquali – l’insieme dei sermoni pronunciati nell’arco della settimana santa – si mostrano particolarmente indicati per osservare gli elementi che caratterizzano la predicazione di Leone, sia nel metodo che nel contenuto. Quanto al metodo, esso può essere rintracciato e compreso all’interno del triplice principio del reiterare, comprendere, sentire, che emerge a più livelli e ripetutamente nei sermoni. Circa il contenuto, il papa del concilio di Calcedonia affronta qui i nodi più complessi della dottrina cristologica: le invocazioni che Gesù rivolge al Padre nell’orto degli ulivi e sulla croce rappresentano un elemento centrale dell’elaborazione teologica che porterà alla definizione della perfetta natura umana e perfetta natura divina sussistenti nell’unica persona di Cristo.
L’introduzione critica e la costituzione del testo sono di Elio Montanari, mentre a Elena Cavalcanti si devono l’introduzione, la traduzione e il commento.
Note sui curatori
Elio Montanari è professore di Filologia classica all’Università degli Studi di Firenze.
Elena Cavalcanti è ordinario di Letteratura cristiana antica presso l’Università di Roma Tre.
Juan XXIII confesaba que este libro es el más precioso código de la acción pastoral después del Evangelio y de las Cartas de los Apóstoles para la santificación de las almas sacerdotales y la dirección de los fieles.
Escrita entre el 591-592 como respuesta al obispo de Rávena, se inserta en la misma línea que la "Oratio secunda ad fugam" de Gregorio de Nacianzo o el "De sacerdotio" de Juan Crisóstomo, que ante la responsabilidad pastoral optaron por la huida.
Desde su composición ha servido como libro de formación pastoral para sacerdotes. Así lo aconsejaron los concilios de Reims, Magnuncia, Tours, y Chalon-sur-Saone (813).
Juan Pablo II, ha recordado la perenne actualidad de esta obra: Será sumamente útil y oportuno tomar de nuevo en la mano este libro verdaderamente áureo; para sacar del mismo enseñanzas todavía válidas e indicaciones prácticas de experiencia pastoral y, diría, los secretos mismos de un arte que es indispensable aprender para poder ejercerlo después.
Monaco pacomiano nativo di Panopoli, vescovo di Edessa, nella Parafrasi Nonno traduce in versi la parte più ‘filosofica’ del Nuovo Testamento: il Vangelo secondo Giovanni. Il testo preso in esame è quello del Canto B, che propone l’episodio delle nozze di Cana. La poesia cristologica nonniana raggiunge qui forse la sua prova più alta e matura, offrendo una delle più profonde e affascinanti rappresentazioni della divinità di Cristo che sia sopravvissuta nella poesia greca cristiana della tarda antichità.
Note sul curatore
Enrico Livrea (Trieste 1944), già ordinario di filologia classica, di grammatica greca e latina, di filologia bizantina, è attualmente professore ordinario di letteratura greca presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. Ha svolto attività di ricerca e didattica nelle Università di Monaco, Colonia, Bonn, Parigi e presso il Center for Hellenic Studies di Washington, tenendo seminari in molte università europee e americane. Fra i libri che lo qualificano come uno dei più autorevoli specialisti di poesia alessandrina e tardoantica sono da ricordare le edizioni critiche e commentate delle Argonautiche di Apollonio Rodio (Firenze 1973), dei meliambi di Cercida di Megalopoli (Bonn 1986), dei frammenti delle Bassariche e della Gigantiade di Dionisio (Roma 1973), della Presa di Troia di Trifiodoro (Lipsia 1982), della Blemyomachia attribuita ad Olimpiodoro di Tebe (Meisenheim 1978), del Ratto di Elena di Colluto (Bologna 1968), dei frammenti di Pamprepio di Panopoli (Lipsia 1979), dell’epillio Ero e Leandro di Museo (Lipsia 1982). Del poema cristiano di Nonno di Panopoli, Parafrasi del Vangelo di S. Giovanni, ha già edito e commentato il canto XVIII (Napoli 1989) e prepara l’edizione complessiva sia per Teubner sia per Les Belles Lettres.
Sinopsis: El Octavio, único escrito del autor que ha llegado hasta nosotros, es uno de los primeros testimonios de la apologética cristiana escritos en latín.
Se trata de una obra breve en forma de diálogo que presenta interesantes peculiaridades. En primer lugar, se apoya en modelos de la tradición clásica pagana y elabora un discurso culto, muy cuidado desde el punto de vista literario. Es, pues, un valioso testimonio del proceso de recepción de la tradición cultural grecorromana que tiene lugar en el seno del cristianismo y que constituye uno de los primeros ejemplos de la inculturación.
Por otra parte, a lo largo del diálogo no se cita literalmente ningún texto de la Sagrada Escritura, caso único en la apologética cristiana, aunque sí se encuentran referencias indirectas a algunos pasajes, sobre todo del Nuevo Testamento. Esta actitud obedece al deseo de acercar el mundo pagano culto al cristianismo, haciendo ver que la religión cristiana es algo razonable.
Negli ultimi anni si segnala un notevole risveglio d’interesse per la “questione ippolitiana”, sulla quale gravano tuttavia perduranti incertezze. Quanti sono gli Ippolito? E, nel caso si ritenga ve ne sia più d’uno, come attribuire ai diversi Ippolito gli scritti che vanno sotto questo nome? Pur nella consapevolezza dell’aleatorietà di una presa di posizione su tale materia il curatore propende per individuare tre distinte entità storico-letterarie. Ed è lo scrittore Ippolito – ricordato da Eusebio, Girolamo e da altre testimonianze orientali, verosimilmente vescovo in Asia Minore all’inizio del III secolo, sconosciuto invece in Occidente – che va considerato autore del Contro Noeto, un breve scritto indirizzato contro la dottrina di Noeto, iniziatore del monarchianismo patripassiano.
Nel presentare il Contro Noeto Simonetti inizia col discutere le ipotesi che mettono in dubbio genuinità e integrità dell’opera; tratta poi del genere letterario e della struttura. Affrontati questi argomenti preliminari, presenta la tradizione manoscritta e le varie edizioni con relativa problematica testuale, per poi passare a trattare delle dottrine di Noeto e Ippolito e concludere con un confronto con l’Elenchos, testo attribuito a Ippolito di Roma, che con la nostra opera presenta evidenti punti di contatto.
Curatore
Manlio Simonetti, professore ordinario fuori ruolo di storia del cristianesimo all’Università La Sapienza di Roma, accademico dei Lincei, è uno dei massimi studiosi di cristianistica antica. In questa collana, da lui diretta insieme a Mario Naldini, ha già curato: Origene - Eustazio - Gregorio di Nissa, La maga di Endor; Ambrogio, Inni.
L’oggetto dell’edizione è un testo della fine del IV secolo, un dialogo in cui due personaggi anonimi – un ortodosso e un montanista – discutono su alcuni temi emersi nel corso della controversia tra la Chiesa dei vescovi e la setta che si rifà a Montano, affrontando soprattutto questioni trinitarie e pneumatologiche. Lo scopo è evidentemente polemico e l’ortodosso riduce al silenzio l’avversario, denunciandone l’inconsistenza della posizione, sottolineandone le incertezze e le aporie. Poiché gli argomenti addotti dall’ortodosso non sembrano sufficienti a confutare un oppositore, che probabilmente nella realtà non sarebbe stato così remissivo, è verosimile che il dialogo avesse la funzione di catechizzare i fedeli contrapponendo in maniera chiara le posizioni dei due interlocutori. Circa l’origine del testo, il favore dell’ortodosso per un’esegesi di tipo allegorico sembra escludere un’ambientazione antiochena e fa pensare piuttosto a un contesto segnato dall’influsso dell’esegesi alessandrina, quale quello cappadoce, dove forte è l’influsso origeniano. Rispetto all’editio princeps del 1905, l’attuale edizione prende in considerazione un secondo codice, il che permette di migliorare il testo in più punti.
Sinopsis: Sus Cartas ofrecen información de primera mano tanto a historiadores como a teólogos, ya que describen la vida de la Iglesia del siglo V y presentan una explicación del misterio de Cristo. Son respuestas desde la fe a las cuestiones cristológicas de ayer y de hoy.
Con la firma del "Tomus ad Flavianum", León Magno se ha consagrado como el "teólogo de la unión hipostática", el que mejor ha podido explicar cómo se aunan en una única Persona las dos naturalezas -humana y divina- de Jesucristo. El "Tomus" -en palabras de Juan Pablo II- fue como la premisa del Concilio de Calcedonia, que resume el dogma cristológico de la Iglesia Antigua.
También santo Toribio de Liébana, obispo de Astorga (España), fue el destinatario de una extensa carta en la que le presenta una acabada síntesis de la fe católica, a la vez que va sacando a la luz cada uno de los errores del priscilianismo. Le instó a la convocatoria de un concilio general, a la postre el segundo de los que se celebrarán en la ciudad de Toledo (447).
L’epistolario di Seneca e san Paolo, ambientato nella Roma neroniana, è un prodotto della letteratura pseudoepigrafa del IV secolo. La preoccupazione dell’anonimo autore non è tuttavia di natura filosofico-religiosa, problematiche queste praticamente assenti da tutta la corrispondenza. Viceversa l’avversione per la forma e lo stile dei testi biblici, lontano dai canoni classici, rappresentava in quel tempo l'ostacolo maggiore che le persone colte, educate alla scuola dei retori, dovevano superare prima di abbracciare in toto la fede cristiana. Di queste istanze si fa interprete l’autore il cui scopo è in primo luogo quello di raccomandare la lettura delle epistole paoline agli uomini colti, mostrando come lo stesso Seneca, pur criticandone la forma, avesse saputo apprezzare il contenuto e riconoscerne la divina ispirazione. Egli inoltre esorta i cristiani a una educazione retorico-stilistica, al riconoscimento della utilità della cura formale e alla valorizzazione del patrimonio della tradizione classica.
L’accostamento di Seneca, considerato come erede e depositario del patrimonio culturale classico, e Paolo, l’Apostolo delle genti, assume un valore emblematico: è l’espressione di una tendenza viva nella tarda antichità che mira al superamento del conflitto tra paganesimo e cristianesimo e a una integrazione e sintesi tra cultura classica e tradizione cristiana.
Curatrice
Laura Bocciolini Palagi è ricercatrice presso il Dipartimento di Scienze dell’Antichità dell’Università degli Studi di Firenze.
Qual è il contributo della Chiesa antica circa l'interpretazione del messaggio evangelico sull'uso della violenza in ogni sua forma? Il volume propone documenti dei primi tre secoli che registrano posizioni cristiane tendenzialmente negative nei confronti del servizio militare: se i Padri di cultura greca sembrano pronunciarsi "diplomaticamente" sulla questione, i Padri latini oppongono sostanzialmente un aperto diniego alla pratica di militare nell'esercito.