Il "giallo" della rinuncia di Joseph Ratzinger al Soglio di Pietro si comprende solo addentrandosi nel mistero "Joseph Ratzinger". Un pontificato inedito il suo, da raccontare riannodando pensiero e azione di un gigante della teologia divenuto Papa. Un uomo dalla fede granitica che ha spogliato il papato di ogni mondanità rendendolo servizio alla Verità a ogni costo. Il vaticanista di lungo corso Giacomo Galeazzi, autore di bestseller internazionali sul Vaticano e gli ultimi tre papi, analizza, anche grazie a preziose testimonianze, l'originalità del percorso, dell'«umile operaio nella vigna del Signore» tra accademia, Concilio e Chiesa tedesca fino alla clamorosa abdicazione. Nel congedarsi dieci anni fa tenne a precisare che nella sua elezione a Papa c'era stato qualcosa che sarebbe rimasto "per sempre". Fino alla fine ha indossato l'abito bianco, ha firmato come «Benedictus XVI Papa emeritus», ha abitato nel recinto di San Pietro e si è fatto chiamare "Santità" e "Santo Padre". Solo la sua profetica morte, avvenuta nel giorno che la Chiesa da sempre consacra al ringraziamento per i benefici ricevuti nell'anno trascorso, ha sciolto l'ambiguità, terminando l'epoca inedita dei due papi che condividono fraternamente lo stesso spazio fisico (il Vaticano) e la medesima dedizione al bene supremo della Chiesa. Prefazione di Andrea Malaguti. Postfazione di Michele Pennisi.
La vita di Charles de Foucauld, nato a Strasburgo nel 1858, fu guidata dall'irrequietezza: quella del giovane alla ricerca del piacere, poi del viaggiatore assetato di conoscenza e infine del convertito che non cessa d'interrogare la propria fede e di metterla alla prova nel mondo. Michel Carrouges - poeta e studioso del surrealismo, un'altra figura di cristiano inquieto - ne scrive la biografia scegliendo lo stile piano della pura evidenza dei fatti: una radicale testimonianza d'amore in forma di romanzo d'avventure. L'ateo Charles combatte in Algeria e compie importanti spedizioni geografiche in Marocco, ma un'inquietudine più profonda lo porta a intraprendere un lungo cammino di conversione, dal pellegrinaggio in Terra Santa fino al definitivo ritorno in Africa. Qui il «fratello universale» studia la lingua e la cultura tuareg, fonda un eremo e si oppone alle violenze dei predoni, che lo uccideranno di fronte alla sua casa nel 1916. Nell'incontro di misticismo e azione, la voce di fratello Charles, santificato nel 2022, è diventata più forte. Milioni di fedeli testimoniano oggi quanto sia vasta l'eredità di questa vita estrema e di questa morte solitaria.
"Figli della colpa, concepiti fra parrocchie e conventi. Nascite occulte, frutto di relazioni proibite e perfino di violenze sessuali. È un esercito, sparso per il mondo, formato da "irregolari". Chi sono? Quanti sono? Migliaia o forse decine di migliaia. Centinaia in Italia. Cifre approssimative, raccolte da associazioni impegnate a svelare un fenomeno antico e sommerso, che travolge la regola (contestata) del celibato e i voti di castità, vigenti nella Chiesa Cattolica Romana. Più che le statistiche qui interessano le vite difficili dei protagonisti: figli di preti, per lo più. E di monache che, forzatamente o non, hanno ceduto ai desideri di maschi prepotenti. Persone segnate nel profondo, spesso psicologicamente fragili, inseguite dalla vergogna delle proprie origini. Ma in queste pagine vi sono anche figli che hanno superato il trauma. Combattivi, a testa alta rivendicano verità e diritti. Di più: alcuni di loro si mostrano orgogliosi nell'affermare "mio padre è un sacerdote"." Prefazione di Ernesto Miragoli. Postfazione di Lucetta Scaraffia.
Il libro affronta il tema del rapporto tra la Chiesa ed il fenomeno della criminalità organizzata. Esso viene sviscerato partendo dall'analisi dei pronunciamenti offerti dai Pontefici e dai Vescovi sulla piaga delle mafie, evidenziando come, seppur a tratti in modo faticoso, la denuncia ecclesiale si sia gradualmente affermata fino ad essere ai giorni nostri incontrovertibile, con l'attestazione della totale incompatibilità tra l'appartenenza cristiana e quella mafiosa. Da tale constatazione, con particolare riferimento alla "scomunica" di Papa Francesco in Calabria del 2014, si cerca di appurare quali concreti provvedimenti tale denuncia abbia generato, per rilevare l'assenza di una vera norma penale canonica che colpisca i fedeli mafiosi. Si prospetta perciò il percorso da seguire per giungere ad un possibile intervento normativo canonico, cosa potrebbe motivarlo a partire dalla grave condotta morale degli aderenti alle mafie e quale ne sarebbe la finalità.
Al momento della sua morte nel 1984, all'età di cinquantotto anni, Michel Foucault si era affermato come una delle menti più brillanti del Ventesimo secolo. Per scrivere la biografia definitiva del grande filosofo, Didier Eribon ha attinto alle interviste che gli aveva fatto personalmente e ai resoconti dei testimoni più vicini a Foucault in tutte le fasi della sua vita: la madre, gli insegnanti di scuola, i compagni di classe, gli amici e nemici nella vita accademica e i celebri compagni di attivismo politico, tra cui Gilles Deleuze e Yves Montand. Eribon ha ripercorso le orme del suo soggetto peripatetico, dalla Francia alla Svezia alla Polonia, dalla Germania alla Tunisia, dal Brasile al Giappone, fino agli Stati Uniti. Il risultato è una narrazione che ci avvicina alla verità sulla vita del pensatore che si sostituì a Sartre nel ruolo dell'intellettuale parigino e cosmopolita. E ci spinge a considerare seriamente l'idea che tutti i suoi libri siano davvero, proprio come Foucault disse alla fine della sua vita, "frammenti di un'autobiografia". Una grande narrazione di vita e di pensiero, che ricostruisce il dibattito internazionale culturale, politico e intellettuale dal Dopoguerra alla fine del Novecento. È la storia di un uomo e del suo secolo.
Tra il 1817 e il 1837 il mondo fu flagellato da una pandemia di colera, malattia fino a quel momento sconosciuta, che la scienza medica si rivelò impreparata ad affrontare. Morbo implacabile, dal decorso velocissimo, la sua diffusione fu favorita dall'organizzazione della società dell'epoca, caratterizzata da infrastrutture arretrate (servizi igienici, fognature, acquedotti) e dallo sviluppo dei traffici a livello mondiale. Subito interpretato come una nuova peste, il colera riaccese quella psicosi fatta di disperata volontà di resistenza, rassegnazione, rabbia e angoscia di fronte all'inesorabile aggressività della morte, che si era radicata nell'inconscio collettivo durante le pestilenze dei secoli precedenti, e che nell'Ottocento sembrava del tutto rimossa. Il libro ricostruisce gli eventi dell'epidemia che colpì violentemente Roma nel 1837, facendo ricorso ad autentici documenti del tempo: lettere, memorie, atti ufficiali delle istituzioni, cronache, articoli e testi letterari.
Molti dei testi che introducono alla filosofia hanno un carattere storico. In questo volume, invece, l'autore segue un percorso tematico, attraverso l'esame e la lettura di diversi nodi concettuali (l'essere e la libertà, il male e la giustizia, la coscienza e la verità) che hanno accompagnato il pensiero dell'uomo attraverso i secoli. Il concetto, in filosofia, è una rappresentazione razionale di una realtà complessa, potenzialmente infinita, e nasce quando si pensa essa nella sua totalità, quando si ragiona secondo il tutto. Questo libro è dunque un approccio all'esercizio del pensiero critico sui temi più importanti della filosofia, per coglierne l'importanza e concettualizzarli, al fine di imparare a ragionare meglio e affinare quegli strumenti necessari a leggere la complessità, argomentando in modo corretto ed efficace il proprio pensiero.
Alighiero Tondi, professore gesuita della prestigiosa Università Pontificia Gregoriana, nell'aprile del 1952 abbandona improvvisamente la Chiesa per entrare nel Partito Comunista Italiano. La sua clamorosa abiura, che tanto scalpore suscitò nell'opinione pubblica, è da sempre rimasta avvolta da un alone di mistero. Chi era realmente Tondi? Quali ragioni stavano dietro la decisione di aderire al marxismo, di predicare l'infondatezza della religione, di scrivere libri controversi che denunciavano le infiltrazioni in Vaticano da parte dell'estrema destra portandolo a diventare un acclamato tribuno che infiammava le piazze italiane? Ma i misteri su Tondi non finiscono qui. Negli anni Sessanta il Partito Comunista lo emargina completamente, abbandonandolo a se stesso, senza fornire alcuna spiegazione. Una situazione inaspettata che lo conduce ad un lungo periodo di riflessione che si conclude con un nuovo colpo di scena: il ritorno al sacerdozio. L'autore ricostruisce l'enigmatico ingresso nel Pci del 1952 e le successive rocambolesche vicende.
La vicenda dei Longobardi ebbe un impatto decisivo sulla storia italiana. La loro influenza fu duratura nelle istituzioni, negli usi e nel diritto, e il loro retaggio si può percepire nella lingua che parliamo e nei monumenti che costruirono, alcuni dei quali dal 2011 sono inclusi nel Patrimonio Mondiale dell'Unesco. La loro fu un'invasione improvvisa e violenta o una migrazione progressiva? Si trattava davvero di una stirpe granitica e vicina alla "barbarie primitiva", o di un popolo che seppe adattarsi e trasformarsi "sul campo"? Rappresentando una sintesi tra eredità classica e nuovi apporti "barbarici", i Longobardi risultarono decisivi come "ponte" tra Mediterraneo e nord Europa e si fecero protagonisti dei cambiamenti geopolitici che, agli albori del Medioevo, hanno costituito la base per la formazione della futura identità del Continente. Questo libro ripercorre l'epopea longobarda in maniera accessibile, alla luce di aggiornate acquisizioni del dibattito storiografico e di recenti ritrovamenti archeologici.
Gli otto giorni che passano tra il suicidio di Hitler e la resa della Germania sono tormentati da due chimere: la catastrofe violentissima della fine dell'impero e l'invasione simultanea di due nemici - con i russi più minacciosi degli alleati atlantici. Diari e lettere danno una voce ai numerosi protagonisti di questa raffica di eventi: Hitler e Eva Braun, i Goebbels, il nuovo Führer Dönitz, che fa durare la guerra una settimana in più, fino a Marlene Dietrich, che cerca sua sorella a Bergen-Belsen travestita da ufficiale americano. Un grande racconto romanzesco della settimana più importante della Seconda guerra mondiale. Gli ultimi giorni sono quelli decisivi: la spartizione della Germania tra Oriente e Occidente sarà la stessa che dividerà il mondo. La Guerra fredda è già cominciata. Con il nuovo libro di Volker Ullrich si rivivono gli orrori della guerra e il paradosso del suo epilogo: non è più possibile distinguere tra vittime e carnefici. È una storia che ci riguarda da vicino, perché su quella distruzione comincia la nostra epoca. Come dice Maximilien Aue, il protagonista delle Benevole: "Non mi sono più mosso prima della parola 'fine'."
Non è un caso che siano le donne a scandire, con la loro determinazione, la grande lotta del movimento ecologista e a offrire un punto di vista diverso, che forza le gabbie concettuali in cui ci siamo mossi per troppo tempo. Malgrado il potere crescente degli spacciatori di egoismo, malgrado i negazionisti, ancorati a un passato che ha già saccheggiato presente e futuro, sembra che stia scorrendo sotto traccia, inarrestabile, un'energia nuova: una consapevolezza verticale, finalmente, che mette nelle mani di ciascuno la responsabilità di riprendere le redini del mondo, "prima del diluvio". Questo libro parla della fiaccola che brilla nelle mani di Greta e di alcune delle donne che l'hanno tenuta accesa fino ad ora, impedendo a forze apparentemente invincibili di spegnerla. Si parte da Rachel Carson, la donna che sconfisse le multinazionali del DDT, passando per la premio Nobel Wangari Maathai, l'instancabile attivismo di Jane Fonda, fino alla mobilitazione generata da Alexandria Ocasio-Cortez e Greta Thunberg, in un'alleanza intergenerazionale tra donne che non smettono di combattere per difendere il pianeta.
La storia dei Florio, prestigiosa famiglia siciliana del secondo Ottocento e dei primissimi anni del Novecento, con collegamenti con i più alti vertici della finanza e dell'industria internazionale e rapporti con regnanti di tutta Europa, è espressa molto bene dal sarcastico aforisma degli americani nei confronti di quelle famiglie di immigrati «che iniziarono in maniche di camicia e, nel corso di tre generazioni, si ritrovarono in maniche di camicia». È purtroppo così! Oggi il loro nome in Italia e all'estero è ricordato soltanto da una marca di liquori e da una corsa automobilistica su strada, la Targa Florio, tra le più antiche d'Europa. Ma per l'immaginario collettivo siciliano e meridionale in genere i Florio da tempo sono entrati nella leggenda e nel mito. Rappresentano gli uomini simbolo delle capacità imprenditoriali del Sud, i tempi nostalgicamente sempre rievocati in cui anche al sud fiorivano iniziative industriali vincenti. Allora, nella seconda metà dell'Ottocento, il nome Florio equivaleva nel campo della navigazione mercantile a quelli, nei decenni successivi, degli Agnelli nell'industria automobilistica o di Berlusconi nel settore televisivo. Ed era noto in Italia e all'estero, perché i loro cento piroscafi solcavano tutti i mari del mondo e i loro prodotti (vini e tonno in scatola) conquistavano i mercati italiani e stranieri. Cancila ricostruisce le vicende della famiglia Florio da storico, senza nessuna concessione agiografica né indulgenza regionalistica, ma con rigore scientifico e rifuggendo da interpretazioni romanzesche. E tuttavia, sebbene si avvalga di una ricchissima documentazione d'archivio, più che un'opera storica, la sua sembra la storia romanzata di una famiglia, una favola antica cui manca soltanto il lieto fine.
Rocco Petrone fu il direttore del lancio dell'Apollo 11 da Cape Kennedy il 16 luglio 1969: l'uomo del «go» alla missione che avrebbe portato i primi uomini sulla Luna. Figlio di contadini lucani che avevano cercato fortuna in America, era nato a Amsterdam, New York, nel 1926. Non aveva ancora sei mesi quando il padre morì in un terribile incidente, travolto da un treno. Lo attendeva una vita di sacrifici ai quali non si sottrasse. Imponente nel fisico e vivace nell'intelligenza, si pagò gli studi lavorando. A diciassette anni fu ammesso all'Accademia militare di West Point, dove fece parte della squadra vincitrice del campionato nazionale di football. Diventato ufficiale dell'esercito americano, completò gli studi al Massachusetts Institute of Technology e divenne uno dei maggiori esperti di missili e rampe di lancio. Voluto alla Nasa da von Braun, lavorò alla costruzione del Saturno V e della mitica rampa di lancio 39 da cui partirono gli astronauti verso la Luna. Poi fu promosso direttore del programma Apollo e, al culmine della carriera, divenne il numero tre della Nasa. Mori a ottant'anni a Palos Verdes Estates, una cittadina costiera della California, dove si era ritirato per dedicarsi ai suoi amati studi sulla guerra civile americana. Prefazione di Tito Stagno.
James Schwarzenbach, cugino della scrittrice Annemarie Schwarzenbach, è un editore colto e raffinato di Zurigo. La sua è una delle famiglie industriali più ricche della Svizzera. A metà degli anni Sessanta entra a sorpresa in Parlamento a Berna, unico deputato del partito di estrema destra Nationale Aktion. Come suo primo atto promuove un referendum per espellere dal Paese trecentomila stranieri, perlopiù italiani. È l'inizio di una campagna di odio contro i nostri emigrati che durerà anni, e che sfocerà nel voto del 7 giugno 1970, quando Schwarzenbach, solo contro tutti, perderà la sua sfida solitaria per un pelo. Com'è stato possibile? Cosa ci dice del presente questa storia dimenticata? E come si spiega il successo della propaganda xenofoba, posto che la Svizzera dal 1962 al 1974 ha un tasso di disoccupazione inesistente e sono proprio i nostri lavoratori, richiamati in massa dal boom economico, a proiettare il Paese in un benessere che non ha eguali nel mondo? Eppure Schwarzenbach, a capo del primo partito anti-stranieri d'Europa, con toni e parole d'ordine che sembrano usciti dall'odierna retorica populista, fa presa su vasti strati della popolazione spaesata dalla modernizzazione, dalle trasformazioni economiche e sociali e dal '68. Fiuta le insicurezze identitarie e le esaspera. "Svizzeri svegliatevi! Prima gli svizzeri!" sono i suoi slogan, mentre gli annunci immobiliari specificano: "Non si affitta a cani e italiani". In una serrata inchiesta fra racconto e giornalismo, Concetto Vecchio fa rivivere la stagione dell'emigrazione di massa, quando dalle campagne del Meridione e dalle montagne del Nord si andava in cerca di fortuna all'estero. E in un viaggio nella memoria collettiva del nostro Paese, nell'Italia povera del dopoguerra, raccoglie le voci degli emigrati di allora e sottrae all'oblio una storia di ordinario razzismo di cui i nostri connazionali furono vittime.
Questa è la storia di Ugo Forno, il martire dodicenne romano del ponte dell’Aniene, una via di comunicazione essenziale per permettere l’avanzata degli Alleati. In quel 5 giugno 1944 il piccolo Ughetto non esitò ad esporsi senza protezione contro il nemico nazista che si stava allontanando, a predisporre addirittura un piano d’azione. Tutto questo a dodici anni. Dunque non c’è un’età per ottenere quella consapevolezza che ti porta a scelte definitive. Così come non c’è età per scoprire in te stesso la passione per una fede o, al contrario, la tendenza all’opportunismo. Ciò che più colpisce nell’ultima giornata di Ugo Forno è la perfetta comprensione della complessità, e soprattutto dell’irripetibilità, del momento storico che sta vivendo, e di cui diventa straordinario protagonista senza un attimo di esitazione. Questa biografia andrebbe diffusa nelle scuole medie e in quelle superiori: proprio per raccontare che se la capitale d’Italia venne liberata dall’occupazione nazista lo si deve anche al puro eroismo di un ragazzo di dodici anni. In tempi in cui l’immaginario dei ragazzi si nutre di realtà virtuali e di fiction, a vari livelli tecnologici, offrire una testimonianza di vita e di morte autentiche è un regalo per il futuro delle nuove generazioni, e per una loro autentica crescita civile.
"La spugna d’oro" è il frutto di una ricerca durata dieci anni tra gli archivi siciliani e alcune tra le più importanti biblioteche europee, in particolare la BNF di Parigi.
L’autore arriva a delineare l’oggetto sfuggente del suo studio solo dopo aver percorso una lunga - e non frequentata - strada, quella della storia politica della Sicilia. Tutto comincia con un sovrano, Federico III d’Aragona, che nella turbolente fase post-Vespri per mantenersi al potere è costretto ad offrire ai feudatari siciliani buona parte delle competenze e dei beni che appartenevano alla corona: da qui comincia una dinamica di continuo logorio del potere centrale da parte dei poteri periferici rappresentati dai feudatari, legittimati dalle ‘costituzioni’ di Federico, i quali diventano (e permangono nel corso di secoli) signori assoluti di buona parte del territorio isolano. In Sicilia nasce quindi una pratica politica che non si trova da nessun altra parte, in cui al centro del confronto pattizio tra la classe dirigente locale e il sovrano (che dal 1400 circa in poi risiederà fuori) c’è il demanio regale: si verifica il paradosso di sovrani che nel parlamento siciliano - il luogo di ogni compromesso pattizio - mettono in vendita parte dello ‘Stato’ per avere il denaro che consenta loro di riacquistarne parti vendute precedentemente. In Sicilia si sviluppa un’ideologia originale che l’autore chiama con un neologismo nazionalautonomismo, che consiste in una concezione flessibile della nazione che è tale solo nella misura in cui garantisce pattiziamente le prerogative autonomistiche, cioè gli interessi dei potentati locali. Nel meccanismo di funzionamento e di riproduzione del sistema vicereale-parlamentare che per secoli governa l’isola, un ingranaggio essenziale era costituito da quelle strutture adibite alla violenza e al controllo dell’ordine pubblico, con una storia tutta a sé stante di Palermo, centro della dinamica pattizia da cui partivano e in cui confluivano le diramazioni politico-amministrative-economiche dall’intera isola. La fine del parlamento nel 1816 crea un vuoto che viene riempito dalla polvere del crollo delle suddette strutture che nel corso dell’Ottocento si rideposita creando un nuovo aggregato: la mafia. Un aggregato composto da una strana caratteristica mistura di vecchio, anche molto vecchio, e nuovo.
Chi era veramente Rita Levi-Montalcini? Una visionaria dotata di ferrea volontà per affrontare il presente sognando il futuro, oppure una tessitrice di rapporti che per sbarazzarsi dei condizionamenti ambientali era disposta a trascurare chiunque si frapponesse tra lei e suoi obiettivi? Per capirla occorreranno forse decenni. Rita nacque in un periodo senza telefoni, televisione, aerei, computer, sanità pubblica, voto alle donne, pensione. Morì quando tutto quanto citato era stato raggiunto. Ma lei in 103 anni di vita conquistò il Premio Nobel per la Medicina, divenne senatrice a vita, incontrò papi, presidenti degli Stati Uniti e della Repubblica Italiana, re, regine, capi di governo di mezzo mondo. Una scienziata tenace, ma pure una donna, capace di tenerezze ripetute come raccontano molti episodi di questo libro.
Come mai la corruzione ha così lunga vita nella storia del nostro paese? Come mai resiste ad ogni epoca e ad ogni regime politico? Come mai in questo campo non si riesce a trovare niente di veramente dissuasivo, niente che provi ad estirparla nel costume, nel comportamento, nell’atteggiamento degli attori coinvolti?
Come mai questo tratto di continuità nella storia d’Italia, questo elemento costante, capillare, quasi costitutivo del funzionamento delle istituzioni nel nostro paese, non si riesce ad interromperlo? Perché ciò che è accaduto nel passato continua ad accadere oggi? A queste domande, ricostruendo alcuni dei principali scandali dal 1861 ad oggi, provano a rispondere gli autori di Storia dell’Italia corrotta partendo dal presupposto che non c’è altro comportamento criminale che scardina di più la percezione dello Stato e ne distrugge credenza e legittimazione, al punto da definirlo “reato di corrosione e di fragilità di Stato”, perché commesso da rappresentanti dello Stato su funzioni e compiti dello Stato. La corruzione per gli autori “ha assunto nel corso della storia italiana essenzialmente il volto delle istituzioni”, non è dunque un problema della morale singola del cittadino ma della concezione dello Stato di una parte delle classi dirigenti del paese, che hanno reso l’abuso e la profittabilità del loro potere un fatto consuetudinario e diffuso, una normale modalità di esercitare la funzione politica, burocratica e imprenditoriale. Si potrebbe quasi parlare di “banalità” della corruzione in Italia.
"Alla svolta dell'8 settembre, gli italiani vedono abbandonata in strada una divisa che è unica, anche se ha gli stessi colori e la stessa foggia di quella dei militari che se ne disfano per tornare a casa nel caos della mancanza di ordini. È una divisa che ripete e incorpora tutte le divise dell'esercito italiano e che conferisce loro il senso e la forza della sovranità statale. È la divisa del 're-soldato', che viene simbolicamente gettata sulla via Tiburtina dal finestrino della Fiat 2800 in precipitosa fuga verso l'Adriatico. Simbolicamente perché il re continua a indossarla anche a Brindisi, ma a quel punto, malgrado l'identità di fattura, non è più la stessa divisa: la divisa del re che fugge ha preso per sempre il posto di quella del re che combatte." La Resistenza, sin dai suoi inizi, è anche una guerra per la sovranità. Una guerra combattuta singolarmente da ciascun partigiano per evitare che il vuoto di potere lasciato dall'8 settembre sia occupato dalla Germania nazista. Se si guarda all'eredità della Resistenza nella Costituzione solo attraverso le lenti dei grandi partiti, il rischio è quello di dimenticare l'esperienza costituente delle bande partigiane come costellazioni di singoli sovrani. Perché la Costituzione repubblicana è il risultato di singoli processi storici e giuridici che investono un arco di tempo più vasto di quello dell'Assemblea costituente e gli ordinamenti creati nel territorio dalle bande partigiane, le zone libere e le repubbliche sono tutte esperienze dirette a creare un nuovo ordine costituzionale. Con l'aiuto di un archivio di memorie e testimonianze, Giuseppe Filippetta racconta le scelte e le avventure di chi, dopo l'8 settembre 1943, intraprende, per dirla con Calvino, la "rifondazione di sé che si attua a partire da uno stato primitivo, fuori dalla società" e costruisce con coraggio, sofferenza e magari anche un po' di ingenuità le fondamenta di uno stato non più fascista.
Personaggio fascinoso, che la letteratura ha contribuito a mitizzare, Costanza d'Altavilla, regina di Sicilia e imperatrice del Sacro romano impero, deve molta della sua fama al figlio, quel Federico II protagonista, nel duecento, delle lunghe e sanguinose lotte fra impero e papato. La sua storia è carica di tanti interrogativi e di altrettanti misteri ai quali, anche per pregiudizi ideologici, si sono date delle risposte spesso approssimate. A tali interrogativi e ai relativi misteri l'autore, seguendo un rigoroso percorso di ricerca, in questa biografia offre delle risposte e delle chiavi interpretative che ci restituiscono un'immagine nuova e non convenzionale di una donna, tradizionalmente raccontata come capace di dominare gli eventi ma, in realtà, estremamente fragile che, suo malgrado, è stata costretta a essere attore non secondario della storia del Meridione d'Italia.
“Mio padre era un maresciallo dei Carabinieri. Sono cresciuto con l’uniforme a bande rosse dell’Arma e ritrovo sempre i valori con cui sono cresciuto e che sono stati alla base della mia educazione: la serietà, l’onestà, il senso del dovere, la disciplina, lo spirito di servizio”. Sergio Marchionne, dall’ultimo intervento pubblico, consegnando una Jeep all’Arma dei Carabinieri il 27 giugno 2018.
Questo libro racconta i quattordici anni di Marchionne alla Fiat. Conti in rosso, modelli vecchi, ma soprattutto una crisi di identità che si faceva sempre più profonda, un’azienda “tecnicamente fallita”. Marchionne è riuscito a invertire la tendenza, ha giocato una vitale partita con General Motors, ha conquistato la Chrysler con l’appoggio di Obama senza tirar fuori un quattrino, ma ha anche ingaggiato un duro braccio di ferro con la Fiom, messo in garage lo storico marchio Lancia, ha venduto il quotidiano La Stampa e spostato la sede legale del gruppo all’estero. Il suo operato ha segnato la storia della Fiat e del mondo automobilistico. Ha scommesso sulla globalizzazione, facendo parlare inglese tutta l’azienda. Un manager duro, esigente, ma anche visionario come pochi al mondo. Un uomo capace di slanci emotivi improvvisi, come raccontano i tanti episodi riportati in questo libro.
Prefazione di Otello Lupacchini
La 'ndrangheta è un "elemento costitutivo della società calabrese"; le famiglie di 'ndrangheta sono cellule della società e, come tali, respirano la stessa aria. Sono cellule malate, però, che si nutrono della parte sana della collettività, dissanguandola. La forza della 'ndrangheta sta nell'omertà, nella capacità di impedire che si parli della crudeltà e della prepotenza che la costrddistinguono. Il silenzio, a volte determinato dalla paura, altre volte dalla indifferenza o, ancora, dalla vicinanza, ne ha consentito diffusione e consolidamento anche al di fuori dei confini nazionali. È la forza della parola, il coraggio di denunciare, che potrà distruggerla. Le parole fanno paura, ecco perché un capo, Pantaleone Mancuso, atterrito, perde il controllo, nel corso di una udienza in cui è imputato e urla al suo Pubblico Ministero: «Fai silenzio, fai silenzio, fai silenzio ca parrasti assai, hai capito ca parrasti assai, fai silenzio ca parrasti assai.» Espressione dello stato d'animo di un boss che comprende che il muro che ha costruito per la protezione sua e della sua famiglia sta per essere infranto dal coraggio di chi usa la parola.
Milano, nel secolo XVIII, era austriaca e illuminista: vi convivevano, infatti, le riforme dell'imperatrice Maria Teresa e i fermenti culturali dei fratelli Verri e Giuseppe Parini. È in questa città che Maria Gaetana Agnesi, figlia di un facoltoso mercante di seta, dimostra sin dall'infanzia notevoli capacità di apprendimento che si dimostreranno strabilianti nel prosieguo della sua vita. Questa biografia svela la natura di una donna non solo precorritrice dei tempi, ma forte e ostinata nel perseguire il suo personale ideale di vita tra le meschinità aristocratiche e le miserie dei ceti popolari. Da questo ritratto Maria Gaetana Agnesi risulta essere non solo una delle più grandi matematiche di tutti i tempi, ma anche una donna a cui guardare come modello.
David Ben Gurion ripercorre in questo libro, pubblicato nel 1963 dopo le dimissioni da primo ministro, il cammino che, dalle audaci iniziative dei giovani pionieri nella Palestina di inizi Novecento, porto alla fondazione e ai primi travagliati anni di vita del nuovo Stato. Attivista, statista, leader militare, tutti gli aspetti dell'instancabile attività del "padre della patria" emergono in un racconto che e anche il bilancio di una vita dedicata alla causa sionista. Continui richiami biblici inquadrano le vicende contemporanee nella millenaria storia del popolo ebraico. Un acuto e imprescindibile punto di vista del protagonista di quegli anni cruciali sulla sfida che, allora come oggi, caratterizza la storia d'Israele.
Chicago, 1893. La Città Bianca, sede dell'Esposizione mondiale colombiana, nell'anniversario dei quattrocento anni della scoperta dell'America. Gli Stati Uniti proclamano al mondo la loro volontà di potenza e il cammino che hanno fatto in poco più di un secolo di storia. Il giovane Frederick Jackson Turner sale al podio per esporre la sua relazione su "Il significato della frontiera nella storia americana". Nello stesso momento Buffalo Bill, il cui nome è già diventato sinonimo di cowboy, si sta esibendo nel suo spettacolo grandioso e popolarissimo, il Wild West. Quello che hanno in comune l'uomo di spettacolo e il giovane ricercatore che fonda su una nuova base l'interpretazione della storia nazionale è la celebrazione della raggiunta grandezza degli Stati Uniti. Bruno Cartosio parte da qui per ripercorrere i fatti della "conquista del West" e raccontarne miti e rappresentazioni. Indaga la vitalità del mito e la sua capacità di assorbire contraddizioni, passi falsi, bugie e, in ultima analisi, di dare forma a un pezzo di storia americana e mondiale. È un viaggio caleidoscopico, compiuto cercando di separare realtà e leggenda, ma al tempo stesso rivelandone gli intrecci e le interdipendenze. Con sguardo critico, Cartosio mostra come la costruzione ottocentesca del mito, poi esportato in tutto il mondo dai western di Hollywood, abbia forgiato l'identità americana, accompagnando e spesso coprendo con la maschera dell'avventura le realtà della violenza anti-indiana, della vita dura di singoli e famiglie, della conquista e dello sfruttamento rapinoso delle risorse di una terra ricca e generosa.
"Il male inutile" raccoglie le testimonianze di guerra di un reporter "di lungo corso", inviato speciale e corrispondente in molte aree difficili del pianeta. Tragedie che troppo spesso, nel frenetico flusso mediatico dell'informazione, vengono rapidamente e colpevolmente archiviate, anche se si collocano dietro l'angolo dell'attualità e della storia. Guerre e massacri dimenticati trovano in questo libro una nuova attualità, nello sguardo lucido ma anche compassionevole e partecipe del giornalista-testimone, che pagherà anche un prezzo personale inevitabile ai drammi che deve raccontare. Prefazione di Janine Di Giovanni.
Ottobre-novembre 1917, dodicesima battaglia dell'Isonzo, disfatta di Caporetto. Di quel tragico momento sente l'eco il giovane ufficiale medico Filippo Petroselli, appena trasferito con il suo reparto a Bassano del Grappa. «Non dite - avverte - che il soldato italiano ha tradito.» E nelle sue memorie ammonisce: «Ricordatelo! La guerra non purifica. È una menzogna! La guerra è una melma che tutto copre e imputridisce». Già in Libia con gli alpini, Petroselli ama la «santa immagine della patria». Ma è intriso di spirito cristiano, e in lui amor di patria e pietà per il costo umano della Grande Guerra si confondono in una lettura critica degli eventi. Scritte nel 1920-21, le sue memorie antiretoriche, talvolta ironiche, talvolta cupe, sempre realistiche, aprono uno spaccato sul clima culturale italiano del travagliato secondo decennio del Novecento. Risorgimentale "riluttante", formatosi in un ambiente familiare e sociale clericale, il primo conflitto mondiale è stato per Petroselli l'«inutile strage» di Benedetto XV.
La storia dell'Italia repubblicana comincia nel caos. La fine della guerra ha lasciato dietro di sé un paese logorato e diviso, ma soprattutto ha fatto emergere le fratture di lungo periodo che il fascismo aveva oscurato a colpi di propaganda e di retorica nazionalista. Nel 1945 il paese è costretto a fare i conti con le profonde differenze che lo attraversano da nord a sud. C'è uno squilibrio economico, infrastrutturale e demografico, ma anche una forte contraddittorietà nel modo di reagire alla fine del conflitto: la guerra non è stata vissuta da tutti allo stesso modo. Chi si muove con energia, come gli operai del Nord, che dopo il rapporto con il Pci consolidato durante la guerra vogliono impadronirsi delle fabbriche, abita di fianco a chi torna da reduce e si ritrova improvvisamente senza riferimenti e senza lavoro. Dopo "La Resistenza perfetta", Giovanni De Luna sottopone i primi anni di vita della Repubblica italiana a un'indagine acuta e rigorosa. Cominciando con una domanda: è vero che la Resistenza aveva sostanzialmente fallito "l'occasione storica" di rinnovare profondamente le strutture portanti del paese? Per dipanare la complessità di questo periodo decisivo, De Luna costruisce una narrazione corale, fatta delle voci di una grande galleria di testimoni, a partire dalla storia personale di chi torna dalla guerra o va a cercare fortuna negli Stati Uniti, fino ai grandi scenari della politica, che hanno per protagonisti Alcide De Gasperi, Palmiro Togliatti, Ferruccio Parri e Pietro Nenni. E ci costringe a riflettere sulla nostra identità e sul nostro passato, spingendoci a fare i conti con uno dei capitoli più difficili, ma anche appassionanti, della nostra storia nazionale.
Nel 1995 un generale boliviano rivela a Jon Lee Anderson che il corpo del Che è stato sepolto segretamente in una fossa scavata sotto la pista di atterraggio di Vallegrande, in Bolivia. La notizia, uscita poco dopo sul "New York Times", dà inizio alla ricerca del corpo, i cui resti sono stati trovati solo nel luglio 1997. La scoperta ha condotto alla riesumazione e a una nuova sepoltura, con gli onori statali di Cuba. Jon Lee Anderson ha vissuto per tre anni a L'Avana e ha viaggiato in Sud America, in Europa e in Russia per intervistare i compagni del Che, alcuni dei quali parlano per la prima volta in questa biografia, e anche gli uomini della CIA che, con l'aiuto degli ufficiali boliviani, hanno dato la caccia a Che Guevara e l'hanno giustiziato. Ha avuto l'accesso esclusivo agli archivi personali del Che, curati dalla vedova Guevara, e a molti documenti prima sconosciuti del governo cubano. Diversi dettagli delle vicende che hanno coinvolto il Che sono a lungo rimasti avvolti nel mistero. La biografia di Anderson narra la sua vita straordinaria, dall'infanzia in Argentina ai campi di battaglia della Rivoluzione cubana, dalle sale del potere del governo di Castro al fallimento in Congo e all'assassinio nella giungla boliviana, il 9 ottobre 1967, in un resoconto che è anche la narrazione della storia dell'America latina durante gli anni drammatici della Guerra Fredda. Una ricerca che getta luce su una figura mitica che ha impersonato la forza utopica del comunismo rivoluzionario. Un ribelle che ha sempre inseguito un sogno: porre fine alla povertà e all'ingiustizia in America latina e nei paesi in via di sviluppo.
Il buio su Parigi - scrive Giovanna Pancheri -non è un'analisi, non è un'inchiesta ma vuole «essere un racconto di quanto accaduto, dettagliato e vissuto in prima persona non solo da chi è stato tragicamente testimone diretto degli attentati del 2015, ma anche con il punto di vista di chi da inviato ha potuto seguire e coprire questi tragici fatti da vicino, sul campo. Il 7 gennaio, il 9 gennaio, il 13 novembre chi scrive c'era, come c'era nei giorni seguenti tra le lacrime, il dolore, la rabbia, le candele, gli slogan urlati al cielo e le preghiere sussurrate. Ho visto il sangue sui marciapiedi, i fiori infilati nei fori lasciati dalle pallottole sulle vetrine dei ristoranti, ho intervistato i protagonisti e i testimoni, ho ascoltato la reazione politica prima francese e poi mondiale, ho visto la Francia e poi l'Europa cambiare sotto i miei occhi. L'annus horribilis della Francia ha dato il via ad una nuova epoca storica in Europa. Un'epoca oscura fatta di paura, chiusura e diffidenza. Il lettore potrà mettere insieme i frammenti, trovare il filo che lega i fatti e iniziare a comprendere «he quando sono state spente le luci della V/7/e Lumière, il buio è iniziato a calare sull'Europa tutta».
A tanti anni dalla rivoluzione russa e dal crollo dell'Unione Sovietica, si deve tornare a fare i conti con alcune questioni cruciali: qual è il ruolo della rivoluzione d'Ottobre nella storia? Che impatto ha avuto in Occidente e nel resto del mondo? "Come mai un sistema che prometteva libertà e uguaglianza ha identificato con il socialismo un regime sempre più dittatoriale e autoritario?" Marcello Flores ha una risposta radicale. La creazione del primo stato socialista rappresenta la tomba del socialismo, se con questo s'intende il progetto di ribaltamento del sistema capitalista. E l'origine di questo fallimento sta nella vittoria del bolscevismo. L'imporsi del comunismo sovietico come unico modello vincente ha finito per sostituire il socialismo e la sua spinta rivoluzionaria con il dogma della difesa dell'Urss, con l'idea che la rivoluzione corrisponda alla conquista giacobina del potere, con la necessità di costruire uno Stato forte, aggressivo ed espansionista. Flores ritorna alle radici della rassegnazione con cui la gran parte del movimento operaio ha ceduto ai dogmi del comunismo sovietico, rinunciando alla prospettiva di un cambiamento di sistema che il socialismo, dalla metà dell'Ottocento alla rivoluzione russa, aveva perseguito e dibattuto in una grande ricchezza di opinioni e di strategie diverse e contrapposte. A partire dal 1848, quando esce il "Manifesto del partito comunista", Flores ripercorre la storia dell'esperimento socialista fino al tramonto dell'Unione Sovietica e unisce le trame di un'epoca tanto complessa quanto irriducibile a qualsiasi semplificazione. E lo fa con una narrazione concisa ed efficace, servendosi di una chiave di lettura che getta luce nuova sul significato profondo della rivoluzione russa.
Come un gabbiano in volo, tema di un sogno che lo ha accompagnato sin dalla giovinezza, Francesco Forte guarda «da un punto mobile, un po' lontano», i suoi trascorsi e quelli della nazione, dal fascismo ad oggi. Intellettuale libero e irregolare, più volte ministro e sottosegretario, sempre al vertice di posti chiave, giornalista, accademico, economista appassionato, il racconto della sua vita è un'istantanea fedele dell'Italia intera. L'autore racconta la sua verità: senza compromessi. Dall'infanzia - quando con il fratello faceva da scudo umano durante i bombardamenti angloamericani e l'Italia era divisa in opposte fazioni - sino alle vicende più intricate della nostra democrazia. Un'autobiografia vigorosa e ricca, la cui forza maggiore è nella qualità delle informazioni di prima mano raccontate con pathos e affilata ironia. Vicende e uomini che hanno segnato in maniera indelebile la storia degli ultimi decenni: Enrico Mattei e l'ENI, Pier Paolo Pasolini e Petrolio, Roberto Calvi, il caso Moro, Bettino Craxi, Silvio Berlusconi e Giorgio Napolitano. L'Italia di oggi come prodotto delle sue tante contraddizioni, vagliate con la capacità di analisi del grande economista o sviscerate con un'emotività che non conosce filtri. Un racconto genuino che non disdegna di assumere, talvolta, i toni del risentimento e della critica feroce verso sfere di potere e uomini di eterogenea appartenenza, il cui peso specifico si è spesso rivelato decisivo per le sorti del nostro Paese. Sempre chiamato a dare conto di azioni e decisioni, l'autore si sente finalmente «libero e felice», come il gabbiano del sogno, di raccontare il suo vissuto senza reticenze. Anche se avverte «solo alcune cose ed alcuni fatti si vedono in modo nitido, altri sono sfocati, o ci sono solo alcuni dettagli. Del resto questo libro è stato scritto in gran parte a sprazzi, quando mi è accaduto di dover ricordare».
Quando muore colpita da uno sparo, Giorgiana Masi ha diciotto anni. È il 12 maggio del 1977. I radicali hanno organizzato una manifestazione in piazza Navona per celebrare il terzo anniversario del referendum sul divorzio e si sono opposti al divieto del ministro Cossiga che, dopo l'omicidio del poliziotto Settimio Passamonti, ha vietato i raduni di piazza. Manca meno di un anno al sequestro Moro e in Italia c'è un clima da guerra civile. Concetto Vecchio riapre l'indagine su un mistero mai dimenticato nel quale un'intera generazione si è riconosciuta alla fine degli anni settanta. E lo fa in prima persona, avanzando indizio dopo indizio in una ricerca appassionata che getta nuova luce su uno dei capitoli più oscuri della storia italiana. Giorgiana sta fuggendo da una carica delle forze dell'ordine sul ponte Garibaldi a Roma quando cade ammazzata. Ma cosa succede esattamente su quel ponte, e soprattutto: perché succede? Nonostante l'omicidio avvenga in un luogo affollato da centinaia di persone, nessuno ha visto niente. Com'è stato possibile? Vecchio compie un viaggio nella memoria: torna sui luoghi, interroga decine di testimoni, recupera le carte sepolte da quarant'anni, ritrova le facce di allora - come il poliziotto Giovanni Santone, la cui foto con la pistola in mano divenne l'immagine simbolo della tragedia -, mette in scena il duello mortale che per decenni ha contrapposto il leader radicale Marco Pannella al ministro dell'Interno Francesco Cossiga. È un dolente tentativo di ricostruire i fatti, nella consapevolezza che a un certo punto "le domande sopravanzano le risposte". Un'indagine storica con una fortissima impronta narrativa capace di parlare non solo alla generazione di Giorgiana, ma anche ai giovani di oggi.
Heather ha trentatré anni, un marito speciale e una bambina meravigliosa, una bella casa e un lavoro che le piace un sacco. Una vita perfetta. Poi un giorno, all’improvviso, scoppia la bomba e in un istante quella vita perfetta va in pezzi. È il giorno in cui le viene diagnosticato un tumore al seno, stadio IV: due anni da vivere, al massimo. Da quel momento i suoi giorni sono come una corsa sulle montagne russe. Non c’è niente che Heather possa fare, solo tenersi forte, resistere il più a lungo possibile. Assorbito lo choc iniziale, il suo primo pensiero è per la figlia Brianna, quattro anni, a tutto quello che deve ancora dirle. È così che le viene l’idea: per tutti i momenti fondamentali come il primo giorno di scuola, la prima cotta, la patente, la laurea, il matrimonio, un successo ma anche solo una giornataccia, Brianna troverà una lettera colorata di sua madre ad aspettarla. Lettere intense, vere, emozionanti, che sono raccolte qui, insieme ai pensieri sull’amore, sulla speranza, sulla vita. Sul senso ultimo delle cose. Parole che sgorgano dal profondo del cuore di Heather, che non un solo istante ha perso se stessa e la sua capacità di trovare la felicità anche negli angoli più impensati. Un regalo prezioso per la piccola Brianna, per il marito Jeff, per gli amici, per la famiglia. E per tutti noi. Per insegnarci a vivere ogni minuto, ogni ora, ogni giorno con pienezza, gratitudine e allegria.
Si sono incontrate più volte Hillary e Silvana, in una condizione di privilegio, senza intermediari, anche nella Map Room della Casa Bianca. Come due amiche hanno parlato di tante cose, di politica, del mondo, della famiglia. Ecco perché Silvana Giacobini è in grado di regalare al lettore, oltre alla narrazione della vita movimentata di Hillary Clinton, degna di House of Cards, un primo piano esclusivo della donna più importante d'America. Dialoghi informali, come tra due amiche, in cui ai temi politici e pubblici si alternano i discorsi di due donne, mogli e madri. Dopo i toni aspri ed esasperati della campagna elettorale contro l'aggressivo Trump, l'icona del "giornalismo gentile" italiano ci restituisce finalmente un'immagine più intima e vera: Hillary Clinton come non l'avete mai vista. Da molto vicino.
Gino ha undici anni e della guerra sa solo che porta la fame, e che quando arrivano gli aerei si scappa in cantina. L'emigrato Italo vive a Parigi, si è sposato da poco ed è felice, ma stanno arrivando i tedeschi, e con loro le caccie all'uomo. Ben poche delle persone investite dalla guerra in casa furono senza dubbio carnefici, o divennero vittime senza scampo. La verità è che tutti cercarono, ogni giorno, di prendere decisioni e di sopravvivere in un contesto sempre più difficile, in una dimensione esistenziale che non può coesistere con facili schematismi, ma è immersa nel grigio della nebbia morale. Come hanno fatto loro i conti con quel passato? E come li abbiamo fatti noi? L'Italia dei venti mesi di guerra civile (1943-1945) è tutt'oggi un campo di battaglia storiografico. Le responsabilità, gli eroismi, le ragioni e i torti occupano ancora molta letteratura storica e divulgativa. Gli occhi sono puntati sui nazisti, oppure sugli ebrei, oppure sui partigiani. Con questo libro, Carlo Greppi compie un'operazione del tutto originale e riesce a spostare la questione al di fuori del terreno consueto, impostando la sua ricerca alla scoperta del vissuto, delle storie e delle vite degli "uomini in grigio", cercando di restituire al lettore una visione non deformante di quel momento storico. Un modo nuovo di scrivere la storia. Il periodo più buio dell'Italia novecentesca. E una domanda: cosa sarebbe stato ciascuno di noi sotto la Repubblica di Salò?
Il Cairo, autunno 1914: l'archeologo Thomas Edward Lawrence entra a lavorare nei servizi d'intelligence britannici. In breve, i comandi militari di stanza in Egitto si accorgono delle sue eccezionali capacità. È l'inizio di una saga che nel giro di qualche anno trasformerà il giovane e sconosciuto sottotenente gallese nell'epica figura di Lawrence d'Arabia. La sua è una missione ai limiti dell'impossibile: avvicinare i capi arabi (a cominciare dall'emiro Feisal) e convincerli a scatenare la guerra per bande contro i turchi nella penisola arabica e nella Mezzaluna fertile. Tra il 1916 e il 1918 la "rivolta nel deserto" si estende a macchia d'olio in tutta l'area, la svolta decisiva che provoca la sconfitta dell'Impero ottomano nel corso del primo conflitto mondiale. Ma Gran Bretagna e Francia, gli imperi coloniali più potenti dell'epoca non puntano affatto all'indipendenza degli arabi. Al contrario, il patto Sykes-Picot (1916) e le conferenze di Sanremo (1920) e del Cairo (1921) assicureranno a Londra e a Parigi nuove forme di dominio politico, militare ed economico. Prende così forma l'"invenzione" del Medio Oriente, ovvero la causa principale del disastro geopolitico a cui assistiamo anche al giorno d'oggi. Grazie ai molti fascicoli raccolti e analizzati negli archivi britannici di Kew Gardens, Amodeo e Cereghino affrontano con stile giornalistico le complesse vicende mediorientali degli anni tra il 1914 e il 1921, e il ruolo non sempre lineare svolto da Lawrence d'Arabia.
"Storia dell'Italia mafiosa" rappresenta un'importante innovazione nello studio e nell'analisi dei fenomeni mafiosi in Italia. Viene ricostruita in maniera unitaria la storia della mafia, della 'ndrangheta e della camorra, dalla nascita nel Mezzogiorno borbonico, allo sviluppo nell'Italia post unitaria, al definitivo affermarsi in età repubblicana, fino ai nostri giorni. Si è dinanzi ad un grande affresco storico che individua le ragioni di fondo di un modello criminale il cui successo dura ininterrottamente da duecento anni. Il volume rappresenta inoltre il contributo più significativo al superamento delle interpretazioni dominanti delle mafie come frutto esclusivo del Mezzogiorno, della sua arretratezza economica e sociale, di una cultura omertosa e complice. Isaia Sales dimostra come quel racconto, pressoché immutato da due secoli, continui a costituire un formidabile ostacolo alla comprensione delle mafie e a rappresentare, nella migliore delle ipotesi, un colossale abbaglio. Pagine appassionanti svelano perché le mafie, nonostante gli auspici di tanti, non siano state sconfitte dalla "modernità", anzi si siano trovate pienamente a loro agio dentro di essa, senza alcun imbarazzo. E sono ancora qui nell'Italia post moderna di oggi, nel mondo di Google e dell'I-pad. E non solo nel Mezzogiorno.
All'inizio del Novecento, il lungo processo di sedimentazione della civiltà borghese, fatta di contenimento degli istinti, rispettabilità e precise regole di comportamento, sembrava aver raggiunto il culmine. Allo stesso tempo, però, la professione militare, l'orgoglio nazionale e la retorica bellica occupavano un posto fondamentale, e di lì a poco quella società sarebbe caduta nel baratro della prima guerra mondiale, con le trincee, i gas, la violenza e lo choc di una disumanizzazione di massa come non se ne erano mai viste. Lorenzo Benadusi indaga questo apparente paradosso tra "civilizzazione" (seguendo Norbert Elias) e "brutalizzazione" (seguendo George Mosse) nell'Italia monarchica, coloniale e poi impegnata nella Grande Guerra, puntando l'attenzione sull'educazione del maschio borghese, sul ruolo degli ufficiali e sulla compenetrazione tra virtù civili e valori militari. Dalle avventure coloniali ai massacri del Carso, dalla missione nazionalizzatrice e civilizzatrice delle armi e delle armate italiane al contraccolpo della smobilitazione e della "vittoria mutilata", tutta una costellazione di pratiche, miti, retoriche della mascolinità, dell'onore e dell'eroismo veniva a formarsi, in una fucina che in parte forgerà anche l'ideale dell'uomo nuovo fascista.
Un libro dove tutto ciò che c'è da sapere sull'Islam viene raccontato senza filtri nel corso di un pellegrinaggio che, dal cuore degli Stati Uniti, arriva fino alla Mecca. Passando per il Pakistan e la Siria, spingendosi fino all'Egitto e all'Etiopia, Knight esplora il volto sconosciuto del mondo islamico: un continente geoculturale in cui la "globalizzazione della fede" promossa dalla politica saudita si scontra con l'anima popolare del folclore musulmano e con un'insospettabile realtà fatta di luoghi sacri, ma anche di magia, musica e droghe. Infine, nella città santa che diede i natali al profeta Maometto, la scrittura di Knight penetra nei luoghi interdetti ai non musulmani, per trasferire ai suoi lettori il senso della sua testimonianza.
La Storia della Romania (e implicitamente del popolo romeno), dall'antichità alle controverse vicende della "rivoluzione" del dicembre del 1989, è una sintesi scritta con la convinzione più volte espressa dall'autore che "i peccati di oggi sono, in tanti casi, i peccati di ieri, ripetuti, aggravati, proprio perché nascosti, taciuti dagli storici, per paura di essere biasimati per mancanza di patriottismo". Florin Constantiniu si è assunto l'impegno di prescindere dai dogmi, dai tabù, dalle distorsioni della vulgata storiografica "ufficiale" imposta dal regime precedente l'89, presentando una visione personale, non neutrale dal punto di vista identitario, tuttavia lontana da tentazioni nazionalistiche, "una visione dettata dal desiderio sincero di mostrare ciò che di positivo e negativo è accaduto nel divenire dei romeni come nazione e Stato". Lo storico romeno espone il succedersi degli eventi senza condizionamenti ideologici, strutturando la narrazione storica con l'analisi sia dei rapporti di forza tra gli Stati, sia di quelli fra cittadini-sudditi e potere, presi in esame da diverse prospettive (giuridica, militare, religiosa, culturale ed economica), ponendo in rilievo la questione agraria che ha attraversato tutto l'arco della storia romena.
Tommy e Doriana sono una giovane coppia come tante: si amano, si sposano, decidono di avere un figlio. Ma, come recita l'antico detto ebraico, quando l'uomo pensa, Dio ride. Così il figlio tanto desiderato non arriva, e i due vengono risucchiati in un percorso fatto di controlli, analisi, terapie di Gonal F, inseminazioni, Fivet, tour religiosi in cerca della grazia e diete a base di peperoncino scaricate dalla rete; un pellegrinaggio su e giù per lo stivale tra ospedali, cliniche p 1vate, camici bianchi e camici sporchi, loro che si sentono topi da laboratorio in attesa del prossimo esperimento.
Mentre i palazzi della città si riempiono di fiocchi rosa e azzurri sui portoni, e i giardinetti di mamme che spingono carrozzine, per loro arriva la glaciale sentenza: «Vi trovate in quello che la scienza definisce il range di infertilità inspiegabile», e la speranza cede il posto alla delusione, allo sconforto.
Finché all'improvviso accade qualcosa. Bastano poche parole e tutto sembra diverso. «Forse siete destinati a un altro progetto, forse dovete andare a prendervi vostro figlio, portarlo via e salvarlo.» Tommy e Doriana decidono allora di reagire, di seguire il cuore, di tornare nel luogo dell'anima dove i palpiti contano più dei parametri di riferimento. Scendono in profondata, nel posto segreto delle emozioni verso una scelta altrettanto ardua: l'adozione. Si tuffano tra le braccia dei giudici, degli psicologi e degli assistenti sociali, sussurrando loro che da qualche parte nel mondo c'è un bambino che li aspetta. Poi, un giorno, la risposta arriva dal tribunale italiano: c'è uno scricciolo, fragile come una foglia, che risponde al nome di Martina. Non vuole né zucchine né botte, ma ha un'immensa fame d'amore.
E così tutto si capovolge, perché la vita può anche essere letta al contrario. Come dice Martina, «se lo guardi bene, il cielo è un mare rovesciato».
Sono decenni, ormai, che la Resistenza è sottoposta a uno scrutinio costante da parte di storici, ma anche di giornalisti e opinionisti. E se una volta poteva essere provocatorio fare le pulci al mito dei partigiani e parlare di guerra civile mettendo sullo stesso piano le fazioni in lotta, oggi molta di questa vulgata è diventata un sottofondo dato quasi per scontato. Il rischio è che ci dimentichiamo, e le giovani generazioni non sappiano mai, quanto di nobile, puro e davvero all'altezza del suo mito c'è stato nella lotta partigiana. Nel settantesimo anniversario della Liberazione, Giovanni De Luna ha voluto mettere di nuovo a punto un'immagine della Resistenza che si stava offuscando. Con grande efficacia, De Luna ha scelto una storia, un luogo, alcuni personaggi: un castello in Piemonte, una famiglia nobile che decide di aiutare i partigiani, la figlia più giovane, Leletta d'Isola, che annota sul suo diario quei mesi terribili ma anche meravigliosi in cui comunisti e monarchici, aristocratici e contadini, ragazzi alle prime armi e ufficiali dell'ex esercito regio lottarono, morirono, uccisero per salvare la loro patria, la loro libertà, il futuro di una nazione intera. Mesi in cui, tra il cortile della sua villa di famiglia e le montagne tutt'attorno, si formò veramente quell'unità che diede origine al mito della Resistenza.
A ridosso della Liberazione la magistratura processa centinaia di ex partigiani, accusati di gravi reati commessi durante la lotta clandestina e nell'immediato dopoguerra. Sono perlopiù imputazioni relative a casi di "giustizia sommaria" contro persone sospettate di spionaggio, coinvolte nell'apparato repressivo fascista. Per diverse decine di imputati la strategia difensiva, impostata da Lelio Basso, Umberto Terracini e da altri avvocati di sinistra, punta a mitigare le pene mediante il riconoscimento della seminfermità mentale. Quando poi, dall'estate del 1946, l'amnistia Togliatti apre le porte alla grande massa dei fascisti condannati o in attesa di giudizio, anche i partigiani beneficiano del provvedimento, dal quale è tuttavia esclusa la detenzione manicomiale. Ex partigiani perfettamente sani di mente devono dunque adattarsi alla detenzione in strutture dove gli internati non hanno diritti e sono sottoposti a quotidiane vessazioni. Tornano finalmente alla luce, dai documenti inediti custoditi all'Opg di Aversa, dove i partigiani internati furono aiutati dal giovane attivista comunista Angelo Jacazzi, oscure vicende della lotta di liberazione e della guerra civile, coperte dal velo dell'oblio, e si ripercorrono problematici itinerari individuali dentro le carceri e i manicomi, nell'Italia della Guerra fredda. Quella dei partigiani in manicomio era rimasta una pagina sconosciuta della storia italiana nel secondo dopoguerra, fino a oggi.
La sera del 5 dicembre 1943, il giovane pianista Arturo Benedetti Michelangeli suona al Teatro La Fenice di Venezia. In quelle stesse ore, polizia, carabinieri e volontari del ricostituito Partito fascista - i carnefici italiani - compiono in città una delle maggiori retate di ebrei nella penisola dopo quella condotta dai tedeschi a Roma il 16 ottobre. Sulla base del censimento della popolazione di "razza ebraica" condotto a partire dal 1938, oltre centocinquanta tra uomini, donne, vecchi e bambini vengono stanati dalle loro case e tradotti alle locali carceri. Nei giorni successivi i loro beni vengono sequestrati, gli appartamenti sigillati o destinati ad altri italiani. I prigionieri saranno poi trasferiti a Fossoli di Carpi, il principale campo di transito degli ebrei nella Repubblica sociale, gestito da forze italiane. Qui saranno detenuti in condizioni precarie e, quindi, caricati su vagoni piombati - dopo la consegna in mani tedesche - su cui verranno condotti alla morte nel campo di sterminio di Auschwitz. Questi eventi si ripeterono in modo analogo, tra l'autunno del 1943 e la primavera del 1945, nelle principali città e in una miriade di piccoli paesi del centro-nord della penisola italiana. Perché si tende ancora a rimuovere il ricordo di queste vicende, mentre prevale quello dei "salvatori" e dei "giusti"? Perché raramente si ricorda che almeno metà degli arresti di ebrei fu condotta da italiani, senza ordini o diretta partecipazione dei tedeschi?
A partire dalla "scoperta" della Terrasanta, con i viaggi di pellegrini e crociati alla volta dell'Oriente, il cristianesimo comincia a fare i conti con le numerose reliquie collegate a Gesù: reliquie della lancia, della spugna, del flagello, della veste, della colonna, dei chiodi e della croce. Strumenti e oggetti degli ultimi giorni della vita terrena del Cristo, che vengono divisi e distribuiti, per arricchire le collezioni di papi, re e imperatori, chiese e monasteri. Una lunga tradizione, variamente elaborata nel corso di diversi secoli, ha, in particolare, indicato nell'ombelico di Gesù e nel suo prepuzio, conservato da Maria dopo la rescissione dovuta alla circoncisione, le uniche reliquie dell'infanzia rimaste sulla terra. Deriso, dissacrato, reso oggetto di scherno da riformatori e illuministi, il prepuzio di Gesù ha conosciuto una profonda devozione. Analizzarne le vicende significa fare appello a un discorso che coinvolge l'antropologia e la storia, la teologia e la cristologia.
Nel 1961 Franco Basaglia assume la direzione del manicomio di Gorizia; nel 1978 la legge 180 decreta la chiusura definitiva dei manicomi in Italia. La battaglia per la riforma radicale dell'assistenza psichiatrica fu innescata dal rifiuto di pochi medici e amministratori locali di avallare gli orrori di una realtà spesso paragonata ai lager nazisti. Dal lavoro concreto per l'umanizzazione di un istituto meramente repressivo nasce una riflessione culturale e politica di vasta portata sui meccanismi dell'esclusione sociale e sull'idea stessa della malattia mentale. Nel clima febbrile degli "anni delle riforme" e del Sessantotto, libri come "Che cos'è la psichiatria?" e "L'istituzione negata" consegnano al Movimento, la realtà della lotta anti-istituzionale sul campo, mentre documentari televisivi come "I giardini di Abele" di Sergio Zavoli contribuiscono alla diffusione di una nuova sensibilità nell'opinione pubblica. Conclusa l'esperienza pionieristica di Gorizia, gli psichiatri radicali incontreranno a Trieste, Parma, Perugia, Reggio Emilia, Arezzo e in tante altre città italiane una nuova generazione di amministratori capaci di rischiare per le proprie convinzioni. John Foot ricostruisce questa complessa vicenda con appassionato rigore storico, documentando non solo i successi e i fallimenti ma anche le feroci controversie (esterne e interne) che inevitabilmente l'accompagnarono. E che ancora non si sono spente.
Da Mazzini a Mussolini, da Garibaldi a D'Annunzio, dai partigiani della Resistenza rossa e dell'"occasione perduta" ai neofascisti e ai brigatisti, i ritorni di fiamma sono una cifra di lungo periodo della storia d'Italia. Nel fare l'Italia e nella dialettica tra Stato e Nazione, a ogni svolta epocale dall'Italia liberale a quella fascista, a quella repubblicana - si sono riproposti fronti alternativi inconciliabili, con i corrispondenti miti e politiche della memoria. Dall'eterna contrapposizione tra guelfi e ghibellini a quella tra repubblicani e monarchici, neutralisti e interventisti, fascisti e antifascisti, terroristi e vittime del terrorismo. Si fa l'Unità, ma Garibaldi è un vincitore-vinto; si vince la Grande guerra, ma è una "vittoria mutilata"; il fascismo prende il potere, ma tradisce la rivoluzione; la repubblica nasce dalla Resistenza, ma al governo va la Democrazia cristiana. La nostra storia è piena di svolte deludenti per tanti, alcuni dei quali reagiscono spezzando la propria vita in due, un prima e un poi, e saranno gli "ex"; altri rivolgendo invece lo sguardo indietro, in una lunga serie di ritorni di fiamma. Le rispettive identificazioni hanno dato luogo a narrazioni individuali e racconti collettivi, in forma principalmente di finzione teatrale e memorialistica, con una rilettura a posteriori della propria rotta esistenziale.
Come e quando è nato il mondo contemporaneo? Su quali macerie si è eretto? Quali profonde trasformazioni ne sono all'origine, e vi lasciano tuttora il segno? Lo storico britannico Michael Burleigh mette al lavoro le sue qualità analitiche, la perspicacia nell'osservazione dei fatti e la capacità di dare una rappresentazione sintetica del quadro globale per tracciare un resoconto dei conflitti che in giro per il mondo sono seguiti al crollo degli imperi coloniali occidentali. E lo fa con una narrazione coinvolgente, presentando anche una galleria di ritratti dei principali protagonisti. Il ventennio successivo alla seconda guerra mondiale qui preso in considerazione è cruciale, secondo l'autore, perché in quell'arco di tempo il processo di decolonizzazione ha aperto la strada a una serie di feroci lotte per il potere, in Africa, Asia e nel Medio Oriente, le cui sanguinose conseguenze ci perseguitano ancora. Per capirne le ragioni questo libro ci conduce allora in un viaggio attraverso la storia che spazia dalla Palestina al Pakistan, dall'Algeria a Cuba, dal Kenya all'Indocina. E, nel farlo, adotta una nuova prospettiva circa gli eventi della metà del ventesimo secolo, obbligando il lettore a distogliere lo sguardo dalla Guerra fredda per rivolgerlo invece alle molte guerre calde, quelle che, nonostante fossero "piccole guerre in luoghi lontani", continuano ad affliggerci.
Nel maggio del 1944 il Tribunale speciale condanna a morte gli ammiragli Inigo Campioni e Luigi Mascherpa. Il fascismo, ormai alle sue ultime battute, vuole vendicarsi della Marina, indicata come la responsabile principale della sconfitta. Ma è proprio così? Gianni Rocca ripercorre in questo libro le vicende salienti della guerra italiana sul mare, una sequela di errori strategici e tattici che avranno il loro apice nella battaglia di Capo Matapan del marzo 1941, la più grande sconfitta navale nella storia della Regia Marina. "Fucilate gli ammiragli" accompagna il lettore sulle "rotte della morte" e al largo delle coste di Malta, conquistata dai britannici quasi senza colpo ferire, ma ci mostra anche la determinazione e il coraggio di tanti marinai e ufficiali che, nonostante gli errori di Supermarina (l'organismo iperburocratico che da Roma gestiva le operazioni navali), combatterono con onore.
Il racconto di due vite straordinarie. Un libro pieno di curiosità e aneddoti sulle vite di due grandi papi che il 27 aprile 2014 diventeranno santi: Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II.
La prima guerra mondiale ha rappresentato la travolgente catastrofe da cui è scaturito tutto il resto nel ventesimo secolo. Dieci milioni di combattenti sono morti, altri venti milioni sono rimasti feriti, quattro imperi sono andati distrutti e anche gli imperi dei vincitori ne sono usciti fatalmente danneggiati. Ne è derivato un nuovo mondo, così come nuovo era stato il tipo di conflitto. Dal punto di vista militare, la comparsa delle trincee, dei gas venefici, delle granate, dei carri armati, dei sottomarini ha trasformato radicalmente la natura dello scontro. L'evidente complessità e la portata della guerra hanno spinto gli storici a scrivere saggi ponderosi per raccontarla su una scala proporzionata. Diversamente Norman Stone, ha assolto il compito di comporre una breve storia del conflitto, in modo conciso, esprimendo giudizi netti e dando vivacità al racconto. In meno di duecento pagine condensa e distilla il sapere di una vita di insegnamento, discussioni e riflessioni su un evento propriamente epocale, a proposito del quale è opportuno, a cent'anni di distanza, rinfrescare la memoria.
Giovanni Franzoni racconta, per la prima volta in modo non episodico, la sua vita, dandoci modo di riflettere sulle circostanze che hanno influito sulle sue scelte. Oltre ottant'anni, cruciali nella storia del nostro Paese e della Chiesa cattolica, scorrono sotto i nostri occhi attraverso i ricordi di un protagonista. Dopo l'età giovanile trascorsa a Firenze nel periodo fascista e dela guerra, completa i suoi studi a Roma e nel 1950 entra nel Monastero benedettino di S. Paolo. Divenuto abate nel 1964, partecipa alle ultime due sessioni del Concilio Vaticano II, del quale ricorda fatti poco noti e personaggi importanti. Di questi ultimi sono riportate in appendice lettere inedite, accanto alla testimonianza toccante delle zie, che, a Firenze, seguivano "dal basso" le sue travagliate vicende. Infatti, quei "profeti di sventura" che Giovanni XXIII aveva temporaneamente messo a tacere, rialzano presto la testa e vedono nelle scelte sue e di altre chiese locali, una pericolosa deriva radicale. Seguiamo quindi i retroscena del suo strano "processo", al termine del quale è costretto a rassegnare, nel 1973, le dimissioni e a trasferrirsi in modesti locali lungo la Via Ostiense con la Comunità nel frattempo costituitasi attorno a lui e che tuttora opera cercando di testimoniare un modo "altro" di essere Chiesa.
Scrive l'autore che "...De Gasperi va fatto scendere dal piedistallo di marmo sul quale è stato posto e va calato tra noi, o quella giustizia che il tempo gli ha reso resterà nei libri di storia ma non sarà nella vita di oggi del Paese per aiutarci a capire come riprendere la via dello sviluppo". Di qui l'invito alla rilettura del grande statista da parte di quanti vogliano tornare a impegnarsi in una politica di ispirazione cristiana e al tempo stesso laica nell'assunzione delle proprie responsabilità, come fu per De Gasperi. Sangiorgi intreccia in un racconto serrato e ricco di retroscena inediti le tre chiavi di lettura della vita dello statista, l'amore per la famiglia, la fede religiosa e la passione politica. Il lavoro di ricerca è divenuto anche l'occasione per lo straordinario e singolare ricomporsi di un'antica e dolorosa frattura, tra De Gasperi e Giuseppe Donati, il primo direttore del Popolo.
Durante tutti i conflitti che videro coinvolti gli Stati Uniti nel ventesimo secolo i militari ebbero inevitabili e prolungati contatti con le popolazioni locali, alleate o nemiche che fossero. Dopo ognuna di queste guerre, molti soldati americani ritornarono in patria con mogli e compagne straniere e con i figli nati da tali relazioni. Il picco di quella che può essere a tutti gli effetti considerata una particolare forma di immigrazione, un'immigrazione "sentimentale", si toccò durante e immediatamente dopo la seconda guerra mondiale. Tra il 1939 e il 1946, sedici milioni di giovani americani vennero mobilitati per prendere parte a un conflitto che coinvolgeva cinquantasette paesi nel mondo. Non stupisce, dunque, che oltre centomila spose di guerra europee entrarono negli Stati Uniti, tra il 1946 e il 1950, anche grazie a speciali norme legislative, come il War Brides Act, varate dal governo statunitense. La maggior parte di queste donne erano britanniche, molte le francesi, le belghe, le tedesche e le olandesi; quasi diecimila le italiane. Questo libro, attraverso un'ampia documentazione e numerose testimonianze dei protagonisti, ricostruisce le storie delle unioni tra i soldati americani e le ragazze italiane, prendendo in considerazione gli aspetti pratici, amministrativi e logistici, ma anche i più personali e umani. Ogni vicenda fa naturalmente storia a sé e tuttavia assume un nuovo significato se proiettata sullo sfondo del contesto storico e sociale.
Questo libro rievoca la vicenda giudiziaria di Bettino Craxi, senza riaprire le vecchie polemiche, bensì proponendo una riflessione serena perché, dopo vent'anni, ora che i Tribunali degli uomini hanno esaurito il loro compito, sia il Tribunale della Storia a esprimere un giudizio obiettivo. L'autore si sofferma sul clima violento, da tempo di guerra, con cui la pubblica opinione e gran parte dei mass media hanno pesantemente condizionato lo svolgimento dei procedimenti, rendendo difficile l'opera dei magistrati e la ricerca di una giustizia non condizionata politicamente. Tratta anche il giustizialismo che ha limitato la lotta dello Stato contro il terrorismo, la mafia e la corruzione. Prefazione di Vittorio Feltri
Nel giugno del 1938 John LaFarge, un modesto sacerdote e studioso gesuita americano, venne convocato per un'udienza privata con Pio XI. Il papa, che aveva apprezzato il libro antirazzista di LaFarge, intitolato "Interracial Justice", incaricò il sacerdote di stendere per lui un'enciclica che, esponendo il punto di vista della Chiesa cattolica, condannasse il razzismo insito nel nazismo e l'antisemitismo. Da uomo morale e devoto, Pio XI sperava che questa nuova proclamazione ufficiale avrebbe sollevato un'opposizione pubblica al Terzo Reich e costretto i leader mondiali a ricusare Hitler e i suoi alleati. In uno sbalorditivo racconto ricco di intrighi che si basa su fonti disponibili da poco, interviste con testimoni e una nuova ricerca di archivio, questo libro getta luce sulla coraggiosa, sebbene poco nota, campagna del pontefice contro Hitler, una battaglia spirituale e politica destinata a essere sviata alla morte del papa, solo pochi mesi dopo il suo incontro segreto con LaFarge. Peter Eisner rivela quanto Pio XI fosse determinato a condannare senza equivoci il nazismo, con un pronunciamento progressista che non aveva precedenti in Vaticano, e in che modo un gruppo di uomini di Chiesa conservatori, ansiosi di rappacificarsi con il Führer, abbiano tramato per prevenirlo. Per settant'anni sono emersi solo frammenti di questa incredibile vicenda. Eisner ne dà ora una nuova lettura, raccontando della crociata che avrebbe potuto cambiare il corso della guerra.
Quando "il Maestro" e "il Poliziotto" s'incontrano Nicola Longo è già celebre, Federico Fellini ne ha seguito le imprese sui giornali appassionandosi a una carriera fitta di operazioni sotto copertura, scontri a fuoco, ferimenti e casi risolti. Tra i due, messi in contatto da Tonino Guerra, nascono subito una reciproca fascinazione e la voglia di lavorare insieme. Il primo tentativo - un film tratto dal romanzo autobiografico di Nicola, "La valle delle farfalle" - fallisce per contrasti con il produttore Renzo Rossellini. Il regista rilancia, sa che Nicola può essere la guida perfetta per decifrare il presente dei primi anni Ottanta: un eroe senza retorica, diviso tra l'orgoglio del proprio ruolo e una nascosta amarezza, con la consapevolezza del male e dei suoi indefiniti contorni. "Poliziotto" raccoglie i sei racconti che i due produssero, con l'aiuto di Gianfranco Angelucci, chiusi nello studio di Fellini nell'estate del 1983. Longo racconta impassibile, la voce è fredda e impersonale, irresistibilmente ipnotica. Fellini ascolta e annota, nella sua mente le storie diventano l'affresco di un mondo assediato da una violenza cieca e pervasiva che tutto confonde. Sono episodi di lotta quotidiana, che attraversano i bassifondi della malavita, s'immergono nel vortice caotico del crimine e arrivano a sfiorare il fantasma dei poteri occulti. Questi racconti, sospesi in precario equilibrio tra descrizione della realtà e metafora visionaria, non diventaranno film...
La seconda guerra mondiale è un incubo che tuttora si staglia al centro dell'età contemporanea: in quanto confutazione totale di ogni nozione di progresso umano e in quanto conflitto la cui eredità ancora ci perseguita a settant'anni di distanza. Il libro di Norman Stone, che si propone di narrare la guerra nel modo più sintetico possibile, rende incredibilmente nuova una vicenda che nei suoi lineamenti fondamentali è familiare ai più. Grazie al ritmo di una scrittura capace di catturare l'attenzione, ci si sente di fronte allo svolgersi incalzante di una storia terribile. Quello di Stone è un tentativo di trasmettere quel che risulta molto difficile comunicare: il senso di un conflitto epocale quale emerge dalla ricostruzione dei fatti, degli atti e delle scelte dei protagonisti.
"Cattolico anonimo" è il racconto ironico e commosso di una crisi spirituale e di una conversione inattesa. Tutto comincia la sera in cui Thierry Bizot, produttore televisivo di successo, viene convocato dal coordinatore scolastico per discutere dei problemi del figlio tredicenne. L'incontro getta un seme: quasi senza rendersene conto Thierry confida al professore i suoi dubbi di padre, torna a casa con un nodo in gola, continua a pensare al breve dialogo di quel giorno. Quando riceve dal professore l'invito a una catechesi per adulti, reagisce con sarcasmo e scetticismo. Ma ci va, non immaginando nemmeno che sarà l'inizio di un percorso spirituale che lo porterà a incontrare personaggi straordinari, metterà in discussione le sue convinzioni e, infine, lo renderà più forte, permettendogli di mettere ordine nella sua vita. In questo romanzo autobiografico, vero e proprio "coming out spirituale", Bizot fa emergere gli interrogativi dell'esistenza attraverso le piccole vicende quotidiane, racconta un travaglio interiore, ma con la leggerezza di una serenità ritrovata.
Il 28 giugno 1839, la goletta negriera spagnola La Amistad salpò dall'Avana per effettuare una delle sue solite consegne di carico umano. Una notte senza luna, dopo quattro giorni di navigazione, i prigionieri africani si sollevarono, uccisero il capitano e presero il controllo della nave. Cercarono di far vela in un porto sicuro, ma furono catturati dalla marina militare statunitense e incarcerati nel Connecticut. La loro battaglia legale per la libertà finì per arrivare sino alla Corte suprema, dove la causa fu sostenuta dall'ex presidente John Quincy Adams. Grazie a una sentenza epocale gli imputati furono liberati e ricondotti in Africa. La loro rivolta divenne uno dei più emblematici episodi della storia della schiavitù americana. In questo resoconto, Marcus Rediker riconduce la rivolta ai suoi veri campioni: i ribelli africani che rischiarono la vita per rivendicare la propria libertà. Sulla base di nuove fonti, ne ricostruisce la vicenda per dimostrare come un piccolo gruppo di uomini coraggiosi abbia combattuto e vinto una battaglia epica contro gli schiavisti spagnoli e americani e contro i loro governi. Torna in Africa per ritrovare le radici dei ribelli, descrive il loro catastrofico viaggio transatlantico e narra una drammatica storia di prigionia. La rivolta vittoriosa dell'Amistad cambiò la natura stessa della lotta contro la schiavitù.
Marlene Dietrich e Leni Riefenstahl sono state due icone del cinema del loro tempo, dalla Germania di Weimar all'America di Hollywood. Interpretando a modo loro "la donna nuova" hanno incarnato due differenti tipi di erotismo e di seduzione, mettendoli in scena sullo schermo, come attrice e cantante Marlene, come regista Leni. I loro destini speculari, incrociati e opposti attraversano un periodo cruciale della storia. Marlene, dopo il successo de "L'angelo azzurro", si trasferisce presto in America diventando una diva internazionale. Leni invece in Germania mette la sua straordinaria creatività registica al servizio del nazionalsocialismo (Il trionfo della volontà, Olympia) e alla seduzione di massa esercitata dal suo Führer. Con lo scoppio della guerra la Dietrich, antinazista dichiarata, usa la sua arte a favore della truppa combattente, ritornando nella sua Berlino in divisa americana. La Riefenstahl, invece, in nome della "apoliticità" dell'arte continua a inseguire i suoi modelli di estetica cinematografica. Ricostruirne, come fa Gian Enrico Rusconi in questo libro, i percorsi biografici consente di scoprire le molte espressioni del loro erotismo. Ironico e tenero ma anche sfacciato quello di Marlene; distaccato, estetizzante, opportunistico quello di Leni che come regista non perde mai di vista la sua performance professionale. Il saggio così getta luce sull'altra faccia, apparentemente "minore", della cultura del Novecento tedesco, e non solo.
È l'unico volume che ricostruisce la genesi politica e la storia del complotto internazionale che portò al rapimento dell'onorevole Aldo Moro, contestando le tesi “politicamente corrette” apparse fino ad ora in una miriade di pubblicazioni. Storia segreta del PCI è il libro più documentato e l'ultimo atto di una vicenda descritta attraverso migliaia di carte ufficiali del Governo italiano (che solo Wikileaks, probabilmente, avrebbe pubblicato) e attraverso il racconto di numerosi osservatori diretti e partecipanti, come i partigiani italiani fuggiti dal nostro Paese - residenti in Cecoslovacchia - e personalità della nostra Ambasciata a Praga. Rudolf Barak, ex Ministro dell'Interno cecoslovacco negli anni cinquanta - che mai aveva accettato di incontrare uno studioso straniero - confermò personalmente a Rocco Turi che i partigiani italiani furono al servizio del Kgb e della polizia segreta cecoslovacca. Negli otto anni del Ministero di Rudolf Barak (1953-1961) i nostri partigiani furono proprio al suo servizio. L'eredità fu raccolta dai suoi successori in tutti gli anni della Guerra fredda e la Cecoslovacchia fu meta per l'addestramento di terroristi provenienti da tutto il mondo.
Il Giro d'Italia ha un sapore mitico: sembra esistere da sempre, eppure ha una sua storia, che accompagna e in cui si riflette la storia culturale e sociale dell'Italia. Questo libro la ripercorre, dagli esordi e nei suoi sviluppi, per circa un secolo. A fianco della narrazione scorrono, diventandone parte integrante, oltre duecento immagini d'epoca, in gran parte provenienti dall'archivio Torriani. Mimmo Franzinelli, da appassionato delle due ruote, ricostruisce le vicende del ciclismo agonistico italiano e della sua gara principale partendo dalla creazione stessa della bicicletta e dalle grandi innovazioni di fine Ottocento. Rievoca le gare pioneristiche, dal Giro di Lombardia del 1905 alla Milano-Sanremo del 1907, per concentrarsi poi sul Giro d'Italia, modellato sul Tour de France, la prima classica corsa a tappe. Ne sono protagonisti campioni quali Girardengo e Binda, Bartali e Coppi, ma anche straordinarie donne come Alfonsina Strada e oscuri gregari come Carrea e Malabrocca. Nel microcosmo delle due ruote si intravedono in filigrana i mutamenti epocali del Novecento italiano. Ci sono infine, ma non da ultimo, gli organizzatori, con cui il Giro d'Italia degli anni d'oro si è identificato: Armando Cougnet, promotore nel 1909 della prima edizione, e Vincenzo Torriani, il Patron dal 1949 al 1992. La narrazione culmina nell'ultima grande stagione del ciclismo, animata da Adorni, Gimondi, Moser, Merckx... Postfazione di Marco Torriani.
La prima globalizzazione, nella seconda metà dell'Ottocento, fu accompagnata, e in un certo senso guidata, da un'élite internazionale ristretta e potente, artefice di un nuovo sistema economico. A propria capitale eresse la più grande metropoli di allora, Londra, sede di due imperi: quello diplomatico-militare vittoriano e quello informale, dai confini mobili, della finanza. I merchant bankers londinesi furono un'aristocrazia atipica, che intrecciava il potere del denaro con quello delle relazioni istituzionali e sociali. In questo libro si racconta l'ascesa di tale élite imperiale, capitalistica e aristocratica insieme, e se ne descrivono il profilo sociale e la cultura operativa. Si parte dalla scoperta della globalizzazione, si analizzano poi da una parte la diffusione di speculazione e gioco di Borsa e dall'altra la concentrazione in poche mani di un colossale potere economico e politico. I finanzieri internazionali si erano dati tacite ma stringenti regole comportamentali che delimitavano lo spazio tanto della concorrenza quanto della cooperazione. L'epoca in cui la globalizzazione si delineò non fu affatto un periodo di anarchia economica, bensì di regolazione dell'economia, sebbene su basi rigorosamente privatistiche. E forse è questa la differenza più profonda rispetto alla globalizzazione del nostro tempo, che ha sottratto la dinamica della finanza a ogni regola.
Il 19 marzo 1944 le truppe naziste invadono l'Ungheria. La guerra va male per la Germania e Hitler teme l'abbandono dell'Asse da parte del governo di Miklós Horthy. A Budapest si installa un dipartimento per la "soluzione del problema giudaico" agli ordini del colonnello delle SS Adolf Eichmann. Nel paese opera da anni un'organizzazione sionista - la Vaada - che offre assistenza agli ebrei dell'Europa centrale e balcanica. Una vasta rete di soccorso diretta dai coniugi Joel e Hansi Brand e da Rudolf Kasztner. In aprile Eichmann propone alla Vaada la "vendita" alle potenze alleate di un milione di ebrei in cambio di merci e danaro. Se l'accordo non andrà in porto, i tedeschi li spediranno nei campi della morte. Tra le alte gerarchie naziste - Heinrich Himmler in testa, il Reichsfilhrer delle SS che ha architettato il piano "Blood for Money" - si sta diffondendo il panico per l'imminente disfatta militare. Le truppe sovietiche e anglo-americane avanzano su tutti i fronti e i capi del Reich germanico pensano già ad assicurarsi una via di fuga in America Latina. Inizia così l'avventura di Brand per tentare di salvare gli israeliti presenti sul territorio ungherese, una drammatica corsa contro il tempo che si svilupperà tra Europa, Turchia e Medio Oriente. È una storia in gran parte inedita che Fabio Amodeo e Mario José Cereghino raccontano sulla base di un'ampia indagine realizzata negli Archivi nazionali britannici di Kew Gardens, dove sono conservati centinaia di documenti del Foreign Office...
"Tu conosci, caro lettore, la vicenda umana di Gesù: il suo cammino verso la croce, accompagnato dai dodici apostoli, dalla madre Maria, dalla Maddalena. Ora, dopo La grande storia di padre Pio, La grande storia di Gesù, La grande storia della Bibbia, in questo quarto libro noi, i tuoi autori, Sandro Mayer e Osvaldo Orlandini, ti facciamo vivere, mescolando fonti documentarie e visioni romanzesche, la più grande storia mai raccontata: quella della meravigliosa amicizia che legò Gesù al suo apostolo più giovane, Giovanni, durante un avventuroso viaggio in Palestina. Un'amicizia terrena guidata, con un disegno preciso, da Dio Padre; un'amicizia che cambiò l'umanità e che durerà in eterno. Durante il viaggio, Gesù, infatti, compie miracoli, guarendo i malati e resuscitando i morti; Giovanni è il testimone perché ha il compito di consegnarli all'eternità con il suo Vangelo. Dalle nozze di Cana alla pesca sul lago di Gennesaret; dal risveglio della suocera di Pietro alla resurrezione di Lazzaro; dalle guarigioni di ciechi e lebbrosi alla Trasfigurazione sul monte Tabor: tutti i momenti evangelici più toccanti scorreranno davanti ai tuoi occhi come al cinema, così come duemila anni fa si svolsero sotto gli occhi pieni di stupore di Giovanni e degli altri undici apostoli che divisero con il Figlio di Dio la meravigliosa avventura. È un racconto, tra l'epica e il romanzo popolare, che supera i confini del tempo, parla all'anima e, soprattutto, può toccare il cuore nel profondo."
Questa non è una "storia" del Mossad nel senso proprio del termine, quanto piuttosto una galleria di "storie" del Mossad, una raccolta di episodi, ritratti e momenti chiave, che copre l'arco di tempo tra gli anni cinquanta e oggi. Il Mossad, sin dalla spettacolare cattura di Adolf Eichmann a Buenos Aires nel 1960, è considerato una delle organizzazioni di intelligence più efficaci al mondo. In quest'opera di giornalismo d'inchiesta viene in parte sollevato il fitto velo di segretezza che l'avvolge per osservare da dietro le quinte alcune delle sue principali missioni. Michael Bar-Zohar e Nissim Mishal come in un autentico romanzo di spie, raccontano alcune delle operazioni più emblematiche (nomi in codice Camaleonte, Pigmalione, Diamante, Tigrotto...), rivelando particolari inediti e mostrando secondo quali logiche si muove e colpisce il servizio segreto israeliano. Si svelano le identità di alcuni degli agenti e capi del servizio segreto, la cui vita è indissolubilmente legata a quella dell'organizzazione e le cui personalità hanno influito sulle sue strategie. Rientrano nella ricostruzione i vicini arabi, come Siria e Giordania, nemici vecchi e nuovi (dai nazisti a Hezbollah), ma anche i sovietici e Chruscev, i falasha etiopi e l'Iran dei nostri giorni. Un racconto che si rivolge tanto agli appassionati di storie di spie quanto a chi voglia scoprire qualcosa di più su come funziona un servizio segreto ancora attivo, per definizione imperscrutabile.
Dall'immediato dopoguerra al governo Berlusconi, dal palco di Woodstock ai campi profughi del Libano, dall'incontro con Franco Basaglia agli affettuosi scappellotti di papa Wojtyla, Antonio Guidi ci prende per mano e ci accompagna, con una trascinante gioia di vivere e un pizzico di malinconia, su una strada che credevamo di conoscere, ma che d'ora in avanti non potremo più guardare con gli stessi occhi. Ripercorrendo la vita di un uomo che ha lottato e ha vinto le sue battaglie, "Con gli occhi di un burattino di legno" racconta tra le righe settant'anni di storia italiana visti attraverso lo sguardo particolare di uno spettatore fuori dal comune.
Per il movimento risorgimentale il Mezzogiorno rappresentò sino al 1848 una terra dal forte potenziale rivoluzionario. Successivamente, la tragedia di Pisacane a Sapri e le modalità stesse del crollo delle Due Sicilie trasformarono quel mito in un incubo: le regioni meridionali parvero, agli occhi della nuova Italia, una terra indistintamente arretrata. Nacque così un'Africa in casa, la pesante palla al piede che frenava il resto del paese nel proprio slancio modernizzatore. Nelle accuse si rifletteva una delusione tutta politica, perché il Sud, anziché un vulcano di patriottismo, si era rivelato una polveriera reazionaria. Si recuperarono le immagini del meridionale opportunista e superstizioso, nullafacente e violento, nonché l'idea di una bassa Italia popolata di lazzaroni e briganti (poi divenuti camorristi e mafiosi), comunque arretrata, nei confronti della quale una pur nobile minoranza nulla aveva mai potuto. Lo stereotipo si diffuse rapidamente, anche tramite opere letterarie, giornalistiche, teatrali e cinematografiche, e servì a legittimare vuoi la proposta di una paternalistica presa in carico di una società incapace di governarsi da sé, vuoi la pretesa di liberarsi del fardello di un mondo reputato improduttivo e parassitario. Il libro ripercorre la storia largamente inesplorata della natura politica di un pregiudizio che ha condizionato centocinquant'anni di vita unitaria e che ancora surriscalda il dibattito in Italia.
Ancora alla soglia degli anni quaranta Claude Shannon usava intelligence per parlare di informazione, un termine che avrebbe cominciato davvero a diffondersi solo qualche anno più tardi, con la sua "Teoria matematica delle comunicazioni", insieme a una parolina, bit, destinata a diventare una delle più pervasive dell'ultimo mezzo secolo. Amata e vituperata, quella parolina segna un punto di passaggio fondamentale: quando l'informazione diventa una grandezza quantificabile e misurabile. Difficile valutarne davvero l'importanza, ma James Gleick ci prova, raccogliendo i fili sparsi di una storia che parte da lontano, dai poemi omerici e dall'invenzione della scrittura e dell'alfabeto, passando per la lessicografia e i dizionari, i codici crittografici e le moderne tecnologie della comunicazione. E lungo la strada si incontrano figure chiave, talora insospettate: i compilatori di antichi dizionari o i curatori dell'Oxford English Dictionary; l'inventore del primo calcolatore, Charles Babbage; la sua musa, Ada Byron, figlia dell'illustre poeta; e una serie di altre personalità fondamentali come Samuel Morse con il suo codice telegrafico, il matematico Alan Turing, il creatore della teoria dell'informazione Claude Shannon o il fondatore della cibernetica Norbert Wiener. Conclude con la vera e propria epoca dell'informazione, il mondo contemporaneo dove tutti sono, volenti o nolenti, esperti di bit e byte. Sotto un diluvio di segni e segnali, notizie e immagini, blog e tweet.
Nel 1989, la caduta del Muro di Berlino ha messo fine al XX secolo. Ciò che sino al giorno prima era percepito come presente è diventato storia. Scossa da questa svolta, la storiografia ha dovuto rivedere i propri paradigmi, interrogarsi sui propri metodi, ridefinire i propri campi di ricerca. Le rigide partizioni della guerra fredda sono state sostituite da un mondo "liquido" e la nuova storia globale, al posto di un secolo diviso in blocchi, inizia a vedere una rete di scambi economici, di movimenti migratori, di ibridazioni culturali su scala planetaria. La storia fondata sulla "lunga durata" ha lasciato spazio alla riscoperta dell'avvenimento, imprevedibile, eruttivo e spesso enigmatico. In questo libro, Enzo Traverso ricostruisce il quadro d'insieme dei mutamenti che sono al centro dei grandi dibattiti storiografici attuali. Affronta le grandi categorie interpretative, sia classiche (come rivoluzione, fascismo) sia nuove (come biopotere), per mettere in luce tanto la fecondità quanto i limiti dei loro apporti o delle loro metamorfosi. Interroga il comparativismo storico, studiando dapprima gli usi della Shoah come paradigma dei genocidi, quindi mettendo a confronto l'esilio ebraico e la diaspora nera, due delle maggiori questioni della storia intellettuale. Analizza infine le interferenze tra storia e memoria, tra presa di distanza e sensibilità del vissuto, che sono al cuore di ogni narrazione del XX secolo.
Nel 2009 Barack Obama è diventato il primo presidente afroamericano degli Stati Uniti. La sua elezione ha segnato una svolta epocale nella storia americana, le cui radici si possono rintracciare nelle lotte e rivendicazioni dei movimenti sociali che negli anni sessanta hanno combattuto contro la segregazione razziale e per i diritti civili. Questa era solo una delle battaglie di verità dell'epoca. Lotte di liberazione contro condizioni sociali, culturali e politiche oppressive furono anche quella contro la guerra in Vietnam e contro la discriminazione sessuale. Quel passato in cui ci si divideva su questioni di razza, sesso e guerra torna ora di attualità e la "memoria divisa" di quegli anni, quando si contrapposero culture e visioni del mondo differenti, è materia di nuova riflessione. Nei "lunghi" anni sessanta, che iniziano già nelle lotte antisegregazioniste dei neri del Sud negli anni cinquanta e si protraggono nei settanta con il movimento di massa delle donne, si assisté a uno straordinario mutamento culturale e dei costumi. La trasformazione non si può ridurre alla sola controcultura, che ebbe il suo apice a Woodstock nel 1969, e non riguardò soltanto i giovani, coinvolse invece l'intera società. Sul senso di quegli anni, sui quali la storiografia si era a sua volta divisa nel giudicare le responsabilità del potere e i suoi contestatori, si interroga oggi Bruno Cartosio, ripercorrendone miti e realtà, cultura e politica, la fondamentale spinta liberatoria.
Come si possono raccontare cent'anni in pochi giorni? Quali sono i dieci avvenimenti emblematici del ventesimo secolo in Europa? La selezione è inevitabilmente arbitraria, ma possibile. Konstanty Gebert la fa in dieci racconti, quasi in forma di reportage, ambientati in altrettante città europee. Prende spunto da una data e un evento memorabili, che hanno segnato il secolo e consentono di ricostruirne, ciascuno, un decennio. Per conoscere e interpretare i fatti si basa sulle fonti scritte, sui ricordi dei testimoni o dei loro discendenti, sulla conoscenza diretta dei luoghi, passando da un estremo all'altro del continente. Ne scaturisce una lettura molto personale della realtà europea, un affresco di un passato che si riflette sul presente, nel contrastato rapporto fra storia e memoria. Si comincia da Vienna, il 12 giugno 1908, con la parata imperiale per il sessantesimo anniversario di regno di Francesco Giuseppe; si passa poi alla battaglia di Ypres, dove si inaugurò l'uso dei gas letali, nel 1915; seguono la prima dell'"Opera da tre soldi" di Brecht a Berlino, nel 1928, per finire con l'incendio della biblioteca di Sarajevo, il 25 agosto 1992. Nel quadro del rispettivo decennio, a fianco di fatti e interpreti della grande Storia si sentono le voci di più umili protagonisti e si respira il clima socioculturale dell'epoca. L'evento è l'occasione per una riflessione più complessiva sul ricordo e l'oblio, sulla memoria e le identità comuni nell'eredità dell'Europa che oggi si dice unita.
Ai più giovani il nome Feltrinelli evoca anzitutto una catena di librerie e poi la casa editrice che pubblica libri di successo, soprattutto di narrativa. Per le generazioni meno giovani il nome è associato ad alcuni grandi casi editoriali, come "Il Gattopardo" o "Il dottor Zivago", nonché a un drammatico evento storico, la morte del fondatore della casa editrice, Giangiacomo Feltrinelli, nel 1972. Questo libro non si occupa di quella Feltrinelli e accenna appena a Giangiacomo. Si arresta infatti alla Seconda guerra mondiale, quando la famiglia Feltrinelli era considerata una delle più importanti del capitalismo italiano, a fianco degli Agnelli, Pirelli, Volpi, Orlando, Breda, Falck, Cantoni, Donegani: grandi famiglie che avevano legato il proprio nome alla nascita di una nuova Italia, che avevano saputo trasformare, in poco più di un paio di generazioni, un paese fondamentalmente agricolo in una moderna nazione industriale. Quando molti dei nomi più altisonanti del nascente capitalismo industriale italiano muovevano i primi passi sulla scena economica del paese, i Feltrinelli avevano già alle spalle quaranta o cinquant'anni di storia, costellati di successi e iniziative in diversi settori economici. Frutto di una ricerca condotta in vari paesi europei e in una trentina di archivi, primo fra tutti quello della famiglia, questo libro illustra la storia di tre generazioni di Feltrinelli e delle attività economiche che hanno consentito loro di raggiungere le vette del capitalismo italiano ed europeo.
Come è potuta avvenire la trasformazione dell'apparentemente insignificante Adolf Hitler nel Führer del Terzo Reich? In che cosa consisteva davvero il suo presunto carisma e in che modo rispondeva alle attese messianiche del popolo tedesco? Secondo Ludolf Herbst, Hitler non fu sin dall'inizio quello che oggi si ricorda. La sua visione del mondo e la sua consapevolezza di sé, prima della pubblicazione di Mein Kampf, erano ancora incerte e non era scontata la direzione della loro evoluzione. Le possibilità di manipolazione della moderna propaganda, che il partito nazionalsocialista usò e sfruttò come nessun altro partito, sono ancora oggi sottovalutate e tutte le rappresentazioni della dittatura nazista come "governo carismatico" risultano fuorvianti. L'attribuzione di un'autorità carismatica a Hitler si basa su inappropriate applicazioni della sociologia del potere di Max Weber, che se correttamente interpretata consente invece di sfatare il luogo comune del suo carisma come dono soprannaturale e di rintracciare i fondamenti reali della sua autorità. Sono infatti concrete condizioni - di ordine politico, economico, sociale, culturale più che personali - a determinare davvero il carisma hitleriano, e più in generale dei leader nei regimi totalitari. Il Führer fu così trasformato dagli anni trenta in avanti in un messia dalla propaganda nazionalsocialista. La concezione tuttora diffusa del suo carattere carismatico viene dunque relegata da Ludolf Herbst nel novero delle leggende.
Il trafugamento dagli archivi statunitensi di centinaia di migliaia di documenti ha rivoluzionato nel 2010 il panorama informativo mondiale, imponendo il "caso WikiLeaks" all'attenzione generale. Gli inconfessabili retroscena dell'invasione dell'Iraq e i reali motivi della presenza militare in Afghanistan costituiscono solo una parte dei dispacci diplomatici centrati sulla politica estera statunitense, ovvero sul sistema di potere che condiziona gli assetti internazionali. La valanga di materiale desecretato in un modo così inusuale e massiccio coinvolge un decennio di vicende italiane: dai rapporti italo-statunitensi alle valutazioni sul "personaggio" Berlusconi, alla politica interna ed estera del nostro governo. Franzinelli e Giacone a partire dai precedenti di WikiLeaks (come la clamorosa pubblicazione dei Pentagon Papers sulla guerra in Vietnam che nel 1971 ne svelò errori e menzogne sulla base di documenti governativi trafugati) analizzano il significato della pubblicazione di queste fonti segrete da parte di Julian Assange. Dall'interpretazione critica dell'imponente documentazione si delinea la visione della politica italiana negli Stati Uniti, vengono ricostruite le strategie dei politici italiani per blandire il potente alleato e utilizzarlo nello scontro tra centrodestra e centrosinistra. Se ne ricava, tra l'altro, l'interpretazione americana del fenomeno mafioso, dei rapporti italo-russi, dell'amicizia tra Berlusconi e Gheddafi.
Questa è la storia di un uomo che non è stato solo un uomo, ma che come tale ha vissuto, ha amato e ha sofferto come nessun altro ha mai sofferto. È la storia che ha segnato l'umanità intera, ha dato speranza, ha diviso tanto ma tanto ha unito: la grande storia di Gesù. I Vangeli ci hanno tramandato le tappe della sua vita, hanno diffuso e spiegato il suo messaggio. Ma la realtà di ogni giorno che l'uomo di Nazaret ha vissuto, nella sua terra e nella sua epoca, è relegata nell'oblio dei secoli, affidata all'immaginazione di ciascuno di noi. Quali possono essere stati i suoi giochi preferiti da bambino? Quale il suo comportamento con i genitori? Quali i suoi pensieri, i suoi timori più nascosti? Che cosa può essere accaduto in tutti quegli anni di cui gli evangelisti non fanno menzione? Sandro Mayer e Osvaldo Orlandini, con l'epica del romanzo ma nel rispetto delle fonti, affrontano la difficile impresa di raccontare passo dopo passo il cammino di Gesù, dalla grotta di Betlemme alla Croce sul Golgota, dal mistero della sua venuta al mondo alla sua fine dolorosa. Ma, insieme agli episodi più noti, conosceremo scene mai rappresentate, incontri sfumati dal tempo, personaggi apparentemente secondari, in realtà protagonisti della stessa vicenda: gli intrighi di Erodiade e Salomè, il fragile amore di Pilato e Claudia Procula, la disperazione di Barabba, la dolcezza della Maddalena, la forza di Giovanni Battista, la violenza dell'Impero romano, il rimorso e la redenzione di Giuda.
È una vita fuori dal comune quella che scorre in queste pagine, la storia di un uomo che al secolo si chiamava Francesco Forgione e visse dal 1887 al 1968. Il mondo lo conosce come padre Pio da Pietrelcina, il suo volto è raffigurato in ogni dove, ma, a quarant'anni dalla morte, sulla sua vicenda umana rimane ancora molto da dire, molto da sapere. Soprattutto se si accantona qualsiasi intento apologetico o, viceversa, ogni pregiudizio. Che cosa significa nascere contadino nel povero Meridione d'Italia a fine Ottocento? Che cosa comporta per un sedicenne entrare in convento nel 1903? Che cosa succede nella vita di un giovane frate e della sua famiglia quando compaiono i primi segnali di un rapporto privilegiato con la spiritualità? Con accuratezza e rigore, Sandro Mayer e Osvaldo Orlandini ricostruiscono avvenimenti, dettagli, contesto culturale "in presa diretta", come se scoprissero padre Pio insieme ai loro lettori. Ripercorrono la sua vera esistenza sullo sfondo della grande Storia del nostro Paese. E lo fanno con sensibilità e partecipazione, con un linguaggio che parla al cuore. Partendo dai documenti di cronisti e dalle testimonianze dirette, gli autori rendono viva la materia storiografica immaginando anche dialoghi, sensazioni, sguardi, movimenti. Più romanzo storico che biografia tradizionale.
Anna Cataldi non è una donna comune: colta e privilegiata, a un certo punto della vita non ha esitato a rimettersi in gioco e a dedicare tutta se stessa agli altri. È stata l'amica di sempre Audrey Hepburn a indicarle la strada: l'indimenticata protagonista di Colazione da Tiffany che è diventata instancabile ambasciatrice dell'Unicef in Africa, America Latina, Asia. Di lei si racconta in queste pagine, ma anche di altre quattro donne, sorelle nel coraggio e nella volontà di costruire un futuro di speranza per coloro che futuro e speranza non hanno mai avuto. C'è la storia di Annalena Tonelli, missionaria in Somalia, che ha speso trent'anni della sua esistenza al servizio dei somali costruendo centri di assistenza e lottando contro le piaghe della tubercolosi, dell'Hiv e delle mutilazioni femminili. Finché nel 2003 ha trovato la morte per mano di un gruppo di fanatici nell'ospedale da lei creato. Di Nancy Dupree, l'unica occidentale a camminare per le vie di Kabul senza paura, che ha lavorato mezzo secolo per salvare dalla distruzione l'immenso patrimonio culturale afghano e restituire a un popolo le sue radici e la sua memoria. Di Rosamond Carr e di Linda Beekman. Storie di incredibile generosità, grande forza e assoluta determinazione, che obbligano alla riflessione, scuotono la coscienza, ma soprattutto toccano il cuore.
Nerone, imperatore romano, nato nel 37 e morto nel 68 d.C, fu anche un mostro, ma, per cinque anni, consigliato da Seneca, governò con saggezza. Ebbe La sventura di cadere sotto la penna di Svetonio e di Tacito, che ne hanno tramandato un'immagine perfida e viziosa. Non che Nerone vada assolto dai delitti che commise e dai misfatti che perpetrò. Assassinò la madre, che stava congiurando per assassinare lui, spense col veleno il fratellastro, aspirante alla porpora, fece "suicidare" Seneca, suo ex precettore e ministro. Crimini che non meritano alcuna indulgenza, ma dei quali non furono scevri altri sovrani.
"La politica non è oggi in grado di proporre antidoti ai guasti di una memoria fondata sulla centralità delle vittime. Meglio sarebbe guardare con fiducia alla conoscenza storica. Più storia e meno memoria vorrebbe dire distanziarsi dalla tempesta sentimentale che imperversa nelle nostre istituzioni, recuperare un rapporto con il passato più problematico, più critico, più consapevole."
La memoria pubblica è un "patto" in cui ci si accorda su cosa trattenere e cosa lasciar cadere degli eventi del nostro passato. Su questi eventi si costruisce l'albero genealogico di una nazione. Sono i pilastri su cui fondare i programmi di studio per le scuole, i luoghi di memoria, i criteri espositivi dei musei, i calendari delle festività civili, le priorità da proporre nella grande arena dell'uso pubblico della storia, le scelte sulla base delle quali si orientano tutti i sentimenti del passato che attraversano la nostra esistenza collettiva. I fondamenti di quel "patto" cambiano a seconda delle varie "fasi" che scandiscono il processo storico di una nazione. Vent'anni fa, la classe politica uscita dal crollo della Prima Repubblica venne chiamata a una complessiva opera di "rifondazione". Si trattava, fra l'altro, di rinnovare un intero apparato simbolico, quell'insieme di pratiche di natura rituale sul quale un sistema politico fonda la propria legittimazione. Vent'anni dopo prendiamo atto di un vero fallimento.
A tenere insieme il patto fondativo della nostra memoria sono oggi infatti solo il dolore e il lutto che scaturiscono dal ricordo delle "vittime". Della mafia, del terrorismo, della Shoah, delle foibe, delle catastrofi naturali, del dovere, vittime, sempre e solo vittime. Il dolore di ognuna di esse, per potersi vedere riconosciuto, deve sopravanzare quello delle altre. Per emozionare, commuovere, suscitare consenso, le sofferenze vanno gridate, possibilmente in televisione; e più forte si grida più si sfondano le barriere dell'audience e dell'ascolto. Quasi che le emozioni siano merci e che sia il mercato a imporre le sue regole, nel controllarne la domanda e l'offerta. Ma non è al mercato che si può chiedere di costruire una forma di bene comune e tantomeno una religione civile.
Durante la Guerra fredda c'erano spie e traditori da una parte e dall'altra della Cortina di ferro. Era l'epoca del terrore della bomba atomica e del comunismo in Occidente, soprattutto negli Stati Uniti del maccartismo, l'epoca dell'ossessione per i segreti del blocco contrapposto. Gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica, con i rispettivi alleati, misero all'opera i servizi di intelligence. Queste agenzie non erano però macchine perfette, erano fatte di uomini, gente in carne e ossa, con passioni, motivazioni e limiti propri. Alcuni interpretarono in modo persino eccessivo il loro compito storico, come Jim Angleton, altri invece preferirono passare al nemico, defezionando o facendo trapelare informazioni top secret. Le storie qui narrate sono comprese tra gli anni trenta, quando si formò il celebre gruppo di Cambridge di Kim Philby, e gli anni ottanta, allorché si sgretolano le ragioni ideali e compaiono spie che tradiscono per mere ragioni economiche, come Aldrich Ames; ma riguardano soprattutto gli anni quaranta e cinquanta, quando lo spionaggio verteva sulle armi atomiche, sul Progetto Manhattan, e coinvolgeva anche scienziati, come il fisico Klaus Fuchs, o comuni cittadini, come i coniugi Rosenberg. Diverse furono le motivazioni e le occasioni dei tradimenti; diversi i segreti svelati, non sempre così rilevanti o determinanti per le sorti della Guerra fredda; diverso il destino dei protagonisti a seconda del contesto, del luogo e del tempo. Ci fu chi iniziò una nuova vita, magari sotto falso nome come il primo sovietico a defezionare in Canada, Igor Gouzenko; alcuni si videro distrutte carriera ed esistenza come Alger Hiss, il cui caso divise il paese in innocentisti e colpevolisti; altri ancora morirono, come Ethel e Julius Rosenberg, condannati alla sedia elettrica per alto tradimento. Sullo sfondo di queste vicende tanto avvincenti quanto umane si profilano trasformazioni epocali: si passa dalla Seconda guerra mondiale alla Guerra fredda, quelli che prima erano alleati diventano nemici e in paesi come gli Stati Uniti le libertà costituzionali sono messe in pericolo in nome del superiore interesse nazionale.
In terra c’è una borsa aperta, contiene già alcuni indumenti da notte, dei documenti, un tubetto di dentifricio. Manca solo un libro, e poi può essere chiusa. Sul vialetto davanti a casa è parcheggiata l’auto di un’amica, la persona che accompagnerà Brenda in ospedale.
Il libro che verrà infilato proprio sotto la zip è la prima cosa che lei prenderà in mano, quando si ritroverà in una stanza vuota, in un luogo che nemmeno riesce a immaginare. È una scelta importante, dev’essere il libro giusto, e Brenda Walker, scrittrice e docente di letteratura, è sempre vissuta di libri.
Ora che è diventata anche altro – una paziente – non può abbandonare la narrazione.
La diagnosi di tumore al seno è stata come una vertigine, la sensazione di precipitare in caduta libera. La paura per sé, per quel figlio che ancora deve finire di crescere, e poi la consapevolezza dei passi da compiere: leggeri ma decisi, via dalla morte, verso uno scopo. Verso la speranza. Sono cinque le fasi di questo pericoloso viaggio e i titoli hanno un suono netto, inequivocabile: chirurgia, chemioterapia, radioterapia, ricostruzione, sopravvivenza.
Viaggio scandito dai libri giusti, quelli che offrono sostegno ma non per forza consolazione, perché se uno scrittore può portarci in luoghi strani, difficili, le sue sono mani fidate. Quei libri che ci fanno vivere altre vite, altri amori, altre paure che la nostra singola esistenza non può contenere. Il percorso tumultuoso di Brenda verso la guarigione, grazie ai libri, è diventato denso di bagliori, rivelazioni che hanno tenuto a bada la paura. Così ha riletto – e noi con lei – da Don DeLillo a Dante, da Beckett a Karen Blixen, da Nabokov a Dickens, da Tolstoj a Cunningham, da Remarque a Coetzee.
Non vuole fuggire dalla realtà, Brenda, vuole acquisire una più profonda consapevolezza dell’amore di madre, della somiglianza tra fratelli, della meraviglia del corpo, della dolcezza di un’amicizia, di tutto ciò che la possibilità della nostra morte rende essenziale comprendere.
Il mito degli extraterrestri e l'attesa "messianica" che si addensa intorno alla figura dell'Alieno fanno ormai stabilmente parte dell'immaginario dell'uomo contemporaneo. Pochissimi, tuttavia, sospettano quali legami vi siano fra questo mito - apparentemente connotato in chiave scientifica e tecnologica - e le correnti più ambigue e nebulose dell'occultismo moderno. In questo saggio si ricostruiscono le radici "occulte" e ignorate del mito extraterrestre, attraverso i suoi legami con lo spiritismo ottocentesco, la nascita del contattismo, la mediazione di singolari personaggi a cavallo tra scienza e magia, il ruolo del cinema, l'affermazione dell'"archeologia spaziale" e dell'"interpretazione extraterrestre" dei Libri Sacri; con sullo sfondo la realtà, tanto ambigua quanto evanescente, dei cosiddetti "fenomeni UFO". Tutti elementi, questi, caratterizzanti un mito che è anche una delle più incredibili quanto riuscite parodie moderne della religione.
L'ascesa al potere in Europa dopo la Grande Guerra dei regimi totalitari, portatori di concezioni dell'uomo e della vita contrarie alla dottrina e all'etica cristiane, obbligò le Chiese e i credenti ad affrontare il problema della compatibilità tra totalitarismo e cristianesimo. Se il bolscevismo, per l'esplicita professione di ateismo e la persecuzione religiosa attuata dal comunismo sovietico, suscitò la quasi unanime condanna da parte cristiana, più complesso e ambivalente fu il confronto con fascismo e nazionalsocialismo. Ci furono credenti che seppero comprendere subito la gravità della minaccia dei totalitarismi per il cristianesimo e la civiltà umana, e li combatterono con decisione e convinzione. Figure di antifascisti come don Luigi Sturzo, Francesco Luigi Ferrari o don Primo Mazzolari. Tuttavia la Chiesa cattolica in Italia e le Chiese protestanti in Germania cercarono di stabilire un dialogo e un rapporto con gli Stati totalitari. Lo stesso atteggiamento ambiguo di questi ultimi, oscillante tra omaggio e disprezzo, sostegno e antagonismo nei confronti della religione, ingannò e illuse molti credenti. In particolare ricco di problemi, di tensioni sotterranee e scontri aperti si mostrò il ventennale confronto tra fascismo e cattolicesimo. In Italia, il primo paese occidentale con un regime a partito unico che sacralizzava la politica e celebrava il culto del capo, Mussolini si era presentato con il Concordato come difensore della Chiesa, la quale considerava il fascismo, come poi il nazionalsocialismo, un "baluardo" contro il bolscevismo, la modernità liberale e la democrazia laica, ma trovava insieme nella religione politica fascista un potenziale concorrente. In Germania, invece, le componenti neopagane che proponevano il nazionalsocialismo come nuova religione anticristiana con un culto teutonico, ariano e antisemita, indussero vescovi cattolici ed esponenti delle confessioni religiose protestanti alla presa di distanza dal regime di Hitler. Per le coscienze cristiane, il conflitto tra primato di Cristo e primato di Cesare fu un'esperienza drammatica, e per alcuni si rivelò anche un'occasione di riflessione sul significato del totalitarismo e sul pericolo degli integralismi di Stato e di Chiesa.
Nessuna vicenda è più significativa nella storia americana di questo secolo del successo di Barack Obama alle elezioni presidenziali, e questo libro lo racconta come nessun giornalista o storico aveva fatto sinora, indagando in maniera esaustiva le circostanze, le esperienze di vita e l'ambizione che lo hanno portato alla Casa Bianca. David Remnick, con la sua impareggiabile capacità di evidenziare il significato storico degli eventi, presenta il ritratto, al tempo stesso magistrale e inedito, di un giovane alla ricerca di sé e di un politico in ascesa determinato a diventare il primo presidente afroamericano degli Stati Uniti. Abbiamo qui il più completo resoconto della sua storia fino alla vittoria: la tragica esistenza del padre, un brillante economista che ha abbandonato la famiglia e ha concluso la sua vita da sconfitto; la madre Stanley Ann Dunham, che ha avuto un figlio quando era ancora ragazzina e poi ha fatto carriera come antropologa vivendo e studiando in Indonesia; la serie di scuole elitarie in cui Obama ha iniziato a forgiarsi una propria identità; l'esperienza come coordinatore di comunità a Chicago, che ha influenzato la sua decisione di darsi alla politica, e che gli ha dischiuso le porte della Harvard Law School, dove si è delineato per lui il senso della grande missione da compiere. Grazie a un'enorme quantità di interviste con amici e insegnanti, mentori e avversari, i familiari e lo stesso Obama, Remnick ci consente di capire come abbia fatto un giovane senza radici, confuso e inesperto a reinventarsi come leader politico. Rileggendone l'ascesa attraverso il prisma del conflitto razziale e sullo sfondo della storia di Chicago, ci mostra come la complessa eredità di questa città e della storia degli Stati Uniti abbia fortemente condizionato i primi passi dell'Obama politico e i suoi rapporti con i vecchi leader neri e con gli eroi del movimento per i diritti civili.
La Bibbia come non l’avete mai letta: è questa l’impresa che, con rispetto, passione, emozione, hanno affrontato Sandro Mayer e Osvaldo Orlandini, dopo il successo dei due libri precedenti, La grande storia di padre Pio e La grande storia di Gesù.
La creazione, Adamo ed Eva, Caino e Abele, l’Arca di Noè, Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuseppe, Mosè: Mayer e Orlandini hanno studiato le storie più coinvolgenti dell’Antico Testamento, le hanno interpretate, poi arricchite con fonti storiche, infine rielaborate con il loro talento narrativo in un romanzo epico. Così, guidati dalla loro penna, sarete trascinati in quel mondo di millenni fa che è raccontato nella Bibbia e che vi avvolgerà in un crescendo di emozioni: la disperazione di Sara per la sua sterilità; Giuseppe venduto dai fratelli come schiavo, ma poi premiato fino a diventare viceré d’Egitto; Mosè salvato dalle acque, i suoi colloqui con Dio, la marcia con il suo popolo verso la Terra Promessa. E poi episodi, intrighi, amori irresistibili.
Come un kolossal del cinema, la Bibbia di Mayer e Orlandini è una lettura per tutta la famiglia, dove gli attori di questa grandissima storia, anche quelli minori, rimangono impressi nella mente. Sarà come vederli scorrere sul grande schermo, calati nel contesto storico e geografico di quel tempo antico, con i loro volti, le loro voci. Una Bibbia quindi non solo da tenere in biblioteca, ma da leggere dalla prima pagina all’ultima, perché il ritmo è serrato e avvincente e perché i personaggi, che i secoli hanno avvolto nella leggenda, diventano di carne e sangue.
Dopo aver combattuto con valore nella prima crociata per liberare Gerusalemme dagli infedeli, il conte Raniero di Pontremoli è entrato nella leggenda aggiungendo ai suoi titoli quello di cavaliere del Santo Sepolcro. Ed è sulla via del ritornoche incontriamo per la prima volta il nostro eroe. Affamato e stanco per il lungo viaggio, Raniero chiede ospitalità nella modesta locanda di un villaggio nella Lunigiana. Qui il locandiere gli rivela che due giorni prima una banda di spietati briganti ha rapito le donne più giovani e più belle della pacifica comunità, strappandole ai suoi indifesi abitanti. Mosso a compassione dallo sconforto del locandiere, nonché turbato dalla sua inspiegabile arrendevolezza, Raniero lo esorta a una reazione consona alla gravità degli eventi. E si offre di mettersi alla testa di un manipolo di uomini del villaggio, non usi alle armi né al combattimento, per raggiungere i briganti prima che questi possano trarre profitto dal loro prezioso bottino. Il cammino è lungo e disseminato di incontri: prima i frati di un accogliente monastero, poi una scaltra tribù di nomadi e una compagnia di teatranti, infine un'avvenente nobile fanciulla di nome Maddalena, figlia del duca Carlo di Sarzana. Tra Maddalena e Raniero è amore a prima vista, nasce una passione intensa che sconvolgerà la vita di entrambi.
In questa nuova edizione arricchita e aggiornata di “Amore senza parole” e “Cuori fedeli”, Sandro Mayer e Osvaldo Orlandini raccontano le vicende umane e i sentimenti che agitano uomini e donne quando vivono accanto ad amici molto speciali: gli amici a quattro zampe. Ispirandosi a fatti di cronaca realmente accaduti, che hanno come protagonisti cani straordinari, gli autori costruiscono un romanzo avvincente che parla soprattutto d’amore, ma anche dei sentimenti negativi che muovono gli uomini: odio, rabbia, invidia, gelosia. Sentimenti che i cani, diversamente da noi, non conoscono, perché sanno amare con un cuore sempre fedele. Per questo i veri protagonisti sono loro. Capaci come sono di influenzare l’esistenza degli umani, li trascinano intrecciandone destini e sentimenti, e li conducono attraverso un groviglio di passioni, intrighi, gioie e tradimenti. Un romanzo commovente, che appassionerà i lettori e li terrà con il fiato sospeso fino alla fine, emozionandoli con la storia dell’amore più bello e incondizionato (e spesso immeritato): quello dei cani per gli uomini.
È possibile vivere in maniera ecosostenibile? Colin Beavan l'ha fatto e tutti parlano di lui. Tutta colpa di una giornata di gennaio, a New York. Con 22 gradi e la gente in canottiera e shorts. In quel giorno estivo in pieno inverno, Colin è a disagio, il suo cronico pessimismo sullo stato di salute del pianeta comincia a tingersi di tonalità apocalittiche. E a un tratto si chiede - e ci chiede: di fronte a un clima obiettivamente impazzito, io posso fare qualcosa o devo aspettare che siano gli altri a trovare una soluzione? Devo deprimermi, arrabbiarmi, e al tempo stesso delegare sperando che qualcuno intervenga? Oppure devo darmi da fare in prima persona? Io ci provo, è la sua conclusione. Ed è così che Colin mette a punto il suo Progetto Impatto Zero, trascinando con sé nell'incredibile avventura la moglie e la figlia. Per non parlare del cane. 365 giorni abolendo gradualmente rifiuti, detersivi, ascensori, mezzi pubblici, cibo confezionato, aria condizionata, televisione, carta igienica. 365 giorni adottando gradualmente bicicletta, monopattino, local food, candele, pannolini di cotone, bucati a mano. Nella città dalle mille luci, nel cuore pulsante del ricco Occidente, Colin ci prova e ci riesce. Un esperimento sorprendente, esasperante, folle, in cui l'Uomo a Impatto Zero scopre che la vita senza auto, tv, shopping compulsivo, pizza d'asporto non significa ascetismo, ma semplicemente più movimento fisico, più salute, più risparmio.
Nel 1960, il fotografo cubano Alberto Korda scattò a Ernesto Che Guevara una foto destinata a diventare la fotografia più riprodotta della storia. La secondo vita del Che è il racconto della incredibile metamorfosi di questa immagine che da scatto fortuito è diventata uno dei simboli di ribellione per eccellenza e si è poi trasformata in un brand stampato sugli oggetti più impensabili, dalle T-shirt ai preservativi. Casey ne ripercorre la storia, dall'uso consapevole che ne fece Fidel Castro per promuovere la Rivoluzione cubana, al suo imporsi come icona dopo la morte del Che, anche grazie a personalità come Jean-Paul Sartre, Giangiacomo Feltrinelli e Andy Warhol che la portarono nel mondo. Casey ne segue le tracce in Europa, nelle Americhe, in Asia, tra dissidenti e governi rivoluzionari, idealisti e mercanti, nell'industria del turismo e nella nuova economia dell'informazione, nell'arte e sulle etichette delle bottiglie, mostrando come il processo di costruzione del mito e quello della sua mercificazione si sono intrecciati, fino a creare un simbolo immortale, una bandiera capace di rappresentare un'infinità di significati, idee, desideri.
Il libro
A Venezia tanto si ama e tanto si è amato; nessuno resiste alle sue sensuali atmosfere. E come raccontare la città più romantica del mondo se non ripercorrendo i grandi amori che ha ispirato? Veneziano è il seduttore per eccellenza, Giacomo Casanova, di cui questo libro ricorda le più spregiudicate prodezze amatorie. Veneziana è Bianca Cappello, futura moglie di Francesco I de’ Medici, che l’ansia d’amore mette in fuga dal palazzo del padre. Dalla Serenissima passano una ricca marrana perseguitata e il suo amante segreto, i cui intrighi alla corte di Costantinopoli scateneranno la battaglia di Lepanto. A Venezia lascia il segno Lord Byron, l’inquieto poeta inglese, che qui fa sue oltre duecento donne, “contesse e mogli di ciabattini, nobili, borghesi o popolane”. Non potevano mancare la passione travolgente fra Isabella Teotochi Albrizzi e il giovane Ugo Foscolo, la burrascosa storia fra Gabriele D’Annunzio ed Eleonora Duse, e l’idillio “proibito” fra l’Hemingway maturo e un’affascinante baronessina diciannovenne, musa ispiratrice del suo Di là dal fiume e tra gli alberi. Per arrivare ad avventure e follie d’amore più recenti, come le nozze da fiaba tra la giovanissima Ira Fürstenberg e il principe Alfonso Hohenlohe o la presunta storia di Julia Roberts sul set del film intitolato – naturalmente – Tutti dicono I love you. Undici straordinarie vicende di passione e sentimento attraversano cinque secoli di storia, accomunate dal medesimo sfondo: Venezia, l’impareggiabile ruffiana.
Che il conte di Cavour, maestro della tessitura diplomatica, avesse mandato un carico di fucili a Napoli, non lo aveva detto nessuno. Destinatario di quelle armi era stato il ministro di polizia borbonico, don Liborio Romano. Sembra incredibile, ma lo dimostrano i documenti pubblicati in questo libro. Liborio Romano aveva incominciato la sua attività politica in una setta carbonara, era stato per lunghi anni nelle carceri borboniche, in esilio e a domicilio coatto. Ma infine era riuscito a salire al rango di ministro di Francesco II. Per consegnare Napoli a Garibaldi, senza colpo ferire, si era servito dell'aiuto della camorra, ma con questa operazione temeraria aveva sbarrato il passo alla conquista da parte di Cavour. Aveva realizzato insomma un duplice tradimento, nei confronti del suo re e nei confronti di Cavour. Il trasformismo fu la caratteristica politica di don Liborio: alle origini dell'unità, proprio lui ne fu l'inventore nella penisola italiana. La storia di Liborio Romano prosegue con una trionfale elezione al parlamento del Regno d'Italia, ma Cavour, che non lo aveva perdonato, ne decise l'esclusione dal potere politico.
"Sul cartellone c'è la foto di una donna. O, almeno, di una creatura di sesso femminile, a giudicare dalle due piccole sacche di pelle rugosa che pendono al posto dei seni. Sì, perché di fronte all'obiettivo c'è una creatura completamente nuda. Seduta su uno sfondo grigio sfumato, una gamba allungata e l'altra leggermente piegata in modo che solo il pube sfugga allo sguardo. Le ossa, in compenso, si vedono bene. Mi fa vergognare questa foto. Perché è la mia foto." Inizia così il racconto della vita di Isabelle, la cui gigantografia si è impressa nella mente di tutti, ha scosso la coscienza di molti. Dai cartelloni pubblicitari a ritroso fino all'infanzia nella regione di Parigi, all'ombra di una madre sofferente e di due padri, quello naturale e quello putativo, entrambi assenti. Isabelle è una bambina reclusa, tenuta lontana dai giochi in giardino, costretta a indossare vestiti troppo piccoli, scarpe troppo strette. La madre non vuole perderla, vederla crescere e andare nel mondo. Per amore, per paura, per follia. Inizia così la discesa di Isabelle nell'inferno dell'anoressia. Giornate scandite dalla bilancia, dal calcolo ossessivo delle calorie fino ai primi ricoveri in ospedale "dello scheletro che cammina". Anni ritmati dall'oppressione della madre, dall'indifferenza dei medici, dall'inadeguatezza delle strutture, dall'ignoranza di tutti gli altri. Ma anche dagli sforzi sovrumani per uscire dal tunnel che porta sulla soglia della morte.
La fulminante ascesa del democratico Barack Obama al ruolo di primo candidato di colore alla presidenza è certo l'evento politico più eclatante nella storia odierna degli Stati Uniti d'America. È lui, oggi, l'uomo che incarna le migliori speranze di milioni di persone, non solo elettori: neri e bianchi, giovani e vecchi, poveri e ricchi, progressisti e conservatori, in uno slancio unanime che non si conosceva più dai tempi di Martin Luther King, di John F. Kennedy. David Mendell, firma del "Chicago Tribune", ha seguito ogni momento della sua carriera, guadagnandosi la fiducia e il rispetto del senatore, beneficiando quindi di un osservatorio privilegiato rispetto ad altri commentatori. Dall'infanzia tra le Hawaii e l'Indonesia agli esordi come organizzatore politico a Chicago, dalla nomina a senatore fino a quella a candidato democratico alla presidenza USA, passando per il trionfale viaggio ufficiale in Africa nel 2006: capitolo dopo capitolo, le tappe della vita privata e pubblica di Barack Obama compongono quella che è una biografia imparziale, accurata e ricca di informazioni. Mendell rinuncia al "politichese" e lascia parlare le fonti - per prima la carismatica moglie Michelle - analizzando con grande chiarezza e in ogni suo aspetto il "fenomeno Obama". Un ritratto a tutto tondo dell'uomo e del politico che permette anche al pubblico italiano di leggere i mutamenti della storia statunitense e l'autentica realtà di uno dei suoi più sorprendenti protagonisti.
È una vita fuori dal comune quella che scorre in queste pagine, la storia di un uomo che al secolo si chiamava Francesco Forgione e visse dal 1887 al 1968. Il mondo lo conosce come padre Pio da Pietrelcina, il suo volto è raffigurato in ogni dove, ma, a quarant'anni dalla morte, sulla sua vicenda umana rimane ancora molto da dire, molto da sapere. Soprattutto se si accantona qualsiasi intento apologetico o, viceversa, ogni pregiudizio. Che cosa significa nascere contadino nel povero Meridione d'Italia a fine Ottocento? Che cosa comporta per un sedicenne entrare in convento nel 1903? Che cosa succede nella vita di un giovane frate e della sua famiglia quando compaiono i primi segnali di un rapporto privilegiato con la spiritualità? Con accuratezza e rigore, Sandro Mayer e Osvaldo Orlandini ricostruiscono avvenimenti, dettagli, contesto culturale "in presa diretta", come se scoprissero padre Pio insieme ai loro lettori. Ripercorrono la sua vera esistenza sullo sfondo della grande Storia del nostro Paese. E lo fanno con sensibilità e partecipazione, con un linguaggio che parla al cuore. Partendo dai documenti di cronisti e dalle testimonianze dirette, gli autori rendono viva la materia storiografica immaginando anche dialoghi, sensazioni, sguardi, movimenti. Più romanzo storico che biografia tradizionale.
La morte di Moro sarebbe stata decisa sin dall'inizio del sequestro dello statista e niente avrebbe potuto evitarla, questa è la tesi di più ampia circolazione. Diversa invece l'argomentazione di Andrea Colombo che, analizzando il caos di quei 55 giorni di detenzione, ne rintraccia un filo conduttore. Il Pci temeva l'estremismo e la possibilità di un radicamento del terrorismo in una parte della sua base, la De la crisi di governo perché non si sentiva pronta a nuove elezioni; le Br pensavano che senza il clamore di quella violenza sarebbero scomparse. A condannare a morte Moro non furono né la ragion di Stato né le necessità rivoluzionarie, ci spiega Colombo, bensì la convenienza politica a breve termine, la meschina "logica di partito". La paura di perdere consenso e potere condizionò tutti: i partiti di governo, il Pci ma anche le Br, che un partito si consideravano e che come tale agirono. Il rapimento e l'omicidio di Aldo Moro furono la conseguenza di un durissimo scontro a sinistra che nel 1978 durava già da dieci anni, e questa "guerra civile" a sinistra ha determinato sia la scelta omicida delle Br, una scelta che gli stessi brigatisti consideravano perdente, sia la rigidità del Pci che di fatto impose alla stessa Democrazia Cristiana la linea della fermezza. Lo scontro finale che si svolse a sinistra nei 55 giorni del sequestro Moro, si concluse senza vincitori.
La governante Cesira Carocci (Gubbio, 1884-1963) è l'unica donna, a parte la moglie Rachele, che abbia vissuto in casa di Mussolini, dal 1923 al 1934. Al contrario di altri collaboratori - dal commesso Navarra all'autista Boratto non ha mai rivelato segreti, né lasciato memoriali. Tra le "donne del duce" è forse la più misteriosa. Raccomandata da Margherita Sarfatti, ribattezzata da D'Annunzio "Suor Salutevole", diventò col tempo interfaccia tra la "società civile" e il dittatore. Confidente, infermiera, "segretaria", entrò in conflitto con donna Rachele. La moglie del duce riteneva che ne coprisse i tradimenti e che lei stessa fosse una delle tante amanti. Nonostante la simpatia della sorella del duce, Edvige - provata da una lettera privata inedita - alla fine fu licenziata.
Forse non è stata mai svolta una ricerca sull'investimento finanziario che il fascismo dedicò alle "investigazioni" della polizia politica. E forse non sarebbe neppure possibile, trattandosi, molto probabilmente, di "fondi riservati". Si può tuttavia avanzare un calcolo presunto, per così dire a campione, e si potrà constatare che si tratta di una spesa molto ingente. È sufficiente prendere, come test d'indagine, le investigazioni svolte per sorvegliare un "fuoriuscito", come venivano definiti gli esuli politici, che era sì un po' speciale, ma che non era certamente l'unico ad essere sorvegliato assiduamente: Luigi Sturzo, fondatore e già segretario politico del Partito popolare italiano. Giacciono nell'Archivio centrale dello Stato, in due diverse collocazioni, oltre mille fogli che si riferiscono a "Sturzo don Luigi, fu Felice, antifascista". Sono questi documenti che costituiscono la fonte inedita del presente lavoro. Questi, uniti alla rivisitazione di altri archivi ed altre fonti, permettono di ricostruire, anno dopo anno, talvolta giorno per giorno, la vita di Sturzo esule a Londra, i suoi viaggi, le sue amicizie, le sue letture, le lettere che scriveva o riceveva, i suoi studi, i suoi pensieri. E anche, pur nella sua schiva riservatezza, la sua spiritualità.
Una biografia completa di Amintore Fanfani ricostruita grazie a documenti rinvenuti presso l'Archivio Storico dell'Università Cattolica di Milano. Dall'esilio volontario in Svizzera al rapporto con Dossetti, La Pira e Lazzati, dal piano casa alla riforma agraria. Un volume per conoscere meglio un uomo che ha voluto attuare il credo cristiano all'interno della politica.
Con l'arresto nelle campagne di Corleone si è conclusa la lunga latitanza del boss più pericoloso e ricercato di tutti i tempi. Ma chi è Bernardo Provenzano? È stato davvero u tratturi, ovvero il braccio violento al servizio della spietatezza di Riina o, come recenti indagini hanno poi dimostrato, si è trattato del vero regista della politica palermitana, l'amministratore di una mafia trasversale a quella ufficiale di cui sinora si è potuto appurare ben poco?
La città di Sarajevo ha avuto il paradossale destino di essere insieme un simbolo della violenza politica lungo l'intero ventesimo secolo e un modello europeo di cosmopolitismo e pacifica convivenza tra identità religiose, etniche e culturali diverse, grazie alla coscienza civica dei suoi abitanti. Fin dalla fondazione nel quindicesimo secolo, è stata città multiconfessionale e multietnica. Vi hanno convissuto le comunità musulmana, cattolica, serbo-ortodossa ed ebraica. I cittadini erano bosniaci, serbi, croati, ebrei sefarditi e askenaziti, rom e di altre minoranze. La vita cittadina venne però stravolta quando nel 1941 Sarajevo cadde sotto il controllo della Germania di Hitler e fu incorporata nello Stato indipendente di Croazia, uno dei più brutali stati satellite del nazismo, sotto il regime degli ustascia. Il suo complesso mosaico di identità, caratteristico dei vecchi imperi multinazionali, iniziò a incrinarsi. Saltarono equilibri e si manifestarono spinte centripete, quando gli ustascia sferrarono il loro feroce attacco a serbi, ebrei e rom, e poi con l'esplosione della guerra civile sotto l'incalzare dei partigiani comunisti e dei cetnici. Greble analizza le scelte quotidiane e le misure concrete dei leader locali, per capire che cosa ne sia stato in quel drammatico frangente del multiculturalismo incarnato da Sarajevo. Un caso significativo per gli interrogativi urgenti che pone sulla convivenza nel pluralismo culturale e religioso.