Ma quanto è fascista la Roma fascista? Come società di massa e cultura moderna si affermarono e si confusero nella realtà contraddittoria del regime mussoliniano. Roma fu il luogo dove l'atmosfera novecentesca abbigliata in veste fascista ebbe le sue maggiori manifestazioni pubbliche, dove il regime impregnò di sé opere e sogni, vie e piazze, campi sportivi e studi cinematografici, periferie e istituti culturali, testate giornalistiche e aule universitarie. Rimessa prepotentemente al centro della vita nazionale, la scena urbana della capitale fu per antonomasia la scena del fascismo. Adesso che il ventennio è una vicenda ideologicamente e politicamente conclusa, anche la Roma del duce può essere finalmente vista non solo come un panorama di crimini archeologici e urbanistici, ma nel suo rapporto con le grandi correnti culturali e artistiche del Novecento e come il luogo di nascita di una nuova società borghese destinata a stabilire una sorta di «egemonia romana» sulla futura Italia democratica.
La nebbia agl'irti colli... E poi? Come faceva? È raro tornare da adulti alle poesie incontrate da studenti. Eppure, sarebbe bello scoprire come risuonano in noi. E accorgersi che la vita le ha rese più leggibili, più emozionanti, più preziose. Nel bagaglio delle conoscenze scolastiche, insieme alle tabelline, al teorema di Pitagora, alla fotosintesi clorofilliana, rientrano anche molte poesie. C'è perfino chi, nel tempo, le ha imparate a memoria. Da «Silvia, rimembri ancora» di Leopardi a «La pioggia nel pineto» di D'Annunzio, dalle «stelle cadenti» di Pascoli al «male di vivere» di Montale, può capitare di ritrovarsi qualche verso sulle labbra, all'improvviso. Sembra che voglia dirci ancora qualcosa. Ma cosa? Paolo Di Paolo ci offre un'occasione per leggere in modo nuovo e sorprendente le poesie studiate a scuola. Toglie un po' di polvere e le libera dai luoghi comuni, rimette in rapporto scrittura e vita. Seguendo piste imprevedibili, riscopre «Dei Sepolcri» come un canto carico di tenerezza e rilegge «Il cinque maggio» come un editoriale in versi. Accosta autori contemporanei come Ray Bradbury a Carducci o Yasmina Reza a Manzoni, ripensa i versi secchi di Ungaretti all'ombra delle guerre odierne. E mette in gioco anche sé stesso, la sua storia di studente, di aspirante scrittore: un romanzo mai scritto su Gozzano; le telefonate e gli incontri con i grandi del secondo '900, Luzi, Zanzotto, Sanguineti, Spaziani... Dimostra così che l'esperienza può riempire di senso quei versi lontani e completarli nel tempo, fra amori, ferite, desideri, sogni.
Dal Polo Nord a Capo Horn, dal Sahara all'Himalaya, dalle giungle tropicali agli arcipelaghi del Pacifico, le storie di donne e di uomini che, mettendosi in viaggio, hanno cambiato la loro vita e a volte anche la nostra Muoversi sul nostro Pianeta e, negli ultimi decenni, anche fuori di esso, è una delle grandi esperienze della nostra specie. Migrazioni, esplorazioni, traversate: dalla prima uscita dall'Africa al turismo spaziale, da Erodoto ai tour operator, ciò che chiamiamo viaggio è incessantemente mutato attraverso i tempi nella sua dimensione culturale e simbolica. Franco Brevini, studioso ma anche viaggiatore di lungo corso, ci guida tra viaggi reali e fantastici, cammini di fede e imprese mercantili, vacanze, pedestrian tour, mode esotiche. Una lettura che ci mette in contatto con la nostra natura di viaggiatori, invitandoci a spingere la nostra immaginazione un poco più in là, a mescolarci al mondo, a esplorare le frontiere della lontananza.
Missione Terra: un viaggio straordinario alla scoperta di nuove specie È tempo di innamorarci del nostro pianeta, riscoprendone la meraviglia e l'inesauribile varietà. È tempo di partire per un viaggio incomparabile, alla volta di luoghi di inimmaginabile ricchezza: dalla Papua Nuova Guinea al Borneo, dall'Himalaya al Mekong, dallo Sri Lanka al Madagascar, fino alle montagne della Tanzania. Pagina dopo pagina incontreremo una collezione infinita di specie che abitano il nostro pianeta, ma che rischiamo di perdere prima ancora di esser riusciti a conoscerle. Ed ecco una collezione altrettanto infinita di ragioni per impegnarci a preservare questa diversità, perché altri dopo di noi possano continuare a godere di questo portentoso spettacolo della vita, che va ben oltre le più audaci fantasie umane.
Un libro inconsueto e potente, un incontro con figure femminili fuori dal comune. Una storia che non può mai finire. Rien que la femme. Donne-dee, sacerdotesse, mistiche; guaritrici, veggenti, donne fatate e donne fatali; figlie del Sole e della Luna, e infine una bambina di Nazareth che diventa la Vergine Madre di Dio. Che cosa si cela dietro queste figure femminili umane e divine, sospese tra mito e storia, passato e futuro, Oriente e Occidente? Hanno provato a spiegarcelo in tanti, da Omero a Ovidio, da Dante a Goethe a Freud. Il mistero, scaturito da una grotta preistorica e da una figurina di pietra dai grossi seni alta pochi centimetri, arriva a madre Teresa di Calcutta e alle «divine» del Novecento, di cui forse Greta Garbo ed Evita Perón rappresentano il fascino che sfiora i limiti dell'umano. È tempo di andare al cuore di questo grande archetipo, che nella cultura moderna continua a conservare i tratti che gli hanno prestato Botticelli e Raffaello. In queste pagine le donne parlano con Dio, con i demoni, con i morti. Il Sacro femminile come pietra di inciampo che segna tutta la nostra storia.
Marco Polo rispose: «Ogni volta che descrivo una città dico qualcosa di Venezia» Italo Calvino, Le città invisibili Sono trascorsi settecento anni dalla morte di Marco Polo. Su di lui esiste una letteratura ormai sterminata, quasi in ogni lingua, e le sue straordinarie vicende di viaggio, che spalancarono all'Europa cristiana il lontano e favoloso Oriente, sono state raccontate e ripercorse da numerosi autori. E così, in questo libro, Ermanno Orlando ribalta completamente il punto di vista e ci conduce, anche facendo tesoro delle suggestioni derivanti dalle Città invisibili di Calvino, in un viaggio nelle città che Marco ha via via attraversato. Per una volta il nostro mercante resterà sullo sfondo, lasciando che siano i luoghi a prendersi per intero la scena. Vedremo Venezia - immaginata, vissuta, lasciata e ritrovata - e poi salperemo per Trebisonda, Tabriz, Costantinopoli, San Giovanni d'Acri... E infine ritorneremo nella città continuamente cercata nelle altre e cambiata nello spazio di un viaggio che pareva infinito.
Dieci discorsi immortali di Cavour riletti come guida alla buona politica Tra lampi di intelligenza e straordinaria abilità nel preparare le sue mosse, Cavour mostra, in questi dieci discorsi parlamentari, una formidabile capacità di costruire la sua visione di futuro. Negoziatore e polemista, mette a fuoco distanze da scavare e vicinanze da far valere, esclude vecchi alleati e ne include di nuovi, ottiene il consenso e sfrutta il dissenso, compone il suo asse di alleanze sapendo che la collaborazione non si ottiene mai senza scambio, negozia e vince, anche consapevole di quando occorra giocare d'azzardo. Questo libro è un «dialogo» con un incomparabile maestro. Parlare di Cavour significa, per Giuliano Amato, parlare di politica, per farcela riscoprire e rispettare ammirando le sue qualità migliori: un'arte essenziale da esercitare con passione.
«Non conosciamo bene il luogo in cui vogliamo arrivare. Non esiste una città o un paese che si chiami «Leopardi». Magari per alcuni di noi ci sono capitoli di manuale, brani di antologia che hanno quel nome. Mettiamoli da parte, il viaggio deve avvenire con le sole nostre forze. Non mostriamo impazienza, o paura di perderci ogni tanto. Partiamo, seguendo da subito un primo cartello segnaletico in cui è scritto L'infinito...» Come parlare di un autore immenso come Leopardi? Come trasmettere oggi il fascino di un poeta contemporaneo di ogni tempo? Si possono raccontare l'infinito, l'amore per la natura, le donne sognate e negate, il senso del vero e della bellezza, infine quell'unità di pensiero e poesia che lo caratterizza? Dieci lezioni, dieci modi per intrecciare Leopardi con la nostra epoca inquieta, e sempre più alla ricerca di un equilibrio difficile tra l'uomo e l'ecosistema. Da questo libro emerge tutta la potenza di un autore sul quale non si possono dire parole definitive, perché suscita continue domande; un autore che sentiamo intimamente moderno anche nella sua lontananza, nel suo essere stato un grande «assente» dalla vita. Leopardi scrittore dell'immaginazione, della creatività, del desiderio, che ci costringe ancora a spalancare gli occhi di fronte al mondo: Leopardi «sensibile e immaginoso».
È possibile pensare oggi a una governance del pianeta e a una cittadinanza globale? Immaginare quindi un'altra geopolitica, oltre i confini di quella tradizionale? Nessuna delle grandi sfide che ci pone il nostro presente - la protezione dell'ambiente, l'utilizzazione razionale delle fonti energetiche, la salute della nostra specie e con essa di tutto il vivente - può essere ormai affrontata da un singolo paese, per quanto potente. Da questa constatazione nasce l'esigenza di pensare a qualcosa che finora era parsa soltanto pura utopia: alla prospettiva di un governo del pianeta che vada definitivamente al di là dei confini degli Stati-nazione, anche quando questi tendono ad assumere la forma di imperi. D'altra parte espressioni come «giustizia internazionale», «super-territorialità», «governo transnazionale» riempiono le nostre cronache, nonostante gli orrori di una guerra d'aggressione alle porte d'Europa; e stiamo cominciando a familiarizzare con l'idea di una società civile globale, qualcosa di simile a un'autentica civiltà planetaria. Questo libro lucidissimo, realistico e visionario, scritto da un grande storico, ci proietta verso un possibile futuro non solo per l'Occidente, ma per un mondo finalmente in pace con sé stesso.
Sette piccoli capolavori da non mancare Sette luoghi da non perdere Sette personaggi dimenticati Sette date da tenere in memoria Sette perdite dolorose che hanno amputato la capitale d'Italia. «Roma, non basta una vita», come si sa, ma proprio per questo offre ancora l'ebbrezza di scovare curiosità sconosciute. Per uscire dagli itinerari consueti e provare il gusto della scoperta, il piacere dell'insolito o dell'ignoto, l'autore ci svela tanti piccoli e reconditi angoli della città: percorsi inediti per passeggiate curiose che ci possiamo regalare in qualche giornata romana. Dall'ultima e mirabile fontana di Gian Lorenzo Bernini, ignorata da tutti, al chiusino stradale sull'Aventino, dove ci si può calare nell'abitazione privata dell'imperatore Traiano, ancora totalmente affrescata; da una chiesa di Borromini, rimasta incompiuta, che custodisce una copia della Sindone e ora è un albergo di lusso ai piedi del Gianicolo, al Grand hotel di via Veneto dove nella sala da ballo fanno capolino, dipinti in grandezza naturale, 78 personaggi del bel mondo degli anni Venti.
Il nostro sguardo sulla tecnologia è spesso miope, anzi, strabico. Si focalizza solo sulla novità tecnologica e dimentica l'altra metà della questione: gli esseri umani e il loro modo di utilizzare la tecnologia. Le nuove tecnologie pervadono le nostre abitudini, le relazioni personali e il modo di vivere. Siamo ormai abituati a sentirci dare del tu dai colossi del web e dagli assistenti virtuali, e a ricevere baci e abbracci nei messaggi anche da persone che non conosciamo. Se qualcuno vicino a noi guarda lo smartphone, siamo indotti a fare lo stesso di lì a qualche secondo. Ricorriamo a video e tutorial in rete per fare quasi ogni cosa, per aggiustare una tapparella, accendere il barbecue o fare il pane in casa. Partendo da situazioni concrete e da abitudini spesso inconsapevoli, l'autore ci aiuta a comprendere meglio il nostro rapporto con la tecnologia, tra vizi e virtù.
...Partiamo dalla nostalgia, quella che proviamo quando realizziamo che l'estate è ormai trascorsa, e di essa restano solo alcune bellissime immagini che ci fanno pensare di aver lasciato alle nostre spalle i giorni migliori dell'anno o talvolta persino della nostra vita... Una luce immobile e accecante, le onde del mare increspate di spuma, il canto delle cicale oltre la spiaggia, i bambini sulla sabbia tra castelli e conchiglie, le sagome di chi abbiamo amato per una stagione sola. L'estate vive anche in fotogrammi fissati nella memoria, perché non è solo un momento particolare dell'anno, è anche un'idea di felicità, di rifugio, di luogo ideale della nostra giovinezza. In questo viaggio dell'uomo attraverso le stagioni, riscopriamo l'estate come il tempo dei desideri e dei sogni. E tra arte, musica, letteratura, la inseguiamo lungo il cammino della storia: nelle apparizioni delle divinità greche e nell'arido regno egizio; nelle risaie assolate degli imperi cinesi e nelle feste dei santi medievali; negli ombrosi giardini del mondo islamico e nei «grand tour» di ricchi viaggiatori europei. Infine, nel caldo sempre più afoso delle città contemporanee, e nei luoghi esotici o affollati delle nostre vacanze. Questo è il racconto della stagione più attesa, lunga e al tempo stesso fugace come una giornata di sole.
Non possiamo più permetterci di pensare che la salvezza dell'uomo non sia anche la salvezza di tutte le altre specie viventi. Prima capiremo che l'unica soluzione possibile è salvarsi insieme, prima riusciremo a pensare a una strategia efficace. Cosa accomuna il triste destino delle ultime due femmine di rinoceronte bianco, Najin e Fatu, di Lonesome George, solitaria testuggine gigante, del lupo di Tasmania e dell'alca impenne? Sono tutti protagonisti di quella che possiamo definire la sesta estinzione di massa. Secondo le stime attuali, il 99,9% delle specie del nostro pianeta è già scomparso, ma se in passato erano stati immensi disastri naturali a causare le cosiddette «big five», le cinque precedenti grandi estinzioni, oggi nell'era dell'Antropocene, i responsabili dei cambiamenti nella biodiversità siamo noi, la «specie prepotente». Non c'è da girarci intorno, e Maurizio Casiraghi, appassionato zoologo, non lo fa. Con straordinaria capacità narrativa ci coinvolge in storie toccanti e rivelatorie, e ci richiama all'azione. Sta a noi cambiare atteggiamento verso il pianeta e i suoi condomini, e fare in modo che si possa continuare ad abitarlo. Perché il mondo senza panda non è solo meno bello, ma rischia di essere un luogo per noi sempre meno ospitale.
Bruto è il nome della libertà, accomuna i due uomini che armarono la propria mano l'uno contro Tarquinio il Superbo, l'altro contro Cesare. Nel primo caso, Lucio Giunio Bruto caccia il tiranno e diventa il fondatore della libertà, nel secondo caso, Marco Giunio Bruto si fa congiurato nel tentativo, disperato, di fermare la storia e riportare indietro le lancette del tempo. Per i Romani, Lucio Giunio Bruto era il padre della patria per eccellenza, l'uomo cui si doveva la cacciata dell'ultimo re, Tarquinio il Superbo. La sua vita era stata avventurosa: aveva visto padre e fratello uccisi dal tiranno e aveva dovuto fingersi sciocco per sfuggire all'orgia di sangue scatenata dal re, poi aveva guidato la rivolta che avrebbe posto fine alla monarchia ed era diventato il primo console della neonata repubblica. Nei secoli successivi, venne ricordato come il fondatore della libertà romana: un'icona rispettata ma tutto sommato inerte. Eppure, le cose stavano per cambiare: quando al suo quasi omonimo Marco Giunio Bruto fu proposto di aderire alla congiura che stava maturando negli ambienti ostili a Cesare, proclamatosi nel frattempo dittatore a vita, fu proprio l'ombra del remoto antenato a rivelarsi decisiva per le scelte del futuro cesaricida. Per la seconda volta, Bruto imprimeva così alle vicende di Roma una svolta che ne avrebbe cambiato per sempre il corso. Questo libro racconta la storia in due tempi della lotta alla tirannide a Roma.
«Il folle fugge dal pensiero cristallizzato per vivere in un futuro diverso e apre strade che solo più tardi saranno percorse con naturalezza anche dai cosiddetti normali.» Albert Einstein diceva che «solo coloro che sono abbastanza folli da poter pensare di cambiare il mondo lo cambiano davvero». La follia non è irrazionalità, la follia può essere considerata una forma di pensiero eccentrico, capace di nuove interpretazioni, nuovi modi di vedere e nuovi modi di cogliere il mondo. In questo volume, Lamberto Maffei ci accompagna nel mondo dell'arte e del cervello. Attraverso il racconto di artisti folli, ci mostra come la creatività può salvare il mondo fornendo un punto di vista diverso, ma al tempo stesso vero e diretto. In un tempo ricco di incertezze e retto dalla pressione all'omologazione delle nuove tecnologie, l'autore ci fornisce un quadro della nostra natura umana inedito, nuovo e autentico, dove non si nascondono fragilità, bellezza e paure dell'infinito e della fine, temi esistenziali propri dell'essere persone consapevoli.
"Ormai vecchio, guardando al mio passato, mi accorgo che il cammino dell'imparare a morire è stato il cammino dell'imparare a vivere, nella convinzione che ciò che si è vissuto nell'amore resterà per sempre. Solo l'amore innesta l'eternità nella nostra vita mortale. Che senso può avere nel nostro tempo la domanda sull'aldilà? Nell'epoca della morte rimossa o spettacolarizzata in un flusso di immagini che la esibiscono e la dissacrano, quale significato possiamo attribuirle? Su questa terra che tanto amo, ho sempre cercato l'eternità." Con queste parole Enzo Bianchi, instancabile cercatore di senso, apre una meditazione poetica e non dogmatica sulla più ineludibile delle domande - su quel limite capace di dare senso alla vita di ciascuno - per approdare a una risposta centrata sull'amore, sulla sua forza come trama del mondo e delle relazioni con gli altri, e quindi come ragione di speranza anche dopo la vita terrena. Un libro appassionato, carico di fiducia, in cui la morte si apre alla vita.
Il presepe è la Buona Novella che diventa presente. È la Natività che rinasce. E ogni anno si fa storia viva. Universale e locale. Perché ogni paese ne fa lo specchio di sé stesso. Il presepe francescano rappresenta la Natività, il presepe napoletano rappresenta l'umanità; e per questo ha conquistato l'immaginario globale, ed è amato da credenti e non credenti. Perché la versione partenopea della nascita di Gesù è un teatro della devozione dove si fondono e si confondono sacro e profano. E dove, in pochi centimetri quadrati di sughero e cartapesta, si raduna una straboccante folla multicolore e multietnica: pastori, mercanti, suonatori, venditori ambulanti, osti, lavandaie, cuoche, contadine, tessitrici, balie, re neri, visir ottomani, schiavi nubiani. Cui anno dopo anno si aggiungono personaggi dell'attualità. Risultato, una storia infinita e sorprendente, nella quale alla viva voce degli autori si sovrappone il racconto di testimonial eccellenti. Viaggiatori, artisti, scrittori, teologi e anche Papa Francesco che, in una lettera ai fedeli, esorta le famiglie a continuare questa tradizione che si può considerare un Made in Italy della religione.
Non vi sono solo i pensieri e le azioni umane di cui tener conto per far rivivere la storia, ma anche le forme, i colori, persino gli odori e ovviamente i suoni. Evanescente, destinata a perdersi nell'istante stesso in cui la cogliamo, la musica è aria che vibra. Difficile dunque usarne le tracce come si fa con una pergamena o un affresco. Eppure la storia è piena di suoni pervasivi e determinanti, legati a ogni agire umano: la guerra, la festa, la meditazione, il rito religioso. E allora proviamo a raccontare il passato sulle tracce degli strumenti utilizzati per produrre il suono: dai tamburi di antichi sciamani al flauto di Pan, dall'incanto degli ud dei giardini arabi alle voci nei monasteri e nelle cattedrali medievali, dalle tastiere della civiltà delle buone maniere alle fisarmoniche che seguirono il viaggio degli emigranti, dalla chitarra che espresse la voce del popolo fino agli strumenti elettrici che crearono i giovani e il loro canto. Un viaggio europeo e mediterraneo alla ricerca di suoni perduti, perché spesso proprio in questi si è inscritto il senso del mondo e delle vite delle donne e degli uomini che lo hanno abitato.
Incombe la furia delle armi, il potere del ferro sconvolgerà il diritto, l'empio crimine avrà il nome di virtù, e un tale furore si scatenerà per lunghi anni. Che giova chiederne la fine agli dèi? La pace viene con un padrone. Attraverso la poesia epica, il mondo antico celebra le proprie origini e la propria grandezza. Ma nella «Pharsalia» di Lucano, giovane e irrisolto nipote di Seneca, non è la voce degli dèi, né quella delle muse a farsi poesia, ma quella di un uomo che racconta una storia vicina e tragica, la guerra civile, che al popolo romano ha tolto la libertà. Un poema dunque tutto umano, un canto dell'inquietudine che tenta di risalire alle cause del male, indagando gli animi di coloro che il male lo hanno voluto, come Cesare, abbagliante e inarrestabile, e Pompeo, antica quercia priva di linfa. E che rintraccia un unico disperato barlume di speranza in colui che non si è piegato alle ragioni del potere, Catone, modello di virtù magnanimo e dolente. I versi di Lucano riecheggiano così l'età di Nerone e di una generazione infelice, che assiste all'esercizio di un potere politico iniquo e impossibile da contrastare perché assoluto, e che vagheggia di tornare a un tempo irripetibile, quando Res publica romana significava libertà.
«C'è un arco che si tende dalla prima all'ultima pagina di questo libro, ed è la domanda che mi pongo da sempre: perché la fisica funziona? E se ci fosse uno strappo nella trama del mondo?» La scienza sembra ormai disporre delle leggi fondamentali dell'universo, fondate sulla gravitazione di Einstein e sulle teorie quantistiche, e nessun fenomeno appare in evidente contraddizione con esse. Con la scoperta delle onde gravitazionali il quadro teorico appare completo: abbiamo svelato l'algoritmo del mondo. Restano però le domande essenziali: perché il nostro universo segue delle leggi matematiche, invece di precipitare in un caos senza fine, e perché proprio queste e non altre? Possiamo ancora accrescere la nostra conoscenza costruendo telescopi e acceleratori sempre più potenti, o abbiamo ormai raggiunto i limiti delle nostre risorse? Viviamo nell'unico universo possibile, o siamo solo un esperimento della natura tra i tanti?
Non già gli dei hanno rivelato ogni cosa fin dall'inizio, bensì gli uomini, col tempo, facendosi domande trovano il meglio. Senofane Pensatori dell'inizio, i presocratici riflettono sul «principio» e al tempo stesso inaugurano un nuovo modo di pensare, la filosofia. Ma i presocratici appaiono anche come pensatori della fine, intesa come questione filosofica ma anche come disgregarsi della religiosità arcaica. Ultimi eredi di una cultura in cui logos e mito erano strettamente intrecciati, essi non esiteranno a sciogliere quel legame, pur continuando ad appartenere a quel mondo. Questo libro è un viaggio alle origini, dove la riflessione sul vivente e la meditazione sull'uomo s'incontrano. Due momenti originariamente uniti, ma destinati a separarsi, nella cosmologia e poi nelle scienze della natura da un lato, e nell'etica e poi nelle scienze umane dall'altro. Un pensiero dell'identità e della differenza, dell'essere e del nulla, della realtà dispiegata non meno che inquietante e sfuggente; come immaginare un'avventura più attraente di questa?
La parola tende il filo ininterrotto del tempo che tiene insieme la memoria dei padri e il destino dei figli. Creatura e creatrice, la parola custodisce e rivela l'assoluto che siamo. Stupenda e tremenda, potente e fragile, gloriosa e infame, benedetta e maledetta, simbolica e diabolica, la parola è pharmakon, «medicina» e «veleno»: comunica e isola, consola e affanna, salva e uccide; edifica e distrugge le città, fa cessare e scoppiare le guerre, assolve e condanna innocenti e colpevoli. Per i classici è icona dell'anima, sede del pensiero, segno distintivo dell'uomo; per la sapienza biblica inaugura la creazione e fonda lo «scandalo» cristiano dell'incarnazione. Che ne è oggi della parola? Ridotta a chiacchiera, barattata come merce qualunque, preda dell'ignoranza e dell'ipocrisia, essa ci chiede di abbassare il volume, imboccare la strada del rigore, ricongiungersi alla cosa. Agostino direbbe che «noi blateriamo ma siamo muti». Costruttori di una quotidiana Babele e sempre più votati all'incomprensione reciproca, avvertiamo il bisogno di un'ecologia linguistica che restituisca alla parola il potere di svelare la verità. A noi il duplice compito: richiamare dall'esilio le parole dei padri e creare parole per nominare il novum del nostro tempo.
L’Europa è la sua filosofia. E da sempre nella sua storia inquieta e sospesa si mescolano tragicità e grandezza: fino a non poter guardare la luce se non attraversata dal buio.
L’idea di Occidente è nata in Europa: il continente della libertà, dell’eguaglianza e del diritto; di Beethoven e di Goethe, ma anche di Auschwitz e di guerre distruttive che hanno devastato la Modernità, fino al nostro drammatico Novecento. L’Europa è anche la sua filosofia: e «la potenza del negativo», nella sua complessa fenomenologia, l’ha attraversata per intero, fino a costituire la forza segreta del suo stesso divenire. Fondato su un’interpretazione audace e affascinante, questo libro riscrive la storia d’Europa da un punto di vista di assoluta originalità: del suo pensiero, della sua forza espansiva, delle sue contraddizioni, della sua vitalità sempre oscillante tra slancio creativo e spinta all’autodistruzione. Uno sguardo che va dalla Grecia classica alla metafisica del ventesimo secolo, ma aperto sul futuro: in cui si intrecciano, in un contrappunto ogni volta imprevedibile, pessimismo e speranza, e dove gli orizzonti di libertà si incrociano di continuo con le potenze che hanno in orrore la luce.
Biagio de Giovanni è socio dell’Accademia dei Lincei e professore emerito di Filosofia politica nell’Università di Napoli «L’Orientale», di cui è stato rettore. Tra i suoi libri "Marx filosofo" (Editoriale scientifica, 2018) e per il Mulino "La filosofia e l’Europa moderna" (2004), "Libertà e vitalità. Benedetto Croce e la crisi della coscienza europea" (2018).
In qualunque storia si può scoprire, per quanto spesso molto ben nascosto, un grano di profezia, sospeso tra passato e avvenire.
Un racconto inconsueto per un libro di storia, perché si riferisce in gran parte al nostro futuro. L’idea che lo attraversa è che solo così, cercando di guardare quel che ci aspetta per decifrarne il senso, si riesce a capire il significato del presente. La nostra epoca è dominata da un evento senza precedenti: la nascita della prima civiltà planetaria della storia. Una figura globale, che porta dentro di sé i caratteri dell’Occidente: la tecnica e il capitale innanzitutto, e insieme, ma in modo per ora molto più contrastato, la democrazia e il diritto. Aldo Schiavone legge la mondializzazione dell’Occidente come l’avvio di un percorso problematico, esposto alla catastrofe, ma anche ricco di straordinarie potenzialità: la vicenda di un umano ormai quasi del tutto affrancato dalla dipendenza dalla natura, e sul punto di diventare completamente padrone del proprio destino.
Aldo Schiavone è uno degli storici italiani più tradotti al mondo. Ha insegnato in numerose università e, da ultimo, nella Scuola Normale Superiore. Tra i suoi libri: «Ius. L’invenzione del diritto in Occidente» (II ed. 2017), «La storia spezzata. Roma antica e Occidente moderno» (II ed. 2020), «Eguaglianza. Una nuova visione sul filo della storia» (2019), tutti pubblicati con Einaudi; e, per il Mulino, «Progresso» (2020).
Ecco, tu ami la verità, perché chi fa la verità viene alla luce. Io la farò nel mio cuore davanti a te in questa confessione: e anche su queste pagine però, davanti a molti testimoni. Del resto che segreti avrei per te, Signore, che coi tuoi occhi denudi l'abisso della coscienza umana, anche se non volessi confessarmi a te? Siamo nel libro decimo, quasi alla fine delle «Confessioni», e Agostino si domanda (un po' tardi) se valga la pena di raccontare la propria vita a un Onnisciente. Per sua e nostra fortuna conclude che sì, ne vale la pena, e propone delle idee che hanno ancora moltissimo da insegnarci. Prendendo molto sul serio il ruolo del nano sulle spalle di un gigante, Ferraris rilegge Agostino incrociandolo con Strawson e Churchill, la «Critica della ragione pura» e «Histoire d'O», Simondon e Simenon, ed elabora una teoria della verità rispettosa della scienza, ma capace di restituire alla storia, alla letteratura e alla tecnica i loro buoni diritti in materia. Il testo agostiniano alla fine del volume accresce il gusto della lettura.
Profetesse, mistiche, false sante, streghe, riformatrici, libere pensatrici animano il vasto popolo delle eretiche, di quante si sono ribellate in cerca di verità Le donne che hanno provocato scosse inaspettate e scardinato gli equilibri del loro tempo hanno pagato a caro prezzo le proprie scelte. Tante di loro sono state considerate eretiche e per questo condannate, perseguitate, ridotte al silenzio. L'eresia è stata studiata attraverso i protagonisti maschili, mentre poca attenzione è stata riservata alle provocatorie e alternative esperienze femminili. Per colmare questo vuoto e restituire al concetto di eresia il valore originario di scelta, Adriana Valerio ripercorre due millenni di storia raccontandoci le vite di donne - dalle montaniste a Margherita Porete, da Giovanna d'Arco a Marta Fiascaris fino alle donne dell'Anticoncilio del 1869 e alle moderniste - tutte decise a lottare, conoscere, predicare ed esercitare ministeri in nome di una nuova chiesa inclusiva e senza confini.
Possiamo realizzare una storia migliore e tracciare la rotta di una nuova ragione politica È possibile trovare un senso nella storia umana? Secondo Emanuele Felice il significato della storia è rintracciabile nella progressiva estensione dei diritti dell'uomo. A partire dal Settecento, gradualmente, questi si sono ampliati dalle tradizionali libertà civili e politiche ai diritti sociali e ai nuovi diritti ambientali. E del pari si sono ampliati i doveri. Non è stato un percorso lineare, ma un processo reso possibile dall'incontro - nel corso del Novecento - di liberalismo e socialismo nella cornice dello Stato democratico; in modo analogo oggi, nel mondo globalizzato, entrambi devono incontrarsi con l'ambientalismo. L'esito non è scontato, ma rileggendo la storia umana da questa prospettiva appare chiaro che liberalismo, socialismo e ambientalismo, per affrontare le sfide che abbiamo davanti, possono e devono completarsi a vicenda.
È diffusa l'opinione che Dio sia già sceso almeno una volta sulla terra per venirci a cercare, accettando per questo, lui, re del cielo, di giacere bambino in una grotta. Spetta a noi adesso andare a cercarlo. Ed è così che l'uomo da sempre costruisce templi per incontrare Dio. Dov'è Dio? Dalla più remota antichità e dai recessi più profondi dell'inconscio, il suo silenzio ci ha parlato in infiniti modi. Lo abbiamo colto nei misteri della natura e nelle meraviglie dell'arte tutte le volte che, al di là dei limiti del visibile e del comprensibile, abbiamo visto una luce e sentito vibrare il suono della sua potenza. Prendendo le mosse dalla ricerca di un divino immaginato e sperato, questo libro approda alle immagini concrete di come Dio si sia proposto nelle opere dell'uomo, in quelle forme architettoniche spesso perdute, malintese e dimenticate del santuario, del tempio, della sinagoga, della cattedrale, della moschea. Un percorso drammatico e intenso verso i luoghi dell'eterno a misura d'uomo.
I Neanderthal sono un buon modo per raccontare la scienza delle nostre origini e i suoi formidabili progressi. Ne abbiamo bisogno ancora di più oggi, noi esseri umani dell'Antropocene, con tutte le sfide che dobbiamo affrontare. «Sono seduto su un grande masso di fronte al mare. Alle mie spalle la grotta del Monte Circeo frequentata dai Neanderthal». Con queste parole ha inizio un sogno: un incontro immaginario tra un paleoantropologo e l'ultimo dei Neanderthal. I due condividono le competenze di oggi e le esperienze vissute nel tempo profondo. Dialogano così sull'origine, sulle caratteristiche e sui comportamenti dei Neanderthal, come pure sul loro destino. Ne deriva l'affascinante narrazione di una specie simile alla nostra, ma anche profondamente diversa da noi, con la quale ci siamo confrontati dopo centinaia di millenni di separazione evolutiva. Non solo, però: la vicinanza genetica ha reso possibili incroci che hanno lasciato tracce durature in tutti noi. I Neanderthal sono ancora qui.
«Questo mettere continuamente in gioco la propria vita ha di per sé un grande fascino» Ernst Jünger «Le granate ci sorvolano fischiando. Sono di buon umore, quasi inebriato dal rombo dei cannoni» Ludwig Wittgenstein Per oltre due secoli la politica è stata una passione che ha indirizzato le scelte di vita delle persone. Un fuoco dentro. Per la politica uomini e donne hanno abbandonato affetti e interessi, si sono gettati nella mischia, hanno dato la vita: nelle lotte per l'indipendenza nazionale, nelle guerre, nelle rivoluzioni e controrivoluzioni. Paolo Macry racconta con partecipazione le storie di questi volontari, dal filoellenico Santorre di Santarosa ai mazziniani di Belfiore, dai giovani accorsi nel carnaio del '14-18, Jünger, Stuparich, Wittgenstein, Gadda, alle gesta di Orwell e Koestler nella guerra di Spagna, dalla resistenza di Marc Bloch, della Rosa Bianca, di Ada Gobetti ai repubblichini Vivarelli e Mazzantini. Fino agli anni di piombo di Moretti, Mambro, Fioravanti. Ragioni pubbliche e inquietudini esistenziali, furori ideologici e narcisismi, senso d'onnipotenza e d'impotenza s'intrecciano nella loro scelta, spesso fatale, di andare fino in fondo con le armi in pugno.
In certi momenti vien voglia di mandarlo al diavolo, dal quale egli forse proviene; in altri, di tenercelo stretto come un compagno di viaggio che instilla dalla soglia della nostra coscienza il tormento e la suggestione del nulla Che cosa sono queste «vanità delle vanità» di cui ci parla il Qohelet? Un messaggio di disperazione o un appello alla libertà? Per millenni questo enigmatico libro della Bibbia è stato interpretato come un'eccezione, anzi una contraddizione o uno scandalo nel messianismo ebraico e cristiano, il quale insegna a non disperare, poiché la storia ha un senso che ci condurrà alla «pienezza dei tempi». Ma nel frattempo dobbiamo forse annichilirci, impazzire di disperazione e riempire le nostre giornate con la ricerca di vani, insensati e fuggitivi piaceri, per non farci annientare dalla consapevolezza della nullità delle nostre vite? Meglio allora per l'uomo non esser mai nati: è questo che dobbiamo concludere? Ma perché dovremmo condannare come illusoria l'azione rivolta a costruire, nella vita individuale e in quella collettiva, qualcosa che vano non sia? Una lettura controcorrente che cerca di vedere un poco più chiaro nella potente poesia di questo testo apocalittico.
Chi mai sensatamente vorrebbe un'innocenza inconsapevole, che dia il nome ai viventi senza conoscerne il mistero? Dov'è Eva? In quali pieghe della storia e delle storie è stata confinata? Seducente come una Venere, audace nel desiderio di conoscenza, insidiosa come un serpente, disperata nella cacciata e potente nella maternità. Eva sin dal Libro della Genesi si sdoppia, si dissolve, si mescola nelle riletture e si affaccia ad altre narrazioni. Cristina Simonelli ci guida sulle sue tracce, evocandola dal labirinto dei testi, mostrandocela nella sua complessità e liberandola dai fraintendimenti. Eva è l'incarnazione dell'armonia perduta e promessa all'umanità in cammino. L'eredità di Eva è oggi motivo di forza per le donne, di riflessione per gli uomini e un ulteriore tassello alla decostruzione degli stereotipi e delle proiezioni sui generi.
Presagi, presentimenti, intuizioni e delusioni: indovinare il futuro è una pretesa impossibile o è una facoltà reale, capace di sorprenderci e turbarci? Divinità classiche, eroine della tragedia greca, indovini di antiche dinastie cinesi, saggi dalla millenaria sapienza indiana, visionari dell'Israele antico o contemporaneo, ma anche personaggi della storia recente o del nostro quotidiano, saranno i nostri compagni di viaggio, protagonisti enigmatici di vere e proprie sedute divinatorie, di misteriosi incontri con l'inesplicabile. Certo, di ciarlatani è pieno il mondo e la nostra età disillusa è abituata ad avvicinarsi al destino senza grandi pretese; ma dietro a una profezia, anche una sola, che si avvera, c'è unicamente il caso oppure si spalanca una dimensione insondata dell'animo umano?
Un diario di bordo per addentrarsi nella giungla della nostra epoca. Massini raccoglie e amplia i pensieri di due anni - raccolti nell'omonima rubrica del supplemento culturale «Robinson» di «Repubblica» - prima ispirati alle contraddizioni del nostro vivere, successivamente sollecitati dal dramma del virus di Wuhan, destinato a mutare non solo la percezione del presente ma il valore stesso del verbo sopravvivere. Parole come quarantena o coprifuoco diventano d'un tratto limiti reali del quotidiano di ognuno, entrando a far parte di un nuovo dizionario emotivo, tanto imprevisto quanto difficile da declinare. Massini tenta la sfida, stilando un sismografo del comune sentire: squarci esistenziali e letterari svolgono così il ruolo di periscopio sugli umori e le paure di un paese prima sconvolto, poi sempre più provato dal lungo tunnel della pandemia.
Mangiare e non mangiare, cosa mangiare e cosa non mangiare, sono problemi che accompagnano tutta la storia del cristianesimo (e non solo). Digiuno e astinenza sono pratiche che affrancano lo spirito dagli appetiti corporali e avvicinano a Dio. Papi, cardinali, vescovi, teologi, canonisti hanno dunque scritto, predicato e sentenziato sul mangiare, ma spesso in maniera contraddittoria, perché il concetto stesso di cibo cambia nel tempo e nei luoghi. Astenersi dalla carne, bene: ma l'iguana è carne o pesce? E la vipera? E il cocomero è un cibo, ed è dunque proibito nel digiuno, oppure una bevanda? E il cioccolato? E sarà lecito annusare gli effluvi di una carne che viene cucinata? Nella confusione, i credenti si sono comportati seguendo la necessità, la coscienza, l'appetito. Una storia da meditare, oggi che il comandamento del digiuno e dell'astinenza è vitale più che mai, seppure in una dimensione non più religiosa, nella nostra società.
«È dunque così che il ciclista incontra il mondo: dall'alto! Corre, corre a folle velocità senza toccare terra con i piedi, essere un ciclista è per lui qualcosa che significa quasi: sono il padrone del mondo» Thomas Bernhard Chi monta in sella a una bicicletta prova sentimenti di appagamento e pienezza: l'affrancamento dai limiti del corpo, l'ebbrezza della velocità e dell'indipendenza, la fuga dalle tristezze della vita. È così per i primi ciclisti, e poi sempre per ogni nuovo bambino che conquista la sua due ruote. «Sentivo di navigare nell'aria», ricordava un grande intellettuale come Ezio Raimondi. Ed è felicità per la donna, per la quale la bicicletta è strumento di emancipazione, così come per l'operaio di «Ladri di biciclette», che grazie alla bici può trovare lavoro. Oggi è anche la felicità della fuga dalla civiltà moderna, il sogno di un mondo lento a misura d'uomo. Poeti, scrittori, filosofi e gente comune hanno testimoniato la loro gratitudine per la bicicletta fonte di felicità: in questo libro, felice a sua volta, Pivato tesse il racconto di un inscalfibile amore collettivo per le due ruote.
«Ci chiedevamo a che punto eravamo, che giudizio dare dei vecchi e dei nuovi movimenti femminili, quante delle nostre speranze si erano realizzate e quanto restava ancora da fare. In quelle discussioni su un punto ci trovavamo pienamente d'accordo, l'ammirazione per lo straordinario coraggio di donne di ogni tempo per l'affermazione di sé stesse e per i sacrifici compiuti nel cammino di emancipazione e liberazione del genere femminile» (Chiara Valentini a Dacia Maraini). Dopo secoli e anzi millenni di società patriarcali in cui sono rimaste in stato di minorità, subalterne agli uomini, senza diritti, senza identità sociale propria, nell'ultimo secolo le donne sono venute compiendo la loro rivoluzione. Ma stereotipi e ostilità continuano a essere d'ostacolo e anzi oggi sono molti i segnali che indicano come nessuna conquista possa essere data per acquisita. Due intellettuali, due amiche con alle spalle una vita di impegno e militanza sulla questione femminile riflettono insieme sul lungo cammino percorso e con una vivida serie di ritratti di donne esemplari onorano le tante che con il loro coraggio ne hanno segnato il procedere.
1+1=2, che cosa c'è di più semplice? Si tratta della prima formula che tutti incontriamo a scuola, ma anche del primo paradosso della mente: quanto fa una pera più una mela? A che cosa è uguale? In una carrellata fantastica, tra gli antichi sistemi numerici e la logica della computer science, Barrow ci accompagna in una lezione di matematica, tra molti interrogativi e tante risposte, fino a riportarci all'apparente, irragionevole efficacia di questa «formula». Scoperta o invenzione? Rimane l'evidenza per cui modelli così semplici, come l'aritmetica, sono tanto ricchi e potenti da svelare la struttura dell'universo. Una struttura che, in un'ultima analisi, si fonda su 1+1 = 2.
Questa volta la storia comincia in un bosco, dove la luce dorata e bassa gioca tra i cespugli colorati, e l’aria ormai fresca porta con sé quell’odore inconfondibile di funghi e di terra. In queste pagine incontreremo gli autunni antichi dei pastori e degli dei; quelli medievali di mercanti e contadini, di cavalieri, monaci e pastori; quelli moderni di uomini e donne, ognuno con il suo carico di ricordi, desideri, avventure, conoscenza. Perché l’autunno è un po’ come il tornare a casa quando il viaggio si è compiuto, l’entusiasmo euforico della primavera è ormai lontano, e la serena pienezza dell’estate già alle spalle. Davanti a noi adesso solo lunghi giorni di pioggia e nebbia, animati dai riti della vendemmia, dal vino, e dai frutti tardivi che colorano le mense. Sere di feste e di paure, perché in autunno i morti e i «mostri» sono sempre lì per ritornare. Ma l’autunno più bello è quello intimo e segreto dei ricordi della nostra infanzia, trascorso in qualche bosco ormai lontano, incendiato di foglie rosse e gialle.
Alessandro Vanoli è esperto di storia mediterranea. Tra i suoi libri per il Mulino: «Andare per l’Italia araba» (2014), «Quando guidavano le stelle» (2015), «La Sicilia musulmana» (2016), «L’ignoto davanti a noi (2017)», «La via della seta» (con F. Cardini, 2017) e in questa stessa serie «Inverno» (2018) e «Primavera» (2020).
La presa di Roma da parte delle truppe italiane il 20 settembre 1870 siglò simbolicamente l'unificazione del paese. Come vi si arrivò? Un intreccio di passioni e cautele, di delicate tattiche diplomatiche e di congiunture favorevoli diede il via alla fulminea campagna che dal 12 al 20 settembre portò alla conquista del Lazio e dell'urbe. Il libro percorre a uno a uno questi piani, mettendo però al centro una dettagliata cronaca del fatto militare, della sua preparazione, del suo procedere città dopo città: fino alla famosa breccia aperta a cannonate nelle mura di fianco a Porta Pia e all'ingresso, alle 10 del mattino del 20, dei primi fanti e bersaglieri nella città eterna, mentre sulle mura e sulla cupola di San Pietro veniva issata bandiera bianca. «Romani! La mattina del 20 settembre 1870 segna una data delle più memorabili nella storia. Roma, anche una volta è tornata, e per sempre, ad essere la grande Capitale d'una grande Nazione!» Generale Raffaele Cadorna
In una prosa che sa stemperare l'erudizione in un racconto affabile e arguto, Cipolla traccia dapprima la storia del denaro nell'alto Medioevo, in cui prevaleva il pagamento in natura e la moneta era un mezzo di scambio al pari di qualsiasi altra merce; poi segue l'emergere di monete a circolazione internazionale - il nòmisma bizantino, il dinar arabo, il fiorino, il ducato veneziano - cui si affiancava una «moneta piccola» per le transazioni della vita quotidiana; e mette a fuoco il curioso caso delle «monete fantasma», usate nella contabilità ma prive di un corrispettivo reale. Infine ricorrendo all'esempio del costo dei trasporti, dei libri e del denaro, insegna a intendere il valore relativo dei prezzi e cosa essi dicano delle condizioni di una società.
Le Metamorfosi di Ovidio: un'opera ricca di fascino poetico, concepita per sfidare il tempo e vincerlo. Duecentocinquanta storie che nascono l'una dall'altra a velocità vorticosa, condensando l'intera mitologia classica. Le governa il principio della continua trasformazione, perché «tutto muta, nulla muore; tutto scorre, e ogni immagine si forma nel movimento». E per raccontare il divenire come forma più vera dell'essere occorre capacità di vedere i corpi, di ascoltarne le voci e di riprodurle con eco infinita: di comprendere fino in fondo le passioni che si agitano nell'animo di donne uomini dèi e che determinano, insieme al destino e al caso, le esistenze e il mondo.
L'Edipo re di Sofocle: il capolavoro tragico che nel corso del tempo è stato decisivo punto di riferimento per pensatori come Aristotele e Freud. La storia è nota: Edipo, re di Tebe, deve trovare e punire l'assassino di Laio, il vecchio sovrano, perché solo così la città sarà liberata dalla pestilenza. La verità da conoscere è lì, evidente, eppure nessuno la vede. È questo silenzio, questa rimozione collettiva, che affascina il lettore. E anche l'angosciosa ricerca del protagonista, che ha il coraggio di guardare dentro sé stesso e i propri segreti. Alla fine il giallo si scioglie: è lui il colpevole, ha ucciso Laio senza saperlo suo padre, per poi sposarne la vedova Giocasta, sua madre. La vicenda di Edipo si eleva così a parabola della fragilità umana, dell'azione cieca del destino, del dolore e della tragicità del conoscere. Voi che abitate Tebe, la mia patria, guardate Edipo che risolse l'enigma famoso e fu l'uomo più potente, invidiato da tutti i cittadini: guardate in quale abisso di sventura è precipitato. Perciò non chiamate felice nessuno che attende il suo ultimo giorno, prima di aver visto se attraversa il confine della vita senza aver provato dolori.
In bilico tra il gelo dell’inverno e il caldo dell’estate, periodo di profumi, di piogge e di vento, di sconforto e di speranza, la primavera è per sua natura inquieta. Raccontarla significa narrare di feste dedicate alla vita che rinasce e di luce che ritorna: dai greci agli ebrei, sino alla Pasqua dei cristiani. Ma anche di eserciti e di mercanti – che per secoli hanno atteso che i mari si facessero calmi per ripartire –, di rivoluzioni, di diritti e conquiste. La primavera è però prima di tutto ciclo terrestre, equinozio, risvegliarsi di sensi e di corpi, di fiori, erbe, insetti, uccelli, in un’ansia di desiderio dove tutto sembra rimandare in realtà a qualcosa di più antico e profondo: forse alle origini del mondo, a quella natura primordiale alla quale ci lega la nostra stessa biologia. La primavera racconta una sorta di struggente nostalgia, di quando, alle origini, noi e il mondo eravamo una cosa sola, legati dallo stesso ritmo e dallo stesso ordine delle cose.
Alessandro Vanoli è esperto di storia mediterranea. Tra i suoi libri per il Mulino: «Andare per l’Italia araba» (2014), «Quando guidavano le stelle» (2015), «La Sicilia musulmana» (2016), «L’ignoto davanti a noi (2017)», «La via della seta» (con F. Cardini, 2017) e in questa stessa serie «Inverno» (2018).
È dal mito di Achille che l’umanità aspira a rendersi invulnerabile, a dotarsi di una corazza capace di garantire sicurezza per sempre. Per quanto comprensibile, è un desiderio vano, un’illusione che abbaglia. Non solo: coltivare questo pensiero magico significa innescare il meccanismo per cui le paure, lungi dal venir sconfitte, si ingigantiscono. Finiamo così per diventare vittime inconsapevoli di chi ci promette un qualche soccorso. Solo l’accettazione della vulnerabilità permette di affrontare in modo razionale l’incertezza futura basandosi sul calcolo dei rischi e sul bilancio costi-benefici. Infatti, mentre l’invulnerabilità si situa su un piano di fantasia (se non di delirio), la vulnerabilità ha a che fare con la gestione di pericoli reali: meglio dunque non perdere tempo con la prima quando si può ridurre efficacemente la seconda.
A esplorare l'intreccio incandescente fra religione e violenza ci conduce in queste pagine una guida d'eccezione. Ecco le guerre di Dio, la violenza che reca il marchio sacrale: presente in molti luoghi dell'Antico Testamento, dal conflitto fra tribù alla guerra santa, quasi scompare nei Vangeli, alla luce del dirompente messaggio di Cristo. Poi è la volta del fondamentalismo, «la lettera che uccide», un fenomeno che oggi riguarda soprattutto l'islam, ma che si inscrive anche nella tradizione ebraico-cristiana. Infine, tocchiamo il tema, vivo e lacerante ai nostri giorni, del rapporto con lo straniero: un incontro che può generare esclusione e rigetto, come emerge in vari passi biblici nazionalistici o etnocentrici, ma che può diventare anche dialogo, aprendosi all'universalismo della salvezza e all'uguaglianza di tutti gli esseri umani.
Detroit, fucina permanente di situazioni estreme, è una specie di teatro in cui si rappresentano senza mediazioni o aggiustamenti le dinamiche di trasformazione cui va soggetto l’Occidente.
Motor City, la capitale dell’automobile, in espansione vertiginosa per tanta parte del Novecento, da oltre mezzo secolo è precipitata nel baratro della
deindustrializzazione, della povertà e della protesta razziale, diventando sinonimo di degrado urbano e di pericolosità sociale.
Come è passata Detroit da un estremo all’altro? Il libro racconta l’evoluzione della città soprattutto attraverso i luoghi e le personalità che l’hanno segnata: il trionfo della fabbrica fordista con Henry Ford e Diego Rivera, chiamato a realizzare i celebri murales sull’industria; le lotte sindacali e sociali con la figura del sindacalista Walter Reuther; le proteste razziali con Rosa Parks, Martin Luther King e Malcolm X, che qui tennero alcuni dei loro discorsi più importanti. E il futuro dell’auto, dopo Sergio Marchionne. Alla fine, Detroit appare come una sorta di teatro delle contraddizioni della contemporaneità occidentale esposte nella loro forma più diretta, talvolta brutale.
La vicenda della divisione «Acqui» a Cefalonia dopo 1'8 settembre 1943 è uno degli episodi della nostra guerra che ancora continua a suscitare interrogativi e discussioni. Perché, a differenza della quasi totalità delle forze italiane dislocate nei Balcani, la «Acqui» resistette ai tedeschi e combatté, venendo sopraffatta e in parte significativa sterminata? L'intenso e drammatico diario del capitano Ermanno Bronzini racconta l'intera vicenda della «Acqui» dall'8 al 24 settembre, ossia dalla notizia dell'armistizio alle trattative con i tedeschi, allo scontro armato, alla sconfitta finale con la fucilazione di massa degli ufficiali di cui l'autore è uno dei 37 superstiti: una testimonianza preziosa dal punto di vista storico ma anche umanissima nel registrare i sentimenti di uomini chiamati a scelte difficili e ad affrontarne le conseguenze, fino a quella estrema della morte.
«Mai più maestri!» si leggeva nel ’68 sui muri di Parigi; un motto antiautoritario ed egualitario che riassumeva il sogno di una società più libera. E oggi, esistono ancora i maestri? Nella nostra democrazia, che appiattisce l’alto sul basso, sembra esserci posto solo per influencer, comunicatori e tutor che rassicurano e consolano, e non per guide dello spirito capaci di risvegliare le coscienze. Ma senza maestri si è condannati al pensiero unico e all’omologazione. Senza di loro chi susciterà l’inquietudine del dubbio, chi ci indicherà «l’altrimenti», chi smuoverà energie vitali e liberatorie verso il nuovo? Figure anacronistiche allora, ma necessarie ovunque rinascano una domanda di senso e una esigenza di ethos.
Macchine che sostituiscono il lavoro dell’uomo, animaloidi quadrupedi o plantoidi dalle radici intelligenti, insetti robot, umanoidi alla blade runner, ma anche algoritmi sempre più sofisticati, intelligenze artificiali che applicate ai big data possono controllare centinaia di robot. È questa l’altra specie? Come è nata? È capace di provare emozioni? Dovremo averne paura? Quali problemi etici solleverà la sua esistenza? Nessuno meglio di Roberto Cingolani può raccontarci obiettivi, speranze, fallimenti di una delle più straordinarie sfide della conoscenza: capire il lavoro compiuto dall’evoluzione in miliardi di anni e tentare di imitarlo.
Che cosa significa oggi «essere responsabili»? Se è relativamente facile rispondere quando è questione di comportamenti dei singoli, le difficoltà sorgono quando entrano in gioco azioni che riguardano la collettività. Chi è, ad esempio, responsabile delle disuguaglianze crescenti, della disoccupazione, della povertà, dei disastri climatici? E che cosa accadrà nella società dei big data e dei social network, dove le smart machine potranno «pensare» e decidere? Nel mondo iperconnesso e globalizzato ogni azione si carica di conseguenze non volute, e spesso neppure immaginate. Essere responsabili allora non è solo non fare il male - è questa la responsabilità come imputabilità - ma è agire per il bene e, nel mercato, adottare comportamenti che affermino la responsabilità come prendersi cura.
Immaginiamo un futuro in cui sapiens supertecnologici controlleranno, con le loro intelligenze aumentate, il mondo; mentre altri sapiens desueti, saranno relegati a un ruolo marginale. Uno scenario solo fantascientifico? Oggi l'intelligenza artificiale, le neuroscienze, le nanotecnologie, la genetica modificano in modo sempre più vertiginoso il rapporto tra l'uomo e la natura. Nella storia dell'umanità sta succedendo qualcosa che potrebbe anche portare alla fine di Homo sapiens. Intrecciato ai racconti fantastici di Primo Levi ecco dipanarsi in queste pagine un altro racconto, tanto avvincente e ironico quanto inquietante: quello del nuovo ecosistema - mai visto prima - in cui vivranno i nostri discendenti. Prefazione di Telmo Pievani.
Ostica? Astratta? Astrusa, la filosofia? Non quando la si ama. Fra le molte ragioni per amare la filosofia l'autore ne propone qui sette, che, pur riconducibili ad aspetti tipici del filosofare, si possono applicare anche nella vita quotidiana. Eccole: 1) fare domande, come e quali; 2) usare parole per rispondere a queste domande; 3) addurre ragioni per giustificare le risposte; 4) apprezzare il dissenso, purché accompagnato da argomentazioni; 5) intrecciare rapporti con altre concezioni del mondo e con il sapere scientifico; 6) capire altre epoche, per fare tesoro dell'esperienza del passato; 7) aprirsi ad altri mondi, perché il pensiero non è prerogativa esclusiva dell'Occidente, tanto meno dei soli filosofi, ma trova espressione altrettanto complessa in altre realtà geografiche (come India, Cina e Giappone).
Per secoli, la mente umana è sembrata trasparente. Si sapeva che qualcosa sfuggiva al controllo della coscienza, ma si trattava di messaggi inviati dagli dèi. Poi, tutto cambia. Con Freud è l'inconscio che spiega l'origine e il significato dei sogni, ma anche le sviste e i lapsus della vita quotidiana. Un inconscio che tutti noi conosciamo, ma che non è l'unico. Incontreremo qui altri inconsci; quello, pervasivo, che chiamiamo cognitivo e che è l'esito dell'evoluzione naturale del cervello. E ancora: la mole enorme di informazioni che ci sommerge attraverso gli schermi dei nostri computer ha creato una sorta d'inconscio artificiale, fonte di trappole insidiose per il nostro giudizio. Conoscere i molteplici inconsci e capire come interagiscono significa smascherare i meccanismi che ci possono ingannare, e che ci illudono di essere più consapevoli di quanto in realtà siamo.
Alzando lo sguardo al cielo in una notte stellata, chi non si interroga su quanto grande sia l'universo, quale sia la sua origine, il suo destino? Oggi è possibile rispondere su basi scientifiche a molte domande antichissime, che riguardano l'evoluzione del cosmo, la sua estensione spaziale e temporale, gli elementi che lo costituiscono. Ma i segreti sono lungi dall'essere tutti svelati. La nostra conoscenza cosmologica, infatti, ha incontrato negli ultimi decenni un limite che per il momento non riusciamo a superare. Anzi due. Materia oscura ed energìa oscura sono le due sostanze enigmatiche senza le quali l'universo sarebbe irriconoscibile, forse invivibile. Devono esistere in qualche=forma, ma non ne abbiamo alcuna prova diretta. È il grande mistero scientifico dentro al quale ci portano queste pagine appassionanti.
Anche nel Medioevo troviamo donne disposte a vendere il proprio corpo «pro pretio, lucro et questu»: condannata e ritenuta una vergogna, la prostituzione era però considerata ineliminabile e persino necessaria. Giustificabile, perché salvava da mali peggiori come la corruzione delle vergini e delle spose e «l'abominevole vizio della sodomia». Ma qual era la posizione della Chiesa e dei pubblici poteri nel regolare questo fenomeno divenuto assai rilevante? Nel Trecento, infatti, si assiste ovunque in Europa al proliferare dei postriboli, a volte quasi piccole fortezze del piacere, a volte strade o quartieri riservati, e la vita delle donne pubbliche - forestiere o straniere, spesso sopraffatte dai debiti - dentro e fuori fu sottoposta a rigide norme.
Non c'è altra città «capitale» quanto Roma: enorme centro di potere nell'antichità e poi con la Chiesa universale. Eppure è con una maggioranza mediocre che il Parlamento dell'Italia unita il 23 dicembre 1870 vota il trasferimento della capitale da Firenze, secondo una volontà che era stata di Cavour, oltre che di Garibaldi e Mazzini. Capitale «inevitabile», ma fra invidie taglienti. Una immagine sempre contrastata: matrona e ladrona, civilizzatrice e corruttrice. Scelte urbanistiche errate e speculazioni voraci, anche vaticane, ne intasano il centro, segregano l'immigrazione tumultuosa. Capitale incompresa dagli intellettuali, difesa dal solo Gabriele D'Annunzio, più tardi da Antonio Cederna. «Un suk» per Goffredo Parise, «la morte» per Mario Soldati. Questa è la cronaca viva e sofferta di due secoli in cui Roma è cresciuta di 15 volte. Ingovernabile senza strumenti speciali.
Un concetto che corrompe e altera tutti gli altri, dice Borges. Per il matematico David Hilbert, un tema che, più di qualunque altro, ha bisogno di chiarificazione. O, più prosaicamente, una questione che vale i cinquanta ducati del premio per una teoria dell'infinito bandito dall'Accademia di Berlino a cent'anni dal pionieristico articolo di Leibniz sul calcolo infinitesimale. In matematica non si fa un passo senza infinito, a cominciare dai numeri naturali 1,2,3... o dai rapporti tra diagonale e lato di un quadrato o di un pentagono regolare, come scoprono sgomenti i pitagorici. Questo libro invita a un viaggio nell'infinito che si nasconde nelle pieghe paradossali dei ragionamenti di Zenone e di Galileo, nel metodo di Archimede e negli indivisibili dei matematici del Seicento. Nella filosofia di Aristotele e Democrito, di Bruno e Spinoza. Nel paradiso dei numeri transfiniti di Cantor, nei paradossi della teoria degli insiemi.
Silenzio, repressione, censura hanno a lungo circondato la sfera sessuale. Il pudore ne ha difeso i confini ma è stato investito dalle trasformazioni della società contemporanea. Alla spinta modernizzatrice, che porta a comportamenti più liberi, risponde una controffensiva moralistica che prende a bersaglio ogni strumento della "corruzione dei costumi": l'educazione sessuale, le cattive letture, il cinema (e il pericoloso buio dei cinematografi), la nuova moda femminile, lo sport che rivela i corpi. La storia del Novecento è tutta in questa lotta fra una progressiva liberazione dei costumi e una resistenza intransigente e bigotta al cambiamento. Sul finire del secolo poi i nuovi mezzi di comunicazione faranno trionfare non un nuovo senso del pudore, ma la più sfacciata indecenza. Ma questa è un'altra storia.
Abbiamo adorato dèi antropomorfi e fatto per millenni degli animali l'oggetto del nostro culto. Eppure la forza cosmogonica più importante sul nostro pianeta sono le piante: sono loro le nostre ultime divinità. Sono loro ad aver prodotto il mondo così come lo conosciamo e lo abitiamo. Sono loro a mantenerlo in vita. Attraverso la fotosintesi, hanno permesso di cambiare lo statuto della materia che ricopre la crosta terrestre, trasformandola in centro di accumulazione dell'energia solare. E soprattutto hanno trasformato irreversibilmente la nostra atmosfera. Non illudiamoci: lungi dall'essere un elemento qualunque del paesaggio terrestre, le piante cesellano e scolpiscono incessantemente il volto del nostro mondo.
Per secoli la geometria euclidea, pietrificata nella inesorabile logica dei suoi cinque postulati, è rimasta il sistema matematico per eccellenza. Violando i postulati, soprattutto il più enigmatico, ovvero il quinto, si scoprì che la magnifica costruzione non era sola: erano possibili altri modi di scalare l’infinito, altre geometrie non euclidee, altrettanto belle e coerenti, attraverso le quali si poteva anche considerare uno spazio a molte dimensioni. Lo sguardo da allora si spostò ancora più lontano fino a scorgere un’intera città fatta di molte costruzioni geometriche, dalle forme più strane e meravigliose, alcune delle quali utilizzate dai fisici, a cominciare da Einstein, per misurare lo spazio astronomico. Da Saccheri a Eulerio, da Beltrami a Gauss a Riemann, una storia affascinante di idee, tentativi e conquiste.
Che Italia è quella che assiste alla prigionia di Aldo Moro? Che volti ha? Che cosa pensa? Se la tragedia incombe, insieme con altri fatti drammatici - un gravissimo incidente ferroviario, due diciottenni uccisi a Milano, l'assassinio di Peppìno Impastato - la vita quotidiana scorre. Lo scudetto infiamma i tifosi, e così il mondiale di Formula 1, si guarda Portobello, si avvistano extraterrestri, si chiudono i manicomi, ci si strugge per Pinocchio, si fa l'amore da Trieste in giù, mentre dilaga la febbre del sabato sera. Un corto circuito culturale e antropologico scuote il paese, e queste pagine ce ne portano l'eco: alla voce dei telegiornali con le loro schegge di tragedia, fra comunicati e ultimatum, si sovrappongono le «emozioni da poco» e i «pensieri stupendi». Eterni «figli delle stelle», gli italiani dovranno ora affrontare un passaggio cui è impossibile sottrarsi. Come su un palcoscenico, nomi, storie, vicende in un racconto incalzante e vertiginoso, a comporre il ritratto di un paese che avrebbe preferito rimanere ancora una volta ignaro, nella sua atavica sospensione fra vitalismo e abulia.
Terra sconosciuta in cui ci inoltriamo lentamente, paese aspro da attraversare e da conquistare, la vecchiaia ha le sue grandi ombre, le sue insidie e le sue fragilità, ma non va separata dalla vita: fa parte del cammino dell'esistenza e ha le sue chances. È il tempo di piantare alberi per chi verrà. Vecchiaia è arte del vivere, che possiamo in larga parte costruire, a partire dalla nostra consapevolezza, dalle nostre scelte, dalla qualità della convivenza che coltiviamo insieme agli altri, mai senza gli altri, giorno dopo giorno. È un prepararsi a lasciare la presa, ad accettare l'incompiuto, ad allentare il controllo sul mondo e sulle cose. Nell'inesorabile faccia a faccia con il corpo che progressivamente ci tradisce, Enzo Bianchi invita tutti noi ad accogliere questo tempo della vita pieno, senza nulla concedere a una malinconica nostalgia del futuro, ma anzi trovando qui l'occasione preziosa di un generoso atto di fiducia verso le nuove generazioni.
Solidarietà, empatia, simpatia, compassione: parole di cui oggi nel discorso pubblico e nel linguaggio della politica si è quasi persa traccia. E questo, proprio mentre milioni di uomini e donne chiedono aiuto attraversando mari e tribolazioni, e mentre la povertà e le diseguaglianze crescono anche nel mondo ricco. Perché entrare in contatto con le emozioni altrui è diventato così difficile? E che cosa accade quando un essere umano le vede e le sente, le emozioni dell’altro? È subito spinto a condividerle, a muoversi in aiuto del prossimo in difficoltà, o per decidersi a farlo ha bisogno di un Dio, di una Verità, di un’Ideologia?
"La leadership di Maometto" mette in evidenza le caratteristiche della leadership esercitata dal Profeta dell'Islam e offre molti spunti per conoscere la sua saggezza. John Adair intreccia il racconto della vita di Maometto con aspetti della cultura beduina, l'esercizio della leadership nelle tribù e gli antichi proverbi, per fornire delle indicazioni chiave ai leader e agli aspiranti tali. In questo libro, l'autore espone questo ideale di leadership e i tratti essenziali di un leader, come il coraggio, l'integrità, la saggezza pratica, l'autorità morale e l'umiltà.
Ekhnaton e Mosè: due figure a cui si ricollegano l'abolizione del politeismo e l'introduzione del monoteismo - una svolta non solo nel credo religioso ma nel generale orientamento intellettuale dell'umanità, che cambiò il mondo antico e diede origine al mondo in cui ancora viviamo. Ne reca testimonianza la storia dell'Esodo. Il mito fondativo di Israele, attraverso il lavoro della memoria culturale, è divenuto un archetipo, evocato da ogni fondatore di movimento religioso, da ogni utopista o rivoluzionario, persino nell'Illuminismo, sempre in nome di un ricominciamento catartico che giustificherà anche l'uso della violenza. Ma il passaggio dal credere in molti dèi al credere in un unico dio non sarà netto, e del politeismo sopravviveranno a lungo tracce nella cultura, nella letteratura e nella musica, specialmente là dove esprimono attrazione per l'esoterico.
L'umanità ha sempre narrato il proprio destino, fin dai primi miti cosmologici. È il racconto che dà un senso agli eventi, che sarebbero, senza di esso, solo materiali inerti. Lo stesso vale per la matematica, che può parlare solo se il suo senso è narrato in una storia. Nei «programmi» di grandi matematici - Hilbert, Klein o Langtands - i concetti sono i protagonisti di una fiaba che combina nuove idee in moduli ricorrenti, quelle tecniche del ragionamento che sono nate dalla retorica e dalla poesia greca.
A volergli credere Esumim avrebbe partecipato a tutte le grandi migrazioni dell'umanità: «ci siamo divertiti - ripete sempre - non si stava mai fermi!». E l'immaginario testimone di un viaggio iniziato sei milioni di anni fa, il cui primo passo - quello di scendere dagli alberi - ha dato avvio alla lunga catena di migrazioni attraverso la quale i nostri antenati hanno colonizzato il pianeta. Quante umanità diverse - dagli Austrolopiteci a Neandertal, a Homo sapiens - si sono succedute e incrociate sulla Terra? Quali percorsi hanno seguito, dalla loro prima uscita dall'Africa fino alla diffusione in tutto il pianeta? Nella genetica, la guida per ricostruire una diaspora mai conclusa, espressione del nostro ancestrale nomadismo.
«In proporzione con i suoi marmi, i suoi affreschi, l’Italia ha ereditato questa retorica istupidente, questa nozione della cultura classica come qualcosa che nobilita grazie al semplice contatto, come la mano del sovrano nelle superstizioni medievali...»
In Mio figlio professore, anno 1946, il bidello Aldo Fabrizi, diventato padre, annuncia che da grande il figlio farà «er professore de latino». Ben pochi genitori, oggi, direbbero una cosa del genere. Il libro parte da questa constatazione per riflettere sul futuro dell’istruzione umanistica. Lo fa avanzando alcune proposte sul modo in cui questa istruzione si potrebbe riformare, a scuola e all’università; e interrogandosi su alcune questioni cruciali: se il canone umanistico che ha formato le generazioni passate ha ancora un senso e un’utilità; se è possibile comunicarlo non a un’élite di studenti ma a una massa; e se insomma la trasmissione di quel sapere corrisponde davvero alla «buona battaglia» che molti insegnanti ritengono di combattere, o se invece è tutta un’illusione, una favola che ci raccontiamo per non dover ammettere che le cose che una volta credevamo vere e importanti non lo sono più.
Una strada, o meglio una rete di strade, un fascio di percorsi terrestri e marittimi hanno spostato nel corso dei secoli uomini, merci e conoscenze dall'estremità orientale dell'Asia sino al Mediterraneo e all'Europa. Romantica e recente, l'espressione «via della seta» restituisce il senso di un mondo vasto, attraversato fin dai tempi antichi da guerre e conflitti ma animato anche dal fervore di scambi commerciali, culturali e politici. Fra montagne e altipiani per questotammino sono transitati spezie, animali, ceramiche, cobalto, carta, e naturalmente la seta. Alessandria, Chang'an, Samarcanda, Bukhara, Baghdad, Istanbul: sono alcune delle tappe di un viaggio millenario che giunge fin dentro al nostro presente. Perché la via della seta non è solo un racconto del passato, ma ha a che fare con il nostro futuro globale.
Il nome di Spartaco è legato alla terza e più nota delle guerre cosiddette servili, ribellioni di schiavi e non solo, che afflissero lo Stato romano fra secondo e primo secolo a.C. Il libro mostra come quella guerra sia in realtà l'episodio ultimo di una serie di eventi a sfondo sociale e civile che coinvolsero una «seconda» Italia a lungo emarginata. All'indomani di conflitti che avevano lasciato strascichi spaventosi di rovine, lutti, odio, Spartaco fu colui che, ultimo, riuscì a coagulare attorno a sé lo scontento delle popolazioni meridionali, soprattutto appenniniche, non ancora integrate. Anche se Crasso mise fine alla guerra, Roma, provata, fu infine costretta a cedere pienamente alle richieste degli Italici.
Dal modello classico all'estetica dell'assenza di regole: la storia dell'idea di bellezza è segnata dal progressivo disgregarsi del paradigma armonico di un perfetto ordine cosmico in cui il bello si collega al vero e al bene. Se in età moderna si fa esperienza del molteplice e dell'individuale, a fine Settecento si approda a una netta rivincita del sublime e del brutto. Ma è soprattutto il Novecento che rivendica il valore estetico della deformità e delle dissonanze come generatori di ordini sconosciuti. Malgrado il discredito che in alcune teorie colpisce oggi il concetto di bello, sorprendentemente esso continua a rinnovarsi, sottraendosi a qualunque definizione univoca e conclusiva.
Nel Grand Tour, intrapreso per oltre due secoli da intellettuali e rampolli dell'aristocrazia europea, l'esperienza del viaggio diventa strumento di formazione. Si partiva per confrontarsi con l'ignoto, per «strofinare il proprio cervello contro quello degli altri», come diceva Montaigne, per conoscere le vestigia delle civiltà antiche. È della dimensione storica e letteraria del viaggio che trattano queste pagine, compresi gli aspetti materiali, tanto romanzeschi quanto misconosciuti, interrogandosi anche sul ruolo e il destino del viaggiatore nel mondo contemporaneo, quasi a verificarvi la perdila di un'affascinante occasione d'avventura intellettuale e di una nobilissima arte.
Quando all'inizio di una storia d'amore il nostro cuore batte all'impazzata, in realtà è il cervello, con le sue componenti chimiche, a scatenare quell'insieme di emozioni e di euforia. Ma anche quando l'amore finisce le aree cerebrali hanno un ruolo nella disperazione che subentra dopo la rottura. Nei tanti modi di amare, a cominciare da quello così differente tra donne e uomini, sono allora i neurotrasmettitori, i geni, o i fattori relazionali, i responsabili di tanta diversità? Qui si parla di rapporti di coppia, del loro nascere e mutare nel tempo, di crisi e infedeltà, e del buon andamento di una relazione: un racconto rigoroso e divertente, in cui ciascuno di noi si riconoscerà, che combina la prospettiva evoluzionistica con le neuroscienze, ma anche con storie di vita, letteratura e cinema. Per conoscere le ragioni biologiche del come e del perché amiamo.
Il collezionismo d’arte è un primato italiano. Ma tantissimi fra i gioielli più pregiati delle raccolte create nella penisola durante i secoli li possiamo ormai ammirare soltanto fuori dai nostri confini, o quando vengono prestati per qualche mostra. Una diaspora terribile, mai raccontata per intero.
Quadri, statue e sculture, libri e intere biblioteche, codici miniati, porcellane, mobili, manufatti pregiati: l’Italia ha sempre venduto la propria arte. Perché mutano i gusti, o perché i patrimoni vanno in rovina, e a chi per secoli ha commissionato o posseduto i capolavori spesso non resta che il blasone. È una storia che vale la pena di narrare, al di là delle catastrofi causate dai conflitti, sempre irrispettosi dell’arte, o dei criminali scavi archeologici che alimentano i lucrosi mercati internazionali. Questa grande fuga ha condotto infinite opere di valore fuori dal nostro paese: a poco vale consolarsi con il tantissimo che ci è rimasto, se non si riflette sul moltissimo che è sparito.
Confusi, irritati, ansiosi, talvolta orgogliosi di non averla mai capita: siamo in molti a provare questi stati d'animo di fronte alla matematica. Qual è il motivo di questo rifiuto? Il nostro cervello è naturalmente attrezzato per parlare, per muoversi nell'ambiente nel modo più produttivo, non lo è invece per leggere, scrivere e per pensare la matematica; per farlo gli si devono imporre forzose e complesse manovre neurali. Una scienza dunque "innaturale" e lontana dal senso comune? Questo libro è una passeggiata tra i solchi della nostra mente e le creazioni matematiche - dall'algebra alla geometria al calcolo delle probabilità - che cercano di seminarvi qualcosa. Giunti alla sua conclusione avremo forse capito le cause delle nostre difficoltà e come riuscire a superarle: perché la matematica, se comunicata in modo appropriato, può diventare piacevole e appassionante.
Tra i tanti tipi di sogno, per secoli ve n'è stato uno che tutti gli uomini hanno equamente condiviso: il senso della scoperta e del superamento dei limiti geografici, sfidati spingendo imbarcazioni in acque ignote, studiando venti e correnti, superando deserti e montagne. Uno spirito che oggi non possiamo più coltivare dato che quasi tutto è stato esplorato, cartografato, mappato. Permeato dalla sottile nostalgia e dalla fascinazione per quello stupore ormai perduto, il volume rivisita le grandi memorie di viaggio, da quelle celeberrime di Marco Polo a quelle, meno note ma avvincenti, del monaco buddista cinese che nel 600 d.C. intraprese un viaggio verso l'India, oppure del più grande viaggiatore musulmano che attorno al 1300 d.C. si avventurò in Africa, India e Cina - per poi dedicarsi agli esploratori più "occidentali". Tutti tasselli di un racconto unitario, dove la terra si fa poco a poco più piccola e dove la conoscenza pare progressivamente chiudersi in spazi sempre più stretti. Ma nessuna storia del libro finisce con una resa: se è vero che la scoperta ci è sempre più negata, è vero che le possibilità della fantasia sono ancora infinite.
Come andrà a finire? Con preoccupazione o curiosità, questa domanda ricorre nella vita quotidiana come nelle discussioni filosofiche. In questo libro ci si interroga sul destino dell'universo e si cerca di rispondere a diversi livelli, a partire dal minuscolo pianeta roccioso che occupiamo e che vive grazie al suo Sole, fino all'intero, maestoso, probabilmente infinito cosmo che possiamo osservare con potentissimi telescopi. La cosmologia e l'astrofisica ci consentono oggi previsioni affidabili: sappiamo ad esempio che il Sole evolve e che, tra circa un miliardo di anni, l'aumento graduale del suo flusso di energia renderà impossibile la vita sulla Terra. E noi, ammesso che riusciremo a perpetuarci così a lungo, potremo emigrare verso altri mondi? E quale sarà il destino della nostra Galassia? Un cosmologo di fama internazionale risponde, discutendo criticamente il grado di affidabilità delle possibili ipotesi. Perché ciò che è davvero importante non è solo la risposta, ma anche ciò che si impara cercando di rispondere.
Rispondere al cellulare mentre guidiamo l'auto, mandare sms mentre camminiamo per strada, leggere e nel frattempo ascoltare musica, scrivere una mail e parlare a chi ci sta di fronte: spesso, non senza correre qualche rischio, facciamo molte operazioni contemporaneamente. In un mondò saturo di sollecitazioni e informazioni, come funziona l'attenzione? Gli autori ce lo raccontano, illustrando i meccanismi che la regolano, sfatando il mito del multitasking, rivelando i segreti di chi vuole catturarla a scopi più o meno manipolativi. E attirano - è il caso di dire - la nostra attenzione sui "superstirnoliartificiali di cui si nutrono arte e pubblicità.
Soggetta a errori e fallacie, incapace di raggiungere conclusioni corrette, debole nell'argomentare, facile preda di tentazioni e false promesse: è davvero così fragile la ragione umana nell'orientare la nostra condotta? Il libro delinea l'immagine di una mente meno malata di quanto le diagnosi correnti sostengano, mostrando che anche quando vacilla lo fa per cause funzionali, assai diverse da quelle solitamente ipotizzate. Ma della ragione bisogna avere cura e allenarla di continuo: gli esercizi qui proposti mettono alla prova le capacità di ragionamento del lettore, offrendo l'occasione di affinarle.
Numeri, figure geometriche e relazioni matematiche sono dovunque attorno a noi, talvolta in forma evidente, più spesso annidati nei meccanismi di funzionamento dell'universo. Ma in che modo - e perché - queste creazioni astratte della mente umana riescono a descrivere il mondo concreto dei fenomeni naturali, da quelli più familiari a quelli che hanno luogo nelle profondità della materia e del cosmo? Un filosofo e uno scienziato esplorano la capillare presenza della matematica nella natura, raccontando alcune delle sue manifestazioni più curiose e affascinanti.
Basta un viaggio in un paese lontano, il contatto con persone che vivono in condizioni completamente diverse dalla nostra, l'incontro con una povertà che ci appare insuperabile o con un esempio di vita ascetica in un monastero remoto per mettere in crisi le nostre risposte a tutti quegli interrogativi che accompagnano da sempre la vita dell'uomo. Ma è alla dimensione trascendente che bisogna fatalmente guardare? Non secondo l'autore, che opta per una ricerca di tipo individuale e soggettivo, nella convinzione che ciascuno abbia il diritto di realizzare il proprio modo di dare un senso all'esistenza, ovviamente senza nel fare ciò danneggiare gli altri.
Profezia e utopia, due categorie fondanti dello sviluppo dell'Occidente moderno. La tensione dialettica che le ha caratterizzate nel corso dei secoli e il dualismo istituzionale che si è creato tra potere religioso e potere politico hanno permesso all'Occidente la conquista delle sue libertà, dallo stato di diritto alla stessa democrazia. Oggi, sbiadito ormai ogni progetto utopico, il declino dell'Europa non può essere letto solo come corruzione delle regole e delle istituzioni, ma come conseguenza di una crisi di civiltà.
Quattro compagni di treno occasionali parlano di stregoneria e scienza, della verità, della differenza tra credere, sapere ed essere certi di qualcosa, dei valori morali e del loro ruolo nelle nostre decisioni, e di molte altre cose. Soprattutto - è questo il filo dell'intero dialogo - parlano del relativismo, di cui uno di loro, Zac, è un convinto difensore. Secondo Zac, in caso di dissenso ("io ho ragione, tu sbagli") è sempre questione di punti di vista: ciascuno dei contendenti può aver ragione dal proprio punto di vista. Se il relativismo uscirà malconcio dalla discussione, persino nei casi in cui sembrerebbe a prima vista del tutto plausibile, quella che emerge con forza è l'utilità della filosofia nella vita delle persone.
Parliamo di donne velate e subito pensiamo allo hijab o agli altri tipi di copertura del capo, o del volto, o dell'intero corpo della donna che sono in uso nel mondo islamico e che, non senza originare polemiche, molte islamiche indossano anche nei paesi occidentali. Ma la prescrizione alle donne di coprirsi il capo appartiene in pieno anche alla storia dell'Occidente. Proviamo allora a riscoprire un costume millenario, documentato dalla Bibbia e dalle statue dell'antica Grecia, dai Padri della Chiesa, dalle normative medievali, da innumerevoli testimonianze artistiche e letterarie. Il capo coperto era prerogativa delle donne sposate, era la divisa delle religiose, così come ogni vedova era tenuta a portare il velo del lutto. Segno di verecondia e modestia, il velo, leggero quanto simbolicamente carico, era però anche un accessorio alla moda, il complemento fondamentale nello sfoggio di lusso ed eleganza, come ancora oggi può essere il foulard griffato.
Quanto spazio concedono alla libertà dell'interprete un testo sacro come una sonata di Beethoven o un articolo della Costituzione? Nella musica così come nel diritto, di fronte a una legge o a una suite di Bach, l'interprete si muove sempre in una delicata zona di confine che si situa tra l'eseguire e il creare. Dall'anelito alla perfezione alla deriva dei virtuosismi, dal gusto dell'improvvisazione alla necessità dell'innovazione, il compito più alto, e arduo, dell'interprete è quello di farsi tramite fra passato e futuro.
Dopo secoli di abbandono, i luoghi della devozione francescana vennero gradatamente riscoperti agli inizi del '900 da diversi viaggiatori, perlopiù stranieri. Il libro rievoca quei viaggi alla ricerca dei quattordici romitori francescani tuttora esistenti lungo la dorsale appenninica fra Toscana, Umbria e Lazio: dalla Verna alla Porziuncola, alla Valle Santa di Rieti. Nei resoconti di William Blake Richmond, Edith Wharton, Vernon Lee, Dino Campana, Corrado Ricci, Guido Piovene e altri, quello che viene a comporsi è l'invito a riscoprire l'Italia nei suoi itinerari meno conosciuti e spesso di maggior fascino.
Come i Lillipuziani davanti a Gulliver, non possiamo non essere affascinati dall'immensità dell'universo. Esistono stelle, le supernovae, che sono 10 miliardi di volte più luminose del Sole. Nel 2012 è stato scoperto un buco nero con una massa pari a 17 miliardi di volte la massa solare. Un airbus che volasse nella Via Lattea impiegherebbe 120 miliardi di anni per attraversarla da un capo all'altro. Ma lo stesso stupore si prova di fronte all'universo dell'infinitamente piccolo: il mondo dei microbi, delle molecole e delle particelle elementari come i fotoni o l'ormai celeberrimo bosone di Higgs, fino al vuoto, che in realtà è pieno di attività energetica. Werner Kinnebrock stuzzica e alimenta nel lettore la curiosità e il piacere della scoperta, guidandolo fra le meraviglie del micro e del macrocosmo.
Sentimentale ma molto reale: in quattro navigazioni il viaggio si snoda dall'Egeo dei tempi di Ulisse alle coste romane di Ostia, da Costantinopoli all'Andalusia, da Ragusa a Cipro e infine da Alessandria d'Egitto a Ravenna. Di porto in porto, di tappa in tappa, ci ritroviamo in epoche diverse, nella Atene del V secolo a.C, a Cartagine alla vigilia della terza guerra punica, nella Valencia del Cid Campeador, nella Genova medievale, a Istanbul, e a Napoli all'inizio del Novecento. Ogni approdo racconterà un pezzo di storia del Mediterraneo, talvolta evocando il ricordo di grandi eventi, talvolta riscoprendo personaggi ormai dimenticati, ma sempre parlando anche di noi e di quel mare che non smette di suscitare speranze.
Contadini, operai, monaci, nobili, borghesi: individui o gruppi che nella società medievale si ribellarono alla posizione cui li condannavano il ceto d'appartenenza e le regole di una società rigida. Il libro narra le loro rivolte, da quella famosa dei Ciompi a Firenze nel 1378 a quella di aristocratici (come Gerardo d'Aurillac poi santo) che abbandonarono lo stile di vita della propria classe nel desiderio di testimoniare una più concreta adesione ai valori della vita cristiana.
Tanto inquietante quanto sfuggente, dalle origini del cristianesimo al rock satanico, l'Anticristo è una figura ricorrente nella cultura occidentale. Il libro ne ricostruisce la storia assumendo direttamente il punto di vista degli autori che lungo i secoli si sono occupati di definire l'incarnazione della malvagità e dell'abominio. Ne emerge un testo originale, in cui dai padri della chiesa ai teologi del Medioevo, fino alla modernità vengono proposte al lettore riflessioni, curiosità e preoccupazioni che nell'Europa secolarizzata di oggi possono sembrare farneticanti, ma che per lungo tempo hanno costituito paure e speranze vive e pulsanti.
Rimasta neutrale nel 1914, il 26 aprile 1915 l'Italia firmava segretamente il patto di Londra impegnandosi a entrare in guerra in cambio di vari vantaggi di carattere territoriale. Ma la maggioranza dell'opinione pubblica italiana si mostrava perplessa se non ostile all'entrata in guerra. In quello che fu poi definito "il radioso maggio", una serie di manifestazioni spesso violente però spazzarono via l'opposizione neutralista, giungendo a minacciare il parlamento, e a determinarne un rapido voltafaccia che si tradusse nel consenso al governo e alla guerra. Basato su un'ampia gamma di fonti italiane e straniere, il volume racconta in maniera puntuale, giorno per giorno, gli eventi che dal 26 aprile al 24 maggio segnarono dal punto di vista interno e internazionale il processo di coinvolgimento del paese nella grande guerra.
È dall'epoca delle pitture rupestri del Paleolitico che l'umanità convive con riti, parole e pratiche magiche. I personaggi e i fenomeni che popolano il mondo della magia sono così diversi che essa appare come una camera delle meraviglie in cui trovano posto le illusioni e le paure millenarie della specie umana. E la magia accompagna persino l'illuministica cultura greca, dove affianca le origini della filosofia e della scienza, e le forme più alte della poesia e del pensiero, da Omero, ai tragici, ai medici e a Platone. Raffinato studioso e raccontatore della cultura antica, Guidorizzi guida il lettore alla scoperta di questo versante occulto dell'antichità, partendo dalle forme universali del pensiero magico, per arrivare a una sorta di antropologia della magia nel mondo antico: legamenti, incantesimi, magie d'amore, necromanzia, ma anche modi di intendere e controllare il reale.
L'universo dei legami d'amore appare oggi frammentato e sotto pressione. Alcuni rivendicano un accesso al matrimonio fin qui negato, altri aspirano a un'istituzione meno rigida, dimenticando che la secolarizzazione ha ereditato il matrimonio dal concilio di Trento, con tutti i limiti e le contraddizioni che esso aveva: un matrimonio-contratto ordinato a fini che prescindevano dall'amore. È possibile pensare il matrimonio fuori da questa logica, assumendo le fragilità dell'amore e della vita? La storia e l'esperienza cristiana che ruolo vi giocano?
Proclamarsi atei oggi non è più uno scandalo, e sempre più spesso le risposte alle grandi domande della vita sono cercate senza ricorrere a Dio. Questo libro argomenta come e perché una forma di ateismo non dogmatico possa essere la migliore concezione complessiva per condurre una vita sensata ed eticamente apprezzabile. Anche senza Dio si possono dunque trovare criteri per costruire società aperte al pluralismo religioso e culturale, e per immaginare istituzioni o regole pubbliche che facciano leva su una comune tendenza degli esseri umani a venire coinvolti dai piaceri e dalle sofferenze dei loro simili.
I numeri sono protagonisti di una grande avventura che ha inizio migliaia di anni fa nella civiltà babilonese, in quella egizia, in Cina, e poi nella cultura inca e maya. Numeri che esprimono rapporti indicibili per i seguaci di Pitagora. Simboli per il nulla e cifre arcane che dalle regioni dell'India vedica si diffondono in Occidente e nel resto del mondo. Astratti interpreti di una storia al tempo stesso sacra e profana, dove la perfezione della Creazione si coniuga con i libri mastri dei mercanti medioevali, e i loro numeri "falsi" con i numeri reali e immaginari creati dalla fantasia dei matematici.
Algoritmo è una strana parola. Un poeta che le dedicasse un sonetto si troverebbe a combinarla nei suoi versi con ritmo, bioritmo, monoritmo o logaritmo. Ma gli algoritmi si usano al computer e tanto basta ad accreditarli. Possiamo intenderli come sinonimo di procedura o programma, a indicare una serie di istruzioni per trovare soluzione a un dato problema. Ci accompagnano sin dagli albori della civiltà, assistendoci in questioni piccole e grandi dell'esistenza e confermandosi oggi utilissimi, anche perché, appunto, combinati con la potenza dei computer. Possono fallire, ma perfino le loro goffaggini riescono provvidenziali e contribuiscono sorprendentemente al nostro benessere. Le benemerenze degli algoritmi sono dunque così diffuse e disparate da suscitare molte curiosità che questo libro cercherà di soddisfare.
L'evoluzione umana è stata favorita, fin dall'alba dei tempi, dalla particolare capacità che hanno gli individui di interagire gli uni con gli altri, attraverso la risonanza emotiva e la comprensione della mente altrui. Una capacità che si riattiva ogni volta che nasce un bambino, nella relazione con i genitori, dapprima, e poi con i coetanei e con il gruppo sociale. Ma l'empatia è qualcosa di connaturato al cervello umano o è il frutto delle influenze dell'ambiente? O non dobbiamo parlare piuttosto di interazione fra genetica e ambiente?
Nel libro "Quando il cielo s'oscura" l'autore descrive le credenze, i valori, i comportamenti collettivi che definiscono il complessivo atteggiarsi dell'uomo nei confronti del mondo naturale, del soprannaturale, del proprio stesso corpo. È un'umanità assediata da una natura ostile irta di pericoli veri e immaginari, perduta in un labirinto "gotico" di sofferenze e terrori, macerata nelle penitenze; eppure, insieme, è l'umanità che caparbiamente resiste agli urti delle calamità e dei barbari, che conquista nuovi spazi all'agricoltura, che ridà vita alle città decadute, l'umanità che con un lavorio secolare torna a imporre la propria regola su quella natura che, nel naufragio drammatico dell'età antica, pareva destinata a sommergere la civiltà stessa dell'uomo.
Queste pagine rievocano il sesto secolo, vale a dire il momento buio e drammatico che segna la definitiva dissoluzione della civiltà romana e l'avvio del Medioevo. Ci raccontano di un'Europa corsa dai barbari, di città abbandonate, del territorio che torna selvatico, di una popolazione in balia delle malattie e delle calamità, atterrita dai lupi oltre che dai mostri e demoni della sua stessa fantasia. Ma nel sapiente incastro di notizie, aneddoti, leggende che l'autore sa cavare dalle pieghe delle fonti antiche, poco a poco cominciano a intravedersi nuove figure, come gli eremiti, che nel silenzio e nella solitudine dei monasteri lavorano a porre le basi di una nuova epoca.
Torturare un prigioniero in guerra, incendiare automobili, rompere vetrine durante una manifestazione, sparare sui compagni di scuola. Eventi diversi accomunati dall'idea che dentro gli esseri umani vi sia una bestia sempre pronta a esplodere, l'aggressività. Ma esistono istinti omicidi e pulsioni distruttive? La biologia umana è davvero irrimediabilmente maligna? O si tratta di stereotipi, come dimostra il libro? Non è affidandoci a una concezione universale e pessimistica dell'aggressività, o all'idea di una separazione tra natura e cultura e tra individuo e società che possiamo comprendere la violenza e i conflitti umani, bensì cogliendo le ricchissime compenetrazioni che esistono tra organismo e ambiente.
Succede spesso di spiegare i comportamenti degli altri in base alle loro inclinazioni, al loro carattere o alle loro opinioni. Il fatto è che diamo per scontato di avere, oltre al cervello, anche una mente, o - secondo la concezione degli antichi - un'anima che si contrappone al corpo. Che cosa dicono in proposito la psicologia e le neuroscienze? Se in ambito scientifico appare vincente la progressiva riduzione delle funzioni mentali a quelle neurali, perché nella vita quotidiana continuiamo a pensare, sentire e interagire secondo una premessa dualista, come se mente e corpo fossero separati? Le risposte a queste domande sono oggi più rilevanti che mai, dal momento che nascita, vita e morte non dipendono solo dalla natura, ma anche dalle scelte intenzionali degli individui.
Con stile piano e scorrevole il libro rievoca la vita e le imprese leggendarie di Annibale, il condottiero cartaginese che nel corso della seconda guerra punica (218-201 a.C.) inflisse ai romani una serie di spaventose disfatte (la più devastante nella battaglia di Canne, 216 a.C). Annibale venne infine sconfitto a Zama, sul suolo africano, ad opera di Scipione, che della lezione del Barcide aveva sagacemente fatto tesoro, e che, in questo modo, avviò Roma verso il predominio sul Mediterraneo. Ne emerge la figura di un generale tra i più grandi di ogni tempo, genio militare innovativo dalle insuperate doti di condottiero, dotato di sicura padronanza delle concezioni tattiche più raffinate.
In un'epoca in cui la religione è tornata a influire fortemente sulle scelte morali e politiche, è possibile pensare a un sentimento religioso staccato dalla fede in questo o quel dio? Diversamente da quanto predicano fedeli dottrinari e atei zelanti, siamo tutti credenti, se credere significa coltivare l'ansia e la meraviglia della scoperta. Per Dworkin, come per Einstein, nella religione si esprime infatti il senso del mistero, del bello e del sublime che ci pervade di fronte all'universo. Né riscossa dogmatica né intransigenza razionalistica: ciò che queste pagine contengono è un'idea di divino come dimensione della ricerca umana, e come senso di infinito che trae nutrimento dalla conoscenza. Presentazione di Salvatore Veca.
Nella storia tutte le forme di potere (clan, imperi, istituzioni religiose o politiche) si sono dotate di un corpo scelto di propri guardiani che ne garantiscono la difesa e la perpetuazione. Accade però che le finalità istituzionali cedano il passo a quelle di casta, che il prestigio guadagnato con la fedeltà di molti sia compromesso dai crimini di pochi, fattisi esperti di ricatto, corruzione, trame politiche e d'alcova. Tutti i "guardiani", militari e non militari - siano essi eunuchi, pretoriani, giannizzeri, carabinieri, hackers - hanno capito che per mantenere il controllo sul potere non è necessario assumerlo direttamente: basta infiltrarsi e brigare tra la sfera pubblica e quella privata, tra sicurezza interna ed esterna, governo centrale e amministrazione locale, ideologia e prassi, etica e abuso. Ma non è detto che funzioni per sempre.
Duemila anni di monoteismo ci hanno abituato a ritenere che Dio non possa essere se non unico, esclusivo, vero. Al contrario, il politeismo antico prevedeva la possibilità di far corrispondere fra loro dèi e dèe appartenenti a culture diverse (la greca Artemis alla romana Diana, l'egizia Isis alla greca Athena), ovvero di accogliere nel proprio pantheon divinità straniere. Questa disposizione all'apertura ha fatto sì che il mondo antico non abbia conosciuto quella violenza a carattere religioso che invece ha insanguinato, e spesso ancora insanguina, le culture monoteiste. È possibile attingere oggi alle risorse del politeismo per rendere più agevoli e sereni i rapporti fra le varie religioni?
Il 16 giugno 1743 sulla strada per Siena un giovane servitore in fuga d'amore con la sua bella viene raggiunto dagli inseguitori; ferito da un'archibugiata, morirà pochi giorni dopo. Componendone le spoglie, all'ospedale fanno una scoperta stupefacente: quel garzone già in fama di donnaiolo impenitente è in realtà una donna. Un medico famoso si appassiona al fatto e ne ricostruisce la storia. Caterina Vizzani, questo il suo nome, per otto anni si era finta uomo per poter seguire, al riparo di un'identità maschile, la sua allora illecita inclinazione per le donne. Prendendo le mosse dal circostanziato racconto di questo caso il libro traccia la storia dell'amore fra donne durante gli ultimi tre secoli: di come è stato vissuto ma anche di come è stato interpretato e giudicato dalla religione, dalla scienza, dal diritto.
C'era una volta il viaggio in Italia. Ma oggi che i luoghi geografici (città/campagna, nord/sud, montagna/pianura) sono diventati molto più omogenei di quanto fossero un tempo, i luoghi davvero significativi, perché davvero diversi gli uni dagli altri, sono gli ambiti, le sfere, i microcosmi, o comunque si vogliano chiamare quei piccoli pezzi di realtà che formano il mosaico della grande realtà nazionale. "Una sterminata domenica" racconta alcuni di questi luoghi reali o metaforici: un posto di vacanza che assomiglia a un caso di studio per sociologi, la retorica dell'infotainment, la retorica della politica, il calcio, la radio, il pop, un festival per scrittori, le biblioteche, la religione. Alla fine, tutti luoghi anche divertenti: basta non rimanerci troppo.
Dal 1347 alla fine del Settecento la peste fu il grande spauracchio della società europea. La medicina, non riconoscendone le cause, non poteva porre argini efficaci al contagio che non fossero l'isolamento dei malati e la quarantena. Questo libro racconta di un minuscolo borgo fiorentino ai tempi della grande epidemia del 1630, e insieme alle restrizioni e al collasso della vita cittadina descrive i primi faticosi passi di una politica sanitaria, con il graduale affermarsi di una scienza medica che veniva emancipandosi dalla fede.
Giacomo, fratello di Gesù, svolse un ruolo importante all'interno della primitiva comunità di Gerusalemme e contribuì in modo decisivo ad orientare i primi sviluppi del movimento dei seguaci di Gesù. La sua figura però rappresentando la linea dei cristiani di origine giudaica, destinata ad estinguersi o ad assimilarsi ad altri orientamenti di maggiore successo - fu presto oscurata da altri personaggi delle origini, come Pietro e Paolo, che lo superarono per notorietà ed autorità. In questo libro - basato su una lettura attenta del Nuovo Testamento e dei Vangeli apocrifi - si racconta una vicenda appassionante, che pone una serie di interrogativi sulla vita di Gesù, su chi potesse essere il suo vero erede, sui suoi familiari, fratelli e sorelle. Questa storia aiuta a far luce sulle concezioni, i valori, i problemi della primitiva comunità cristiana di Gerusalemme.