Guardando alla storia, la pace sembra essere solo un intervallo tra un conflitto e l'altro. Perché sorprendersi, allora, quando scoppia una guerra? Non siamo più abituati a formulare un pensiero della guerra, che da un lato deve essere ragionata per mettere in campo delle strategie che le consentano di raggiungere il suo scopo, la vittoria. Dall'altro, come ogni atto umano, la guerra comunica un senso che chiede di essere compreso, un senso ogni volta particolare, ma anche generale, che si collega al destino dell'umanità che vi è coinvolta. Questo libro, nato dalle lezioni tenute da Guitton alla Scuola di guerra del Ministero della Difesa francese a partire dal 1952, aiuta a capire la logica intrinseca dello scontro armato, indagato a partire dalle sue origini. Se Guitton ha pensato la guerra, lo ha fatto non soltanto perché la conosceva bene per esperienza personale, ma perché riteneva che l'intelligenza di un cristiano dovesse applicarsi anche a essa.
Per comprendere le dinamiche della storia e della politica occorre un'adeguata conoscenza della natura dell'uomo. Da questo presupposto prende avvio l'opera di Reinhold Niebuhr - qui tradotta per la prima volta in italiano -, dove viene descritta l'ambiguità della personalità umana, caratterizzata da una libertà radicale che apre a possibilità infinite di bene e di male. Questa ambiguità si riflette anche nelle discrepanze tra il comportamento morale e sociale degli individui e quello dei gruppi, meno capaci di controllare gli istinti e di andare al di là dei propri interessi, come dimostrano, per esempio, le questioni del razzismo e del nazionalismo. Per provare a risolvere la tensione tra il singolo e la comunità, tra classi, etnie e Stati, Niebuhr dichiara il bisogno urgente di un "realismo cristiano", che permetta alla politica di non rimanere intrappolata nell'immanenza della storia, ma di rivolgersi verso ciò che la eccede.
Questo libro è una pietra miliare nella moderna ricerca sul Nuovo Testamento e nella descrizione di Gesù di Nazaret. Con il suo argomentare stringente, Flusser restituisce a Gesù un volto storico concreto facendone innanzitutto una figura ebraica. Con ciò l'autore rende un servizio decisivo anche ai cristiani: mostra loro che la salvezza in cui credono non è solo il «messaggio» relativo a un avvenimento fuori dalla storia, cui non è possibile accedere. La verità cristiana dipende da quella storica e deve prenderne atto se non vuole ridursi a pia autosuggestione. Lo stesso dialogo tra cristiani ed ebrei può e deve procedere anche in una seria ricerca comune con il fine di trovare la verità storica su Gesù di Nazaret: soltanto questa può costituire un punto di partenza solido alla fede cristiana in Gesù il Cristo. Prefazione di Martin Cunz.
Il dialogo fra Arnoldo Mosca Mondadori - poeta e credente - e Salvatore Veca - agnostico -, poco prima della scomparsa di quest'ultimo, prende forma di testamento spirituale, in cui la visione filosofica del mondo incontra i pensieri più personali su temi che riguardano il senso della vita - la speranza, l'amore, la fede. Emerge un ritratto intimo e inedito di uno dei più importanti filosofi italiani, dove non si incontrano certezze assolute, ma domande sempre aperte capaci di scrutare e allo stesso tempo illuminare la realtà in cui viviamo. Una luce che molto ha a che fare con la pagina evangelica delle Beatitudini, letta laicamente come una mappa per orientare all'umano e far fiorire possibili isole di rispetto, generosità ed empatia nel mondo. Prefazione Arnoldo Mosca Mondadori.
Sotto il nome di Teologia ebraica si raccolgono le fila dei molteplici percorsi che nella storia del popolo ebraico hanno sviluppato idee, dottrine e credenze in senso lato "teologiche", i cui tratti divengono più chiari in età moderna e contemporanea. L'analisi storica qui compiuta va dalla costituzione della Bibbia ebraica al giudeo-ellenismo, dalla letteratura rabbinica e qabbalistica fino alla cesura della Shoà, intrecciando alcuni dei più significativi spunti dei nostri giorni - la teologia politica dopo la nascita di Israele, la teologia femminista, le correnti postmoderne. Si apre così una prospettiva sul particolare profilo culturale che accomuna una comunità religiosa in movimento, non circoscrivibile in un sapere dai contorni chiusi, e che include la concezione di Dio ma anche la nozione di Israele, la Legge (Torà) scritta e orale e il commento dei testi sacri, la celebrazione del tempo nella liturgia (quotidiana e sabbatica, mensile e annuale) e un ampio spettro di pratiche personali e collettive che, nei secoli, hanno forgiato l'identità ebraica - un'identità plurale.
Il dialogo è sempre una vera forma di comunicazione? In molti casi non succede, piuttosto, che sia un monologo a due voci nel quale si aspetta che l'altro finisca di parlare, per imporre il proprio punto di vista? In questo testo, per la prima volta tradotto in italiano, Kaplan tocca diversi temi della filosofia del dialogo - il rapporto tra mutualità e reciprocità, tra collettività e comunità, il ruolo dell'individualità - in costante confronto con pensatori come Buber e Chomsky, ed elabora la categoria di duologo per descrivere quelle situazioni in cui non si parla davvero con qualcuno, ma a qualcuno. Così l'io resta rinchiuso in se stesso, invece di essere proteso verso l'altro: la chiave per recuperare una comunicazione autentica, infatti, sta nel riconoscere la propria incompiutezza, che viene completata nell'incontro con l'altro, e nell'apertura all'ascolto, che permette di essere pienamente umani.
Jakob J. Petuchowski, rabbino e professore di liturgia e teologia ebraica, introduce e raccoglie una scelta di detti, fatti e "storie di miracoli" appunto di materia haggadica tratta dal Talmud e dal midrashim, i cui protagonisti sono per lo più i grandi maestri dei primi secoli dell'era cristiana, ai quali si deve se il giudaismo esiste ancora, ed esiste nella sua vitale, antiapocalittica, misericordiosa, saggia, libera fino al paradosso e allo humour, ubbidiente e ardita davanti a Dio, terrena e utopica ispirazione di matrice farisaica. Non si poteva scegliere barca migliore per navigare nel mare della haggadah: i racconti danno gioia, le domande fanno pensare. O, in modo più ebraico, le domande danno gioia, i racconti fanno pensare. (Paolo De Benedetti)
Il rapporto conflittuale tra cristiani ed ebrei attraversa tutta la storia occidentale. Tale conflitto prende le mosse dagli eventi storici del 70 dell'era volgare, ossia dalla distruzione del tempio di Gerusalemme. Da allora una serie di controversie teologico-politiche - il significato di compimento delle Scritture, la sostituzione di Israele con la Chiesa, il rapporto tra lettera e spirito nella Bibbia, nonché una lunga catena di pregiudizi antigiudaici - hanno contrapposto le due tradizioni religiose. Tramite un'analisi dei testi biblici ed esegetici, il volume esamina i modelli di relazione tra le due fedi nella storia e ricostruisce le ragioni di questa inimicizia. Un'inimicizia di matrice ermeneutica che, nell'epoca del pluralismo, non può essere rimossa ma si può superare grazie a una più profonda conoscenza reciproca, che permetta un dialogo vero.
«Egli è fermo dentro i luoghi oscuri della nostra anima così come è fermo sulla sua croce, e ama. Qualunque essere umano, il peggiore, colui che lo sta uccidendo, colui nel quale c'è la più grande cattiveria, se avrà il coraggio di scendere in se stesso, troverà Cristo e il fuoco del suo amore, appostato dentro la sua ferita. Da qui il Cristo salva l'essere umano. Non per i meriti, non per le virtù, ma per l'umiltà con cui un essere umano si lascia guardare dal Suo Viso d'amore che muore per lui». La nuova stazione di un cammino spirituale, dove l'ascolto diventa scrittura.
Da una piccola cittadina della Baviera alla cattedra di san Pietro: così si snoda la vita di Joseph Ratzinger, teologo e accademico, arcivescovo di Monaco di Baviera e Frisinga, divenuto poi cardinale e prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, e dal 2015 romano pontefice, dopo i quasi trenta anni del polacco Giovanni Paolo ii. Custode della dottrina, Ratzinger assume la guida della barca di Pietro con il nome programmatico di Benedetto XVI, nel mare agitato di una Chiesa cattolica scossa da forze conservatrici e spinte progressiste, per poi lasciare il timone al papa venuto dal Sud del mondo, con la rinuncia al ministero petrino «ingravescente aetate». Dal 2013 la sua presenza inedita di "papa emerito", con la bianca veste, tra le mura della Città del Vaticano, apre le porte a nuovi interrogativi e prospettive: quale bilancio e quale futuro per la Chiesa del ventunesimo secolo? Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l'età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino. [...] per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell'animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato. Per questo, ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, a me affidato per mano dei Cardinali il 19 aprile 2005. (Benedetto XVI)
Le pagine del Qohelet e del Cantico dei cantici, due brevi libri sapienziali della Bibbia, offrono al lettore una penetrante riflessione sull'esperienza umana del domandare, del cercare e dell'amare. Tutto passa, eppure qualcosa resta, permane, dura: l'esperienza della precarietà di una bolla di sapone, fragile e luminescente nell'effimero del suo istante; l'esperienza di un amore che sfida il limite della morte, perché in esso avvampa una fiamma segreta; l'esperienza di un corpo che diviene paesaggio da attraversare, architettura da abitare, nei giorni dello splendore e nelle notti della nostalgia.
Si è spesso osservato che la distinzione paolina tra «spirito» e «lettera», articolata per la prima volta all'interno di un celebre, enigmatico passaggio della Seconda lettera ai Corinzi, starebbe alla base di tutta la riflessione europea sull'idea di traduzione. Ma che cosa intendeva dire l'apostolo, quando affermava che «la lettera uccide, mentre lo spirito dà vita»? Per capirlo, questo libro propone di avviare una doppia indagine archeologica: da una parte, rileggendo Paolo alla luce dei dibattiti moderni sul concetto di traduzione, e dall'altra mostrando come la storia di questi stessi dibattiti non si possa comprendere senza un richiamo alla figura paradigmatica dell'apostolo. Scopriremo allora che religione e traduzione, come argomentava già Benjamin, sono così intimamente legate da non potersi quasi concepire l'una senza l'altra, e che è l'intera parabola di ebraismo e cristianesimo ad apparire segnata, fin dalle origini, da un complesso e interminabile intreccio di esperimenti di traduzione.
La fortuna di questo saggio, pubblicato per la prima volta nel 1967, è dovuta ad almeno due motivi. Per un verso, coglie lucidamente la natura particolare dell'intreccio tra religione e politica negli Stati Uniti, legata certo al cristianesimo protestante e puritano dei padri fondatori, ma anche in grado - come dimostra l'analisi dei discorsi presidenziali - di trascendere il dato confessionale, rivelandosi un potente fattore inclusivo e di coesione morale. Per un altro verso, proprio questa peculiarità fa sorgere un problema più generale di confronto, per analogia ma anche per differenza, con la situazione europea. Il fatto che oggi si ritorni a parlare di "religione civile" a vari livelli - riguardo sia al generale processo di sacralizzazione della politica sia ai cambiamenti nel frattempo intervenuti negli Stati Uniti come in Europa - dimostra la classicità di queste pagine, che ci parlano ancora oggi e nel contempo riflettono problemi e situazioni profondamente diverse da quelle attuali.
Tilliette scrive queste pagine - inedite e per la prima volta tradotte - per un corso in Gregoriana del 1981-1982. Un libro che introduce il pensiero di Levinas ricostruendone per temi i principali snodi concettuali, supportando le argomentazioni con numerose citazioni bibliografiche e l'indicazione di debiti o nessi con altri pensatori. Oggetto e suo interprete si stringono in una particolare affinità, che restituisce il vigore e la finezza della parola di Tilliette. Il testo si chiude sul tema della Morte, a sigillo di un dialogo inesauribile.
«Se vogliamo darle dei nomi - afferma Jaspers nel discorso del 1946 qui pubblicato -, l'Europa è la Bibbia e l'antichità. L'Europa è Omero, Eschilo, Sofocle, Euripide, è Fidia, è Platone e Aristotele e Plotino, è Virgilio e Omero, è Dante, Shakespeare, Goethe, è Cervantes e Racine e Molière, è Leonardo, Raffaello, Michelangelo, Rembrandt, Velàzquez, è Bach, Mozart, Beethoven, è Agostino, Anselmo, Tommaso, Niccolò Cusano, Spinoza, Pascal, Kant, Hegel, è Cicerone, Erasmo, Voltaire. L'Europa è nei duomi e nei palazzi e nelle rovine, è Gerusalemme, Atene, Roma, Parigi, Oxford, Ginevra, Weimar, l'Europa è la democrazia di Atene, della Roma repubblicana, degli svizzeri e degli olandesi, degli anglosassoni». Ma essa non è un museo e non è nemmeno identificabile con uno di questi momenti: per definirne la natura bisogna risalire alla sua origine più profonda, dove libertà, storia e scienza danno vita a una sempre nuova e rinnovantesi trasformazione. Non si è europei, ma lo si diventa stando in equilibrio sull'orlo di questa origine.
È dalla crisi della preghiera che Hans Küng parte in questo aureo testo. Una crisi esita, insieme, della secolarizzazione e delle domande inevase di giustizia di fronte al male e al dolore innocente. Ma proprio il continuo riproporsi di questi interrogativi è per Küng la condizione per scoprire il senso universalmente umano della preghiera: «La preghiera può trasformare l'uomo, ma l'uomo dovrebbe trasformarsi anche nella sua preghiera. La preghiera è qualcosa di vivente, può crescere, maturare, diventare matura. [...] Anche la preghiera deve diventare adulta, deve essere lo specchio, l'espressione dell'intera personalità. Da come uno prega si capisci che uomo egli è».
Amore pagano e amore cristiano, Eros e Agape, si intrecciano in una relazione dialettica nella storia delle religioni e delle filosofie orientali e occidentali, così come in personaggi che fanno parte del comune immaginario quali Don Giovanni e Tristano. Uno scenario assai diversificato cui il volume rinvia, con saggi risalenti agli anni 1934-1967 che concentrano il fuoco interpretativo sul concetto di "persona", nel quale si fonda e determina il vero "amore". Pagine che fanno emergere l'originalità del pensiero di Denis de Rougemont nell'ambito del personalismo europeo e i possibili sviluppi di un'etica cristiana in Occidente.
"Ultimatum" è il titolo della sezione finale di Aut-Aut e consiste in una predica intitolata "L'edificante che sta nel pensiero di avere sempre torto davanti a Dio". Sono pagine densissime, in forma di omelia, che fanno luce sul nucleo profondo del pensiero di Kierkegaard e del contributo che egli ha dato e può ancora dare alla filosofia occidentale. Il predicatore - finto e anonimo - non si rivolge a parrocchiani raccolti in chiesa, ma vuole comunicare un «pensiero» ai filosofi, invitati, tramite un argomentare incalzante e propositivo, a concentrarsi su un unico, decisivo concetto: «l'edificante», in origine tutt'altro che un concetto ma esperienza della «vita nuova» dei primi cristiani. Kierkegaard rivolge qui un ultimatum a se stesso: il situarsi «davanti a Dio», nella consapevolezza di avere sempre torto, dà molto da pensare alla filosofia, e anzitutto al filosofo che giace nel fondo di ogni uomo in quanto uomo.
Dai testi di Juan Luis Vives qui tradotti - "Introduzione alla Sapienza", "La scorta dell'anima", "Preghiera a Dio" - emerge il tratto specifico della sua spiritualità, frutto di una riflessione filosofica e religiosa coltivata per tutta la vita e che impedisce di separare formalmente questi due ambiti. Vives, contemporaneo di Erasmo e Tommaso Moro, distilla temi e interrogativi riguardanti verità e ragione, sapienza e rivelazione, tipici della feconda parabola culturale cinquecentesca che va sotto il nome di "umanesimo" europeo: il suo umanesimo cristiano ruota attorno al motivo della libertà interiore e di una relazione tra l'uomo e Dio che aspira al rinnovamento personale.
In questa "Introduzione alla Storia del Cristianesimo ed alla Storia della Chiesa" Bolgiani chiarisce che cosa si debba intendere cori "Storia del Cristianesimo" e "Storia della Chiesa": essenzialmente due oggetti di studio storico - la storia degli uomini e delle istituzioni - del tutto distinti dall'insegnamento teologico. Di qui una serie di domande, cui si cerca di rispondere nei cinque capitoli: quali sono i contenuti di una "Storia del Cristianesimo"? Che cosa si intende storicamente per "religione cristiana"? Perché la Storia del Cristianesimo e della Chiesa non sono storie "filosofiche" né "ideologiche"? Qual è la differenza tra "Storia del Cristianesimo" e "Storia delle Religioni"? Interrogativi che ripercorrono plurisecolari tradizioni di studi mostrando l'attualità della lezione di metodo di Bolgiani: egli si è posto la necessità di assumere il metodo storico-critico nello studio del "fatto" della religione cristiana e delle religioni, attraverso lo scavo dei documenti e la continua attenzione alla complessità della storia.
C'è una razionalità propria della politica? Da questa razionalità consegue un male specificatamente politico? Domande che per Ricoeur definiscono il "paradosso politico", a partire dal quale s'è confrontato con Hannah Arendt. Un dialogo attorno alle categorie di potere, potenza, autorità, forza e violenza con cui la Arendt - maestra delle "distinzioni" - ha indagato da un lato l'incarnazione novecentesca del male politico, il totalitarismo, dall'altro un modo d'essere della politica che fuoriesca dalla equazione "potere = forza+violenza". Il potere e l'autorità - questa per Ricoeur è l'eredità della Arendt - sono un argine al male politico. Quando il potere - come azione che contrasta la fragilità del mondo - non dimentica la sua radice nel miracolo terreno: la natalità, l'accadere dell'inatteso. Un'eredità che è anche dell'antropologia filosofica delineata in Vita adiva, con le distinzioni tra lavoro, opera e azione.
L'idea di messia nel pensiero ebraico antico e moderno subisce vari slittamenti semantici, di origine storica e teorica. Il teologo e l'ebraista, con le loro proprie tonalità, ne illuminano alcuni: dapprima si rintracciano i nomi del messia - da quello personale e mistico-escatologico a quello collettivo incarnato nell'età messianica e in Israele - attraverso la Bibbia e le fonti giudaiche (midrash, Talmud, chassidismo, Illuminismo ebraico e sionismo); poi, in chiave fenomenologica, si delineano possibili percorsi, per così dire, messianici nella filosofia, nella musica, nella letteratura. D'altra parte, il messia, architrave che unisce e divide ebrei, cristiani e musulmani, si presta a una riflessione non solo religiosa e spirituale ma esistenziale: nella coscienza del tempo - quale appare nel Qohelet ma anche nella letteratura europea più secolarizzata - irrompe la dimensione dell'attesa, capace di porre domande anche a un non credente.
Con lo scritto del 1916 qui per la prima volta tradotto in italiano - e definito da Martin Buber uno spaccato del tempo in cui ha avuto luogo la chiarificazione del principio dialogico - Eugen Rosenstock-Huessy ha inteso contribuire al rinnovamento della psicologia del primo Novecento. Se essa, imbevuta di materialismo o di idealismo, si interessa dell'anima soltanto nel suo rapporto con il corpo o con lo spirito, Rosenstock pone l'accento sull'anima umana come principio vitale in riferimento all'uomo singolo. Quest'opera sollecita la psicologia a prendere coscienza dei suoi presupposti, dei suoi metodi di indagine e dei suoi limiti, ma assume un notevole rilievo soprattutto per il pensiero filosofico: invita la filosofia a costituirsi anche come sapere dell'anima.
L’esilio è, per così dire, la cifra del pensiero di María Zambrano. Una condizione esistenziale, vissuta e pensata nei suoi fondamentali momenti (sradicamento, abbandono, solitudine, esser nulla), a partire dalla quale elabora la sua originale teoria della conoscenza: l’essere che noi siamo non è solo un cogito, un soggetto cartesiano, ma appunto un essere che patisce. La ragione in grado di coglierlo, che esce allo scoperto nell’esilio, è una ragione intuitiva prima che discorsiva e razionale: capace di rivelare.
Emblematici in tal senso gli scritti sull’esilio – e dall’esilio – qui per la prima volta tradotti in italiano e tratti in gran parte da un’opera progettata dalla filosofa e rimasta incompiuta: l’esilio appare il luogo metafisico di tale “rivelazione”, vera patria dove l’essere rinasce libero dalle coercizioni del pensiero dogmatico.
"Bisogna anzitutto inquadrare il personaggio, e non è facile. Dunque: Paolo De Benedetti, come dice il nome, è di origini ebraiche ma è nato in una famiglia non so da quanto ormai cristiana, e come cristiano è spirito religiosissimo (ha scritto libri e diretto collane di argomento religioso). È il cristiano più giudaicizzante che abbia mai conosciuto e naturalmente doveva finire come biblista e professore di cose giudaiche in una facoltà teologica. Come se non bastasse, è lo spirito più talmudico che esista". Con queste righe, Umberto Eco - che già aveva preso a modello PDB per tracciare la figura del redattore Diotallevi ne "Il pendolo di Foucault" - ha scritto, anticipatamente, la più perspicua introduzione a questa raccolta di scritti di De Benedetti sul lavoro editoriale. Scritti - seguiti dalla bibliografia curata da Agnese Cini Tassinario - dedicati al lavoro editoriale, con il ricordo di due editori come Valentino Bompiani e Stefano Minelli, e che appaiono, a ogni lettore attento, un "possesso per sempre" per chi si accosti all'editoria e al mondo dei libri.
Il manoscritto dei primi anni '30, "Ragione e fede", qui presentato con introduzione e apparato critico di Luca Natali, dà il titolo a un'opera fondamentale di Piero Martinetti e ne contiene il nucleo teorico, che sta alla base della sua più ampia ricerca su Gesù in chiave non storica ma filosofica: una rigorosa critica della teologia come apologetica, volta a restituire alla fede e alla ragione la loro peculiarità senza riduzioni. L'originalità della prospettiva martinettiana è una sorta di "illuminismo religioso": la religione la si difende a partire dal riconoscimento della sua appartenenza, insieme alla ragione, a un processo libero della coscienza nell'acquisizione del sapere. Come dire, la verità - anche di "fede" - è alla portata di tutti coloro che esercitano la ragione e, in quanto legittime dimensioni dello spirito, l'una non può opporsi all'altra ma ne è parte.
Questo discorso del 1843 è uno sviluppo del concetto di "edificante" successivo a La prospettiva della fede e si presenta come un commento alle parole dell'apostolo Giacomo: "Ogni dono buono, ogni dono perfetto è dall'alto". Queste introducono alla controversa questione della "teodicea" come coniugare il bene proveniente da Dio e il male del mondo - declinata dal filosofo danese in chiave "esistenziale", spiega Umberto Regina nell'Introduzione, ripartendo dalla caratteristica distintiva dell'uomo: l'esistenza. L'uomo in quanto esistente ha un rapporto edificante con Dio: rispetto all'Eterno si innalza senza mai unirsi completamente. All'idea, avanzata da alcuni filosofi moderni, di una compromissione di Dio nell'imperfezione del mondo Kierkegaard risponde con il salto della fede, somma possibilità donata all'uomo per vincere sul male.
Sulla poco considerata e dimenticata virtù della pazienza, Eberhard Jüngel e Karl Rahner aprono, in questo libro, orizzonti nuovi. "La pazienza è il lungo respiro della passione. Della pazienza ha bisogno ogni passione. La vera pazienza è sempre una passione filtrata nell'interiorità" scrive Eberhard Jüngel. Così il teologo di Tubinga approda già nel nucleo centrale delle sue riflessioni: le proprietà, l'essenza appassionata di Dio e la pazienza del suo amore. Alla "pazienza con se stessi" si dedica e la descrive quale arte della perseveranza nella tensione Karl Rahner: "Chi trova realmente la pazienza intellettuale con se stesso, sarà anche tollerante con il prossimo e non e non si comporterà come se egli stesso fosse la verità assoluta in persona". Un libro che - nella sua profondità teologica e onestà intellettuale - mette in risalto la pazienza, come vero presupposto alla tolleranza e come un'importante strada verso una migliore umanità.
Del libro profetico di Giona, contenuto nella Bibbia ebraica e cristiana, fa eco la domanda che Dio rivolge al profeta: "non dovrei aver pietà di Ninive, quella grande città, nella quale sono più di centoventimila persone, che non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra?". L'incapacità dei pagani di discernere fra bene e male rinvia al tema della giustizia, che sta alla base dell'ebraismo. Attraverso il commento a questo libro biblico, la riflessione sui concetti di giustizia e colpa, sulla dimensione messianica, sul tema della lamentazione, e l'esposizione delle "novantacinque tesi" su ebraismo e sionismo, i cinque testi (1917-1923) di Scholem qui raccolti fungono da guida per comprendere l'essenza del giudaismo. Pagine che fanno luce sulla prospettiva teologico-filosofica dell'autore, che conduce dall'analisi delle fonti e della storia ebraica allo studio della Qabbalà, la sua fondamentale tradizione mistica.
Queste pagine presentano un esercizio dialogico tra prospettive assai diverse. L'una, filosofica, avanzata da Massimo Reichlin tenta di superare la contrapposizione fra una bioetica laica e una cattolica. "Laico" può essere detto in molti modi, anche come assenza di atteggiamento dogmatico e quindi disponibilità al dialogo. La laicità così intesa è un metodo, condivisibile anche da un'altra prospettiva, religiosa, come quella del teologo Maurizio Chiodi, che, confrontandosi col pensiero di Giuseppe Angelini e Paul Ricoeur, elabora un'etica in grado di rispondere all'appello all'universalità antropologica inscritto nel cristianesimo. Filosofia e teologia trovano nell'"etica della vita" un punto di comune riflessione, nella differenza tra i due stili di sapere.
La storia di Gesù, e la narrazione che ne fanno i Vangeli, è ampiamente approfondita all'interno degli studi sul cristianesimo, dal punto di vista teologico e biblico. In questo volume la prospettiva su Gesù si scompone nei molti osservatori esterni alla sua cultura, nelle tradizioni non cristiane: nell'ebraismo, nell'islam, nel Sufismo (o mistica islamica), nell'induismo. Si nota l'assenza di Gesù, la sua marginalità, la sua "ebraicità" nel Talmud babilonese (Piero Stefani); si mostrano il suo "magistero" nelle comunità islamiche delle origini e le testimonianze che vi sono del Corano (Ignazio De Francesco); si evidenziano i lineamenti di ascetismo e spiritualità nella corrente Sufi (Alberto Ventura); si scopre infine la sua presenza nella letteratura hindu (Sergio Manna). Emergono i molti volti di Gesù che attestano, nella persona e nel personaggio, nella predicazione e nella vita, più linee interpretative, messianica, religiosa, spirituale, capaci di illuminare la nostra stessa storia.
Risalgono all'ultimissimo periodo della vita di Karl Barth i testi qui raccolti, tra cui uno incompiuto che stava redigendo la sera prima di morire, il 9 dicembre 1968. Tre brevi scritti e due interviste minori se paragonati alla mole dell'opera barthiana, ma in grado di condensare alcuni temi della sua riflessione teologica colti nella prospettiva più matura della sua attività: il "cristocentrismo", l'ottimismo teologico - qui curiosamente accostato all'opera di Mozart -, l'estrema libertà di pensiero che lo ha sempre contraddistinto, il vivo interesse ecumenico. Questo in particolare divenne predominante proprio nelle ultime testimonianze di Barth, che rappresentano il suo testamento spirituale: la coesistenza fra le Chiese, accentuata da una sempre maggiore eterogeneità del contesto sociale, non si limiti a essere benevolente, ma sia il punto di partenza per la ricerca della loro unità.
Come si è differenziata la riflessione di Heidegger sul male morale rispetto alla tradizione moderna? Sul filo di questa indagine filosofica, sinora poco esplorata e qui corredata di una scelta antologica, il volume mostra l'originalità con cui Heidegger - nei suoi scritti giovanili, in Essere e tempo, fino ai Quaderni neri - elabora il problema del male nella sua dimensione ontologica, superando la classica distinzione fra male metafisico, fisico, morale. Un'analisi fenomenologica che porta a riconsiderare, e mettere in discussione, anche la grande questione di una giustificazione heideggeriana dell'antisemitismo, dai diversi punti di vista: storico, filosofico, metafisico. Confondere i piani, come giornalisticamente è accaduto, e ricondurre il tutto a un "a priori" razionalistico con cui spiegare insieme il pensiero e la vita del filosofo, non aiuta a comprendere il rapporto, osservato in queste pagine, fra teoria ed esperienza umana, capace di illuminare le sue scelte biografiche e politiche.
"Aver fiducia" è una disposizione dello spirito che si riflette in gesti ed espressioni della vita quotidiana e permette di interagire nel mondo con adattabilità e saggezza. è una virtù antropologica - che sorge da un'esperienza universale: l'essere stati, durante l'infanzia, oggetto di cure e amore in uno scambio gratificante - e anche teologica: la fede in Dio e la fiducia divina nell'uomo sono, secondo le tradizioni religiose, modello di ogni vera relazione. Una varietà di significati presentata da Massimo Giuliani attraverso una fenomenologia dell'atto di fiducia - e della sua mancanza -, che trova espressione nella letteratura greca e nella. Bibbia, nel pensiero ebraico anche dopo Auschwitz, nei rapporti tra giudaismo e cristianesimo. Paolo De Benedetti mostra come nelle Scritture la fiducia che l'uomo ripone in Dio segua alla fiducia che Dio per primo ha riposto nell'uomo: la storia della salvezza può essere vista come la ricerca di una vicendevole corrispondenza tra questi due amen, "ci credo e mi affido".
I tre saggi di Alfred Schütz qui raccolti a cura di Leonardo Allodi hanno per oggetto, rispettivamente, la filosofia di Max Scheler (1966), la sua epistemologia ed etica (1957-1958) e la sua teoria dell'intersoggettività (1942). Una interpretazione critica capace di mettere sotto gli occhi, insieme ai principali tratti di originalità della corrente fenomenologica, elementi che la conducono oltre se stessa, a una "proto-sociologia", un contributo preliminare all'autentica sociologia. Il movimento teorico qui evidenziato va dall'epistemologia alla elaborazione di una "sociologia del sapere". Una presa di distanza dal trascendentalismo del maestro - Husserl - che per Scheler si traduce nell'elaborazione di una fenomenologia realista, e per Schutz, aprendosi al pragmatismo, ha compimento nella Costruzione sociale della realtà (1966): la persona è l'unità concreta in cui interagiscono la sua costituzione "individuale" e "sociale". La fenomenologia diventa così chiave di accesso per una lettura antropologica e sociologica del mondo.
Qual è l'essenza dell'umanesimo di cui si parla con rinnovato interesse? Una piena considerazione della persona umana nelle sue possibilità di autorealizzazione che ha avuto singolare espressione alle origini dell'età moderna, in quel prodigioso fermento culturale noto con il nome di Rinascimento. L'autore, da storico, fa luce su quel movimento di fioritura che affonda nell'Italia del Quattrocento propagandosi per tutta l'Europa nel secolo successivo, e ne riprende alcune delle figure più decisive (Ficino, Pico della Mirandola, Leon Battista Alberti...) e delle idee grandiose, perlopiù appartenenti alla tradizione classico-cristiana, che queste hanno veicolato: dignità dell'uomo e divinità dell'anima, eccellenza e armonia... Ad emergere attraverso l'analisi storica di quel felice contesto è una concezione dell'umano, tramandata nei secoli e ancora attuale: un paradigma antropologico che nel clima di pessimismo diffuso in un certo Medioevo ha saputo rovesciare la storia, valorizzando il soggetto nella sua libertà di elevarsi e realizzarsi.
Pubblicando nel 1951 questo testo di Merton, don Giuseppe De Luca offriva al lettore il distillato di ciò che il monaco trappista intendeva per contemplazione: al di là della psicologia dell'io, è possibile all'uomo trascendersi, verso gli altri e le altre religioni, ovvero verso ciò per cui sta il nome di Dio, la Trascendenza. Un atto dello spirito - la contemplazione - che, più che mai oggi, ci interpella per evitare chiusure confessionali e disinnescare conflitti religiosi.
Chiamare implica che qualcuno parli e qualcun altro ascolti e risponda: uno schema che si declina nella Bibbia in molteplici modi. La "chiamata" è parola di Dio, di Gesù, dei profeti; può essere "invocazione" o può indicare una "vocazione"; implica l'irrompere di un mutamento (con la risposta "Eccomi!" di Samuele) e l'adeguamento a una condotta di vita, ma anche l'"obiezione" (di Mosè, di Isaia...). Pagine celebri della Bibbia - rilette qui in chiave esegetica, spirituale, storico-filosofica - diventano il luogo in cui sorprendere significati talvolta inattesi di una Parola che, oltre la lettera, investe la nostra vita. Come il tema del discernimento e del lavoro alla base delle comunità monastiche: modelli di vocazione, che ancora ci interpellano.
"La lunga vita di Liana Millu è paragonabile, per alcuni versi, a quella di questa sua opera: solo il passare degli anni ha fatto sì che la sua straordinaria parola udita a viva voce o fissata sulla carta, ampliasse via via il numero degli ascoltatori e dei lettori chiamati a custodire quel messaggio e quindi a onorare quella persona. Ciò avviene quando il tempo della esistenza di Liana si sta facendo breve. Questa situazione in lei si riflette in una parola sempre più carica di una compassione profonda, tutelata da un senso supremo della misura; di contro, nell'ascoltatore tale condizione da un lato aumenta lo struggimento, mentre, dall'altro, rafforza in lui la convinzione di essere coinvolto in un evento nel momento stesso in cui sta udendo delle parole: ora a lui stesso è stato affidato il compito di testimoniare, imperativo a cui ormai può sottrarsi solo percorrendo l'infida via del tradimento". (Dalla Prefazione di Piero Stefani)
Questo libro costituisce un esempio di filosofia della religione propriamente detta: interrogandosi su una questione peculiare della teologia - quella del "peccato originale" nella tradizione ebraico-cristiana -, non si propone né di sostituirsi a essa offrendo un fondamento razionale alla rivelazione, né tantomeno di imitarla svolgendo la ricerca nell'ottica della fede. Tenta invece un'interpretazione propria, mostrando come con tale tematica la religione affronti, seppur con intenti e esiti diversi, problemi analoghi a quelli della filosofia. Ecco che il racconto biblico della cacciata dal Paradiso terrestre - con cui si sono confrontati tra gli altri Kant, Hegel, Benjamin e Heidegger - si rivela luogo privilegiato per lo studio del nesso fra libertà, relazione e male: in Genesi 3 la libertà viene istituita e consegnata ai paradossi che contraddistinguono i tentativi di pensarla in una prospettiva relazionale, nella quale il male emerge come patologia della relazione. Se l'approccio religioso offre importanti elementi di stimolo e di chiarificazione all'indagine filosofica, il filosofo può sorprendersi - nel suo pensare a un "Dio possibile" - di riuscire a rischiarare alcuni aspetti della stessa tradizione religiosa.
Luciano Monari, teologo e biblista, ci accompagna alla meditazione sul capitolo 2 del libro di Geremia, alla scoperta dell'idolatria e della sua vacuità.
Nel clima culturale dell'immediato dopoguerra, dominato dall'inquietudine degli esistenzialismi, il breve trattato sostiene che la filosofia dell'essere espressa da Tommaso d'Aquino possiede un diritto originario a fregiarsi del titolo di "esistenzialismo metafisico". Essa celebra l'esistente nell'affermazione del legame indissolubile tra ente, essenza e atto di esistere, che permette di fondare l'ontologia su un'intuizione originaria dell'essere nella quale sono compresi l'astrazione dei significati e il senso della loro immersione concreta nell'esistenza. Ciò permette a Maritain di coniugare, come raramente accade nei pensatori del XX secolo, dottrina dell'essere e meditazione esistenziale, tematizzando qui il rapporto tra tempo ed eternità, il nesso tra libertà increata e libertà creata, la predestinazione e la questione del male. La concisione e lo stile icastico fanno di questa presentazione, fra le più suggestive e acute delle questioni relative all'essere e all'esistenza in seno alla filosofia tomista, un classico.
Scritto nel 1944, poco prima che Fondane fosse deportato e ucciso ad Auschwitz, questo testo dà voce alla sua particolare declinazione del pensiero esistenziale. Fondane accusa molti autori che si definiscono esistenzialisti tra cui Camus, Jaspers e lo stesso Sartre - di aver abbandonato l'esistente per l'esistenza, contribuendo all'avvento della "domenica della Storia", ovvero il luogo e il tempo in cui la Storia - hegelianamente intesa come suprema razionalità - gode del proprio trionfo sugli individui ridotti a semplici mezzi. Occorre un atto di "irrassegnazione" per realizzarsi come eccezione rispetto alla Storia, sull'esempio di Kierkegaard, Dostoevskij, Nietzsche, esponenti di un nuovo tipo di filosofia capace di riattivare il reale in tutta la sua ricchezza. Capace di inaugurare un "lunedì esistenziale" in cui il singolo riesca a spingersi oltre lo scorrere della Storia, attendendo il tempo in cui potrà porsi pienamente come esistente irriducibile. Un pensiero che, se sembra collassare nella tragedia dell'Olocausto, in realtà proprio di fronte a essa emerge in tutta la sua forza profetica.
Credere è un'esperienza quotidiana, almeno nella sua declinazione di semplice "fiducia", ma appare sempre più difficile avere "fede": mentre la prima ne è l'accezione secolarizzata, quest'ultima implica un affidamento totale alla trascendenza. Se poi ci si riferisce al Dio cristiano, il salto della fede è vertiginoso: un uomo di Nazareth è il Dio incarnato nella storia per salvarci. La problematicità della corrispondenza fra questa credenza e il vero si avverte specialmente di fronte alla crescente complessità culturale e religiosa del contesto in cui viviamo, che rende difficile l'elaborazione di argomenti in giustificazione della fede. Il libro riporta i colloqui epistolari tra una persona che non riesce a decidersi di credere, perché non trova ragioni plausibili, e un teologo. Un dialogo dove lo schema domanda/risposta si dissolve nel comune interrogarsi circa il senso ultimo del vivere, sporgendosi oltre la frontiera che apparentemente divide pensare e credere.
L'etica di Fichte tende a collocarsi, storiograficamente, nella penombra inscritta fra i possenti sistemi etici di Kant e Hegel. Dall'attenta disamina del fichtiano "Sistema di etica" (1798) compiuta in queste pagine, emergono invece i tratti di un'originalità passata in sordina: dalla rivalutazione della natura sensibile dell'uomo al tema della libertà e del suo agire effettivo nel mondo, per giungere a una teoria dell'interpersonalità come nucleo essenziale dell'identità morale dell'individuo. La sua riflessione, pur partendo dall'evidenza kantiana di un dovere incondizionato iscritto nella coscienza, mostra come il darsi di questo incondizionato sia per l'essere razionale finito inseparabile dal legame con un altro essere razionale. In questa prospettiva si presenta la mediazione tra il "formale" e il "materiale", tra la condizione trascendentale e quella storica che si concretizza nel progetto fichtiano di un'etica sociale e comunitaria centrata sul concetto di persona, Fichte può essere visto - inaspettatamente - come precursore di Hegel.
Per presentare questo testo di Schlick del 1915 sulla teoria della relatività basterebbe riportare il commento di Einstein dopo averlo letto: "Ieri ho ricevuto il suo saggio e l'ho già studiato attentamente. È una delle cose migliori che siano state scritte finora sulla relatività. In ambito filosofico sembra che non sia stato scritto nulla sul tema che anche soltanto vi si avvicini per chiarezza". Il saggio analizza la teoria della relatività nel confronto con le concezioni filosofiche in circolazione, in particolare quella di Lorentz (1904) e le dottrine neokantiane, nella convinzione che ci fossero dati sperimentali e teorici già in possesso della comunità scientifica alla base di questa rivoluzionaria scoperta. È qui messa a fuoco una critica del concetto di realtà, di spazio, tempo e sostanza, che fa emergere la portata epistemologica della teoria di Einstein, eccezionale, per Schlick, se non altro in quanto "ci costringe a svegliarci da un piccolo sonno dogmatico". Sottesa a questa riflessione filosofica è appunto una teoria della conoscenza che riparte dalla critica rigorosa dei "concetti fondamentali della scienza".
Scritti fondamentali
Scelti da e con un'introduzione di Laurence Freeman
Edizione italiana a cura di Susanna Facci
DESCRIZIONE: Appare come un distillato del suo insegnamento questa raccolta tratta dagli Scritti fondamentali di John Main, un modello di meditazione cristiana ispirato alle massime dei Padri del Deserto e dei primi monaci cristiani e frutto della sua esperienza in Estremo Oriente. La scelta antologica di brani dell’autore commentati fa luce sul significato e la potenza della pratica contemplativa e sulla sua presenza nella tradizione cristiana. Un esercizio da recuperare nella sua profondità, perché capace di rinnovare non solo la fede personale ma la vita stessa della Chiesa nel mondo moderno. “Abbracciare il mondo” indica appunto un percorso spirituale non chiuso in sé, ma sempre da compiersi.
COMMENTO: Una raccolta di scritti di un padre contemporaneo di meditazione cristiane. La preghiera come esercizio spirituale: crescita di sè nella conoscenza di Dio. Un testo di profonda spiritualità, per tutti.
JOHN MAIN (1926-1982) fu un monaco benedettino irlandese ispiratore della Comunità Mondiale per la Meditazione Cristiana. Tra le sue opere tradotte in italiano: Dalla parola al silenzio (Roma 1995), La via della non conoscenza (Roma 1996), Imparare a meditare nella tradizione cristiana (Piacenza 2004), Il cuore della creazione (Roma 2006), La via della meditazione (Molfetta 2008).
Come può definirsi oggi una "filosofia cristiana" e quale può essere la sua originalità rispetto alla tradizione? Come andare oltre l'obiezione di Heidegger che la definisce una contraddizione in termini, un "ferreo ligneo"? Motivo di queste pagine sono questioni antiche, le cui origini si trovano nella patristica e nella scolastica medievale nutrite dei concetti del pensiero greco, e la cui acme si osserva nel consumato dibattito moderno sul rapporto tra ragione e fede. Correlato è il tema della libertà: essa si oppone alla fede in quanto dono della grazia, oppure è condizione della stessa verità della religione cristiana? Svolgendo questo interrogativo il saggio offre i lineamenti per una metafisica che coniuga pensiero contemporaneo e classicità. la prospettiva indicata è quella di un realismo fenomenologico: superare il soggettivismo e il relativismo affermando nell'atto del conoscere, capace appunto di cogliere l'essenza delle cose, l'esistenza di verità oggettive e necessarie.
Nato in un clima di evangelizzazione, il testo Sulle testimonianze rese dal Corano a Maria Vergine (1845) tardivamente attribuito a Rosmini e pubblicato in raccolta solo nel 1884, qui per la prima volta presentato a sé, mostra un volto inedito del pensatore considerato una delle voci più autorevoli del pensiero cattolico liberale dell'Ottocento. Persino ardita sembra la sua scelta di riportare e commentare passi della Sura dove è attestato il culto di Maria, anche solo perché, accostandovisi da studioso, è precursore di un'attenzione positiva verso l'Islam e il Corano all'epoca solo accennata. Di più, quasi per eterogenesi dei fini, queste pagine, pur avendo un chiaro intento missionario e di conversione che trova espressione anche in stilemi anti-islamici della cultura del tempo, inaspettatamente dimostrano la possibilità di una apertura al dialogo cristiano-islamico, proprio a appartare dalla ricerca storico-filologica di quelle verità della fede cattolica nascoste fra le pieghe di un credo - non un'eresia - diverso e come tale riconosciuto.
Chiedere scusa è un'esperienza talmente quotidiana da aver perso il nesso profondo con il perdono, che invece mantiene l'aura di un concetto religioso, attinente alla sfera del sacro e al senso del peccato. Da una fenomenologia di tale esperienza, emerge in queste pagine la stretta correlazione tra la colpa e il male, la giustizia e il perdono, come si declinano nel pensiero ebraico: alla riconciliazione, che prende il nome di shalom, fanno da contrappunto i temi della teshuvà, espiazione e perdono, e del tiqqun, la restaurazione dell'ordine infranto del mondo. Un'analisi cui corrisponde, nella Bibbia, il lessico della misericordia che, per Paolo De Benedetti, si declina in tre momenti emblematici: la meditazione-confessione della presenza di Dio nella storia; l'uscita, individuale e collettiva, dal peccato; la promessa messianica.
Henri de Lubac pubblica Le drame de l’humanisme athée nel 1944, nel contesto di una Francia occupata dalle truppe tedesche. L’opera non è un testo accademico. Si tratta, piuttosto, di un lavoro militante che si inquadra nella fattiva e coraggiosa partecipazione alla resistenza, da parte dell’autore, alla dominazione nazista.
Se si esclude Dostoevskij, e in parte Kierkegaard, che svolgono il ruolo di figure positive, i tre autori presi in considerazione nel volume, Feuerbach (e dietro di lui: Marx), Nietzsche, Comte, rappresentano i tre avversari del momento. Se la critica al marxismo risulta sfumata, per motivi facilmente comprensibili data la rilevanza della componente comunista nell’opposizione ai nazisti, quella a Nietzsche è manifestamente volta contro il neopaganesimo germanico, padrone della Francia.
Il libro assumeva, da questo punto di vista, un chiaro significato politico; era un’opera di “resistenza”, ideale innanzitutto, al compromesso delle menti e dei cuori, che il neopaganesimo, ateo e liberticida, chiedeva ai cristiani.
La nuova edizione di un testo classico di Henri de Lubac, nel quale l'autore analizza lo sviluppo dell'ateismo, attraverso la filosofia di grandi pensatori quali Feuerbach, Nietzsche, Comte e Dostojeskij.
HENRI DE LUBAC (1896-1991), gesuita e professore di Teologia fondamentale presso le Facultés Catholiques di Lione, è stato uno dei maggiori teologi del ’900. Per Morcelliana ricordiamo: Il pensiero religioso del padre Teilhard de Chardin (1965); La preghiera di Padre Teilhard de Chardin (1965); Teilhard de Chardin missionario del nostro tempo (1967); La Sacra Scrittura nella tradizione (1969); Pluralismo delle Chiese o unità della Chiesa? (1973). Un profilo dell’autore si trova in I. Morali, Henri de Lubac (Morcelliana, 2002).
IL TESTO DI Marie-Dominique Chenu qui presentato, dato alle stampe per la prima volta da Morcelliana nel 1963, nel pieno fermento del Concilio Vaticano II, esprime la presa di distanza del teologo dl modello di Chiesa costantiniana, intesa come complesso mentale, istituzionale e spirituale di lungo periodo. Il tentativo di ritrovare il primato della Parola soprattutto nello stile di vita radicale di Gesù fa di queste pagine un classico in grado di parlare alla Chiesa di oggi. La prospettiva dello storico, Mauro Pesce, mostra l'attualità e la pregnanza della riflessione di Chenu: uno sguardo sulle origini del cristianesimo, al di là delle opposte interpretazioni del Concilio come svolta o sostanziale continuità nella Chiesa.
Nuova edizione a cura di Giulio Colombi
DESCRIZIONE: «Ogni teorico dell’economia e della sociologia, per aver chiaro il valore dei princìpi sui quali pensa di dover costruire la sua teoria, dovrebbe domandarsi che cosa dicano la metafisica e l’etica intorno alla solidità delle sue idee. Cadranno allora molti preconcetti, anche sul medioevo, arrivando forse alla persuasione che gli Scolastici, e san Tommaso in particolare, non furono estranei ai problemi sociali ed economici; ché anzi, molti furono risolti da essi con una grande, persuasiva chiarezza. Per questo l’autore ha creduto che fosse opera utile l’esporre per sommi capi la dottrina tomistica del superfluo.
La dottrina di san Tommaso infatti, sia pur pensata e scritta da vari secoli, appare all’autore nella risoluzione degli odierni problemi sociali ed economici di grande vitalità, perché fondata su una sicura soluzione dei problemi metafisico ed etico».
(dalla Prefazione)
COMMENTO: Una sintesi molto chiara del concetto di superfluo come è presentato nell'opera di San Tommaso. Un'esposizione che aiuta a vedere la problematicità filosofica di un concetto del quale abbiamo esperienza quotidiana.
La Storia dell'età barocca di Benedetto Croce (del 1929) è assunta in questa ricerca come un prisma da cui si irradiano, da una parte, il metodo storico e lo storicismo di Croce, dall'altra i suoi ideali, politici e religiosi, e le prese di posizione, pubbliche e civili. Una relazione dialettica tra pensiero e azione che diviene il presupposto ermeneutico per decifrare il suo stesso modello storiografico: più che una filosofia della storia, storiografia che ha uno specifico filosofico, il quale, a sua volta, va compreso a partire dallo specifico storico in cui si è generato. Sostando sulla elaborazione crociana del concetto di Controriforma - come sistema di potere teocratico e dunque paradigma teologico-politico - il saggio fa luce sul dilemma cristianesimo/libertà al cospetto dell'età moderna.
Ernst Cassirer fu uno dei pochi intellettuali che, negli anni della Repubblica di Weimer, si espresse a favore della Costituzione della Repubblica: il testo qui tradotto è la trascrizione di questa sua presa di posizione pubblica, nel 1928. Vi si respirano gli ideali dell'illuminismo e della Bildung, come formazione del carattere e educazione morale, che furono fondamentali per il processo di assimilazione degli ebrei in Germania. Alla crisi della cultura, della politica e dello Stato di quegli anni queste pagine oppongono il ruolo attivo della filosofia: certo non la sola necessaria, eppure una forza decisiva, a partire dal richiamo alla ragione, non solo per spiegare a posteriori gli eventi, ma per comprenderli e orientarli nel loro corso.
La contrapposizione di religione e mistica schiera - come nota Fichte dogmatici e idealisti, gli uni difensori di una verità oggettiva, gli altri del libero procedere dell'intelligenza che incessantemente coglie la propria finitezza. Queste pagine - introiettando la lezione del mondo greco (Plotino), cristiano (Paolo e la patristica), e della teologia e filosofia tedesca (Eckhart, Silesius, Hegel) - vanno al cuore della problematica mostrando la dialettica interna tanto all'illuminismo quanto al cristianesimo: in entrambi ateismo è negazione di un Dio ridotto a idolo, ma è anche il movimento stesso della ragione e della fede che, riflettendo su questo paradosso, si spingono oltre. È il caso della grande tradizione mistica, qui ripresa e elaborata: un sapere e credere - per niente affatto "misterioso" - che non si oppone alla chiarezza della ragione ma rifiuta di annullare Dio asservendolo a "soggetto" o "oggetto"; una via che riconduce allo Spirito, in un distacco intellettuale prima che materiale. Spirito interpretato dall'autore come Logos universale: libertà, per ognuno, di disoccultare l'infinita apertura dell'essere, di Dio, che "è dappertutto e in nessun luogo".
Anche se così mai la nomina, la Shoah è protagonista della riflessione di Cohen, presa in esame rovesciando lo schema logoro della teodicea: il problema non è tanto dove fosse Dio durante lo sterminio degli ebrei - dunque la coesistenza fra Dio e male. In primo piano è piuttosto l'uomo e il rapporto con Dio dopo tale evento e, ancora, la dialettica fra libertà e ragione, il confronto fra il popolo ebraico e gli "altri": prevale una prospettiva antropologica. Il tremendum è in queste pagine abisso senza fine e insieme appello: porta in sé il senso della categoria coniata da Rudolf Otto per definire il Sacro - "l'irrazionalità nell'idea di divino" - ma è anche la somma provocazione rivolta alla religione al cospetto del XX secolo, ad esempio nell'Olocausto. Le domande che stanno al fondo di questo classico di teologia ebraica - il cui linguaggio sottilmente richiama le metafore della mistica ebraica (qabbalà) - sono così radicali da rivolgersi a ogni uomo, credente o non: un pensiero, e una simbolica di fede, che si interrogano sull'universalità del male nel mondo.
È possibile un dialogo fra laici e cristiani, e viceversa, oltre gli steccati delle ideologie? È questa la sfida della nuova Europa, dopo la caduta del Muro, e dei cristiani rimasti per troppo tempo ai margini della "cultura": una sfida presa sul serio in queste pagine. Non solo osservando il ritorno del sacro in un contesto secolarizzato - attestato dalla nuova attenzione per il patrimonio cristiano, la mistica e la Bibbia anche nel dibattito filosofico -, ma soprattutto traducendolo in una provocazione interna al cristianesimo stesso, che significa far proprie le domande dell'uomo nel mondo, riguardanti la sua storia e il suo destino (o, per chi crede, i Novissimi). Uno scambio tra fede e cultura in cui autentico antidoto al nichilismo e al fondamentalismo religioso per il cristianesimo non è l'arroccarsi in sé, quanto piuttosto interpellare ciò che è estraneo, credente o non, sui temi cruciali per la vita, che sempre più investono gli intricati rapporti fra biologia, scienza e tecnica.
DESCRIZIONE: La rinuncia al pontificato da parte di Benedetto XVI ha reso effettiva una possibilità astrattamente prevista dal Codice di Diritto Canonico: un evento che nel corso della storia si era verificato soltanto molti secoli prima. Alle origini della Chiesa e nel Medioevo si diedero alcune rinunce più o meno forzate ed esplicite, ma Celestino V, papa per pochi mesi nel 1294, era stato finora l’unico papa legittimo a essersi volontariamente dimesso. Se ancora fra ’300 e ’400 durante lo scisma e la crisi conciliare della Chiesa d’Occidente vi furono rinunce coatte, il consolidamento del potere papale nei secoli successivi rese inverosimile l’ipotesi di un’abdicazione del Sovrano Pontefice. Voci di dimissioni cominciarono a circolare nella seconda metà del ’900, a proposito di Pio XII, Paolo VI e Giovanni Paolo II.
Le rinunce al pontificato segnano una svolta nella storia della Chiesa. Secondo la fasulla profezia attribuita a san Malachia, a Benedetto XVI dovrebbe succedere un ultimo papa, detto semplicemente “Petrus Romanus”. Forse perché dopo di lui i cristiani potranno vedere una Chiesa diversa?
COMMENTO: Una brillante e rigorosa storia sul perché e come i Papi si dimettono. Dall'antichità a Celestino V, a Joseph Ratzinger, tra storia, spiritualità e politica. Un libro attualissimo per tutti.
ROBERTO RUSCONI è professore di Storia del cristianesimo e delle chiese all’Università Roma Tre. Membro della direzione della «Rivista di Storia del Cristianesimo», ha recentemente pubblicato Santo Padre. La santità del papa da san Pietro a Giovanni Paolo II (Roma 2010) e La gloria degli altari. I papi santi nella storia della Chiesa (Milano 2012).
In Élévation sur Marie Madeleine (1627), qui presentato in italiano da Domenico Bosco, Pierre de Bérulle nella lettura dei Vangeli percorre con Maria Maddalena le strade della Palestina a seguito di Gesù, tracciando la storia dell’anima della Santa attraverso i miracoli interiori che l’amore divino realizza in lei. Più che descriverne il volto, Bérulle ritrae questa donna nel suo essere “sempre in ricerca”: una ricerca che si muove nello spazio della mistica, tra l’incontro con Dio e la sua incommensurabilità, ed è anzitutto esperienza di un amore infinito.
COMMENTO: Da parte del mistico francese che fondò l'Istituto per l'oratorio francese, un'opera di alta spiritualità su Maria Maddalena.
PIERRE DE BÉRULLE (1575-1629), teologo e mistico francese, fu un protagonista intellettuale e religioso di intensa spiritualità agli albori dell’età moderna. Tra le sue opere si ricordano, oltre al Bref discours sur l’abnégation intérieure, il suntuoso Discours de l’état et des grandeurs de Jésus e la Vie de Jésus. San Paolo ha pubblicato, a cura di R. Boureau, Le grandezze di Gesù. Brani scelti (1998).
DOMENICO BOSCO insegna Filosofia morale all’Università degli studi di Chieti e Filosofia della religione all’Università Cattolica di Milano. Per Morcelliana ha curato anche: M. De Certeau, Sulla mistica (2010) e M. Blondel, Che cos’è la mistica? (2011).
Paolo De Benedetti
Teologia del debito di Dio
DESCRIZIONE: Biblista, direttore editoriale, marrano – tra i protagonisti del dialogo ebraico cristiano –, Paolo De Benedetti è qui letto come teologo: una teologia che, radicandosi nella tradizione rabbinica, fa del debito la categoria chiave per rendere conto dell’esperienza di Dio dopo Auschwitz. Debito di Dio verso gli uomini ma – ed è l’aspetto più sorprendente della riflessione debenedettiana – anche verso gli animali e ogni creatura vivente: ognuna in attesa di redenzione nel “mondo che verrà”. Teologia come disputa con Dio, interrogando la Torà, la letteratura talmudica e testi extra canonici, siano essi poesie, saggi o pagine di letteratura. Un gesto che fa di PDB il rabbi di Asti.
COMMENTO: Il pensiero del maggior ebraista italiano che ha elaborato una originale teologia del debito di Dio verso tutte le creature, dall'uomo, agli animali, all'ultimo filo d'erba.
A cura di Mattia Geretto
Testo francese e spagnolo a fronte
DESCRIZIONE: Gli scritti di Eugenio d’Ors in «cinquecento parole» sono talmente “geniali” da esser divenuti la cifra della sua produzione filosofica. Un genere dove il genio si manifesta in lampi brevissimi, o parole altamente poetiche, capaci di condensare in piccoli sistemi le più controverse questioni filosofiche, e non solo: la storia del mondo (1936), la filosofia (1941), l’igiene (1941) e, sinora inedita, l’angelologia. Sinossi così ricche da poter condensare in poche pagine l’intera parabola del pensiero occidentale. Nei due testi qui per la prima volta tradotti – un compendio all’opera maggiore Introducción a la vida angélica (1939) – la sua prospettiva sugli angeli è anche uno squarcio antropologico sulla condizione umana, che individua fra la dimensione del conscio, dell’inconscio e del subconscio, una «sovracoscienza» ove interviene l’assistenza dell’angelo: un luogo sub specie aeternitatis, appunto, dove storicità e eternità si incontrano.
COMMENTO: Un piccolo gioiello pressoché sconosciuto. Da parte del filosofo spagnolo, una riflessione - sintetizzata in 500 parole - sul tema degli angeli, che si affaccia in modo talvolta celato, talvolta problematico, nel pensiero del Novecento.
EUGENIO D'ORS I ROVIRA, intellettuale di origine catalana noto in Spagna come Eugenio d’Ors (1881-1954), ha lasciato una vasta opera filosofica. Tra i lavori di carattere estetico, tradotti in italiano: Del Barocco (SE, 19992); L’arte di Goya (Bompiani, 1948); Tre ore nel Museo del Prado: itinerario estetico (Pratiche, 1991)
DESCRIZIONE: L’autore di queste conversazioni non intende delineare una «teodicea», una «difesa di Dio» che lo scagioni dall’imputazione di volere la pena dell’uomo. Attraverso il filtro di una raffinata cultura letteraria, filosofica, teologica, il soggetto del libro diviene l’immediatezza, la semplicità sconcertante dell’esperienza di dolore che ora geme verso Dio, ora s’allevia nella pacata riflessione, in cui echeggiano i motivi più alti della spiritualità cristiana e religiosa in genere, ora si rifrange nello scintillio di colorite immagini dal sapore antico e rustico, ora sembra scherzare in battute di humour e di un’autoironia dolce-amara.
La figura di Francesco d’Assisi, emblematica della spoliazione, della rinuncia al potere, della riduzione al «vuoto», fa da controcanto alla sofferenza volontariamente accolta, che in modo paradossale muta queste negatività in valori; ma l’unica luce in cui tali esse appaiono è quella della Croce, del Dio che assume il dolore dell’uomo.
COMMENTO: Una delle più profonde riflessioni sul dolore - più volte ristampato - da parte del grande predicatore definito da padre Stanislaz Breton «uno dei più profondi autori cristiani del Novecento».
GIOVANNI ANTONIOLI (1917-1992) è stato parroco di Ponte di Legno e rettore di S. Maria in Esine (Brescia). Amico di Stanislas Breton, presso la Morcelliana ha pubblicato: Sentieri della legna (1984); Trattenimenti con Dio (1985); Il mio prossimo il mio paradiso (1986). Sull’autore si veda G. Colombi, Tra lo sgomento e la speranza. La meditazione sul dolore e la malattia nell’opera di Giovanni Antonioli, in «Humanitas» 3(1993).
L'esperienza religiosa di Paolo
La conversione, il culto, la politica
DESCRIZIONE: Le lettere di Paolo, collocatesi nel canone del Nuovo Testamento, assumono rilevanza per lo studio del cristianesimo: in esse a lungo si è scavato per comprendere la vita di Gesù e le successive controversie teologiche sulla sua figura. L’aspetto innovativo della ricerca di Mauro Pesce è considerare l’origine del cristianesimo come processo storico: l’attività paolina è osservata nella continuità fra giudaismo e cristianesimo primitivo e cogliendone l’identità plurima. Quanto vi è di “cristiano” e quanto di “giudaico” nella vita, nel pensiero, nella pratica religiosa di Paolo, e che cosa permane di quella realtà nei credenti di oggi? Gli elementi per rispondere si trovano nei momenti decisivi della vita di Paolo, qui presi in esame a partire dai suoi testi: che cosa si intende per conversione? Quale fu il suo culto? Che ruolo ebbe la politica? Una prospettiva storico-critica il cui esordio è nell’illuminismo moderno ma che – come mostra l’autore – condivide con religione e filosofia, talvolta inaspettatamente, il movimento dell’autoriflessione e ci consegna una lezione di metodo: dalla storia al cristianesimo e, daccapo, dal cristianesimo alla storia.
COMMENTO: Nel nuovo libro di Mauro Pesce, un ritratto inedito di Paolo come fondatore del cristianesimo, presentando i nuclei fondamentali della sua fede: la conversione, il culto, la politica.
A cura di Giovanni Santambrogio
Nuova edizione ampliata
DESCRIZIONE: Questo breve trattato sull’amore – in tutte le sue accezioni, da quella sensibile alle vette dell’estasi mistica – si colloca nell’ampia analisi compiuta da Josef Pieper sulle virtù, cardinali e teologali. Il testo, che si rifà tanto ai classici della filosofia e della teologia – Platone, Agostino, Tommaso d’Aquino, Francesco di Sales, Barth, Nygren – quanto alla psicanalisi del Novecento, da Freud ai suoi contemporanei americani, fornisce l’impianto architettonico della virtù e, al contempo, della persona umana. È un dialogo con il lettore stesso, che vedrà in queste pagine declinate le varie sfumature dell’amare – carnale, psicologica, spirituale – e insieme un ritratto del suo esser uomo e creatura di Dio. Pagine più volte riprese da Benedetto XVI, come preziosa esposizione della virtù in prospettiva filosofica e cristiana
COMMENTO: La riedizione di un classico di Pieper, autore di riferimento per papa Benedetto XVI: l'amore come virtù teologale e carità cristiana.
Il mito delle acque in Oriente
Tra filosofia e storia delle religioni
DESCRIZIONE: Il mito vedico della acque primordiali – che prende il nome dal dio Apām Napāt – non rappresenta solo la cosmogonia dell’origine del mondo, ma è la cifra della storia religiosa e culturale dell’Antico Oriente. Apām Napāt è un nume senza volto, una realtà senza consistenza, un essere senza identità, ma è anche l’anima del mondo, l’acqua da cui tutto nasce e a cui tutto alla fine ritorna. Costituisce il momento più alto di una visione di carattere simbolico e religioso, capace di mostrare la veridicità del mito nello spazio trascendentale che supera la scissione fra soggetto e oggetto, sacro e reale. Il mito è una narrazione che può essere diversamente interpretata – in chiave fenomenologica e ermeneutica – ma in esso è possibile sorprendere una validità universale che, nella prospettiva della storia comparata delle religioni, prende il nome di ciò che Rudolf Otto chiama senso – o apriori – religioso.
COMMENTO: Uno sguardo storico e interpretativo sui grandi miti delle origini in Oriente, in particolare il mito delle "acque primordiali" nei Veda, in una prospettiva di storia delle religioni comparate.
ALDO NATALE TERRIN, docente all’Istituto di Liturgia Pastorale di S. Giustina a Padova, ha pubblicato per Morcelliana: Il rito (1999); Mistiche dell’Occidente (2001); Religione e neuroscienze (2004); L’Oriente e noi (2007); La religione (2008); Religione visibile (2011) e ha curato, di R. Otto, Il sacro (2011).
Che cos'è la teoria della relatività? Quali modifiche ha causato sulle nostre concezioni di distanza, tempo, massa ed energia? Quali sono le sue conseguenze sulla geometria e sulla percezione dello spazio che ci circonda? A queste e altre domande prova qui a rispondere Charles P. Steinmetz, la cui opera è stata decisiva per la divulgazione di una teoria così poco compresa sino alla fine del secondo decennio del '900. In queste pagine, che riproducono quattro conferenze del 1922, con il rigore e la chiarezza dello scienziato ma anche con la singolare capacità di tradurre concetti complessi che fa di lui un fine comunicatore, riesce a condurre il lettore nel cuore di uno dei più importanti risultati del pensiero scientifico e filosofico.
Senso della miseria e saggezza fanno dei versi di Orazio un classico, la cui memoria è contesa fra "classicisti" e "romantici". A tali schieramenti non può, però, ridursi: nelle Odi (30-13a.C.) Orazio consegna a Roma un'opera degna dei Greci, in cui modelli di poesia ellenica sono armonizzati con il mondo dell'età augustea. Letture discordanti ne riflettono piuttosto la polimorfa poetica: cantare l'immagine pubblica della potenza di Roma ma coglierne anche la sfera privata, perlustrando l'enigma del tempo e della fragilità umana. Sono forse questi i temi, perenni come il fluire della storia, che consentono di afferrare l'invito del cantore del carpe diem ad appropriassi del presente.
La domanda filosofica "prima" è quella sull'essere che però si tramuta in domanda sul nulla: non sono proprio lo scomparire dell'essere, nella perdita, nella morte, e il suo apparire, nella nascita come ferita dell'essere che si impone sul niente, le dimensioni in cui è possibile afferrarne il senso? Dimensioni coglibili con immediatezza nell'esperienza estetica, quale luogo originario del sapere che si mostra in queste pagine sotto il nome di logos estetico.
Uno sguardo capace di uscire dal recinto della riflessione estetica per sorprendere la portata teoretica - e universale - dei suoi enigmi: il nulla, l'armonia, la libertà, l'incarnazione.
Il "saluto" è un'esperienza quotidiana, ma è anche parte della stessa essenza dell'uomo: il suo ingresso nel mondo, il suo “essere con gli altri", sin dall'infanzia è sancito da questo gesto elementare, pre-linguistico. Salutare, e ricambiare il saluto, è espressione del riconoscimento, sociale e affettivo.
I lineamenti per una fenomenologia del saluto si trovano nelle pagine di Massimo Giuliani, esplorando ciò che esso ha di persistente pur nella diversità dei modi e nell'oscillare dei significati: dall'essere in relazione al colmare una distanza, dal salutare per primi al congedarsi per sempre nell'ultimo saluto. Alcuni esempi, e un moltiplicarsi di riflessioni, in cui traluce la profondità di questo atto.
Sulle radici bibliche e rabbiche dello scalmo ("pace" e "bene") si sofferma Paolo De Benedetti, gettando luce sul nostro debito - talvolta impensato - verso la tradizione, nel senso ebraico della parola: ciò che si tramanda come in una catena.