Sono qui raccolti per la prima volta gli scritti teorici di Carlo Diano, con alcuni importanti inediti, per una visione pressoché completa della sua ricerca multiforme come filologo, grecista e innovativo interprete del mondo classico, ma anche come scrittore, saggista, teorico di estetica, poeta e, soprattutto, filosofo originale. È possibile seguire in ordine cronologico lo sviluppo del suo pensiero, dai primi scritti a opere di fama internazionale, come Forma ed evento, Linee per una fenomenologia dell'arte, gli importantissimi Scritti epicurei, gli Studi e saggi di filosofia antica, oltre ai rivoluzionari saggi sulla catarsi tragica, su Edipo, sull'Alcesti, su Platone, che nell'interpretazione di Diano rivelano aspetti prima inesplorati. Fulcro del suo pensiero filosofico ed estetico sono le categorie fenomenologiche di forma e di evento che, proprio per i loro tratti distintivi, si danno come strumento d'analisi del mondo greco, ma anche di ogni cultura e civiltà. Fondante è il suo discorso sul metodo, ricorrente in più saggi, che consiste nell'affrontare i problemi col rigore del filologo e l'ampiezza di una conoscenza universale, che annulla ogni barriera tra le diverse discipline. Su queste basi Diano fonda un sistema filosofico ed estetico originale in cui filologia, studi storici, filosofici, scientifici, sociali, storico-artistici e storico-religiosi si integrano a creare un nuovo procedimento di indagine, che gli permette di restituire il senso originale di autori e testi. La vasta cultura, la prodigiosa padronanza della filologia, l'ampiezza di visione, la mente eclettica e anticipatrice, le grandi doti di traduttore sono le solide basi di un sistema filosofico più che mai attuale, che lo pone fra i grandi Maestri del pensiero moderno e contemporaneo. Con i contributi di Massimo Cacciari e Silvano Tagliagambe.
Per la prima volta in questa collana una nuova edizione critica degli Inni orfici, dei quali è latore il codice Vaticano greco 2264. Nel volume trovano spazio, con il testo originale a fronte, ventidue inni, brevi componimenti in esametri dedicati a varie divinità, preceduti dal proemio di Orfeo a Museo e da due biografie su Orfeo. Preghiere maturate in un contesto pagano o poesie rivolte agli dei, l'importanza degli Inni orfici sta nell'influenza che hanno avuto nella storia del pensiero occidentale. Più volte parafrasati e valorizzati nel Rinascimento, offrono al lettore una ricca stratificazione di significati e di elementi riconducibili a una poetica fatta di richiami più o meno espliciti a temi e motivi letterari, filosofici e religiosi di origine misterica.
Per la prima volta in Italia l'edizione critica completa, a cura di Maddalena Mazzocut-Mis, dei Salons che Denis Diderot compose fra il 1759 e il 1781 con cadenza biennale, con l'eccezione degli anni 1773, 1777 e 1779. A completamento del volume anche l'edizione, curata da Massimo Modica, dei "Saggi sulla pittura" e dei "Pensieri sparsi sulla pittura, la scultura, l'architettura e la poesia, per continuare i «Salons»", che Diderot scrisse nel 1766 e nel 1777. Il volume rappresenta uno strumento per la conoscenza dell'opera di Diderot, della storia del pensiero illuminista e della storia dell'arte e della critica d'arte e anche una chiave di lettura per una comprensione più consapevole del presente, a partire proprio dalla rilevanza che la cultura delle immagini ha nella nostra società.
Si presenta qui la traduzione delle "Opere complete" di Pascal, effettuata sulla base di manoscritti e in riferimento alle più autorevoli edizioni già apparse tra il XX e il XXI secolo. Il complesso di questi scritti - troppo spesso frammentato in edizioni particolari che rischiano di spezzare l'unità del pensiero pascaliano - restituisce un Pascal a tutto tondo e offre l'opportunità di abbracciare il vasto arco di interessi che animano questo grande pensatore moderno. D'altronde, Pascal ha lasciato un'orma profonda e indelebile in molti campi: dalla letteratura alla scienza, dalla teologia alla filosofia, dalla morale alla politica, dalla pedagogia all'ingegneria. Inoltre, nell'unità e nella continuità delle opere pascaliane si può cogliere la mirabile varietà di registri che Pascal magistralmente usa in riferimento a un determinato interesse. Perciò si va dalla pacata e nitida prosa scientifica alla pungente polemica del panflettista, dall'originalissimo scavo psicologico allo slancio apologetico, dal rigorismo morale alla rivendicazione dell'autonomia della scienza. Testi francesi e latini a fronte.
Le "Meditazioni Cartesiane" riprendono il corso di quelle "Meditationes de Prima Philosophia" con cui René Descartes ha di fatto inaugurato la moderna filosofia della soggettività. Edmund Husserl adotta però il suo metodo fenomenologico, andando alla datità stessa delle cose per trovare un fondamento assoluto: la datità dell'io che medita e fa esperienza. Da qui si sviluppa il corso della quinta Meditazione Cartesiana, a ragione considerata uno dei vertici della produzione filosofica di ogni tempo: il tentativo di rendere conto dell'estraneo a partire da noi stessi, e del corpo dell'altro a partire dal nostro.
La «Consolatio» è una spietata autoanalisi, che affronta le cause di una crisi storica attraverso un esame spregiudicato degli affetti e della storia personale di un suo protagonista. Boezio scopre di essersi costruito un falso sé, una falsa personalità, senza rendersene conto: lui, il filosofo, si è lasciato sedurre da una società caotica e irrazionale, del tutto estranea ai suoi desideri e alle sue aspettative. Il reale è preda del caso e qualsiasi successo al suo interno è effimero. Il vero scopo dell'uomo è riscoprire la parte migliore di sé, la scintilla divina soffocata dagli affanni quotidiani, immergendosi nell'armonia del cosmo che cancella la disarmonia del mondo.
Il libro raccoglie in un solo volume con testo a fronte le opere fondamentali di Denis Diderot, articolando insieme gli scritti filosofici e le grandi opere letterarie. La prima parte contiene le Opere filosofiche; la seconda i Romanzi e i racconti. Il criterio di ordinamento dei testi è cronologico all'interno di ciascuna parte: nella prima si spazia dalle prime opere filosofiche degli anni quaranta del XVIII secolo, contemporanee dell'Encyclopédie (1751), fino agli scritti della maturità e ai lavori postumi. Nella seconda parte troviamo le prime prove letterarie e libertine giovanili, come I Gioielli indiscreti (1747), fino ai grandi romanzi «critici» e «distruttori» degli anni 1770-1780 (La Religiosa, Il Nipote di Rameau, Jacques il fatalista e il suo padrone).
Nel 1841 Schopenhauer riunisce sotto il titolo «I due problemi fondamentali dell'etica» due trattati: «Sulla libertà del volere umano» e «Sul fondamento della morale». Nel primo l'autore nega il libero arbitrio. Ogni vivente ha una sua natura, che è attiva; può fare quello che vuole, e perciò si ritiene libero, ma non può volere se non quello che la combinazione dei motivi e delle circostanze gli suggerisce. Nel secondo trattato individua come fondamento dell'etica la rottura del 'principium individuationis' che relega l'uomo nell'egoismo; l'unico antidoto all'egoismo è la compassione, che neutralizza l'istinto a servirsi degli altri come mezzo per il raggiungimento dei propri fini e che fa rispecchiare negli altri ("Tat twam asi" = questo sei tu).
La civiltà greca, forse più di ogni altra cultura antica, sembra aver avuto una particolare predisposizione a iscrivere quasi qualunque oggetto, prodotto, spazio utili a contenere lettere, frasi, veri e propri testi articolati, finanche componimenti poetici di altissima fattura. Centinaia di migliaia sono le testimonianze di epigrafi che la Grecia antica ci ha lasciato. Fra queste, un posto di rilievo occupano le epigrafi di carattere sepolcrale, e, fra queste, le epigrafi in versi. Commissionate soprattutto dalle famiglie più colte e facoltose, queste testimonianze aprono un orizzonte tutto da scoprire sulla civiltà antica: greca, ma non solo, visto che in lingua ellenica, sentita come la lingua della cultura e della poesia, sono realizzati anche epitaffi per uomini e donne romani, italici, o di altre aree del mondo antico. Sfogliare le “pagine di pietra” di questo affascinante repertorio mette di fronte il lettore a migliaia di individui: uomini e donne, bambini e anziani, che vissero e morirono nelle più diverse situazioni. Mette di fronte il lettore, in una parola, alla vita. I casi che ci rivelano colpiscono, a volte per la drammaticità degli eventi, altre volte per la serenità di chi ha saputo affrontarli, spesso per la disarmante attualità di tante sventure, di allora e di oggi. Testi reali, composti da poeti sconosciuti, per uomini e donne che hanno lasciato in tal modo il loro ricordo nei secoli: anziani che hanno concluso la vita con una vecchiaia serena e giovani morti prematuramente; naufraghi sfortunati e soldati gloriosi; fanciulle appena sposate che Ade ha strappato agli affetti e medici che, dopo aver curato altri, non hanno potuto curare se stessi. Il quadro che emerge dalle oltre duemila testimonianze è quello di una società multiforme e, per molti aspetti, simile alla nostra: una vera e propria Spoon River dell’antichità. Nel 1955 il grande epigrafista tedesco Werner Peek pubblicò la più importante raccolta, a tutt’oggi, di epigrammi sepolcrali greci, dall’età arcaica all’epoca cristiana. In oltre dieci anni di lavoro, Franco Mosino, grecista e linguista scomparso nel 2015, tradusse e commentò, per la prima volta al mondo, la raccolta del Peek. Emanuele Lelli, in collaborazione con un gruppo di studenti del Liceo Tasso di Roma, ne ha curato la revisione, l’aggiornamento e l’introduzione. La Prefazione di Giulio Guidorizzi poi apre orizzonti di lettura suggestivi, antropologici e letterari. Un’opera, dunque, che rende finalmente disponibile al pubblico italiano un materiale imponente per quantità, e particolarissimo per contenuti: un insostituibile strumento per ogni studioso di antichità classiche, ma anche un affascinante viaggio nel quotidiano dei Greci, per il lettore curioso di oggi.
Le quarantuno dissertazioni filosofiche di Massimo di Tiro offrono una visione privilegiata della cultura imperiale del II secolo d.C., epoca in cui domina l'eleganza stilistica, e anche la filosofia non disdegna di dispiegare i propri contenuti mediante il "bello stilo" dello strumento retorico, giacché il vero retore è «l'alleato del discorso filosofico» (Diss. 25, 6). Nello svolgimento dei temi, per lo più platonici nell'ispirazione e orientati ad argomenti presenti nel dibattito del tempo, senza esclusione di altre influenze filosofiche, Massimo di Tiro si mostra pensatore dalla non banale semplicità. Muovendosi con agile padronanza fra filosofia e letteratura, fra Platone e Omero, calibra con sapienza l'erudizione sul filtro di un'esigenza educativa di ampio respiro.
Il volume raccoglie, con il testo greco originale a fronte, la traduzione curata da Mario Vegetti e Diego Lanza. Si tratta dei cinque scritti zoologici ("Ricerche sugli animali", "Le parti degli animali", "La locomozione degli animali", "La riproduzione degli animali" e "Il moto degli animali") e delle sette brevi opere di psicologia e fisiologia, i cosiddetti "Parva Naturalia" ("La percezione e i percepibili", "La memoria e il richiamo alla memoria", "Il sonno e la veglia", "I sogni", "La premonizione nel sonno", "La lunghezza e la brevità della vita" e "La respirazione").
Per la prima volta in un unico volume la ''Storia della filosofia greca e romana'' di Giovanni Reale: il grande antichista vi ha lavorato per quattro decenni, a partire dagli anni sessanta del secolo scorso. Questo volume intende rendere omaggio al fondatore della fortunata collana del Pensiero Occidentale, riprendendo integralmente - con una rinnovata bibliografia - i dieci volumi editi da Bompiani nel 2004, che a loro volta aggiornavano i cinque editi da Vita e Pensiero nel 1975-80.
Il tema di fondo è il ''logos'', la capacità di affrontare il mondo in maniera razionale, che distingue la filosofia da ogni altra forma di sapere.
Giovanni Reale ritrova le prime tracce di razionalità nei testi orfici, per poi proseguire in un’appassionata ricerca che da Esiodo attraversa più di mille anni. Il punto finale è il decreto di Giustiniano, con cui nel 529 vengono chiuse tutte le scuole dell’Impero guidate da docenti pagani. Tale conclusione è anche testimone dell’ormai consolidata nuova visione del mondo, che ha visto fondersi la novità del Cristianesimo con la tradizione filosofica.
Un termine segnato da quelli che per Reale sono i due momenti fondamentali del pensiero umano, la seconda e la terza navigazione. Platone usa questa metafora spiegando come dopo l’uso dei remi nel navigare si rendano necessarie le vele, figura del guardare oltre la realtà sensibile. Giovanni Reale propone anche una ''terza navigazione'', quella della fede, non presente nella filosofia greca e romana, ma da questa preparata. E' il programma di una vita, della sua personale vita, che spiega anche il tono appassionato con cui è scritto questo libro, testimone di una ricerca che supera l’anonimato e la freddezza dell’accademia.
I tre commenti al libro della Genesi («La Genesi contro i Manichei», il «Libro incompiuto sulla Genesi alla lettera» e «La Genesi alla lettera») sono le opere di sant'Agostino dedicate ai racconti della creazione contenuti all'inizio della Bibbia. Il retore africano ha riflettuto per tutta la vita su queste poche pagine della Scrittura: sul rapporto tra tempo ed eternità, tra il nulla e la materia, tra libertà e provvidenza. Si passa da un'interpretazione allegorica a una ben più originale esegesi ad litteram, che nonostante la dichiarata letteralità porta a una complessa filosofia della creazione, che trova nella dottrina delle "ragioni causali" il proprio fulcro teorico.
«La vita», «Il Castello interiore», «Le Fondazioni», sino alle opere minori di Teresa d'Avila rappresentano un corpo unico capace di parlare con efficacia all'uomo del terzo millennio. Il linguaggio di Teresa, qui esigente, là consequenziale, fintamente distratto e falsamente inconsapevole, parla come parla il mondo d'oggi: per rimandi, schizzi, analisi ed effetti, che rendono difficile se non impossibile la traduzione perfetta. E non si tratta di un caso di captatio benevolentiae. Di qui, anzi, la nuova e invincibile scommessa di un volume con il testo a fronte. Descrizioni a flash diventano flashback cinematografici se un filo non conducesse lettere, parole e frasi da un saggio alla poesia, e da questa, tramite l'ironia, alle vette della spiritualità. Sì, perché i santi sono gli autentici istrioni del mondo di oggi e di sempre; Teresa ne fa parte, e con lei, in questo volume, è stata accolta la perenne sfida della parola.
La nuova traduzione del capolavoro di Max Stirner (1806-1856) ha la pretesa di essere una ''bella fedele'', contro le ''belle infedeli'' che l'hanno preceduta. Ancora oggi l'anarchico Stirner, pensatore controcorrente della sinistra hegeliana, è considerato da molti un matto e ancora oggi molti altri fanno iniziare da lui una nuova epoca dell'umanità, appunto perché era un anarchico. Stirner in realtà fu un uomo silenzioso, nobile, che nessun potere e nessuna parola sarebbero riusciti a corrompere, un uomo così unico che non trovò un posto nel mondo, e di conseguenza visse in povertà. L'obiettivo della sua opera fu quello di difendere l'unicità di ogni individuo, soprattutto dei diseredati, dei misconosciuti, dei calpestati in primo luogo ad opera dello Stato, della legge, delle religioni, dei sistemi etici e di tutte le istituzioni sorte con fini positivi, ma che fin troppo spesso, già solo per l'imperfezione umana (ma per Stirner di per se stesse, sempre), deragliano e richiedono continuamente interventi correttivi. Nella sua forma paradossale ed eccessiva, spesso urtante e urticante, espressione della sua indignazione e ribellione morale, ''L'unico'' difende un'esigenza umana fondamentale, che viene fin troppo spesso negata o elusa dai fanatismi, dai veri egoismi, che si abbeverano e si ubriacano di devastanti astrattezze.
Il corso Introduzione all'indagine fenomenologica (1923/24) è il primo tenuto da Heidegger a Marburgo. Vi viene presentata un'approfondita analisi della fenomenologia che da una parte afferma per la prima volta il distacco del pensiero heideggeriano da Husserl e dall'altra espone nei suoi tratti fondamentali il carattere ermeneutico che caratterizzerà la stessa ontologia fondamentale. Ciò accade in particolare mediante l'introduzione in funzione dominante del concetto di cura, il quale viene a determinare lo stesso essere dell'esserci e così il modo originario per l'uomo di essere nel mondo. Infine il distacco da Husserl e dalla sua concezione della filosofia si compie sul percorso di un attento confronto con Descartes, il più esteso che si ritrova nell'opera heideggeriana
Il più rilevante e noto trattato rinascimentale sulle qualità morali, fisiche e divine dell'uomo fu redatto da uno fra i più poliedrici e dotti umanisti del Quattrocento. Il ''De dignitate et excellentia hominis'' è l'opera capitale di Giannozzo Manetti (Firenze, 1396 - Napoli, 1459), ricco mercante, politico, autore di numerosi scritti in latino, e traduttore di Aristotele dal greco e dei Salmi dall'ebraico. Fu per un ventennio ambasciatore della repubblica fiorentina, quindi segretario pontificio e, infine, cortigiano presso la corte dei re d'Aragona a Napoli. Proprio su committenza di Alfonso il Magnanimo, Manetti portò a compimento nel 1452 la sua summa enciclopedica di quanto scritto dagli autori classici e cristiani sul miracolo del corpo umano e dello spirito divino che vi alberga. L'opera rappresenta un imperituro monumento alla più perfetta tra le creature divine, posta al centro delle meravigliose bellezze dell'Universo e dotata di un corpo e di un'anima che sono riflesso del macrocosmo. L'esaltazione dei prodotti dell'ingegno umano e delle arti figurative, la contestazione della tradizionale posizione medievale che individuava nella morte l'unica via d'uscita dalle sofferenze terrene, la glorificazione delle virtù e delle prerogative dell'uomo, e soprattutto la riflessione sui privilegi e gli oneri della ''dignitas hominis'' fanno di questo scritto il manifesto del Rinascimento italiano. Il volume offre per la prima volta al lettore italiano una traduzione integrale dell'opera a cura di Giuseppe Marcellino, specialista della letteratura latina umanistica, preceduta da un saggio introduttivo di Stefano U. Baldassarri, Direttore dell'ISI Florence e studioso del Rinascimento di fama internazionale.
La ricca produzione machiavelliana è testimonianza di una delle epoche più tormentate e significative della civiltà occidentale, ove prassi politica, riflessione storico-filosofica e inventiva letteraria si fondono armonicamente insieme. La riflessione politico-filosofica machiavelliana non è affatto avulsa dal contesto, bensì sempre radicata nella quotidiana esperienza umana e politica di quegli anni di doloroso travaglio storico, i quali tuttavia furono fonte inesauribile di ispirazione, di una costante meditazione sulla natura e sulla condotta umana. Riproponiamo al lettore in un unico volume, secondo l'edizione critica di Mario Martelli, le opere di uno dei massimi ingegni del Rinascimento.
“Montesquieu fu uno dei pochi pensatori del suo tempo a cogliere una delle caratteristiche centrali della storia morale dell'umanità, ossia il fatto che i fini perseguiti dagli uomini sono molteplici e svariati, e spesso reciprocamente incompatibili. (...) Egli capì inoltre che, data l'enorme varietà delle situazioni, e l'estrema complessità e multiformità dei casi particolari, nessun singolo sistema morale, e a maggior ragione nessuna singola meta morale o politica, poteva fornire la soluzione universale di tutti i problemi umani ovunque e in ogni tempo. Il tentativo di imporre siffatti sistemi, non importa quanto degni e nobili e quanto largamente creduti, sfocia immancabilmente nella persecuzione e nella privazione della libertà. (...) Sono davvero libere soltanto quelle società che vivono in uno stato di 'agitazione', di equilibrio instabile, e i cui membri hanno la facoltà di perseguire - di scegliere tra - una varietà di fini o mete. (...) Montesquieu non era un relativista riguardo alla verità. Insieme con gli spiriti più illuminati del suo tempo, credeva nella possibilità di scoprire la verità oggettiva, in tutti i campi. Ma, a un livello ancor più profondo, era convinto che le società che non accordano la libertà di scegliere tra ideali diversi - fatte salve le debite precauzioni contro la guerra aperta tra i rispettivi partigiani - fossero inevitabilmente destinate a decadere e a perire. Quest'avversione all'imposizione di qualunque ortodossia, indipendentemente dalla posta in gioco e da quanto elevati e venerati siano gli ideali dei suoi fautori, distingue Montesquieu dai teologi come dagli atei, dai radicali idealisti come dagli autoritari della sua - e della nostra - epoca. (...) Nel fare le leggi bisogna soprattutto avere il senso, che soltanto l'esperienza o la storia possono affinare, di che cosa si accorda con che cosa: i rapporti delle leggi con la natura umana e le istituzioni umane nella loro interazione con la coscienza degli uomini sono infatti enormemente complessi, ed è impossibile calcolarli mediante sistemi semplici e nitidi: regole atemporali, rigidamente imposte, sfoceranno sempre nel sangue. Nonostante le sue concezioni aprioristiche dei princìpi interni della crescita sociale e della giustizia assoluta vista come una relazione eterna esistente in natura, Montesquieu emerge come un empirista molto più autentico, riguardo tanto ai mezzi quanto ai fini, di d'Holbach o di Helvétius o perfino di Bentham, per tacere di Rousseau o di Marx.” (Isaiah Berlin)
Il volume raccoglie le "Omelie sull'Esamerone" e le ventitré di argomento vario di Basilio di Cesarea, nell'originale testo greco con la traduzione italiana a cura di uno dei più conosciuti studiosi italiani dei Padri cappadoci. Le nove "Omelie sull'Esamerone" pubblicate sono le più importanti e le più famose di Basilio. Predicate nel 378 a Cesarea nel giro di cinque giorni, le prime e le ultime quattro una al mattino e l'altra alla sera, mentre la quinta forse da sola al mattino del terzo giorno, di fronte a un uditorio estremamente composito, esse commentano in modo lineare il racconto della creazione contenuto in Genesi 1, 1-25. Quest'opera si presenta come il capolavoro dell'esegesi basiliana e, nello stesso tempo, come una sintesi armonica di teologia cristiana e letteratura classica, utilizzata largamente nella spiegazione della Scrittura Sacra. Ad esse, nel presente volume, sono affiancate anche le ventitré omelie di Basilio su argomenti vari, predicate in occasioni diverse: queste ultime offrono una panoramica dettagliata sulle condizioni di vita sociale ed economica nella Cappadocia del secolo IV.
Miguel de Unamuno è stato il fautore di una religione poetica, issata sull'esperienza della parola creatrice, mediante la quale non soccombe alla tentazione del nulla. Tra le sue opere fondamentali, un ruolo peculiare svolge il celebre libro su "Don Chisciotte". La forma del commento, che consente di attuare un dialogo interiore, è opera di uno spirituale piuttosto che di un intellettuale, la cui attitudine è contrassegnata dal pessimismo trascendente e dall'esistenza tragica. Unamuno confessa che il suo libro contiene "tutto un sistema filosofico", oltre a rappresentare un potente incitamento ad abbracciare una vita fondata sull'ideale etico, sull'eroismo tragico onde conquistare quella gloria e fama individuali e collettive, in ultima analisi l'immortalità, alla quale si può pervenire solo con una fede basata sul forte volere. Don Chisciotte è pervaso da una rassegnazione attiva, da una lotta titanica e utopica contro il mondo, alla ricerca del senso ultimo dell'esistenza e del proprio destino. Esprimendosi nella forma paradossale, ritenuta il linguaggio tipico della passione oltre che affermazione della volontà di creazione disperata, Unamuno assurge a pensatore tragico.
"Le differenze topiche" è l'ultima monografia logica di Severino Boezio (ca 480-524 d.C.) scritta intorno al 522 d.C., poco prima della sua carcerazione e morte. L'opera, composta in quattro libri, illustra l'arte di risolvere ogni genere di questione mediante il ricorso a principi e schemi universali del ragionamento, chiamati 'luoghi', in grado di racchiudere e contenere entro se stessi lo sviluppo di tutte le argomentazioni poste a servizio di qualsiasi ambito disciplinare. Boezio ereditava tale insegnamento dalla tradizione greca e dalla tradizione latina: l'una risalente ai 'Topica' di Aristotele mediata attraverso Temistio e di natura eminentemente dialettica, l'altra proveniente dai "Topica" di Cicerone e di natura prevalentemente retorica. Alla luce delle divergenze riscontrate, Boezio intraprese la stesura del trattato su "Le differenze topiche" proprio allo scopo di mostrare la possibile via di conciliazione tra queste due tradizioni filosofiche e trasmettere una visione unitaria della materia. Ciò non poteva, tuttavia, avvenire senza che a nascere fosse al tempo stesso qualcosa di nuovo. Era, infatti, inevitabile che ad essere trasmessi fossero non soltanto due distinti insegnamenti, ma che ad emergere fosse anche l'originalità propria con cui Boezio operò la loro sintesi. Infine, il quarto libro, interamente dedicato alla retorica, conserva il dato più originale dell'opera, laddove il filosofo romano ha definitivamente riformato il modo di concepire quest'arte, fondando teoreticamente la direzione verso cui la retorica, insieme alla dialettica, deve guardare per realizzare se stessa e raggiungere il proprio fine: la ricerca della verità. L'arte dell'argomentazione contenuta nel trattato su "Le differenze topiche" rappresenta lo snodo principale di trasmissione della dialettica aristotelica al Medioevo latino e rende quest'opera una tappa essenziale per chiunque voglia comprendere gli sviluppi della logica europea attraverso il Medioevo e il Rinascimento.
"Logique et existence" si interroga sui rapporti strutturali tra la "Fenomenologia dello spirito" e la "Scienza della logica" hegeliane, offrendo una panoramica complessiva dell'opera di Hegel a partire da alcuni snodi cruciali della riflessione del filosofo di Stoccarda. Affrontando il problema della controversa questione del rapporto tra eternità e tempo, l'analisi hyppoliteana lascia emergere, in modo quasi schivo, alcune questioni centrali che verranno fatte proprie dalla speculazione di Foucault, Deleuze e Derrida: la questione del rapporto tra genesi e struttura e tra esperienza e trascendentale, il tema della desoggettivizzazione del pensiero, il tentativo di pensare la differenza senza subordinarla all'identità.
Il ''Commento al Cratilo'' di Proclo è una raccolta di appunti o di estratti (probabilmente di un allievo) dalle lezioni che il filosofo neoplatonico tenne su questo articolato e complesso dialogo di Platone. Si tratta di un testo significativo per comprendere la concezione tardo-neoplatonica relativa alla natura dei nomi e del linguaggio nel suo insieme.
In esso s'intrecciano considerazioni di vario genere, di carattere non solo ''linguistico'' e ''etimologico'', ma anche e soprattutto concezioni teologiche desunte dall'interpretazione dei teonimi.
La riflessione sulla natura della realtà divina, nelle sue diverse articolazioni, è strettamente connessa in questo commentario a una ripresa e rielaborazione di arcaiche concezioni mitico-sacrali sulla natura dei nomi divini, cui fa eco un'ampia serie di riferimenti a quella particolare forma di ''magia filosofica'' nota come teurgia. In questo testo, la riflessione di natura logico-razionale sul linguaggio viene così a fondersi, in modo affascinante e suggestivo, con prospettive di matrice magica e mistica, anche attraverso una fitta serie di citazioni e rimandi agli oscuri versi degli ''Oracoli Caldaici'', considerati come il prodotto della diretta comunicazione divina.
Il volume contiene la traduzione di tutti gli scritti filosofici e teologici di Nicolò Cusano (1401-1464) e la prima versione italiana dei suoi più importanti scritti matematici. La traduzione, condotta sul testo dell'edizione critica curata dall'Accademia delle Scienze di Heidelberg, è corredata di note esplicative, che illustrano tutti i riferimenti contenuti nei testi e le loro fonti, sia dirette sia indirette, e di un ampio e accurato commentario sistematico, mentre il saggio introduttivo ripercorre i temi fondamentali del pensiero e dell'opera di Cusano.
Il filo rosso che collega gli scritti raccolti in questo volume è la scienza matematica. Porfirio utilizza l'isagoge o introduzione, genere letterario che serve a iniziare i suoi allievi a un'opera del matematico alessandrino Claudio Tolemeo dal titolo "Tetrabiblos o Quadripartitum", cioè un trattato in quattro libri che spiega gli effetti prodotti dai corpi celesti sulla Terra. E, giacché lo scritto di Tolemeo si presenta in più punti oscuro per la complessità degli argomenti trattati, Porfirio scrive l'introduzione al ''Trattato sugli effetti prodotti dalle stelle'' per chiarire ai suoi discepoli, o ai neofiti, gli argomenti e i passaggi considerati di più difficile comprensione. L'opera - qui tradotta per la prima volta in italiano - pervenuta in modo parziale e corredata degli scolî di Demofilo, un dotto bizantino attivo intorno al X secolo, chiarisce alcuni argomenti quali le figure che i pianeti assumono in cielo e il conseguente influsso che hanno sulle realtà materiali, l'importanza della luce negli effetti prodotti tra le stelle e la realtà terrestre, i calcoli matematici per computare un oroscopo, il ruolo dei segni zodiacali e il potere che essi hanno su particolari punti del corpo umano. In quest'opera Porfirio espone numerosi argomenti provenienti dalla tradizione astrologica caldea, egizia e greca, e li confronta in modo critico con il pensiero di Tolemeo, apportando a sua volta importanti innovazioni. Gli altri scritti raccolti all'interno di questo volume trattano alcune testimonianze e frammenti su opere di aritmetica e geometria. Sugli studi di aritmetica rimangono solo poche testimonianze, mentre sulla geometria rimangono cinque frammenti, in cui Porfirio, esponendo alcuni enunciati di Euclide, ne riporta le dimostrazioni geometriche.
Del magistero universitario parigino del domenicano tedesco Eckhart (1260-1328 ca.), chiamato dai contemporanei proprio Meister, ovvero "magister", questo ''Commento al vangelo di Giovanni'' è senza dubbio l'opera maggiore e più rilevante, giunta fino a noi dopo l'oblio di molti secoli: non a caso è da essa che sono state estratte alcune delle proposizioni più sconvolgenti tra quelle condannate come eretiche dalla Bolla papale "In agro dominico" (1327). Il testo giovanneo - il vangelo di Dio come spirito e dell'uomo parimenti come spirito - permette infatti al "magister" di sviluppare appieno la sua dottrina mistica fondamentale: la generazione del Logos nell'anima dell'uomo completamente distaccato, che diviene così uomo divino, come il Figlio. Contro l'esclusivismo biblico, Eckhart afferma che la stessa luce ha sempre illuminato e illumina tutti i popoli - pagani, ebrei, cristiani -: "Mosè, Cristo e il Filosofo (Aristotele) insegnano la stessa cosa, che differisce soltanto nel modo, cioè in quanto credibile, dimostrabile o verosimile, e verità". Difendendo il primato della ragione che si fa spirito, il domenicano interpreta perciò la Scrittura in modo che essa sia sempre in accordo con la filosofia classica. Non meraviglia quindi che tanto pensiero occidentale, da Cusano ad Hegel, si sia nutrito dell'opera di quello che Heidegger chiamò "Lebemeister", maestro di vita, ben più che "Lesemeister", professore.
Dai saggi raccolti in questo volume emerge una serrata critica della “tradizione signorile” del mondo americano. Con questa espressione, che ebbe subito tanto successo nonostante non si trattasse di un termine encomiastico, George Santayana formula una condanna generale non solo della filosofia e della cultura dominante, ma anche della mentalità comune americana, a suo avviso uniformemente plasmata dal moralismo puritano del New England, lo stato americano con il più antico passato storico e culturale. Secondo la sua visione, la tradizione signorile è il collante e il motore di questo mondo, con uno strano duplice effetto: propulsivo e retrogrado.
Il volume raccoglie assieme il "Commento al Cantico dei Cantici" di Origene di Alessandria e le quindici "Omelie sul Cantico dei Cantici" di Gregorio di Nissa. Il "Cantico dei Cantici" è un poema tradizionalmente attribuito al re Salomone in cui è celebrato l'amore di uno sposo e di una sposa. Soprattutto grazie alla spiegazione allegorica che Origene e Gregorio di Nissa propongono di questo scritto le Chiese di Oriente e di Occidente hanno interpretato, per quasi duemila anni, l'amore in esso cantato come l'amore sponsale di Cristo/Logos e dell'anima, o della Chiesa. Queste due opere, in cui sono custoditi i princìpi della mistica cristiana, offrono attraverso un linguaggio teologico, filosofico e poetico una visione della relazione fra l'anima e Dio che è fra le più profonde della storia del pensiero.
Il volume presenta una nuova e originale traduzione dei sei trattati che costituiscono la raccolta conosciuta con il nome di Organon e che viene considerata come l'atto di nascita della "logica" occidentale. L'originalità della proposta editoriale non si limita alla traduzione, scientificamente accurata e particolarmente attenta alle esigenze e al linguaggio del lettore di oggi. La novità maggiore è la chiave interpretativa: la decisione è stata quella di non proiettare su questi testi il peso del grande sviluppo successivo della logica. In effetti l'Organon non può essere considerato solo come un'opera di logica proprio perché questa nasce "dopo" e "per effetto" di questi scritti. Non a caso il lavoro è stato svolto da giovani studiosi di storia della filosofia antica, ognuno dei quali ha curato uno specifico trattato, in un'attività che però ha sempre coinvolto l'intera équipe. Si è così riusciti sia a ricostruire un quadro unitario nel rispetto delle notevoli differenze tra i testi, sia a cogliere e valorizzare, oltre agli elementi tecnicamente "logici" presenti soprattutto negli Analitici, tutti gli importanti collegamenti che le opere hanno con altri ambiti del pensiero aristotelico, come la retorica e l'etica. È così emersa una delle caratteristiche del pensiero classico, interessato a capire la realtà molto più che a costruire un sistema chiuso e perfettamente coerente.
Includere tutto quanto non può essere escluso dal discorso estetico. Questo potrebbe essere il principio orientativo che ha sempre guidato la ricerca di Gilio Dorfles nel campo dell'estetica, cominciata sullo spartiacque tra primo e secondo Novecento filosofico. Questo anche potrebbe riassumere il criterio adottato nell'ordinare un così possente "libro di una vita", che appare in tal misura ampio perché la vita intellettuale del suo autore è stata di particolare ampiezza. A suo confronto, le restrizioni schematiche di tanti indirizzi filosofici o estetici solo accademici paiono preoccupazioni di una scolastica che ha premura di creare partizioni. Che cosa è estetica, che cosa rientra in essa e che cosa no. Questo libro, invece, raccogliendo tutto intero un orientamento sin dalla sua origine, sin dal primo grado della sua iniziazione, potrà somigliare a una grande introduzione, anziché a un libro consuntivo. Ampiezza, dunque, secondo i canovacci della disciplina che non possono essere scissi, che già i fondatori della stessa (e tra di essi Vico e Baumgarten) dettavano come suoi protocolli, consapevoli che delimitare un sapere come l'estetica vuol dire circoscrivere un sistema "complesso".
Prima edizione critica del testo originale tedesco e traduzione italiana di due corsi universitari tenuti da Schelling in un periodo decisivo del suo ultimo pensiero, quello dell'elaborazione del rapporto fra filosofia negativa e positiva (1839-1842). "Sui principi sommi" è la trascrizione di G. M. Mittermair d'un corso tenuto nel 1839 a Monaco di Baviera. Dopo un'accurata esposizione della dottrina dei principi sommi e un'originale filosofia della natura, presenta la prima formulazione del passaggio fra filosofia negativa e positiva. Il secondo è la trascrizione pubblicata da H.E.G. Paulus nel 1843 del primo corso svolto a Berlino, nel semestre 1841/42, dedicato alla Filosofia della rivelazione: una versione originaria e sintetica del testo delle "Opere complete", ricca di approfondimenti, con acute trattazioni di teoria delle potenze, storia della filosofia moderna, dottrina trinitaria, mitologie, misteri greci e rivelazione cristiana. Ad essa è premessa la Prima lezione di Berlino. Quale monografia introduttiva viene riproposto, in veste rinnovata, il lavoro di F. Tomatis: "Kenosis del logo. Ragione e rivelazione nell'ultimo Schelling", con prefazione di X. Tilliette, il maggior studioso d'ogni tempo di Schelling. Dedicato all'ultima lunga, evolventesi e articolata fase della sua filosofia (1821-1854), riguarda in particolare il tema del passaggio fra filosofia negativa e positiva.
Il corso "Dell'essenza della libertà umana", tenuto a Friburgo nel 1930, è il primo esplicito confronto di Martin Heidegger con il tema della libertà. Essa viene posta in questione tanto nei termini di libertà negativa e libertà positiva quanto in quelli di libertà trascendentale e libertà pratica. Kant infatti è l'autore di riferimento, sebbene l'interrogazione sia diretta alla messa in luce del pensiero dell'essere, di cui la libertà si dimostra fondamento. Un'introduzione alla filosofia dunque come sguardo sull'intero di ciò che è, a partire dalla questione sulla libertà, ma ancor di più quale aggressione all'individuo che pone la questione, tale che lo costringe a decidere della propria essenza.
Come aggregare i suoni in strutture sempre più complesse, dai tetracordi fino ai sistemi di un'ottava, un'ottava e mezza, due ottave? Questo l'oggetto dell'antica scienza armonica. Il principio ordinatore deve ricercarsi, con i Pitagorici e Platone, in rapporti e sequenze numeriche, cioè in entità extramusicali che colleghino i suoni al macrocosmo? Oppure deve nascere dalla percezione della musica reale, come ritenevano gli empiristi di età classica e Aristosseno? È proprio questo dilemma che ancor oggi rende affascinante l'armonica. Oltre gli aridi calcoli dei quali si fa scudo, essa si rivela come una provincia liminare del pensiero, al crocevia tra acustica, astronomia, matematica, geometria e psicologia. Il documento più completo di questa scienza è l'"Armonica" di Claudio Tolemeo (ca 100-178), da lui scritta forse verso la fine della sua vita. Il trattato si presenta come la summa di circa sei secoli di storia dell'armonica e propone un nuovo equilibrio, debitore dell'ilemorfismo aristotelico, in cui alla ragione e alla percezione vengono riconosciute prerogative distinte e complementari. L'opera si conclude, in un grande sforzo di sistemazione enciclopedica, con una serie di analogie tra l'armonica e la psicologia, l'etica, la politica, l'astronomia.
Per il successo della filosofia di Kant non meno importanti delle opere pubblicate furono le trascrizioni delle lezioni, che circolarono in tutta la Germania in innumerevoli copie. Esse costituiscono da circa trent'anni un oggetto centrale della Kantforschung. Di queste lezioni, una parte significativa è rappresentata dai corsi che Kant tenne regolarmente sul diritto naturale, dei quali ci è rimasta oggi una sola trascrizione manoscritta, relativa a quello tenuto nel semestre estivo del 1784. Si tratta però di un testo di grande importanza: Kant tenne infatti il corso mentre stava finendo di scrivere la Fondazione della metafisica dei costumi onde i due testi si illuminano a vicenda, aprendo scorci importanti per comprendere la filosofia morale kantiana in un suo snodo decisivo. Tale corrispondenza tra i due scritti non è certo casuale: Kant era infatti fermamente convinto che lo studio del diritto presupponesse una formazione filosofica e que le lezioni sul diritto naturale iniziano infatti con una presentazione della sua filosofia pratica in generale. Dal punto di vista della filosofia del diritto, un motivo centrale d'interesse di queste lezioni è che costituiscono la prima presentazione organica del pensiero giuridico di Kant, tredici anni prima della Metafisica dei costumi (1797). Esse consentono perciò di gettare uno sguardo nuovo sull'evoluzione di tale pensiero e inoltre sulla formazione della filosofia della storia e della politica di Kant.
La vasta rete di scambi e di diffusione di novità, esperienze, conoscenze che coinvolge nel Seicento eruditi e 'savants' dei diversi paesi europei passa attraverso i corrieri. Ne dà conferma il carteggio Descartes, Beeckman, Mersenne. Il filosofo, il 'savant' calvinista, il Minimo erudito, personalità del tutto e in tutto differenti, sono legate dal 'commercium artium et scientiarum'. Il promotore dello scambio epistolare è l'infaticabile Marin Mersenne, il "curioso" che vuole penetrare tutti i segreti della natura e "portare a perfezione tutte le scienze". Le questioni di cui discutono il gentiluomo del Poitou, il magister calvinista nederlandese e il monaco parigino coprono grande parte delle scienze del tempo e sono altrettante stimolanti provocazioni nelle prospettive che propongono e nelle nuove teorie che tratteggiano. Il loro carteggio costituisce un ampio corpus scientifico-filosofico che si snoda attorno a nuclei unitari di ricerca quali, ad esempio, lo studio del Fenomeno dei pareli o Falsi soli, i dibattiti sulle coniche e sulle maree, la discussione sulle "verità eterne". Amici sinceri, ma prudenti, nelle loro lettere svelano e nascondono, dissimulano persino. Mostrano insomma le variate forme della strategia della comunicazione nel Seicento.
Con "Medioplatonismo" si intende solitamente il periodo della tradizione platonica compreso nei primi tre secoli dell'età imperiale romana, dopo che, con la chiusura dell'Accademia al tempo di Silla (attorno all'86 a.C.), il Platonismo si era inizialmente trasferito ad Alessandria d'Egitto. In quest'epoca si diffuse una modalità scolastica di fare filosofia, basata sulla lettura e sull'esegesi delle opere di Platone, considerato come il depositario della vera sapienza filosofica. Gli autori medioplatonici si fecero così interpreti del pensiero di Platone, sistematizzandone la dottrina e dando vita a una tradizione filosofica anticipatrice del neoplatonismo. Di particolare importanza furono la riscoperta della metafisica, il confronto con il Pitagorismo, con lo Stoicismo, con l'Aristotelismo e con l'Accademia scettica, e l'interazione con i movimenti religiosi, tra cui anche il cristianesimo, che si diffusero nei primi secoli dell'Impero. Il presente volume comprende un'ampia selezione di autori, che ci sono pervenuti attraverso opere integrali o per via frammentaria. Tra di essi si segnalano: Eudoro, l'Anonimo Commentatore del "Teeteto", Gaio, Albino, il "Didascalico" di Alcinoo, Attico, Apuleio (le opere filosofiche), Celso, Numenio e Cronio. Alcuni di questi autori e opere compaiono per la prima volta in traduzione italiana completa.
"Il Libro delle Interrogazioni", che viene qui pubblicato integralmente, è un classico dell'umanesimo ebraico del Novecento. L'opera, scritta tra il 1963 e il 1973, si sviluppa in sette volumi, comprendenti, oltre al primo, che dà il titolo al ciclo, Il Libro di Yukel, Il ritorno al Libro, Yaël, Elya, Aely, El. La filosofia si intreccia qui con la scrittura poetica, diventando pensiero poetante, in un'interrogazione infinita che è testimonianza di vita e insieme ricerca di assoluto. Con un saggio di Vincenzo Vitiello.
Il "Dialogo sul papa eretico" costituisce il primo trattato, l'unico integralmente compiuto, del "Dialogus", la più ricca e complessa opera politica di Guglielmo di Occam. In esso un maestro e un discepolo, attraverso un confronto serrato, indagano sull'eresia, che si è annidata nel vertice della chiesa, e cercano i rimedi legittimi per liberare la società dal potere tirannico di un papato corrotto. Dotato di un'esemplare struttura organica e animato dal rigore logico tipico del francescano inglese, il "Dialogo sul papa eretico" è uno dei testi-chiave per comprendere la travagliata epoca di transizione dal Medioevo all'età moderna.
"Della verità" rappresenta il compimento maturo del pensiero jaspersiano. Subito dopo il grande trattato di "Filosofia", pubblicato in tre volumi nel 1931, Jaspers inizia a concepire un'altra opera di ampio respiro, una "Logica filosofica" che doveva rappresentare il culmine della sua speculazione teoretica. Gli anni della guerra e la situazione di estrema precarietà in cui verrà a trovarsi Jaspers, soprattutto per il fatto di essere sposato a una donna ebrea, renderanno il lavoro quasi impossibile: a giungere a compimento sarà solo "Della Verità", primo di quattro volumi, uscito nel 1947. In "Della Verità" la filosofia dell'abbracciante dispiega appieno la sua potenza teoretica, andando a gettare le basi per un pensiero della verità mutevole e cangiante, secondo cui la verità si manifesta sempre e solo in una certa figura. Per l'uomo la verità è la via, è il cammino ininterrotto della ricerca della verità stessa, e non può consistere in una stabilizzazione definitiva del senso dell'esser-vero. In un dialogo continuo con la tradizione filosofica, ma anche letteraria e poetica (tra i riferimenti continui ci sono Sofocle, Shakespeare e Dostoevskij), Jaspers scrive il suo ultimo vero lavoro di filosofia teoretica, preferendo dedicarsi, negli anni di Basilea dopo la guerra e dopo l'abbandono dell'università di Heidelberg, a scritti di carattere politico e sociale.
Il volume raccoglie opere e sezioni di opere greche e latine che affrontano le vicende della guerra troiana in modo alternativo all'"Iliade" omerica. Dell'opera attribuita al soldato greco Ditti di Creta, "Il diario della guerra di Troia", possediamo la traduzione latina realizzata da un erudito del III secolo, Lucio Settimio, che si basa su una traduzione greca fatta condurre da Nerone sull'originale, scritto addirittura in fenicio nell' XI sec. a.C. Le particolari vicende redazionali di questo testo preludono a contenuti ancor più sorprendenti. Il diario di guerra di Ditti cretese è una vera e propria "controstoria" della guerra di Troia, condotta nel dichiarato intento di "smascherare" l'epica versione fornita da Omero: Odisseo, spietato, che pensa solo al bottino; Ettore che non viene ucciso in un duello ma in un agguato alle spalle, con atto vile, da Achille; lo stesso Achille che, appena giunto, si innamora della figlia di Priamo Polissena, e per averla in sposa scrive delle epistole segrete al sovrano troiano dicendosi disposto a vendere l'esercito greco; Priamo, sfruttando questa passione di Achille, lo attira in un tranello e lo fa uccidere a tradimento; Enea, vigliacco, che riesce a mettersi in fuga solo con l'aiuto di traditori greci, dopo la presa della città. Un testo straordinario per le stravaganti versioni mitiche con cui è "riscritta" la guerra più antica dell'occidente.
I Padri Cappadoci furono noti pensatori cristiani noti per la difesa dell'ortodossia e la conoscenza della filosofia greca. Il volume è dedicato a Gregorio di Nissa, del quale presenta le opere teologiche più significative. Trattasi del "Grande discorso catechetico", una sintesi della dottrina cristiana; "La Vita di Mose", un'interpretazione spirituale della vita di Mose; "L'anima e la resurrezione", che traccia una innovativa antropologia e una profonda teologia dell'amore di Dio; il "Contro Eunomio", che propone una nuova teologia trinitaria basata sul rapporto tra sostanza divina e persone (in greco: "ipostasi") divine; ed infine le "Opere teologiche minori", dedicate al medesimo rapporto tra sostanza ed ipostasi.
Nel corso della sua vita Togliatti coniugò l'attività di dirigente di partito con un'intensa riflessione sulla politica e sulla storia del Novecento, sulla cultura e la filosofia italiana e europea. Il volume raccoglie un'ampia scelta degli scritti e dei discorsi di preminente valore culturale dal 1917 al 1964: dagli esordi giornalistici negli anni della Grande guerra al celebre "Memoriale" di Jalta. L'antologia - la più ampia pubblicata in un unico volume - è costituita da sei sezioni tematiche ordinate cronologicamente e dedicate alla storia d'Italia, al fascismo in Italia e in Europa, alla democrazia repubblicana, al comunismo internazionale, all'eredità di Gramsci, alle polemiche culturali.
Nonostante il suo attuale predominio sociale, la concezione "realistica" è destinata a mostrare la propria debolezza concettuale rispetto all' "idealismo"; ma non rispetto a qualsiasi forma di idealismo, sia pure grandiosa, bensì rispetto a quella forma specifica che è l'"attualismo" di Giovanni Gentile. Questa affermazione riesce sorprendente già nella cultura italiana; in quella internazionale, poi, può suonare come un'esagerazione fuori luogo. Ma se si riesce a raggiungere il sottosuolo essenziale del nostro tempo, al di là cioè di quanto riusciamo a sapere di noi stessi, ci si imbatte in qualcosa di estremamente più sorprendente. Da un lato, e contrariamente a quanto di solito si crede, l'essenziale solidarietà tra attualismo e tecnoscienza; dall'altro la capacità dell'attualismo di portare oltre l'intera tradizione dell'Occidente. Ciò significa che il pensiero di Gentile è destinato a essere riconosciuto come uno dei tratti più decisivi della cultura mondiale.
Il volume contiene una nuova traduzione, riccamente annotata e con il testo originale a fronte, di tutte le opere che Montesquieu diede alle stampe durante la sua vita. Vale a dire: le Lettres persones (1721), il Tempie de Guide (1725), le Considérations sur les causes de la grandeur des Bomains et de lem décadence (1734), il Dialogue de Svila et d'Eucratc (1745), l'Esprit des lois (1748), la Défense de l'Esprit des lois (1750) e il Lysimaque (1754).
Il titolo del volume 76 delle opere complete di Heidegger è "Pensieri-guida sulla nascita della metafisica, della scienza contemporanea e della tecnica moderna", a indicazione della complessità e della vastità d'intenti cui Heidegger si dedicò in queste meditazioni. I temi sono quelli cari allo Heidegger più grande, benché qui ancora in forma di appunti, bozze e annotazioni. L'importanza del volume non sta solo nelle idee heideggeriane sull'essere e sul destino della metafisica, o sulla nascita della scienza e della tecnica, o sul loro impatto sul nostro mondo, ma ancora di più nella testimonianza di come queste idee abbiamo preso forma nel pensiero heideggeriano e di come via via si siano strutturate tematicamente.
Meister Eckhart, professore di teologia e filosofo domenicano vissuto fra Erfurt, Strasburgo e Colonia dal 1260 circa al 1328, ha esercitato con le sue opere una feconda influenza nel medioevo germanico, nel periodo della Riforma e sul pensiero tedesco fra Ottocento e Novecento. Nelle sue Prediche filosofiche, redatte e pubblicate in volgare con un gesto che rifiuta il latino dell'università e le rende perciò un unicum nella produzione speculativa del tempo, Eckhart articola una filosofia della religione cristiana e propaganda una nuova idea di dignità umana: una nobiltà fondata sulla presa di coscienza e sull'esercizio dell'intellettualità (vernunfticheit), ch'e scintilla divina e costituisce la vera sostanza dell'uomo. Il volume è il risultato di uno specifico studio filologico sull'insieme delle prediche tedesche e presenta per la prima volta il ciclo ricostruito e riordinato delle 64 prediche scritte da Eckhart sui temi del tempo liturgico. La nuova traduzione italiana è condotta con rigoroso rispetto della terminologia filosofica eckhartiana, è corredata di un commento analitico ed è posta a fronte del testo originale in altotedesco medio tratto dall'edizione classica di Josef Quint e Georg Steer.
Michail Michajlovic Bachtin (Orel 1895 - Mosca 1975) è una figura fondamentale della cultura europea del Ventesimo secolo. A partire dal 1963, anno di riedizione in russo della sua prima monografia, quella su Dostoevskij (prima edizione 1929), seguita dalla pubblicazione, nel 1965, del suo secondo lavoro monografico, quello su Rabelais, e dalle due raccolte (rispettivamente nel 1975 e nel 1979) dei suoi scritti prodotti tra il 1919 e il 1974, l'interesse per Bachtin è andato via via aumentando. Ciò è attestato anche dalla traduzione delle sue opere in molte lingue e dall'influenza esercitata dal suo pensiero in ambiti disciplinari diversi. Il "circolo di Bachtin", costituitosi negli anni Venti, i cui maggiori rappresentanti furono Valentin N. Volosinov (1885-1936), Pavel N. Medvedev (1892-1938), Ivanov I Kanaev (1893-1984), non era una "scuola" nel senso accademico del termine, né Bachtin era un "caposcuola", né, in questo senso, un "maestro", sicché non solo l'espressione "circolo", ormai abbastanza in uso, può essere in questo caso fuorviante se le si attribuisce un significato di scuola, ma lo è anche, e a maggior ragione, l'espressione "di Bachtin", se la si intende in termini di derivazione, di appartenenza, di genealogia. Si tratta piuttosto di un sodalizio, di un'intensa e affiatata collaborazione, all'insegna dell'amicizia e sulla base di interessi e competenze diverse a partire dalle quali ci si trova a occuparsi di temi comuni.
Si presentano qui le quattro dissertazioni latine di Immanuel Kant: "De igne" (1755), "Nova dilucidatio" (1755), "Monadologia physica" (1756) e "De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis" (1770). Si tratta di quattro tesi accademiche che segnano le tappe fondamentali della carriera universitaria di Kant a Königsberg. L'interesse filosofico di questi scritti, largamente riconosciuto dagli studiosi, emerge dall'ampio raggio di motivi che percorrono trasversalmente tutto il pensiero precritico e saranno centrali anche nella fase critica: la riflessione sulla scienza, i temi metafisici, la costante preoccupazione per il problema del metodo. Fondamentale è anche il loro posto nella storia del latino moderno, in un momento storico caratterizzato dal cruciale passaggio, nella filosofia tedesca, dalla lingua dotta al volgare. Il lessico latino delle quattro dissertazioni costituisce infatti una base testuale imprescindibile per uno studio diacronico della formazione dell'apparato terminologico e concettuale della filosofia kantiana. Nell'edizione si dà altresì notizia della riscoperta, da parte del curatore, di una delle due tirature dell'edizione originale della "Dissertatio", ritenuta perduta da tutti gli editori moderni successivamente all'edizione dell'Akademie di Erich Adickes.
Lo scontro fra Giorgio da Trebisonda e Bessarione visse il suo primo atto con la polemica sul "De natura et arte", all'incirca databile agli anni tra il 1455 e il 1458. In discussione era l'interpretazione di un passaggio chiave tratto dal secondo libro della "Fisica" aristotelica, che implicava concetti decisivi come la provvidenza divina e che era già stato dibattuto da due prospettive diverse dal maestro di Bessarione Giorgio Gemisto Pletone, nel suo "De Differentiis", e poi da Teodoro Gaza in un breve scritto oggi perduto. Ma oltre a un problema esegetico, si affacciava nello scontro tra Giorgio e Bessarione anche il confronto generale con la tradizione filosofica precedente, padri della Chiesa e maestri della Scolastica compresi. E altrettanto evidente appare la differenza tra le motivazioni e le strategie dei contendenti: la violenta invettiva di Giorgio era mirata a sostenere la sua talora "fideistica" sovrapposizione di aristotelismo e cristianesimo attraverso la diffamazione del platonismo; per difendere Platone dagli attacchi, Bessarione invece era stato spinto ad assumere in modo ponderato una posizione concordista che in precedenza non pareva aver considerato. Così facendo, il cardinale rinunciava alle più estreme istanze antiaristoteliche della polemica suscitata in origine dal suo maestro, ma questo non gli impediva di affermare la superiore religiosità e compiutezza del platonismo. Prefazione di John Monfasanti e Introduzione di Eva del Soldato.
A centodieci anni dalla morte, il volume intende contribuire nuovamente a diffondere l'opera di Antonio Labriola: fra i maggiori filosofi italiani e primo originale interprete della filosofia di Marx in Italia. Attento alla rielaborazione hegeliana di Spaventa, Labriola approfondisce in maniera originale alcuni classici della filosofia e i testi della scuola herbartiana. La "Prolusione" prelude alla lettura di Marx culminata con la scrittura dei "Saggi". La raccolta offre un quadro esaustivo della produzione teorica del filosofo, ripubblicando in unico volume testi da tempo non più disponibili, l'insieme dei "Saggi sulla concezione materialistica della storia" nella forma voluta dall'autore per l'ultima edizione apparsa in vita (1902), oltre a "Inediti giovanili", e ad altri inediti che si ripubblicano nel testo stabilito da Croce e Dal Pane. L'ampio saggio di Luca Basile costituisce un'introduzione compiuta al pensiero dell'autore. Le note e gli apparati a cura di Lorenzo Steardo accompagnano anche il lettore meno esperto nella lettura dei testi. La bibliografia ripropone, integrandolo, il ricco repertorio di opere labrioliane e studi critici curato da Nicola Siciliani de Cumis alla fine degli anni Settanta. Postfazione di Biagio De Giovanni.
Benché non si possa parlare di Kerényi come di un vero e proprio filosofo in senso tradizionale, la sua interpretazione della mitologia greca intesa in senso puramente storico e le sue considerazioni sulla natura del rapporto religioso hanno offerto un contributo al dibattito filosofico della seconda metà del Novecento. Proprio "Rapporto con il divino" (Umgang mit Göttlichem), si offre come la perfetta sintesi del pensiero di Kerényi, in quanto evidenzia quanto pervasivo ed essenziale sia stato fin dalle origini, e come ancora oggi sia, nonostante ogni spinta secolarizzante, il contatto quotidiano dell'uomo con l'elemento divino. Il saggio "Il medico divino. Studi su Asclepio e i suoi luoghi di culto" analizza l'evoluzione storico-mitologica di questa divinità fin dalle origini nell'antica Grecia, sottolineandone lo stretto rapporto con Apollo e Dioniso, due divinità simbolo della mitologia greca. La selezione di brani antologici dal titolo "II romanzo dell'antichità" è una riproposizione in forma sintetica di un primo saggio pubblicato da Kerényi nel 1927, nel quale l'autore ungherese aveva esposto la sua teoria interpretativa sulle origini del romanzo ellenistico.
Sono qui raccolti l'"Ernst" e "Falk/Dialoghi per massoni" (1778-1780) di Lessing e il "Dialogo su una società invisibile-visibile" (1793)insieme ai due dialoghi intitolati "Massoni" (1803) di J. G. Herder, opere che (con quelle di Fichte e Goethe) costituiscono il punto più alto della riflessione massonica in ambito filosofico. Lessing e Herder, salaci fustigatori dei costumi dell'epoca, propongono al mondo una visione di suprema idealità umana, ed aderiscono alla Massoneria perché tale è la sua autentica funzione. Entrano nelle ingarbugliate, rissose ed esoteriche logge tedesche e scagliano strali beffardi e graffianti contro una nascente confusa Massoneria, che vogliono purificare ed elevare a specchio delle virtù e dei valori universali umani. Inizia Lessing con cinque dialoghi in cui un Massone e un profano si confrontano con ironia, ma anche, quando serve, con sarcasmo, in un duetto conciso e concitato, analizzando i nascosti rituali delle logge e il vero segreto del pensiero massonico. Herder segue le orme del suo maestro dopo alcuni anni, con tre dialoghi nei quali verifica criticamente il pensiero massonico lessinghiano. Se Lessing era finemente ironico, Herder, con i tre vivaci e critici personaggi dei suoi due ultimi dialoghi, non risparmia frustate a una Massoneria priva d'idealità, ponendosi come il più importante riformatore del pensiero massonico dell'epoca. Saggio introduttivo di Claudio Bonvecchio.
Questa biografia di Schelling offre al lettore (con una semplicità che è il risultato di una lunga ed empatica frequentazione) la "narrazione" della vita del filosofo, scrutata nelle grandi come nelle piccole cose, dai trionfi accademici fino ai più minuti particolari dell'esistenza quotidiana, con dovizia di riferimenti e di notizie che tuttavia mai appesantiscono la scrittura e che anzi, per più versi, la rendono ancor più piacevole e accattivante. Naturalmente non manca il contesto filosofico, ma è presentato quanto basta per inquadrare ulteriormente la vita e la psicologia dell'uomo Schelling, nelle sue grandezze e nelle sue debolezze, nelle sue virtù e nei suoi difetti, e soprattutto nei suoi affetti, così essenziali per comprenderne la personalità. In questo libro, dunque, dopo averci in tanti altri luoghi condotto alla conoscenza del filosofo, Tilliette ci guida alla conoscenza dell'uomo Schelling. Introduzione di Giuseppe Riconda.
Le età del mondo - qui nelle versioni del 1811 -1813 -1815 e nei frammenti preparatori- indubbiamente non è soltanto l'opera alla quale Schelling si dedicò più intensamente e che avrebbe dovuto essere la sintesi perfetta del suo pensiero, ma è anche una delle più oscure paraboli del tardo idealismo.
L'opera di Unamuno, che presenta tutti i tratti di organicità e sistematicità, non sarebbe comprensibile pienamente se non se ne evidenziassero le basi filosofiche e le preoccupazioni teologiche. È infatti alla luce di una filosofia della religione che le ricerche incentrate sull'unico problema, quello dell'ansia immortale di immortalità dell'uomo concreto, pervengono ad una prospettiva coerente ed unitaria anche se ciò non esclude un'evoluzione intellettuale ed esistenziale. Unamuno è un autentico uomo religioso che ha vissuto una struggente quanto tragica ansia di eternità, di sete di Dio, pur non avendo abbracciato totalmente nessun credo religioso positivo, giacché egli ha sempre reagito con veemenza contro ogni tentativo di volerlo incasellare. Unamuno è fautore di una religione poetica, issata sull'esperienza della parola creatrice, mediante la quale non soccombe alla tentazione del nulla. I nuclei fondamentali della riflessione unamuniana ruotano intorno a due temi, i quali rappresentano, per così dire, due facce della stessa medaglia: l'ansia per il destino umano e la preoccupazione per la personalità, da non intendersi in senso psicologico, ma etico-esistenziale, come emerge sia nell'opera sul "Sentimento tragico della vita" (1913) sia nei celebri poemi dove ribadisce che "Il fine della vita è di farsi un'anima".
Imponente serbatoio di proverbi, sentenze e massime di saggezza derivate dalla cultura greca e latina, gli "Adagia" - l'opera a cui Erasmo riservò i suoi maggiori sforzi, lavorandovi per oltre quarant'anni - sono il più grande repertorio paremiografico mai realizzato in età moderna, del quale si offre per la prima volta in Italia il testo latino affiancato da una traduzione integrale. Uno straordinario lavoro di disseppellimento degli autori antichi portò Erasmo a raggiungere, nell'ultima redazione stampata a Basilea nel 1536, quasi quattromiladuecento voci, che arrivano a oltre diecimila se si contano tutti i proverbi e le sentenze citati nel testo. Una summa unica, dunque, della morale e del pensiero antico, ma non solo. Erasmo infatti, nei suoi commenti, inserisce spesso riferimenti alle espressioni proverbiali del suo tempo, fiamminghe, francesi, inglesi, tedesche e italiane, gettando così un ponte affascinante tra la cultura antica e la vita quotidiana dell'Europa moderna. Quella degli "Adagia", a ben vedere, può costituire senza dubbio una lettura "interattiva": alla ricerca del proverbio più familiare al lettore, che può scoprirne le antiche radici classiche. Un indice completo dei proverbi greci, latini e italiani, nonché un indice analitico, fanno di quest'opera una vera e propria enciclopedia della cultura classica, vista attraverso la lente d'ingrandimento del proverbio, ora ironica e pungente, ora severa e pensosa.
Nel 2013 ricorre il bicentenario della nascita di Søren Kierkegaard, uno dei più grandi pensatori dell’età moderna, e, secondo alcuni, il più grande testimone della modernità. Kafka ha affermato che dai suoi scritti “emana tanta luce della quale ne arriva un po’ in tutti gli abissi”. Fra le due guerre mondiali, mediante la Kierkegaard-Renaissance, egli è diventato il padre dell’esistenzialismo, in quanto ha espresso la centralità del soggetto umano, ossia del “singolo”, contro l’idealismo. Le sue opere più diffuse sono quelle che egli ha pubblicato con pseudonimi, che hanno valore estetico e grande portata filosofica. Tuttavia le sue opere più profonde sono le ultime di carattere religioso, in cui sale a livelli come quelli raggiunti da Agostino, da Pascal e da Dostoevskij. Quelli che presentiamo in quest’opera sono i più grandi scritti filosofici e religiosi, nella classica traduzione di Cornelio Fabro, con la sua magistrale monografia introduttiva, con una prefazione di Giovanni Reale e la bibliografia aggiornata a cura di Vincenzo Cicero. Questa raccolta in un solo volume dei capolavori di Kierkegaard costituisce un unicum a livello nazionale e internazionale, che onora nel modo migliore il bicentenario della nascita del grande filosofo. Nato da un ricco commerciante, Søren Kierkegaard (1813-1855) visse la quasi totalità della sua esistenza a Copenaghen, dove nacque e morì. La sua filosofia prese corpo da un doppio rifiuto, ossia il rifiuto della filosofia hegeliana e l’allontanamento dal vuoto formalismo della Chiesa danese. Secondo Kierkegaard la dimensione esistenziale dell’uomo è segnata dall’angoscia, dalla disperazione e dal fallimento o scacco esistenziale. La disperazione nasce da un rapporto serio dell’uomo con se stesso, mentre l’angoscia nasce dal confronto dell’uomo con il mondo, e consiste nel senso di inadeguatezza legato all’impossibilità dell’uomo di essere autosufficiente senza Dio. La filosofia di Kierkegaard è caratterizzata da due elementi: l’individualità, che caratterizza tutte le forme di esistenzialismo, e il rapporto con Dio, che è tipico di tutte le forme religiose di esistenzialismo.
Søren Kierkegaard
Giovanni Reale è uno dei massimi studiosi del pensiero antico, autore di fondamentali contributi sui Presocratici, Aristotele, Seneca, Pirrone, Plotino, Proclo e Agostino. La sua opera che si è imposta come punto di riferimento è la Storia della filosofia greca e romana, in dieci volumi, Bompiani 2004, che sarà publicata in volume unico anche in questa collana. Grande eco ha avuto anche l’opera Per una nuova interpretazione di Platone (Bompiani, 2010), come dimostrano lo straordinario numero di edizioni (22 in italiano), le traduzioni in varie lingue e i giudizi dati dagli studiosi a livello internazionale. Con Dario Antiseri ha pubblicato Il pensiero occidentale dalle origini a oggi, di notevole diffusione e successo. Ha pubblicato varie opere su pittori e scultori interpretati dal punto di vista dell’ermeneutica, in collaborazione con i film artistici di Elisabetta Sgarbi sugli stessi temi. Suoi scritti sono tradotti o in corso di traduzione in ventidue lingue. Per i suoi contributi alla cultura è stato nominato “Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana” dal Presidente Giorgio Napolitano.
Ermeneutica e psicologia del linguaggio restituisce, attraverso una scelta degli scritti più importanti di Heymann Steinthal, i risvolti fondamentali del suo pensiero. La prima sezione mette a fuoco i gangli costitutivi della sua filosofia del linguaggio (1855). L’autore vi argomenta, sulla scia dell’opera di W. von Humboldt, l’autonomia della lingua dalla logica nel processo di costituzione dell’esperienza. «Logica e grammatica» - scrive - «sono grandezze assolutamente incommensurabili e ogni lingua è una creazione puramente soggettiva di forme e categorie, scaturita da ragioni soggettive che si trovano al di là di ogni possibilità di previsione». La tesi di Steinthal scompagina il dibattito ottocentesco sulla conoscenza e la rappresentazione ed esercita una sotterranea influenza su filosofi della statura di Croce, Benjamin e Cassirer. Nella seconda sezione è presentato il programma di ricerca della psicologia dei popoli, steso assieme a Lazarus nel 1859. La Völkerpsychologie si configura come un’alternativa alle filosofie della storia ottocentesca, volta a individuare un punto d’equilibrio tra sguardo sintetico e analitico sullo sviluppo spirituale dei popoli. «Lo spirito» - si legge - «costituisce la vetta più alta della natura e parimenti l’innalzamento al di sopra di essa. Il suo operare è posto nel mezzo e determina il passaggio da una realtà ancorata unicamente alla legge universale a un’idealità liberamente creatrice». La terza sezione riscopre una pagina singolare e poco conosciuta dell’ermeneutica del XIX secolo, già segnalata da Gadamer. Il processo dell’interpretazione è indagato da Steinthal in chiave psicologica e in rapporto alle principali proposte coeve della filologia e della filosofia del linguaggio (Schleiermacher, Ast, Dilthey, Böckh). «Dove il filologo ha compiuto pienamente il suo compito, la sua comprensione non è soltanto un semplice evento, non solo un atto, bensì una creazione».
Heymann Steinthal
Heymann Steinthal nacque nel 1823 a Gröbzig (Anhalt) da famiglia di religione ebraica. Linguista, filologo e filosofo, insegnò nell’Università di Berlino (1862-1899). Autore di opere fondamentali di filosofia e storia del linguaggio, tra cui Grammatica, logica e psicologia (1855) e Storia della scienza della lingua presso i greci e i latini (1863), ideò e animò, insieme a Moritz Lazarus, la «Zeitschrift für Völkerpsychologie und Sprachwissenschaft» (1860-1890). Membro di importanti accademie europee, fu tra i fondatori e i docenti della Hochschule für die Wissenschaft des Judentums. Morì a Berlino nel 1899.