Al centro del trattato sull’Eucaristia di Giovanni Duns Scoto, nel IV libro del suo «Commento alle Sentenze», si trovano incastonate due questioni dedicate all’essere degli accidenti. Esse vantano un notevole interesse teoretico, non soltanto per un’adeguata comprensione della teologia eucaristica del maestro scozzese, ma soprattutto per definire la relazione da lui istituita tra metafisica e teologia, che rappresenta uno dei temi cardine del suo pensiero. È qui offerta la traduzione di tali questioni in cui il Sottile si interroga sullo statuto ontologico degli accidenti, corredata di introduzione, note e apparati. Il volume è curato da Davide Riserbato, docente a contratto di Teologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e professore regolarmente invitato presso la Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Antonianum e presso la «Cattedra Marco Arosio di Alti Studi Medievali» dell’Ateneo Pontificio «Regina Apostolorum» (Roma), dove tiene corsi di Storia della filosofia medievale.
Nella loro immediatezza e profondità, gli Analecta sono una delle operepiù limpide e cruciali per capire lo spirito della civiltà cinese, via d’accesso obbligata alla conoscenza delle sue prospettive esistenziali e peculiarità culturali. Analecta è il titolo invalso nel mondo occidentale per riferirsi al testo che secondo la tradizione raccoglie le testimonianze più dirette e accreditate concernenti la vita e gli insegnamenti di Confucio. In essa trovano posto i dialoghi tra il maestro e i discepoli, sentenze a lui direttamente attribuite o espresse dai suoi allievi più intimi, commenti a versi poetici, notizie relative a eventi coevi, confronti con personaggi del tempo nonché note di vita quotidiana significative per comprendere l’uomo Confucio. Un ventaglio di oltre cinquecento massime tutte intese a orientare verso una ridefinizione dell’ideale etico e del senso umano dell’esistenza.La presente edizione, curata da Luigi Maggio, si distingue per una serie di novità che la rendono unica nel panorama dell’editoria internazionale. Offre le più importanti varianti di traduzione dei passi controversi; la curatela del testo cinese e delle citazioni dalla lingua originale è in linea coi più avanzati criteri sinologici; gli apparati critici intendono poi fornire ricche e ampie coordinate per comprendere a fondo la figura e l’opera di Confucio; l’introduzione definisce le finalità filosofiche e pedagogiche presentando le tematiche portanti della sua riflessione;le numerose note non si limitano a chiarimenti filologici ma offrono ragguagli storici e interpretazioni filosofiche per meglio penetrare il testo oltre l’apparente semplicità. All’appendice sui personaggi menzionati nell’opera si accompagna quella concernente il lessico che approfondisce i termini più importanti e caratteristici della riflessione confuciana.
Nato ad Amsterdam nella prima metà del Seicento, Mošèh Zacuto trascorse gran parte della propria vita in Italia, prima a Venezia e poi a Mantova, dove rimase fino alla morte nel 1697. Rabbino, cultore della mistica ebraica (la cosidetta cabbalà), esperto di giurisprudenza talmudica e finissimo poeta, la sua figura riassume i diversi poli geografico-culturali che costituirono l’esperienza ebraica della prima età moderna. Autore prolifico, Zacuto ha lasciato un’opera imponente e variegata, tuttora in parte manoscritta. Al suo periodo italiano risale anche la composizione del Toftèh ‘arùkh (L’inferno allestito), un lungo poema drammatico dedicato alla descrizione, in accesi toni coloristici, dell’oltretomba ebraico e delle pene che attendono i malvagi nella gehènna. Scritto in un linguaggio di straordinaria complessità e macabra suggestione, traboccante di astrusi riferimenti cabbalistici, L’inferno allestito si proponeva in realtà scopi didascalici e di moralizzazione, assai simili a quelli perseguiti, in ambito cristiano, dalla vibrante oratoria sacra di epoca controriformista. Vagamente ispirato all’Inferno dantesco, il poema di Zacuto si collocava alla confluenza tra la cultura ebraica tradizionale e le tendenze letterarie e intellettuali europee, contribuendo a consacrarne l’autore tra i più alti esponenti della poesia ebraica di età barocca.Il volume è curato da Michela Andreatta che insegna lingua e letteratura ebraica presso la University of Rochester negli Stati Uniti. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Gersonide, Commento al Cantico dei Cantici nella traduzione ebraico-latina di Flavio Mitridate. Edizione e commento del ms. Vat. Lat. 4273 (cc. 5r-54r) (Olschki, 2009).
Composti verso la fine del II secolo dopo Cristo, gli Oracoli Caldaici sono attribuiti a Giuliano il Teurgo, figlio dell’altro Giuliano che, secondo Suidas, compose un’opera sui demoni. Poeta e sciamano dei misteri teurgici, in cui la figura del mántis-docheús (il nostro medium) coincide con quella del profétes, Giuliano comunica in frammenti oscuri e insieme luminosi, come si addice all’oracolo, un’esperienza visionaria individuale fiorita nell’ambito di un Erlebnis mistico e sapienziale collettivo. Gli Oracoli caldaici, che Proclo paragonava per importanza al Timeo di Platone, sono una raccolta di frammenti in cui un medium in trance parla con la voce del nume, e ne comunica la Sapienza che conduce gli umani oltre il velo delle apparenze, fino all’intuizione dell’Assoluto e al congiungimento con esso. Unica testimonianza diretta di una tradizione esoterica che associava metafisica e magia in un accordo inscindibile, gli oracoli consentono di guardare dietro le quinte di una esperienza mistica e iniziatica di grande densità immaginale, che viene comunicata in un linguaggio densamente poetico. È un viaggio verso l’Assoluto che sta alla radice di tutte le cose, o meglio ancora verso il Divino indicibile che si manifesta attraverso ipostasi e numi, che prendono nome di Padre, Ecate, Noüs, e la cui quintessenza brilla nell’animo dei teurghi, eredi della grande tradizione orfica e platonica, che trascendendo l’ego ordinario si ricongiungono con la propria natura divina originaria, in un dialogo serrato con gli dei e le dee del cosmo.
"Mândûkyakârikâ upanisad" è tradizionalmente considerate un trattato autorevole per l'interpretazione della Stuti, comprende il commento in versi (karika) di Caudapada e riassume tutta la visione metafisica della dottrina vedica. E a partire da Gaudapada che la tradizione advaita diventa storicamente evidente quale manifestazione visibile di una tradizione già esistente. Egli è tato il primo maestro umano a ricevere la conoscenza dell'advaita e a impartirla ai suoi discepoli e per questo gli viene attribuito il massimo rispetto in seno alla tradizione advaita. Caudapada è indicato come il Maestro di Govinda Bhagavtpada, a sua volta Maestro di Adi Sarikara. Esistono ben poche notizie sulla sua persona. La pubblicazione di quest'opera colma un vuoto nel panorama culturale-filosofico, perché di questo importante testo mancava un'edizione integrale con il sanscrito a fronte. La traduzione e il commento di Raphael sono di grande aiuto per lo studioso occidentale non introdotto nella vasta tematica induista e buddista. Le note alla fine di ogni capitolo apportano un notevole contributo alla tematica metafisica e utili chiarimenti dottrinari.
"L'Alcibiade I è uno dei dialoghi in cui Platone sostiene compiutamente la tesi di Socrate della coincidenza dell'uomo con la sua anima. Inoltre, è l'unica opera platonica, oltre al Fedro, in cui l'interlocutore di Socrate il giovane Alcibiade, alla vigilia del suo ingresso nella vita politica passa da un atteggiamento spirituale a un altro: infatti, all'iniziale presunzione e superbia, fanno seguito l'umiltà richiesta dalla ricerca della verità e il bisogno dell'aiuto del maestro. Giovanni Reale ritiene così, in sintonia con Friedländer, che l'Alcibiade I sia il momento di transizione tra i dialoghi aporetici giovanili e la prima fase del pensiero maturo di Platone inaugurata dal Gorgia".
"Proprio perché si tratta di uno dei dialoghi socratici più difficili da intendere e da valutare, l'autenticità dell'Alcibiade II è messa in dubbio anche da Reale, che lo considera composto al tempo dei primi dialoghi di Platone. A ogni modo, i pensieri espressi in relazione al tema centrale del dialogo - la preghiera, che va rivolta agli dèi col cuore, non con lo sfarzo di riti appariscenti - sono congruenti con le testimonianze di Senofonte sulla concezione socratica del pregare. Nel saggio introduttivo, Reale appronta un perspicuo e fecondo parallelo tra questa concezione e l'epilogo del Fedro..."
L'Eutidemo è uno degli ultimi dialoghi della giovinezza di Platone. Il filosofo vi mette in scena, con le tinte parodistiche della farsa, una critica impietosa del ramo meno nobile della dialettica antica: l'eristica, ossia l'arte sofistica di combattere pretestuosamente con i discorsi al solo fine di confutare in maniera ingannevole le argomentazioni degli avversari, senza riguardo per la verità.
Anthony Collins (1676-1729), illuminista radicale e personaggio chiave dei Free-thinkers inglesi, con A Philosophical Inquiry concerning Human Liberty (1717) dà una collocazione sistematica al determinismo che già filtrava dai suoi scritti precedenti. L’opera ha un carattere dinamico e coerente, che fa il punto delle principali linee guida della posizione determinista, costituendo un vero e proprio “trattatello” sul tema. La linearità di queste dimostrazioni non è però innocua: il determinismo collinsiano, con la sua dominante componente materialistica, è in grado di scardinare il sistema della filosofia tradizionale e, cosa ancor più importante, di proporne una valida ed efficace alternativa. Jacopo Agnesina Ph.D, si è dedicato allo studio dell’Illuminismo radicale. Riguardo il pensiero di Anthony Collins ha pubblicato articoli su riviste italiane e internazionali. Di prossima uscita, per l’editore parigino Honoré Champion, una monografia dal titolo The Philosophy of Anthony Collins: Free-thought and Atheism.
Il Carmide è uno dei dialoghi giovanili di Platone più ricchi e più interessanti, con pagine di straordinaria profondità e attualità. Vengono qui messi in luce i limiti dell'antica tesi della medicina greca secondo cui non si può curare una "parte" del corpo senza curare "tutto" il corpo, e si dimostra che il corpo umano stesso è solo una "parte", in quanto l'intero dell'uomo è insieme corpo e anima. Il messaggio centrale del dialogo resta particolarmente valido anche per l'uomo d'oggi: per liberarsi dai mali, bisogna innanzitutto curare la propria anima in modo che domini il corpo, ossia occorre raggiungere un adeguato autodominio, la temperanza, perché solo così si può acquistare la vera salute.
"In questa collana presentiamo, in volumi singoli, i primi dialoghi platonici, interpretandoli come documenti che attestano in modo assai efficace 'il pensiero storico' di Socrate. La lettura di questi Dialoghi ci farà conoscere a fondo Socrate nella grandezza del suo messaggio rivoluzionario."
"In questa collana presentiamo, in volumi singoli, i primi dialoghi platonici, interpretandoli come documenti che attestano in modo assai efficace il 'pensiero storico' di Socrate. La lettura di questi Dialoghi ci farà conoscere a fondo Socrate nella grandezza del suo messaggio rivoluzionario."
A partire dal giudizio negativo di Friedrich Schleiermacher, la maggior parte degli interpreti ha inteso e intende ancora oggi "Gli amanti" come l'opera non autentica. Giovanni Reale dimostra però che le idee espresse in questo agile dialogo sono tipicamente quelle che Platone nelle opere giovanili attribuisce a Socrate, quindi o si tratta di un falsario geniale, oppure lo scritto è autentico. D'altra parte, l'asse portante degli "Amanti" è proprio quel concetto di "giusta misura" che qui viene delineato nella sua prima formulazione perspicua, e che in seguito verrà coerentemente ripreso e sviluppato non solo nei dialoghi più maturi (Protagora, Politico, Filebo), ma anche nelle dottrine non scritte.
L'"Ipparco" è uno tra i più eleganti e ironici dialoghi giovanili di Platone. La sua autenticità è stata messa in dubbio, ma Giovanni Reale, sulla scorta dell'ermeneutica gadameriana, adduce argomenti definitivi per l'attribuzione platonica. La tesi fondamentale del dialogo è che il "guadagno" è un "bene", e, poiché tutti non vogliono altro che il bene, allora ogni uomo vuole il guadagno, quindi è amante del guadagno. Così l'Ipparco è solo in apparenza privo di conclusione, mentre esprime la verità di fondo del pensiero socratico, che qui Platone accetta pienamente, e che presenta e difende con la sua grande arte.
La "Rhetorica ad Alexandrum" è l'unico testo conservato integralmente all'interno di una vasta produzione di 'technai rhetorikai', cui fanno più volte accenno sia Platone sia Aristotele, e il primo di una serie di trattati sistematici, di manuali pratici, in Grecia e a Roma. La sua lettura apre uno spiraglio di osservazione sulla vita sociale e politica, sul diritto greco, sulla retorica e sull'eloquenza nello stadio intermedio fra i primi retori e Aristotele. Nel trattato si dà rilievo alle potenzialità dell'argomentazione, volta ad assicurare la vittoria all'oratore: oltre che come mezzo di persuasione, la retorica si configura essenzialmente come teoria della comunicazione linguistica nello spazio costituito e controllato della polis, in cui si assegna istituzionalmente un ruolo preminente alla parola 'pubblica', che traduce in dibattito i possibili conflitti, sia privati sia pubblici. L'opera fa parte del "Corpus Aristotelicum" ed è collocabile nel IV secolo a.C, escluse alcune sezioni. La paternità aristotelica è stata messa in dubbio in epoca moderna: alcuni commentatori ed editori hanno attribuito il trattato ad Anassimene di Lampsaco, storico e retore del TV secolo a.C. Alla sua conoscenza e alla sua diffusione, a partire dal Quattrocento, ha contribuito la traduzione latina di Francesco Filelfo.
In aggiunta ai numerosi dialoghi di Platone già pubblicati nei Testi a fronte, una nuova collana di undici titoli con una nuova traduzione di Giovanni Reale. Undici dialoghi cosiddetti "socratici" in quest'ordine: Teagete, Ippia minore, Ippia maggiore, Ipparco, Amanti, Carmide, Lachete, Liside, Eutidemo, Alcibiade primo, Alcibiade secondo. Spesso trascurati dal grande pubblico, perché perlopiù aporetici, e apparentemente non conclusivi sul problema trattato, sono stati studiati da specialisti, peraltro condizionati, a partire dall'Ottocento, da pregiudizi ermeneutici, che hanno talvolta deposto a favore dell'affermazione della loro povertà teoretica e della negazione della loro autenticità. Giovanni Reale ha capovolto tali convinzioni e dimostrato come, sulla base delle nuove scoperte dell'ermeneutica, della tecnologia della comunicazione nel mondo antico e delle nuove interpretazioni dell'ironia socratica, tali dialoghi si rivelino tra gli scritti più freschi e innovativi di Platone. Platone ha compreso, come nessun altro filosofo, la portata rivoluzionaria della domanda di Socrate sul "che cos'è" e il metodo dialettico-confutatorio con cui dalla domanda si dipana la trattazione. Questo nuovo approccio ha comportato un mutamento radicale del modo tradizionale di "pensare per immagini e per miti" traghettandolo nel nuovo modo di "pensare per concetti", che si imponeva come una necessità storica.
In aggiunta ai numerosi dialoghi di Platone già pubblicati nei Testi a fronte, una nuova collana di undici titoli con una nuova traduzione di Giovanni Reale. Undici dialoghi cosiddetti "socratici" in quest'ordine: Teagete, Ippia minore, Ippia maggiore, Ipparco, Amanti, Carmide, Lachete, Liside, Eutidemo, Alcibiade primo, Alcibiade secondo. Spesso trascurati dal grande pubblico, perché perlopiù aporetici, e apparentemente non conclusivi sul problema trattato, sono stati studiati da specialisti, peraltro condizionati, a partire dall'Ottocento, da pregiudizi ermeneutici, che hanno talvolta deposto a favore dell'affermazione della loro povertà teoretica e della negazione della loro autenticità. Giovanni Reale ha capovolto tali convinzioni e dimostrato come, sulla base delle nuove scoperte dell'ermeneutica, della tecnologia della comunicazione nel mondo antico e delle nuove interpretazioni dell'ironia socratica, tali dialoghi si rivelino tra gli scritti più freschi e innovativi di Platone. Platone ha compreso, come nessun altro filosofo, la portata rivoluzionaria della domanda di Socrate sul "che cos'è" e il metodo dialettico-confutatorio con cui dalla domanda si dipana la trattazione. Questo nuovo approccio ha comportato un mutamento radicale del modo tradizionale di "pensare per immagini e per miti" traghettandolo nel nuovo modo di "pensare per concetti", che si imponeva come una necessità storica.
In aggiunta ai numerosi dialoghi di Platone già pubblicati nei Testi a fronte, una nuova collana di undici titoli con una nuova traduzione di Giovanni Reale. Undici dialoghi cosiddetti "socratici" in quest'ordine: Teagete, Ippia minore, Ippia maggiore, Ipparco, Amanti, Carmide, Lachete, Liside, Eutidemo, Alcibiade primo, Alcibiade secondo. Spesso trascurati dal grande pubblico, perché perlopiù aporetici, e apparentemente non conclusivi sul problema trattato, sono stati studiati da specialisti, peraltro condizionati, a partire dall'Ottocento, da pregiudizi ermeneutici, che hanno talvolta deposto a favore dell'affermazione della loro povertà teoretica e della negazione della loro autenticità. Giovanni Reale ha capovolto tali convinzioni e dimostrato come, sulla base delle nuove scoperte dell'ermeneutica, della tecnologia della comunicazione nel mondo antico e delle nuove interpretazioni dell'ironia socratica, tali dialoghi si rivelino tra gli scritti più freschi e innovativi di Platone. Platone ha compreso, come nessun altro filosofo, la portata rivoluzionaria della domanda di Socrate sul "che cos'è" e il metodo dialettico-confutatorio con cui dalla domanda si dipana la trattazione. Questo nuovo approccio ha comportato un mutamento radicale del modo tradizionale di "pensare per immagini e per miti" traghettandolo nel nuovo modo di "pensare per concetti", che si imponeva come una necessità storica.
Sotto il nome di Quaestiones de virtutibus rientra un gruppo di cinque quaestiones disputatele, nelle quali Tommaso affronta in maniera diretta e analitica il tema delle virtù, sia dal punto di vista filosofico sia da quello teologico. Composte nel periodo del secondo soggiorno parigino dell'Aquinate, tali questioni costituiscono un'opera matura, redatta parallelamente alla stesura delle sue grandi opere etiche, ovvero la Sententia Libri Ethicorum e la seconda parte della Summa Theologica, interamente dedicata allo studio della morale. Non particolarmente note né frequentate dalla critica, le Quaestiones de virtutibus rappresentano, pertanto, una delle chiavi per addentrarsi nell'affascinante e complesso impianto dell'etica tommasiana. Il particolare taglio prodotto dalla natura della quaestio, "monografica" di necessità, consente un affondo approfondito, ricco e dettagliato sul tema delle virtù isolato nella sua specificità. La presente traduzione di due di tali questioni, che riporta alla luce un testo così fondamentale e poco conosciuto, si inserisce nel contesto della riscoperta di Tommaso d'Aquino come uno degli autori di riferimento per la contemporanea etica delle virtù.
Scritta dopo la "Poetica", la "Retorica" appartiene all'ultimo periodo della vita di Aristotele. Ci è stata tramandata in tre libri che l'antico dossografo, Diogene Laerzio, ricorda separatamente. I primi due libri hanno per oggetto generale l'argomentazione, mentre il terzo prende forma dalla composizione di due trattatelli, rispettivamente sullo "stile" (elocutio) e sull'ordine" (dispostilo) delle parti del discorso. Riassumendone altrimenti i contenuti, il primo libro si potrebbe considerare "il libro dell'oratore", il secondo "il libro del pubblico", il terzo, infine, quello più vicino alle tematiche della retorica tradizionale, "il libro della comunicazione". L'importanza attribuita nei primi due libri al ragionamento retorico, alle argomentazioni "concepite" dall'oratore (I libro) e "recepite" dall'uditorio (II libro), sta a indicare il contributo che Aristotele apporta alla retorica tradizionale, proponendo una retorica del ragionamento in luogo di quella della mozione degli affetti, una retorica di cui l'elocutio (lo "stile") è ormai solo una parte e, certo, non la più importante.
Il volume presenta in traduzione italiana con testo a fronte l'"Introduzione" e la "Dottrina fondamentale" (§§ 1-45) della monumentale "Dottrina della scienza" che Bernard Bolzano pubblicò nel 1837, segnando una tappa decisiva nella filosofia contemporanea. Aspro critico di Kant, visse e operò a Praga. L'autore, un tempo scarsamente conosciuto se non per vie indirette, è stato riscoperto sia per l'intrinseco valore delle sue opere e l'originalità della sua riflessione in vari ambiti della ricerca filosofica, sia per l'influenza esercitata su diverse correnti del pensiero novecentesco. Il punto di partenza e il cuore della concezione di Bolzano è l'affermazione del darsi di verità in sé, che sono tali a prescindere dal loro essere conosciute, pensate o enunciate: si stabilisce così il dominio oggettivo della logica, della connessione oggettiva delle proposizioni vere, cui la scienza umana dovrà e potrà riferirsi. Il testo è corredato da un'introduzione, da un profilo bio-bibliografico e da un significativo apparato di note che ricostruisce i numerosissimi riferimenti dell'opera.
La Missione del dotto di Fichte è la più straordinaria descrizione moderna del ruolo dell'intellettuale, nella forma di un impegno condotto universalisticamente in rapporto diretto con l'idea di umanità e di emancipazione del genere umano tramite la prassi trasformatrice.
Pubblicati rispettivamente nel 1755 e nel 1762, il "Discorso sull'origine e i fondamenti della disuguaglianza tra gli uomini" e il "Contratto sociale" costituiscono le due principali opere in cui Rousseau riflette sui motivi che conducono gli uomini a costituirsi in società. In particolare nel "Discorso" Rousseau discute delle forme di disuguaglianza che tra gli uomini si producono a causa del tradimento perpetrato ai danni di quella "legge naturale" che dovrebbe invece guidare l'agire umano, mentre nel "Contratto" è analizzato il patto sociale che porta alla nascita politica di uno Stato in grado di garantire a ciascuno il godimento dei legittimi diritti. Le due opere si presentano sotto il segno della complementarietà perché, una volta intrapresa la strada dell'istituzione sociale, e conseguentemente perduta quella libertà che Rousseau lega allo stato di natura, questa stessa libertà va riguadagnata all'interno dello Stato mediante le leggi. I testi, qui presentati in una nuova traduzione, sono accompagnati da un'introduzione alle opere, da note al testo e alla traduzione, da un'ampia bibliografia, da una cronologia della vita e delle opere del filosofo e da un apparato di parole chiave.
Il testo originale del "Peri phyton" è perduto, e il trattato che leggiamo in greco, edito per la prima volta nei "Geoponica" (1539), e incluso in tutte le edizioni del "Corpus Aristotelicum", a partire dalla seconda edizione di Basilea (1539), è la retroversione greca (anonima) condotta sulla traduzione latina, condotta a sua volta su una traduzione araba di una traduzione siriaca. Il Medioevo latino attribuisce quasi unanimemente il trattato ad Aristotele. Il trattato ha un carattere peculiare nell'ambito della botanica antica, in quanto affronta temi discussi principalmente in ambito biologico e filosofico: se la pianta sia un essere vivente, quale tipo di "anima" abbia, se sia capace di percepire, se i sessi siano in essa distinti, e in genere quali caratteristiche tipiche della fisiologia animale sia possibile riconoscere anche nella pianta. Esso ha costituito nel Medioevo e nel Rinascimento una delle fonti antiche più lette, come dimostrano, tra gli altri, il "De vegetabilibus" di Alberto Magno, e il commento della retroversione greca da parte di Giulio Cesare Scaligero. Il testo greco stampato a fronte della traduzione è (tranne in alcuni punti, segnalati e discussi nelle note) quello dell'edizione del 1989, curata da H. J. Drossaart Lulofs (editore delle versioni orientali) e E. L. J. Poortman (editore della versione latina e greca).
Tommaso analizza nel suo capolavoro (di cui qui si riportano le pagine dedicate al nostro tema) il complesso rapporto tra passioni e amore, puntando sull'unità della vita della persona, con un indagine che è di grande interesse anche oggi in cui il disorientamento e la disumanizzazione derivano in gran parte da una scissione esiziale tra la dimensione razionale e quella corporeo-passionale. Che cose la passione? Come si sviluppa il suo dinamismo nella vita umana? Il rapporto tra ragione e passioni è destinato a essere conflittuale, oppure è possibile arrivare a un governo razionale non repressivo, che consenta all'una e alle altre di concorrere alla vita buona dell'uomo, alla sua piena realizzazione? L'ampio saggio introduttivo, le note, gli apparati e, in primo luogo, la traduzione, forniscono gli strumenti per comprendere (anche da parte dei non addetti ai lavori) la ricchezza del testo dell'Aquinate, tenendo presenti i problemi della modernità e del nostro tempo. Tra le passioni emerge l amore che fonda l'unità della vita personale, in quanto radice di tutte le affezioni del cuore, che può governarle nella tensione al bene - e in primo luogo al Bene sommo - secondo l'ordine razionale dell'amore (ardo amoris). Saggio introduttivo, traduzione, note e apparati di Umberto Galeazzi.
Miguel de Unamuno (Bilbao, 1 864 - Salamanca, 1936), uno dei più importanti filosofi spagnoli del secolo scorso, concepì "l'Agonia del cristianesimo" (1924), un'opera dal taglio colloquiale e semi-autobiografico, in seguito a una profonda crisi esistenziale, più forte e pregnante di quella grande crisi spirituale che l'aveva gettato nello sconforto nel 1 897, dettata anche dal tormento nostalgico vissuto durante l'esilio e la fuga in Francia. Tutta la vita di Unamuno si sviluppò in una costante lotta interiore che è stata ragione di confronto con i grandi temi del cristianesimo e motivo di impegno politico e sociale e che lo ha portato a scontrarsi con la monarchia, con la dittatura di Primo de Rivera e con la sollevazione militare di Franco agli albori della guerra civile spagnola, durante la quale Unamuno morì, nel 1936. In questo scritto, molte delle idee già espresse in Del sentimento tragico della vita (1913) vengono rinnovate da una forte vis polemica nei confronti della società e delle ideologie precostituite, e da un intenso dramma interiore. Un conflitto che sta alla base della stessa agonia del cristianesimo che abita ogni singolo individuo, ogni uomo cristiano, che è agonico per definizione. L'agonia è, infatti, la "lotta" di chi vive lottando contro la vita stessa, e contro la morte, poiché il fine della vita è farsi un'anima, un'anima immortale. Questa è per Unamuno "ansia d'immortalità".
Leggere "Presenza e immortalità" significa immergersi nelle riflessioni di Gabriel Marcel che hanno al centro il mito di Orfeo ed Euridice, vissuto come ricerca indefessa di una presenza perduta. Le pagine del diario scritto durante la Seconda guerra mondiale e quelle dei saggi che lo accompagnano rendono il lettore un viandante che attraversa un mondo straziato, esposto alla tentazione della diserzione e della disperazione assoluta, un mondo svuotato di senso, avvolto dal buio e dalla minaccia della morte. Proprio nella notte, però, l'anima tenta un faticoso percorso verso il chiarore dell'aurora. La filosofia di Marcel non è un pensiero dell'io che costruisce attorno a sé un sistema autoreferenziale, ma è aperta radicalmente all'alterità: essa è per essenza polifonica, come sottolinea il filosofo. La polifonia, connettore del pensiero di Marcel con il teatro e con la musica, designa l'attestazione concreta e drammatica dell'alterità plurale, degli altri, del mio corpo, di me a me stesso. E proprio quest'opera è uno sforzo teso ad affermare che l'io è originato da un noi plurale che sta al suo centro come un appello continuo e una fonte inesauribile di irradiazioni ontologiche e intersoggettive. Prefazione di Glauco Tiengo.
La "Logica tedesca" (1713) di Christian Wolff è uno dei documenti più significativi sulla logica tedesca del 1700, la cui importanza va ben al di là di un interesse puramente storiografico. La teorizzazione di un'unione tra ragione ed esperienza, tra proposizioni empiriche e procedimento rigorosamente deduttivo, di tipo matematico, al fine di conseguire conoscenze a un tempo oggettivamente fondate, formalmente corrette e tra loro ben articolate, caratterizza l'impianto della "Logica tedesca" e rappresenta il contributo teoreticamente più rilevante che essa ha dato allo sviluppo della logica settecentesca, ma anche alla formazione del linguaggio filosofico tedesco, di cui costituisce l'atto di nascita ufficiale.
Il commentario rappresenta un valido strumento per penetrare in profondità nel nucleo dottrinario, storico-filosofico e letterario dell'opera di Lattanzio.
Questo volume raccoglie i tre tomi usciti originariamente separati, contenenti rispettivamente tutto quanto pervenuto della Scuola di Elea, quel circolo filosofico sviluppatosi in Italia nel V secolo a.C.
Nel 1870 a soli ventisei anni Nietzsche scrive La visione del mondo dionisiaca. In queste pagine non destinate alla pubblicazione appronta la quinta scenica che sotterraneamente lo accompagnerà per tutta la vita: il rapporto conflittuale tra gli impulsi “generatori” della cultura umana, o almeno greca e poi europea, ossia la lotta tra l’apollineo e il dionisiaco. Il pensiero tragico di Nietzsche si forma intorno a questa lotta e il capolavoro giovanile pubblicato di lì a poco, La nascita della tragedia dallo spirito della musica, ha come nucleo proprio La visione del mondo dionisiaca. Qui è compresa con chiarezza l’irruzione epocale di quello strapotere proveniente dall’Oriente e della contromossa che l’Occidente ha adottato per non soccombere e per germogliare. Nel paesaggio bucolico della valle alpina di Maderanertal, vicino al Lago di Lucerna, Nietzsche può comporre il suo scritto, spinto dall’ingenuo proposito di un “rinascimento” tedesco ma anche dall’impellente necessità di una “rivoluzione” dionisiaca.
Il volume è curato, introdotto e tradotto da Tommaso Scappini, dottorando in filosofia all’Università di Vercelli con una tesi sul tema della violenza in Nietzsche. Studioso di ermeneutica e di estetica, insegna storia e filosofia nei licei.
Il De Ente et Uno, qui presentato in nuova edizione critica e traduzione, costituisce uno dei vertici della filosofia dell’Umanesimo italiano. In quest’opera, frutto del più “maturo” pensiero di Giovanni Pico della Mirandola, l’enfant prodige del Rinascimento in brevi capitoli di approfondita riflessione teoretica, cesellati con passaggi degni della prosa dei più ispirati mistici, tenta di gettare le basi della conciliazione tra la filosofia di Platone e quella di Aristotele, momento aurorale del suo vagheggiato progetto di riunificazione del sapere universale. Il testo è accompagnato dalla prima traduzione italiana delle obiezioni del filosofo faentino Antonio Cittadini al De Ente et Uno e dalle risposte di Giovanni Pico. Il volume è curato da Raphael Ebgi (dottorando in “Metafisica” presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano) e, per la parte filologica, da Franco Bacchelli. Completano l’opera una prefazione di Marco Bertozzi e una postfazione di Massimo Cacciari.
Vladimir Sergeevicv Solov’ëv (1853-1900),visionario profeta del dialogo e tenero amante della Sapienza Divina, scrisse “Il dramma della vita di Platone”nel 1898, lo stesso anno del secondo viaggio in Egitto allorquando cominciarono i primi segni di cedimento fisico dovuti al troppo lavoro. In XXX paragrafi Solov’ëv analizza –facendo precedere il tutto da una lunga introduzione su come intendere il concetto di “dramma” nel pensiero greco a partire dai pre-socratici– il legame tra la teoria dell’amore di Platone (o meglio: la sua “crisi erotica”, proprio per come la definisce Solov’ëv) e il consequenziale mutamento della sua visione del mondo. L’autore si chiede quale sia la svolta (e ‘quando’, oltre al ‘come’, precisamente, si sia consumata) che induce Platone –fino a quel momento pensatore del “non essente”, fondatore del ‘pensare’ metafisico e delle questioni gnoseologiche astrattamente interpretate– a dedicare le sue migliori opere all’amore. Un argomento fino ad allora non specificatamente rientrato nell’ordinarietà della sua sfera filosofica che lo porta alla proposizione di una teoria che non trova punti di appoggio nelle sue ‘visioni’ precedenti e che ha lasciato, in tutto il successivo corso del suo pensiero, un’impronta profonda, determinante. Ancor prima della contrapposizione tra il “vero essere” e l’umbratile “divenire”, l’apparente o il fenomeno, Platone, sotto l’influsso della dottrina e della morte di Socrate, presentì la contrapposizione etica tra ciò che deve essere e ciò che effettivamente è, tra l’autentico ordine morale e l’ordinamento della società data. Questo fu il ‘dramma’ vissuto da Platone e dalla risposta di Solov’ëv alla domanda precedente concludiamo che la revisione del pensiero filosofico platonico fu determinata proprio da tale ‘crisi’ (da cui scaturisce, appunto, la sua teoria dell’amore) che è concepibile solo come progresso del suo idealismo letteralmente imposto dalle esigenze di una nuova esperienza esistenziale.
La dialettica della durata è stata pubblicata nel 1936, nel pieno del surrazionalismo di Gaston Bachelard (1884-1962), ossia della dottrina epistemologica più spregiudicata e provocatoria del secolo scorso, pure in così piena sintonia con le rivoluzioni relativistica e quantistica della scienza fisica. Lo scritto critica in maniera costruttiva la nozione tradizionale di durata e propone l’originalissima nozione del tempo come scintillanza quantica. Oltre che per la profonda opera di scavo del concetto di durata, per il superamento netto del bergsonismo e per le proposte innovative nella riflessione sulla temporalità, il testo si caratterizza per la lucida prospettazione di una futura disciplina epistemologica: la ritmologia. Uno dei pochi libri filosoficamente decisivi sul problema del tempo. L’edizione è stata curata da Domenica Mollica, studiosa del pensiero epistemologico francese del XX secolo. Questa sua traduzione restituisce con grande sapienza lo stile immaginifico ma al contempo scientificamente sorvegliato dell’originale francese.
Le Upanisad, parte dei testi sacri della religione induista, sono costituite da trattati di estensione variabile, appartenenti ad epoche diverse, in prosa e in versi, alcune miste; l’aspirante alla verità è indotto a trascendere il piano di realtà del grossolano attraverso la contemplazione o la stimolazione della ragion pura e attraverso l’ascolto delle verità supreme sull’origine e sul destino dell’uomo. In questa edizione vengono riportate con il testo sanscrito a fronte le tredici Upanisad più antiche (“vediche”), che risalgono a un periodo compreso, con tutta probabilità, tra il 700 e il 300 a.C.
I Mechanica appartenenti al Corpus Aristotelicum costituiscono il più antico trattato greco di meccanica che ci sia pervenuto. Essi hanno avuto un ruolo determinante nello sviluppo della scienza antica e moderna, almeno fino a Galileo, che ben conosceva questa opera. Il testo greco è riprodotto secondo l’edizione di Immanuel Bekker, tranne in alcuni punti in cui la curatrice se ne discosta.
Le sezioni della Summa Theologica di Tommaso dedicate al tema della felicità. Con testo latino a fronte.
A cura di Marco Vannini
Opera di un anonimo Cavaliere teutonico di Francoforte, che riassume in forma più semplice l’alta lezione spirituale di Eckhart, fu stampata e diffusa da Lutero con il titolo Teologia tedesca, e come tale godette grande fortuna nei secoli XVI e XVII, fornendo alimento essenziale alla mistica, non solo germanica (basti pensare a San Giovanni della Croce). Definita “opera immortale” da Schopenhauer, che paragonò il suo autore a Platone e a Buddha, essa indica la via per giungere alla beatitudine in questa vita, sì che il mondo divenga per noi un paradiso. La vita è il distacco, la rinuncia alla volontà propria, in modo che il nostro occhio divenga l’occhio stesso di Dio.
Marco Vannini ha curato l’edizione italiana di molti importanti mistici: Eckhart, Taulero, Franck, Silesius, Czepko, Margherita Porete, Gerson, Fénelon. Tra i lavori più recenti: Storia della mistica occidentale (Mondadori 1999), La mistica delle grandi religioni (Mondadori 2004), La morte dell’anima. Dalla mistica alla psicologia (Le Lettere 2004), Mistica e filosofia (Le lettere 2007), La religione della ragione (Bruno Mondadori 2007).
L’opera costituisce uno degli ultimi lavori filosofici di Sestov, e vide la luce prima in traduzione francese che in lingua originale. Essa è dedicata a una interpretazione dei motivi fondamentali della riflessione di Kierkegaard, autore che Sestov scoprì e studiò in età già avanzata su calda esortazione dell’amico Edmund Husserl; e secondo il giudizio di alcuni rappresenterebbe il libro migliore e più puntuale del pensatore russo. Tutte le categorie del pensiero kierkegaardiano vengono qui a trovare una specifica collocazione come modalità di espressione dell’unico e medesimo compito che fu fatto proprio anche da Sestov: la lotta contro la ragione e le sue verità. Se non è possibile rivalutare il senso dell’esistenzialità umana rimanendo sul terreno della necessità razionale, che per sé esige solo sottomissione, non resta che la lotta per l’Assurdo e per il paradosso; per ciò che precisamente definendosi come suprema “assenza-di-senso” può assicurare il senso della vita a una creatura libera.
Glauco Tiengo (Casale Monferrato, 1971) – specialista del pensiero filosofico-religioso ed esistenzialista russo del Novecento e in particolare di P. Florenskij, L. Sestov e V. Solov’ëv, già assegnista di ricerca presso l’Università “Roma III”, collabora con diverse Università e prestigiose Istituzioni sia in Italia che all’estero.
Enrico Macchetti (Biella, 1981) – dottore in filosofia presso l’Università del Piemonte Orientale “A. Avogadro” e cultore della tradizione filosofica russa, è attualmente impegnato in un approfondimento dello studio del legame tra senso dell’umanità e trascendenza nel pensiero russo tra Otto e Novecento. Entrambi, nella collana Bompiani “Il Pensiero Occidentale” hanno curato l’edizione di L. Sestov, Potestas clavium (2009).
Pensare e poetare è il titolo con cui Martin Heidegger aveva annunciato un corso universitario di introduzione alla filosofia per il semestre invernale 1944/45. Interrotto dopo la seconda lezione per ragioni legate alla guerra, si tratta dell’ultimo corso accademico tenuto dal pensatore come titolare ufficiale di cattedra. Il manoscritto, finora inedito in Italia, è speculativamente densissimo e quanto mai provocatorio: la sua tesi di fondo è che non può esserci questione filosofica degna di tale nome senza l’essenziale reciprocità di pensiero e poesia. Il testo contiene inoltre delle pagine indimenticabili su due figure emblematiche assai care a Heidegger: Nietzsche, il pensatore dell’epoca del compimento della metafisica, che è intrinsecamente poeta; Hölderlin, il poeta della notte del mondo e del tempo indigente, che è pensatore sommo.
L’edizione è stata curata da Vincenzo Cicero, autore del più monumentale glossario heideggeriano mai redatto in Italia in riferimento a una singola opera (Holzwege. Sentieri erranti nella selva). Questa sua ultima traduzione, il cui italiano fine e cristallino rispecchia in maniera perfetta lo stile del pensatore tedesco, è filologicamente esemplare ed è accompagnata da illuminanti note lessicali.
Il testo tedesco a fronte riproduce le pp. 89-160 del vol. 50 della Heideggers Gesamtausgabe (2007).
Quest’opera sui Sofisti curata da Mario Untersteiner - uno dei più significativi studiosi italiani del pensiero antico (1899-1981) - raccoglie in volume unico i quattro originariamente editi nella collana "Biblioteca di Studi Superiori" della editrice "La Nuova Italia", da tempo non più in circolazione. Untersteiner ha curato personalmente tutti gli autori e tutti i testi anonimi, a eccezione di Crizia, curato dal suo allievo Antonio Battegazzore. Si tratta della più ricca e completa raccolta di tutto quanto ci è pervenuto dei e sui Sofisti, pensatori che Untersteiner considera espressione di un determinato clima storico, il cui tono è dato dai fatti sociali che sono tipici di quell’epoca. Lo studioso sostiene inoltre la tesi assai originale e stimolante secondo cui la sofistica è in realtà una trasposizione su un piano filosofico della tragedia e delle contraddizioni della vita umana che essa esprime. Nella Introduzione Giovanni Reale illustra l’originalità e l’importanza dell’interpretazione di Untersteiner, che nei suoi lavori sui Sofisti ha lasciato il meglio di sé.
A cura di Francesco Paparella
Il Liber sex principiorum, presentato per la prima volta in traduzione italiana, è un’opera breve di scuola abelardiana, attribuita inizialmente a Gilberto Porretano e oggi generalmente considerata spuria dalla critica moderna; lo scritto risale con ogni probabilità alla prima metà del XII secolo e, nonostante lo stile oscuro e la complessità dei temi trattati, ha goduto di una certa fortuna nel Medioevo, giacché colmava una lacuna nelle auctoritates per lo studio della logica; divenne infatti parte integrante dei curricula di logica, alla pari dell’Isagoge di Porfirio e degli scritti di Boezio, tanto da essere commentato da Alberto Magno e discusso da Dante Alighieri. Ancora nel XVII secolo, il commentario conimbricense alla logica aristotelica lo considera testo importante e persino Leibniz ne riprende alcune dottrine nella sua Monadologia. I sei princìpi di cui tratta il libello sono le sei categorie aristoteliche “minori” che determinano la forma, che Aristotele aveva lasciato pressoché non analizzate nelle sue Categorie: azione, patire, quando, dove, posizione e avere (le tre “maggiori”, non prese in esame dal libello, sono naturalmente la quantità, la qualità e la relazione). Una volta terminata l’analisi intorno alle suddette categorie “minori”, viene proposta un’articolata riflessione sui concetti di più o meno, ovvero di maggiore e minore, collegati alla crescita e alla diminuzione.
L’opera è curata da Francesco Paparella, docente allo IULM di Milano e studioso attento del pensiero alto-medievale, che per Bompiani nel 2004 ha già tradotto i Tria opuscula di Proclo; il testo latino a fronte è ripreso dall’edizione critica di Lorenzo Minio-Paluello.
II volume, secondo una consuetudine abbastanza tipica di Sestov, si compone quasi integralmente di testi che originariamente videro la luce come scritti indipendenti su riviste specializzate, o concepiti in ogni caso svariati anni prima, soprattutto durante la Prima guerra mondiale. L'importanza capitale dell'opera risiede nel suo porsi a un punto cruciale di snodo nel cammino filosofico dell'autore. Proprio con "Potestas clavium" avviene, nel contesto di una immutata attività filosofica integralmente rivolta a rivendicare e a legittimare la filosofia dell'esistenza sulla filosofia speculativa, la definitiva svolta sestoviana dall'iniziale pensiero dell'infondatezza nutrito per lo più di ispirazione nietzschiano-nichilistica - a una valorizzazione più marcatamente religiosa dell'esistenza.
Bernardino Telesio (Cosenza 1509-1588), tra i più importanti rappresentanti del naturalismo rinascimentale, esercitò una profonda influenza su Tommaso Campanella e Francesco Bacone ed elaborò una immagine del sapiente lontana da quella dei maghi e alchimisti e vicina a quella degli esponenti della rivoluzione scientifica. Come può essere conosciuto il mondo? Che tipo di sapere può essere conseguito? In quale conto va tenuta l'autorità degli antichi? In questa seconda edizione del "De rerum natura" che risale al 1570, Telesio riprende, apportando correzioni e integrazioni, i temi esposti nella prima edizione del '65. La nuova immagine della natura si afferma in aperta polemica con la fisica aristotelica e secondo presupposi e intenti per molti versi irriducibili a quelli della tradizione magico-ermetica. La difesa della libertas philosophandi; l'ammonimento ad attenersi alla testimonianza dei sensi, studiando la natura iuxta propria principia; l'insofferenza nei confronti della cultura libresca; la negazione del principio di autorità: sono tutti elementi, questi, destinati a esercitare una profonda influenza. Il "De rerum natura iuxta propria principia" contiene una delle espressioni più significative della filosofia della natura del Rinascimento, e il suo autore può essere giudicato, ancor oggi, "primo dei moderni".
Tutti i frammenti superstiti dei 15 libri scritti dal neoplatonico Porfirio di Tiro contro il cristianesimo che sempre più si diffondeva nell'Impero Romano del III secolo. Testi greci, latini e tedeschi a fronte. Presentazione di Giuseppe Girgenti.
Le "forme di produzione precapitalistiche" costituiscono una parte dei "Lineamenti di critica dell’ economia politica" composti da Marx, sotto torma di appunti e in vista della stesura del "Capitale", tra il 1857 e il 1858. Vero e proprio "testo dentro il testo", esse rappresentano una sorta di interruzione momentanea dell’ indagine critica di Marx sul presente del modo di produzione capitalistico e volgono invece lo sguardo al passato dei mondi che lo hanno preceduto e ne hanno preparato l’avvento: i modi di produzione antico, asiatico e feudale, nelle loro specifiche articolazioni e dinamiche. Più precisamente, il nucleo tematico di questo laboratorio intellettuale, che permette di seguire Marx mentre elabora il proprio pensiero, è l’analisi della legge generale dello sviluppo storico e del legame reciproco dei diversi modi di produzione che si sono storicamente succeduti. Incentrato su una filosofia della storia stadiale e dialettica, conflittuale e orientata al fine ultimo della società senza classi, il progetto marxiano poggia su una salda convinzione: non è possibile comprendere pienamente il "funzionamento" del mondo capitalistico senza averne correttamente decifrato la genesi storica e senza essersi affrancati dalle spiegazioni ideologie che naturalistiche e "robinsoniane" dell’economia politica classica. Non si può fare luce sul presente né prefigurarsi le contraddizioni che accompagneranno l’umanità verso il futuro, senza aver preventivamente fatto i conti con il passato.
In questo breve scritto l'Autore descrive in positivo e in negativo le virtu' dell'eroe: talento, discrezione, capacita' di dissumulazione, volonta' e cuore, buon gusto, capacita' di discernimento, conquista del consenso, adattamento e, paradossalmente, persino alcuni vizi e difetti.
Senofane di Colofone (575-470 a.C.) e' una figura solitaria del pensiero presocratico,talora ritenuto (a torto) maestro di Parmenide e fondatore della Scuola di Elea. Con testo greco a fronte.
Nel periodo della Scolastica medievale si confrontarono due grandi correnti, il Tomismo e lo Scotismo; in questo trattato, Duns Scoto costruisce la sua teoria ontologica, ove il primo principio, cioe' Dio, e' inteso in maniera univoca e non analogica. Con testo latino a fronte.
Un approfondimento sul pensiero di Kierkegaard sulla filosofia della rivelazione di Schelling. Con testo danese a fronte.
Il testo presenta gli scritti filosofici di Ernest Renan, a partire dallo studio giovanile fino a quelli della maturita'. Con testo francese a fronte.
Il capolavoro dell'Imperatore Filosofo, ultimo epigono del neostoicismo romano (di cui in parallelo vengono pubblicati gli scritti minori), in una nuova traduzione con testo greco a fronte; i Pensieri di Marco Aurelio sono riflessioni morali, rivolte a sé medesimo, miranti a rendere l'animo imperturbabile e tranquillo, rinchiuso in una sorta di cittadella interiore, al riparo dagli agenti esterni (gli eventi del fato) e interni (le passioni), che sono sempre causa di sofferenza e turbamento se non vengono disciplinati dalla ragione egemonica, che deve ridurli al rango di indifferenti. Solo così è possibile raggiungere la tranquillità interiore nell'accettazione del destino, unica salvezza a portata di mano con le sole forze della ragione.
Tra le opere minori di Aristotele, i due scritti De coloribus e De audibilibus si pongono a meta' tra le opere propriamente filosofiche e quelle propriamente scientifiche, dato che rappresentano il primo abbozzo di un'ottica" e di un'"acustica" elaborate nell'antichita' classica. Con testo greco a fronte. "
Per chi non ha il coraggio di affrontare la lettura del Capitale, questo breve scritto di Marx ne rappresenta un utile compendio. Con testo tedesco a fronte.
Sigieri di Brabante è il principale esponente del cosiddetto averroismo latino, quella corrente della Scolastica medioevale che riprese la versione islamica di Aristotele ed entrò in conflitto con la versione tomista dell'aristotelismo stesso, soprattutto a proposito della tesi dell'unicità o della molteplicità dell'intelletto divino e umano. Questo volume raccoglie per la prima volta i commenti di Sigieri al "De anima" di Aristotele, e offre uno spaccato sulle dinamiche interne del pensiero cristiano del XIII secolo, oggi di grande attualità anche per comprendere la storia dei suoi rapporti con il pensiero arabo di Averroé.
In questo scritto del 1809, Schelling vuole dimostrare che la libertà umana non è affatto incompatibile con il panteismo, giacché nel suo sistema essa non è né sacrificata in nome dell'ineluttabile necessità, né salvaguardata in senso puramente formale. La possibilità di scegliere tra il bene e il male non è uno scandalo, perché il secondo possiede una natura attiva e spirituale al pari del bene; il male consiste nell'inversione, che può aver luogo soltanto nell'uomo, del concreto rapporto tra principio oscuro (volontà particolare) e principio luminoso (volontà universale), una dualità di princìpi che si radica nella scissione originaria che si dà in Dio stesso tra il suo fondamento oscuro e abissale e la sua esistenza luminosa attuale; la ricongiunzione dei due princìpi può avvenire solo attraverso l'amore ed esaurisce tanto la storia della creazione quanto quella della rivelazione.
Il volume comprende i Commenti che Tommaso d'Aquino ha dedicato a due dei cinque opuscoli teologici attribuiti a Boezio: il De Trinitate e il De ebdomadibus. Con testo latino a fronte.
Viene qui riproposto il capolavoro di uno dei maggiori filosofi del Seicento, con il testo originale a fronte e con il nutrito commento di Giovanni Gentile. Le dottrine metafisiche e gnoseologiche possono essere considerate come propedeutiche alla definizione di una teoria morale che si propone di liberare gli uomini dalle passioni. E dal momento che il riconoscimento della necessità della sostanza divina è per Spinoza il concetto fondamentale della concezione della realtà e della conoscenza, esso costituirà anche il perno concettuale della sua costruzione etica.
Pubblicate per la prima volta a Salamanca nel 1597, le "Disputazioni metafisiche" del gesuita spagnolo Suárez sono un'opera che ha fatto "epoca". È stato uno dei più celebri teologi del Siglo de Oro a tentare, per la prima volta, un trattato autonomo di "Metafisica", non concepito più come commento al testo di Aristotele, secondo l'usanza medievale, ma come fondazione di una disciplina autonoma e sistematica. Le Disputazioni possono essere considerate come l'ultima summa del pensiero scolastico, lì dove - in un estremo tentativo di sintesi della linea tomista e di quella scotista - si delinea quell"'ontologia" che fornirà il lessico concettuale di riferimento per i filosofi moderni, da Descartes, Spinoza e Leibniz sino a Wolff, Kant e Hegel. Non a caso questo testo ha avuto una diffusione straordinaria non solo nelle Università cattoliche ma anche in quelle protestanti del XVII e del XVIII secolo; ha attraversato silenziosamente tutto l'Ottocento ed è riemerso infine con grande risalto nella critica filosofica novecentesca. Dell'immensa mole delle 54 Disputazioni vengono tradotte qui le prime tre: esse si presentano come una vera e propria "introduzione alla metafisica", riguardo alla natura, all'oggetto e al metodo di questa scienza. Il testo è preceduto da un'introduzione del curatore e seguito da una nutrita serie di apparati: le note al testo, l'elenco dettagliato delle fonti, un lessico di parole chiave, l'indice completo di tutte le Disputazioni e un'esauriente bibliografia.
Tra le opere minori giunte sotto il nome di Aristotele, il "De mirabilibus auscultationibus" è una rassegna di resoconti fantastici, di leggende, di strane storie sempre presentate come verosimili anche se incredibili. Aristotele non intende quindi fare mitologia, ma una sorta di scienza descrittiva del fantastico e del meraviglioso. Tra le cose mirabili che lo scritto presenta nella sua puntigliosa catalogazione troviamo anche notizie curiose sui luoghi geografici dell'Italia greca e della Sicilia e sugli effetti strabilianti di sostanze chimiche allora sconosciute. La presente edizione è curata da Gabriella Vanotti, docente di Storia greca presso l'Università del Piemonte Orientale, che nell'introduzione dà conto delle numerose fonti a cui l'autore può avere attinto; il testo greco a fronte riproduce con alcune varianti la classica edizione del Bekker; infine l'ampio commento e la bibliografia completano l'opera con un aggiornato status quaestionis.
Tra le opere minori giunte sotto il nome di Aristotele (e oggi di discussa autenticità), la "Fisiognomica" tratta della corrispondenza tra i caratteri degli uomini e gli attributi somatici esterni del viso e del corpo; per esempio, gli occhi grandi e sporgenti indicano un carattere intemperante, lo sguardo denota sempre una disposizione d'animo, o più in generale i temperamenti interni corrispondono al rossore, al pallore, alla scurezza o all'ittero del viso. Nella prima parte, lo scritto si concentra sulla fisiognomica umana, mentre nella seconda l'analisi è estesa anche agli animali. A partire da questo scritto e nel corso della sua lunga storia, la fisiognomica come disciplina è stata sempre connotata da un'ambivalenza teorica essenziale: quella di essere una "quasi scienza", a metà tra divinazione e razionalità, tra mantica e medicina, una disciplina che da un lato affonda le sue radici nel sapere di tutti e nella superstizione, e dall'altro si propone un rigore scientifico-metodologico e si fonda su postulati precisi, quali il rapporto di interdipendenza tra caratteristiche fisiche e psichiche e la corrispondenza biunivoca tra segno sensibile e relativa affezione interna. La traduzione, con introduzione, note e apparati è a cura di Maria Fernanda Ferrini, docente di Letteratura greca all'Università di Macerata. Il testo greco a fronte è quello di 1. Bekker (Berolini 1831), di cui viene conservata la numerazione delle pagine e delle linee.
Nato intorno al 1200 da una nobile famiglia tedesca, Alberto di Colonia, considerato l'iniziatore della Scolastica medioevale, apprese l'aristotelismo a Padova; come già per Averroè, il pensiero di Aristotele fu inteso da Alberto come il culmine della filosofia, il massimo di verità a cui può giungere da sola la ragione umana prescindendo dalla rivelazione. Diventato frate domenicano, Alberto si recò a Parigi, ove scrisse la maggior parte delle opere, una vera e propria enciclopedia dei saperi del tempo; tra l'altro, fu maestro di Tommaso d'Aquino, insieme al quale fondò lo studium generale dei domenicani a Colonia: la tesi gnoseologica fondamentale di questo scritto breve, ma basilare, è la coincidenza di essere e verità. Una professione di realismo metafisico che sta a fondamento di gran parte del pensiero cristiano degli ultimi sette secoli.
Il pensiero di Marx gode di un'attualità inesauribile in ambiti impensati: in questo scritto del 1843 il filosofo cerca di rispondere a uno dei quesiti politici più sentiti al suo tempo: come comportarsi nei confronti degli ebrei in Europa? La sua risposta è che gli ebrei si possono emancipare solo se rinunciano all'ebraismo, giacché bisogna emancipare l'uomo in quanto uomo: nella società capitalistica nessuno (e non solo l'ebreo) è veramente libero. Il testo, che fu impropriamente utilizzato anche in chiave antisemita dai nazisti, ha pertanto la duplice valenza di ferire la nostra coscienza affinché non dimentichi e non ripeta le tragedie del Novecento e di esaminare una delle vie alternative della cultura occidentale.
Questo è uno scritto allegorico, pervenuto in frammenti, in cui il filosofo neoplatonico del IV secolo d.C. interpreta simbolicamente la sacra acqua del fiume Stige in Arcadia, con riferimenti congiunti alla tradizione omerica e all'interpretazione neoplatonica riguardante i destini delle anime nell'oltretomba. Porfirio sviluppa un'analisi dell'acqua-psiche come "fons vitae", inaugurando una lettura che avrà seguito nella poesia e nella cultura occidentale.
Piccola opera teologica di Anselmo, tesa a indagare il mistero del male (mysterium iniquitatis), cioè il distacco originario da Dio, Sommo Bene, di un'intelligenza angelica. Essa fa parte, con il "De veritate" e il "De libertate arbitrii", di una trilogia composta, probabilmente, tra il 1080 e il 1085, quando Anselmo era priore di Bec. L'argomento che accomuna i tre trattati è la rettitudine: Satana è caduto perché non volle perseverare nella giustizia e perché volle essere simile a Dio, anteponendo il proprio arbitrio alla volontà divina, e fu giustamente punito.
In questo saggio, che Montaigne ha aggiunto agli altri "Essais" solo pochi anni prima della sua repentina scomparsa, nel 1592, il filosofo saggia l'inanità dei grandi racconti filosofici su Dio, il mondo, l'uomo, la politica - racconti che non solo non hanno evitato le guerre fratricide e insensate, ma spesso le hanno addirittura provocate - e si rivolge a ciò che davvero siamo in grado di sperimentare: l'io, il "moi".
I "Lineamenti di filosofia del diritto" - pubblicati a Berlino nell'ottobre 1820 - rappresentano la summa del pensiero etico-politico di Hegel, l'ultima opera in volume da lui pubblicata, e forse quella che ha più influito nella storia e nel pensiero politico europeo. Con il sottotitolo "Diritto naturale e scienza dello Stato in compendio", il filosofo espone sinteticamente le linee fondamentali del processo dialettico di autodeterminazione dell'Idea, che ha lo scopo di "comprendere concettualmente lo Stato e di esporlo come qualcosa di intimamente razionale".
Con questa opera, datata fine marzo 1800, Schelling giunge a una prima "sintesi" della sua problematica teoretica composta di filosofia dell'io e filosofia della natura. La prima è la speculazione che, muovendo dall'elemento soggettivo del sapere, l'io appunto, si pone come fine la spiegazione dell'oggettivo; la seconda, viceversa, è l'indagine che muove dall'oggettivo per giungere al soggettivo. Il sistema di tutto il sapere è appunto "l'idealismo trascendentale", nel cui svolgimento viene ripercorsa per "epoche" la "storia dell'autocoscienza".
Le massime dei Sette Sapienti (Talete, Solone, Pittaco, Biante, Periandro, Chilone e Anacarsi) rappresentano la "pre-filosofia" greca, nel senso che offrono un corpus di antichissime sentenze morali, di proverbi, di motti e di regole pratiche di saggezza che, pur non essendo ancora giustificate razionalmente e fondate filosoficamente, contengono però già in nuce l'essenziale dell'etica greca. Per questa ragione si parla ancora di "sapienti" (sophoi) e non già di "filosofi" (philo-sophoi). La curatrice Ilaria Ramelli è dottore di ricerca in Filologia e Letteratura del mondo classico e professoressa contrattista di Antichistica.