Il ricordo degli abusi perpetrati da un sacerdote quando l'autore era un bambino riaffiora nella sua memoria dopo quasi quarant'anni di oblio. L'autore ripercorre con una penna struggente e toccante il proprio cammino di riscoperta e la presa di coscienza di una ferita che rimane aperta.
Il saggio ripercorre, alla luce degli studi più recenti, la vita e le opere dello storico Flavio Giuseppe, mettendo a fuoco un tema che ha a lungo appassionato gli studiosi: fu un traditore della sua patria o un eroe? Diversi fattori hanno influenzato la risposta a questa domanda, non ultimo l'uso che in chiave anti-giudaica fecero della sua opera i primi cristiani. Una lettura equilibrata dei suoi scritti consente di giungere a una soluzione per certi versi paradossale: la sua condotta, non sempre trasparente nelle prime fasi della guerra giudaico-romana, rende fondata l'accusa di tradimento verso i suoi connazionali, tuttavia il suo odio contro i ribelli, una volta passato nel campo romano, rivela un amore profondo e incompreso per il suo popolo.
"Dopo averci piacevolmente colpito con romanzi di forte impatto emotivo e umano Gisella Pagano, con il suo nuovo libro, 'Fiori sparsi del Padre', decide di dare voce alla sua abilità giornalistica, maturata in una più che decennale esperienza con la regia documentaristica, attraverso un testo che unisce le caratteristiche di una cronaca storica, all'empatia verso i protagonisti della stessa. 'Fiori sparsi del Padre', ripercorre la vita di Padre Pio, attraverso Io sguardo unico, amico e benevolo di Padre Carmelo, suo figlio spirituale prima e poi suo Superiore presso il Convento di S. Giovanni Rotondo. Una narrazione coinvolgente nella sua capacità di focalizzarsi sui dettagli storici ma soprattutto emotivi, che ricostruiscono le identità profonde dei protagonisti. Le pagine, narrate con abile regia, diventano testimonianza viva e autentica di un rapporto cresciuto nei decenni, capace di superare innumerevoli difficoltà, soprattutto nel periodo più difficile per la vita del Santo di Pietralcina. Grazie all'innata capacità figurativa dell'autrice, la voce di Padre Carmelo da Sessano rivive attraverso queste pagine ricche di umanità e consapevolezza, in un susseguirsi di momenti intensi e toccanti." (Pina Labanca)
Le avventure di un'immagine religiosa che sconfina nella pubblicità, nell'arte contemporanea, nel cinema e nei graffiti. Dopo accesi dibattiti, verso la fine del Settecento si afferma una particolare devozione al Sacro Cuore di Gesù. Accolta con vigilante perplessità dal rigore delle teologie e dai timori delle gerarchie, essa diviene in poco tempo l'emblema di un sentire cattolico alquanto ferito dall'avanzare della cultura illuministica e sempre più distante dall'intellettualismo teologico. La devozione si diffonde attraverso una fortunata pianificazione di immagini che diventano presto icone stesse di una religiosità affettiva e popolare. La rappresentazione del Sacro Cuore finisce così per identificare il cattolicesimo come tale, ma il tema che essa custodisce supera i confini religiosi entrando nell'immaginario di insospettabili perimetri espressivi, dalla comunicazione pubblicitaria all'arte contemporanea, dal cinema all'arte di strada. Ogni volta per difendere le ragioni del cuore in un mondo che senza cuore perde anche la ragione.
«Ciò che è umanamente impossibile, è possibile altrimenti».Un filo rosso collega tre capolavori del Quattrocento: due Madonne Annunciate di Antonello da Messina, oggi conservate a Monaco di Baviera e a Palermo, e un compianto in terracotta di Niccolò dell'Arca custodito in una chiesa di Bologna. Il raccoglimento delle due Annunciate esprime visivamente che Maria si è lasciata coinvolgere nell' annuncio, mentre l'annuncio si è compiuto in lei. Nel Compianto sul Cristo morto, invece, i visi delle pie donne, il loro protendersi verso il cadavere e le mani annodate della Madonna dicono che tutti reputano inappellabile la morte del Maestro e non sperano più in nulla, non sperano più in lui. Fino alla scoperta che l'annuncio per antonomasia è quello della risurrezione.
L'acqua che cade dal cielo «fa viaggiare l'anima», ma rende impraticabili i percorsi dei cavalieri erranti, complica le guerre, fa ritardare gli amori; invocata in tempi di siccità, la pioggia provoca anche la paura dell'eccesso, delle alluvioni e dei diluvi. Stendhal la detesta, Baudelaire ne fa una componente dello spleen, i diaristi la intrecciano con le lacrime, i sovrani e i capi di Stato ne fanno un uso politico, rinunciando all'ombrello nelle cerimonie ufficiali per condividere con il popolo anche le avversità È solo alla fine del Settecento che la sensibilità individuale ai fenomeni meteorologici si intensifica; lo sforzo di guardare in alto per cogliere i segni della collera divina o dell'intervento diabolico, associato alle pratiche dell'invocazione religiosa, viene vanificato nel secolo successivo dalla «secolarizzazione del cielo» e poi dalle previsioni meteo. Una lunga storia che Alain Corbin riassume nel libro, con l'avvertenza, sulla scia di Roland Barthes, che «niente è più ideologico del tempo che fa».
Nell'epoca della riproducibilità tecnica anche le reliquie trovano nella fotografia un nuovo supporto. La dimensione fisica e corporea degli oggetti di culto tende, infatti, sempre più a dematerializzarsi a favore di immagini che rivendicano il potere di vere icone e suscitano pratiche commemorative che riducono il reale al visibile e si inscrivono in modo nuovo nella memoria riservata ai defunti. Attraverso la fotografia la reliquia si fa immagine, partecipa allo sviluppo di una discutibile economia della vita spirituale e si rivela in grado di entrare nel dominio invisibile del divino, come nel caso della Sindone di Torino, dove proprio il negativo fotografico consente di scoprire ciò che resta nascosto all'immediatezza dello sguardo.
Il passaggio dal politeismo a un monoteismo innescato dalla cristianizzazione e dall'islamizzazione è uno dei maggiori passaggi evolutivi del mondo antico, come l'urbanizzazione, la formazione dello stato e l'invenzione della scrittura. Assmann distingue le religioni cosmiche o «naturali» da quelle rivelate o «positive» individuando il loro elemento comune nell'idea dell'esistenza di un Dio (un Uno), che viene tuttavia compreso in modi diversi, come testimoniano alcune fonti religiose dell'antico Egitto. Dall'Uno preesistente e universale provengono la creazione e la molteplicità degli dèi, anche se l'affermazione della trascendenza dell'Uno varia in relazione ai periodi, in un percorso che vedrà alla fine prevalere la concezione di un Dio della vita che anima il cosmo.
Nell'ambito del cristianesimo primitivo, segnato dall'autorità indiscutibile di Paolo, la leadership femminile catalizza le tensioni interne alle Chiese e svela i meccanismi adottati per fare tacere le voci femminili che reclamano autonomia e possibilità di svolgere funzioni di autorità e di insegnamento. Due scritti del II secolo provenienti dall'Asia minore - le Lettere pastorali e gli Atti di Paolo e Tecla- riflettono i limiti sociali ed ecclesiali all'interno dei quali devono muoversi uomini e donne per poter essere "puri", a partire da abiti e ornamenti, e consentono di scoprire una resistenza femminile. Nel mondo antico, non tutte le donne, né tutte le comunità, si sono infatti arrese di fronte alle pressioni sociali e agli stereotipi culturali.
L'autore, che si definisce un "ateo non dogmatico e fedele", si interroga su che cosa resta quando si perde la fede e in che cosa consiste una spiritualità senza Dio. In sintesi, la risposta è la seguente: "Una spiritualità senza Dio è una spiritualità dell'immanenza, una spiritualità della fedeltà più che della fede, dell'amore più che della speranza, dell'eternità presente più che di quella a venire, infine dell'azione e della meditazione più che dei riti o della preghiera".
Le grandi masse e anche molta parte della classe dirigente delle società odierne continuano ad avvalersi di una spiegazione della realtà che si richiama al sistema simbolico forgiato dal cristianesimo in età antica e medievale. Nel suo sorgere, la modernità si è trovata in Europa di fronte a società in cui l'organizzazione urbanistica ruotava attorno ai simboli religiosi. Nella struttura cittadina, la centralità fisica della cattedrale e la disposizione spaziale delle chiese principali e degli edifici del potere esprimevano un'organizzazione gerarchica in cui il cristianesimo sanciva simbolicamente ogni aspetto. Il tempo era scandito da una complessa organizzazione cultuale e la stessa rappresentazione del cosmo aveva una struttura fisico-sacrale che abbracciava l'intero universo. Pur contrassegnando una svolta radicale rispetto a questa antica eredità, il mondo moderno ha dovuto creare un'incessante dialettica tra antico e nuovo nel continuo confronto con un tenace sistema simbolico religioso che non è riuscita a sostituire. In questo modo, il cristianesimo ha assorbito la modernità e ne è stato contemporaneamente assorbito.
Nel Medioevo cristiano la morte è onnipresente. Il primo motivo strutturale è di ordine demografico e riguarda l'estrema fragilità dell'esistenza umana nelle società dell'Ancien Régime. Il secondo è rappresentato dal cristianesimo e dalla centralità della morte e della risurrezione di Gesù. I defunti sono continuamente presenti nella preghiera dei vivi e nel paesaggio rurale e urbano, in particolare nei luoghi in cui la giustizia innalza le forche e nei cimiteri, spazi fisici e simbolici che consentono la nascita dei villaggi. La pietà dei laici e, in particolare, delle donne di alto rango si dota di un nuovo testo di preghiera, il Libro delle ore, che permette di rivolgersi alla Vergine, al Cristo della Passione e alla Trinità, ma soprattutto di meditare sulle "ore della morte", sempre evocate. Anche il testamento diviene un obbligo di natura spirituale, oltre che giuridica: regola la successione in favore delle persone più vicine, serve a chiedere perdono a coloro a cui si è fatto torto e permette di fare un'ultima volta e massicciamente la carità ai poveri e ai malati.
Un personaggio femminile entra dal lato destro di un affresco che rappresenta la nascita di san Giovanni Battista, dipinto dal Ghirlandaio nella chiesa fiorentina di Santa Maria Novella. La grazia eterea del suo passo ne fa quasi una dea o una ninfa pagana, un fantasma femminile che attraversa la scena religiosa in modo leggero e quasi aereo. Questa figura nomade e sensuale che sfida ogni gravità e oppone il suo dinamismo all'immobilità delle altre figure proviene da un altro spazio simbolico e da un altro tempo (il passato del paganesimo) rispetto a quello della solennità borghese (il presente degli usi fiorentini) o evangelica (il passato delle storie sante). Per Aby Warburg l'ancella del Ghirlandaio che porta dalla campagna frutta fresca e vino per la madre di Giovanni Battista è la quintessenza della Ninfa fiorentina, il personaggio in movimento che nelle immagini rinascimentali - da Botticelli a Pinturicchio, da Mantegna a Leonardo, da Perugino a Raffaello - sembra emergere dal retroscena e modificare l'economia della rappresentazione, suggerendo una riflessione sulla "porosità" delle immagini e sul loro "sapere eccentrico".
Nell'Europa del Cinque e Seicento, che rifiuta il mescolamento tra cattolici e seguaci di altre religioni, la Chiesa elabora la categoria speciale dei peccati contro natura. In questo contesto, la sodomia etero e omosessuale viene interpretata come un crimine ereticale, che prevede leggi severissime e, in alcuni casi, la condanna al rogo. La storia della disciplina di questi reati fornisce la cartina di tornasole per comprendere come una polizia della fede - quella inquisitoriale, divisa nei tribunali centrali pontificio, spagnolo e portoghese - allarga la sfera di ciò che considera eresia fino a includervi i comportamenti non conformi alle norme morali introiettate dalla società cattolica. La severità che si registra nella penisola iberica, dovuta anche all'odio contro l'islam e alle presunte empietà contro natura degli indios dopo la scoperta dell'America, viene attenuata dal Sant'Ufficio romano, preoccupato di preservare l'onore del clero, spesso implicato in casi di sodomia.
L'ultima lezione che Raymond Aron tenne al Collège de France il 4 aprile 1978 - qui proposta per la prima volta in italiano - lascia trasparire l'inquietudine civica che è stata la molla del pensiero e dell'azione del filosofo francese. La rappresentazione del liberalismo e della democrazia è dominata dall'idea formale di una "procedura", sia essa quella del mercato o della garanzia dei diritti, valida in sé e in grado di produrre i suoi effetti indipendentemente dalle disposizioni degli associati o dei cittadini. L'azione che può e deve essere valutata secondo le virtù cardinali - più o meno coraggiosa, giusta, prudente - non trova praticamente posto, perché l'unica virtù richiesta è quella di applicare le regole che daranno soddisfazione a interessi e garantiranno tutele. In un contesto sociale che sembra aver fatto una scelta senza riserve per la libertà a scapito della verità, Aron interroga la "crisi morale delle democrazie liberali". L'inquietudine che le tormenta può tradursi nelle condotte più irragionevoli. Segno che esse non possono rassegnarsi all'assenza di un bene comune ampiamente condiviso, pur rinunciando a una comune verità.
Lo stretto legame che esiste fra l'interesse dei contemporanei per il racconto e la situazione culturale delle società postmoderne - abitate da una pluralità di visioni del mondo e da una crescente individualizzazione degli stili di vita - ha fatto sì che la teologia narrativa assumesse sempre maggiore peso. Tuttavia, la fede in Dio, anche e soprattutto nell'epoca post-metafisica, ha ancora bisogno di essere "pensata", perché la teologia narrativa non rimanga semplicemente una moda, ma venga fondata da un punto di vista filosofico e teologico. Se ne incarica questo saggio, dimostrando che il principio della concordanza tra la forma della memoria biblica e il suo contenuto teologico permette di collocare la narratività al suo giusto posto in una teologia cristiana adeguata a una società post-metafisica e postmoderna, cosciente della densità letteraria delle sue tradizioni.
Il libro della Sapienza, scritto ad Alessandria d'Egitto verso la fine del I secolo a.C., si interroga sulla nascita dell'idolatria con il più lungo e circostanziato passo dell'Antico Testamento dedicato a questo tema. Interpretata come tradimento da parte d'Israele dell'amore di Dio per il suo popolo, l'idolatria consiste nello stravolgimento del senso della creazione e si regge sull'illusione di poter dominare la realtà e trasformare le creature in un possesso da poter sfruttare a proprio piacimento. In questo modo si comprende come tra le cause dell'idolatria vi siano il desiderio del guadagno e la tentazione del potere ai quali si associa l'esperienza del dolore, che porta l'uomo a rifugiarsi in realtà artificiali e a fare persino della religione un mezzo per trovare risposte facili a drammi insolubili. Come ricorda il libro dei Proverbi, la ricchezza materiale crea nell'uomo la presunzione dell'onnipotenza e - aggiunge il Qoèlet - anche il lavoro, quando viene inteso come mera ricerca del profitto, rientra nel novero delle illusioni, un affanno che si riassume nell'"inseguire il vento".
Le versioni dell'episodio di Gesù che cammina sulle acque, la parabola del samaritano, la guarigione dello storpio e quella del cieco di Betsàida consentono di vedere all'opera il "punto di vista" di un autore e di diagnosticare la regia narrativa anche di un testo biblico. In un racconto, infatti, gli avvenimenti della storia non sono mai presentati in una prospettiva neutrale, ma sempre da un'angolazione particolare. Non c'è dunque storia senza "punto di vista", come non c'è immagine senza che la cinepresa o l'apparecchio fotografico siano stati posizionati in un punto specifico che determina il campo di visione. Il punto di vista dell'autore non è solo costituito da un luogo scelto, ma anche da una temporalità, da una descrizione dell'interiorità dei personaggi, da una scelta di linguaggio, da un sistema di valori. È dunque il frutto di una sapiente costruzione e di un programma di lettura che il narratore si aspetta dal suo lettore.
È realistico pensare che, nella Palestina del I secolo, delle donne si unissero a un profeta itinerante e al suo gruppo di discepoli maschi? Anche se la società dell'epoca non era del tutto estranea a fenomeni di itineranza femminile e il movimento di Gesù era più vicino a Giovanni il Battista che a gruppi discepolari rabbinici, gli indizi sono molto pochi. Tuttavia, il Vangelo di Marco sottolinea che sotto la croce e, più tardi, al sepolcro ci sono, a parte un autorevole membro del sinedrio come Giuseppe d'Arimatea, unicamente donne, che hanno fatto parte del seguito di Gesù e lo hanno servito per tutto il tempo che egli ha operato in Galilea. La riflessione sul passaggio tra il primo e il secondo secolo cristiano e sulla marginalizzazione femminile dall'ecclesia costituisce ancora oggi uno stimolo per restituire pienamente alle donne i testi biblici e ai testi biblici le donne.
Evoluzione e libertà sono le due parole chiave del pensiero di Hans Jonas, espresso mirabilmente nel saggio, una sorta di concentrato della sua biologia filosofica e forse la migliore testimonianza della sostanziale continuità della sua riflessione sulla filosofia della vita, al di là del prevalere, nelle diverse fasi del suo pensiero, di interessi storico-filosofici o di interessi più propriamente etici. Tesi principale è che la libertà tradizionalmente considerata appannaggio degli ambiti prettamente umani dello spirito e della volontà - sia viceversa già presente a livello del metabolismo cellulare, il fenomeno più basilare che caratterizza l'organismo vivente. Essa non connota, cioè, esclusivamente l'agire conscio e intenzionale dell'essere umano, ma è piuttosto il denominatore comune di tutti gli appartenenti alla categoria dell'"organico" e segna la linea di confine con quanti non vi rientrano, dunque con l'inorganico, la macchina e l'artefatto. La libertà si squaderna per Jonas in una gradazione ascendente di complessità delle funzioni e dei movimenti, i cui vari livelli costituiscono configurazioni sempre più articolate, approfondite ed "evolute" della dialettica precaria che le è intrinseca.
Nelle testimonianze dei sopravvissuti ai campi di sterminio nazisti, il corpo - definitivamente trasformatosi in fumo e cenere per i "sommersi" - occupa sempre uno spazio centrale. Nel suo consumarsi e piagarsi esso è il luogo delle cicatrici eloquenti, della violenza subita, dello sforzo per la sopravvivenza, ma anche della carne spogliata della possibilità e della libertà di testimoniare qualcosa di "altro", come accade ai martiri. Il numero tatuato sul braccio delle vittime era, nella prospettiva di chi lo ha progettato, l'impronta tangibile della condizione di sottoumanità dei deportati, un marchio che espropria del "nome proprio" impedendo ad ognuno di diventare dignitosamente, umanamente, un "tu". Nella distruzione dei corpi, Auschwitz costringe i testimoni e i superstiti a ritrovare una parola irrimediabilmente privata della sua integrità, a riacquistare, per quanto possibile, le voci; a ridare lineamenti di volti umani a chi è stato reso fumo e cenere. E quindi, paradossalmente, a recuperare il fiato dei corpi dei vecchi e dei bambini - i primi a perire perché custodi della memoria e del futuro - riannodando i fili spezzati della continuità di un popolo.
Un viaggio negli abissi del mare permette al profeta Giona di conoscere le fondamenta del cosmo e l'imminente fine dei tempi. Un miracoloso ringiovanimento di Abramo e Sara accompagna la storia della vocazione del patriarca in chiave etica. La vita di Mosè, ripresa dal libro dell'Esodo, viene narrata in una forma molto vicina al puro intrattenimento. Nella "Bibbia raccontata", i rabbi cercano di offrire al lettore del proprio tempo risposte a problemi che il testo biblico lascia irrisolti, ma la cui soluzione si rende necessaria per una coerente visione d'insieme. Tale tradizione, che si è affermata già con il Secondo Tempio ma che raggiunge una nuova fioritura solo in epoca araba, rielabora in forma più attraente il grande patrimonio della tradizione per metterlo a disposizione di un vasto pubblico.
L'insolito dialogo su "spirito e verità" che si svolge accanto a un pozzo tra Gesù e la Samaritana, narrato nel quarto capitolo del Vangelo di Giovanni, costituisce una delle pagine più intense del Nuovo Testamento e ricorre con frequenza nell'esegesi e nella produzione letteraria di Tolstoj. Lo scrittore russo, impegnato nella sperimentazione e poi nell'abbandono della pratica religiosa, profondamente influenzato da Pascal e da Rousseau, è convinto che in tutte le tradizioni sia presente un nucleo di sapienza che è ragione di vita per l'intero genere umano e che conferisce verità a credenze esteriori che di per sé ne sono prive. Quel nucleo consiste "nella rinuncia a se stessi e nell'amore", un centro da cui prende forma quella particolare idea di culto, profondamente ispirata al dialogo tra Gesù e la Samaritana, che penetra con profondità e continuità nell'opera di Tolstoj.
L'esercito mongolo guidato da Ögödei, terzogenito di Gengis Khan, diede inizio all'invasione dell'Europa alla fine dell'anno 1236. Dopo aver devastato le popolazioni di Ungheria, Bulgaria, Russia e Ucraina, gli invasori erano penetrati nel territorio austriaco arrivando fino ai confini del Friuli. La conquista dell'intero continente, allora diviso in numerosi regni e indebolito dal contrasto tra papato e impero, si interruppe inaspettatamente alla fine del 1241 con la morte di Ögödei. Poco più di tre anni dopo, papa Innocenzo IV decise di inviare ai Tartari un'ambasciata di pacificazione e investì del compito il socievole e colto frate umbro Giovanni da Pian del Carpine, uno dei primi seguaci di san Francesco. Accanto alla missione ufficiale, egli era incaricato di raccogliere il maggior numero di informazioni sul misterioso popolo dei mongoli e soprattutto sul segreto della sua forza militare. L'avventuroso viaggio via terra iniziò da Lione il 16 aprile 1245, ma solo alla fine dell'anno successivo il frate riuscì a consegnare la missiva del Papa al Gran Kahn. La missione del primo europeo a essere ricevuto nel cuore del potere tartaro terminò solo alla fine del 1247: oltre alla risposta negativa dei mongoli, frate Giovanni portò in Europa un prezioso resoconto sulla geografia, la storia, la civiltà e la vita quotidiana di un popolo bellicoso allora pressoché sconosciuto.
Come si presenta ai nostri occhi quella che oggi chiamiamo "sessualità" quando la osserviamo nei discorsi prodotti dalle istituzioni religiose in età moderna? L'oggetto ha contorni sfuggenti. Al suo interno si collocano, in maniere e misure mutevoli, aspettative e rinunce, possibilità e divieti, ragioni del corpo e dell'anima, dell'individuo e della collettività. Il saggio presenta un piccolo ventaglio di sessualità possibili "messe in parola" nei decenni che seguono due momenti cruciali della storia religiosa e sociale dell'Europa: la centralizzazione romana dell'Inquisizione e la sua dotazione di una capillare rete di organismi locali, a partire dal 1542, e la grande risistemazione dottrinale e istituzionale operata dalla Chiesa cattolica con il Concilio di Trento, fra il 1545 e il 1563. A partire dalla seconda metà del Cinquecento, sui comportamenti che implicano un uso della corporeità connessa con le tensioni desideranti e la generazione, già tradizionalmente oggetto di osservazione e di controllo, sembra accentuarsi, facendosi sistematico, l'interesse delle istituzioni religiose, impegnate in un'impresa di definizione dell'ortodossia e dell'eterodossia. In ogni ambito del vivere si rintraccia sia un potenziale luogo di realizzazione della perfetta cattolicità che uno spazio di annidamento dell'eterodossia. Il corpo chiuso del clero deciderà dei corpi moderatamente aperti dei coniugati e di quelli pericolosamente sciolti delle nubili e dei celibi.
L'estrema complessità della teologia come "scienza" rischia di essere un ostacolo insormontabile per gli studenti che faticano a orientarsi nella pluralità delle discipline esegetiche e storiche, teoriche e pratiche. E l'oggetto proprio della teologia stessa, la fede in Dio, rischia di allontanarsi mano a mano che si penetra nel groviglio dei testi, delle correnti interpretative e delle teorie. Oltre a far comprendere l'unità interna di questa disciplina, è necessario - sostiene l'autore - attivare i legami con l'esperienza spirituale (direzione a cui conducono la riabilitazione post-moderna della nozione di "esperienza", l'interesse per la narratività e il concetto di "testimone") ed evidenziare la necessità di un approccio critico che si manifesta nella capacità di argomentare, oggi spesso soppiantata da un eccesso di narrazione e di volontà testimoniale. Al di là dell'oscillazione fra l'assenza di tradizione e la sua espressione folkloristica, che va di pari passo con una ripetizione sterile e una difesa integralista, la sfida dell'insegnamento è quella di illustrare la creatività culturale che il cristianesimo ha dimostrato volendo mantenere la sua unica e doppia fedeltà al ministero di Cristo e alle condizioni storiche dei destinatari del suo vangelo.
Il confronto tra Gesù e Socrate, implicito già in Erasmo da Rotterdam e successivamente esplicitato in Rousseau, Hegel e ora persino nei blog filosofici su Google, solleva l'interrogativo sull'identità del Nazareno. Non basta affermare, per esclusione, che egli non è un greco né di etnia né di cultura e nemmeno un giudeo della diaspora ellenistica. Tanto meno si può sostenere in modo acritico che la lingua greca degli evangelisti sia la stessa di Gesù, anche se era diffusa in Galilea negli ambienti più colti della società. Non si può nemmeno escludere che egli ne avesse una conoscenza almeno sommaria, ma di certo non era la sua lingua madre e nemmeno quella usuale come mezzo di comunicazione. Questo aspetto di Gesù si può forse misurare in certe parole dei vangeli che riflettono un'eco della tradizione sapienziale greca. Tuttavia, egli è sempre vissuto dentro i confini geografici del suo paese proiettato solo verso l'interno e non nella direzione del Mediterraneo - e la sua formazione è di impronta essenzialmente giudaica. Spetterà così ad altri, e non a Gesù di Nazaret, il compito di portare il messaggio del vangelo nel mondo della cultura greca.
Quando nell'Europa moderna la Bibbia passa dal pulpito alla cattedra, dalla chiesa all'aula universitaria, dalla predicazione all'esame esegetico prende forma un approccio critico e scientifico ai testi che solleva vari interrogativi su fede e scienza e su Scrittura e Tradizione. Nel XX secolo il magistero cattolico reagisce alle innovazioni, ritiene di dover proteggere i fedeli dal razionalismo e dal modernismo, ma al tempo stesso favorisce la fondazione dell'École Biblique et Archéologique a Gerusalemme, della Pontificia Commissione Biblica e del Pontificio Istituto Biblico a Roma. Nel 1943, con l'enciclica Divinu Afflante Spiritu, Pio XII auspica una maggiore apertura degli studi biblici, ma la relazione, di fatto irrisolta, tra Scrittura e Tradizione riaffiora al Vaticano II e fa della costituzione dogmatica Dei Verbum uno dei punti caldi del dibattito conciliare. Il prezioso documento della Commissione biblica "L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa" (1993) sancisce infine che l'esegesi storico-critica è un metodo irrinunciabile per l'approccio esegetico ai testi biblici.
Il saggio, concepito espressamente per il pubblico italiano, illustra la direzione che ha assunto negli ultimi anni la riflessione di Charles Taylor sulla secolarità. Da un lato il filosofo canadese sembra interessato a contestualizzare ulteriormente la traiettoria secolarizzante moderna proiettandola sull'orizzonte di un ampio tempo storico. Poiché i successi incontestabili della modernità occidentale hanno da sempre esercitato, al suo interno e all'esterno, un fascino quasi ipnotico, per lo studioso è importante resistere al loro potere di suggestione diluendone l'impatto e la significatività grazie all'effetto calmierante della lunga durata. La seconda leva utilizzata da Taylor per rendere meno ovvio l'orientamento secolarista della mentalità moderna consiste nella moltiplicazione dei significati della modernità, della reiterazione del suo progetto in una prospettiva globale: in una parola, nel "provincializzare l'Europa". Davvero esiste un unico modello di laicità? O un solo prototipo di libertà, individualismo, autorealizzazione? Per chi è scettico riguardo alla pretesa arrogante della civiltà occidentale di aver esaurito l'intero spettro delle possibilità di espressione umane, una delle principali fonti di interesse è rappresentata proprio dagli effetti imprevedibili, e spesso rigeneranti, della migrazione da un angolo all'altro del pianeta delle teorie e pratiche escogitate in risposta a specifiche difficili sfide storiche.
Sul tema del cattolicesimo e del concilio Vaticano II il volume raccoglie gli interventi di due personalità eminenti: un filosofo e un vescovo, entrambi membri dell'Académie française. I vangeli - osserva il prof. Michel Serres non escono dalla mano di accreditati sapienti e si rivolgono ai poveri riportando ingenue parabole, ma in modo così semplice, limpido e autentico che oggi sembra quasi impossibile scrivere nello stesso modo. Eppure, l'afflato universale delle pagine evangeliche e l'originale esperimento "autobiografico" degli Atti degli apostoli indicano la matrice, la radice, la forma originaria di un linguaggio che può liberare l'autenticità della scrittura sottraendola alle "formattazioni" tecniche e specialistiche del lessico accademico e di quello dei media. La stessa eredità del concilio Vaticano II (1962-1965), cioè lo sforzo di far dialogare la grande tradizione cristiana con il mondo contemporaneo, richiede di interrogarsi sul significato del "parlare di Dio" e "parlare a Dio" in un tempo di incertezza, di disincanto e di inquietudine, osserva mons. Claude Dagens. In questo contesto non si possono trascurare gli aspetti più paradossali e contraddittori dell'evangelizzazione: l'assunzione della solitudine, la solidarietà da esprimere, la fraternità da condividere, l'interrogativo sull'enigma del male - al tempo stesso sovraesposto e rimosso - e la possibilità di rinascita attraverso il mistero di Dio.
La democrazia moderna è il risultato dell'esperienza politica di Atene e di quella morale di Israele. Il testo biblico, attraverso il diritto canonico, ha costituito una delle fonti principali della cultura giuridica occidentale e la tradizione giudaico-cristiana ha offerto alla riflessione etica e politica elementi per approfondire i concetti di uguaglianza, dignità umana e giustizia. È, in particolare, nel Decalogo - talvolta riduttivamente assunto come modello di formalismo e assolutismo - che prende forma il superamento delle differenze di ceto, di genere e di appartenenza etnica. Ai piedi del Sinai, dove si compie il processo di liberazione narrato nel libro dell'Esodo, si contrae, infatti, un patto tra Dio e la totalità del popolo, si istituisce il riposo del sabato anche per lo straniero e lo schiavo, si esprime una forte istanza etica che si traduce nella tutela della vita e in un modello di democrazia che non ha eguali nell'antico Medio Oriente. Il rapporto con la tradizione antica, spesso identificata con la sola filosofia greca e con l'esperienza della polis, si arricchisce in questo modo di contenuti ai quali la riflessione politica può attingere per approfondire la propria comprensione della democrazia moderna.
Una delle metafore più impiegate per sintetizzare il percorso spirituale e la biografia di Francesco d'Assisi è assunta dall'immaginario cavalleresco, sogno centrale nella cultura del XIII secolo. Tuttavia, le armi, la guerra, il combattimento, le vittorie e le sconfitte sono praticamente assenti nel linguaggio del santo, che si affida con maggiore naturalezza a un ambito semantico che appartiene al mondo del commercio, appreso e praticato nella bottega paterna prima della conversione. Le Ammonizioni sono i testi in cui più forte e costante è l'utilizzo di queste metafore e dove il vero commercio, quello che fa guadagnare cento volte di più, inverte la logica della mercatura: non accumulare per sé ma restituire completamente senza pretendere nulla. Quei testi condividono con le quattro lettere inviate da Chiara ad Agnese di Boemia un'istanza "educativa" poiché in entrambi i casi gli autori si propongono di indicare la via da percorrere per seguire Gesù. Nelle lettere di Chiara le metafore dominanti sono quelle della sposa e dello specchio, immagini ideali sognate da ogni donna medievale di alto lignaggio: un buon matrimonio e la cura della propria bellezza.
Johann Sebastian Bach trova nella tradizione luterana un'intelligenza teologica e spirituale che orienta in modo profondo il suo lavoro di musicista: accompagnare i fedeli dalla lettura delle Scritture all'ascolto della Parola rafforzando il legame tra ascoltare e credere e valorizzando l'udito rispetto alla vista, poiché Dio si è nascosto allo sguardo e si è sottratto allo "spettacolo" e all'artificio. Mentre la composizione di cantate, passioni e oratori faceva parte degli obblighi di Bach in quanto cantore della chiesa di San Tommaso a Lipsia, i mottetti - come Gesù, mia gioia (1723), analizzato nel volume - erano frutto di commissioni per occasioni specifiche, in particolare i servizi liturgici per i defunti (in questo caso per la sposa di un alto funzionario delle poste). La gioia alla quale il brano fa riferimento è segnata contemporaneamente dalla presenza e dall'assenza dell'amata, fenditura in cui si forma il desiderio mentre il cuore si angoscia e sospira. In questo spazio si genera un autentico combattimento spirituale, che cerca il faticoso equilibrio tra l'intelligenza e il cuore e che consente a Bach di superare la contrapposizione tra pietismo e ortodossia.
L'antico libro biblico dei Proverbi si conclude con un poema dedicato al sorprendente ritratto di una donna eroica, perfetta, "di valore". Non sappiamo se si tratta di una figura reale, della destinataria di un elogio funebre o della personificazione della Sapienza. Il poema, infatti, non descrive il suo aspetto fisico, non esalta la sua bellezza, non menziona sentimenti d'amore, ma si concentra sull'attività delle sue mani, delle sue braccia, dei suoi fianchi, sulla saggezza delle sue valutazioni e delle sue decisioni. Contro l'idea di perfezione femminile celebrato nella poesia erotica diffusa nelle corti reali e negli harem del Vicino Oriente antico, il poema biblico del libro dei Proverbi glorifica una donna impegnata in normali affari famigliari e sociali che realizza con decisione anche ciò che, nel mondo antico, è normalmente di competenza dell'uomo.
Descrizione dell'opera
La pianta del cacao cresce solo in particolari condizioni climatiche e la sua zona d'origine è l'America centrale. Gli europei devono perciò attendere la scoperta del nuovo continente per gustarne il frutto, che compare sulla scena innanzitutto come bevanda, la cioccolata, e apre una singolare disputa che coinvolge la teologia e la medicina.
Due le posizioni che si confrontano nell'Europa del Sei e del Settecento: o la cioccolata è cibo e non la si può prendere fuori pasto nei giorni di digiuno ecclesiastico, oppure è bevanda e la si può bere quando si vuole perché le bevande non interrompono il digiuno. Vi è, però, una terza possibilità, cioè farla rientrare nella casistica esistente o come medicina o come electuaria, per esempio frutto candito o conserve da consumare di sera. In realtà, la disputa finisce col consentirne l'uso una volta al giorno, stabilita la quantità di cacao da mettere nell'acqua, anche se il dibattito si interseca con un'altra discussione, esclusivamente medica, sui benefici delle bevande calde.
Sommario
Introduzione. 1. La scoperta del cacao. 2. Le forme del digiuno. 3. La cioccolata in scena. 4. Un dibattito europeo. 5. Diatribe e ossessioni. 6. Un problema italiano. 7. La fine della disputa. Note.
Note sull'autore
Claudio Balzaretti è ordinario di Filosofia e Storia nei licei statali. Laureato in Lettere classiche e dottore in Scienze bibliche, ha pubblicato traduzioni e commenti a Esdra-Neemia, Cronache, Re e Maccabei. Per EDB ha pubblicato Il Papa, Nietzsche e la cioccolata. Saggio di morale gastronomica (2009).
Nel 1225, un anno prima della morte, Francesco d'Assisi è infermo, quasi completamente cieco. Nel giardino del monastero di san Damiano, dove è accolto e curato da Chiara, raggiunge nel corso di una notte di insonnia il fondo fisico e psichico della sofferenza. È in quella circostanza che detta il Cantico delle creature o Cantico di frate Sole, la sua opera più nota, un inno di vittoria sulla disperazione superata al termine di una notte oscura. Grazie al suo contenuto, il testo appartiene alla letteratura mondiale e potrebbe essere considerato il più bel brano di poesia religiosa dopo i vangeli. Un'invocazione universale che richiama i salmi e i canti liturgici e che trova numerosi spunti descrittivi in pagine bibliche, dal cantico di Daniele all'Ecclesiastico, dalle beatitudini all'Apocalisse.
Sommario
1. Presentazione del testo. 2. Commento al Cantico. 3.Un canto nato nella sofferenza. Tra pathos e stupore. Esperienza mistica. 4. Tessuto biblico-liturgico del Cantico. Somiglianze con i salmi e con il cantico di Daniele. L'Apocalisse nel Cantico. La Liturgia cosmica. 5. La grande famiglia del cosmo. L'invocazione universale. La mistica incentrata su Cristo. Il valore effettivo delle creature. Conclusione. Note.Introduzione. 1. La misura inaffidabile. Identità minacciata e identità assassina. L'amore inadeguato di se stessi. Convinzioni negative. Negativi verso se stessi. Comportamenti mortificanti e distruttivi. I sentimenti fuorvianti e distruttivi. 2 La misura in eccesso. 3. Un «se stesso credibile». 4. Amore di sé e amore per l'altro. Conclusioni. Indicazioni bibliografiche.
Note sull'autrice
Angela Anna Tozzi è professoressa di Teologia spirituale alla Pontificia università Antonianum. Tra le sue principali pubblicazioni: La comunità nel pensiero di Chiara Lubich (Città Nuova, 1993); Cercando libertà. Alleanza nuziale (Lev, 2000); Grida nel silenzio (Lev 2000); Gocce di rugiada. Testimoni del nostro tempo (Lev 2001) e Il silenzio delle aquile (Lev 2002),Abbracciati nel vento: matrimonio e verginità a confronto (Messaggero, 2005).
Il calendario cristiano, che computa passato e futuro a partire dalla nascita di Gesù, non ha definito solo la struttura degli anni, dei decenni e dei secoli, ma ha profondamente condizionato il sentimento del tempo e ha consentito l'affermarsi di tradizioni narrative e poetiche, dai versi latini a quelli dell'antica Irlanda fino ai Contes medievali e alle «storie da calendario» di Grimmelshausen, Hebel e Brecht.
Il primo tentativo di sistematica contestazione del computo cristiano del tempo avviene con la rivoluzione francese, mentre nel corso dell'Ottocento filantropi, positivisti, allievi di Comte e di Nietzsche elaborano, pur senza molto successo, nuovi modi per contare i giorni. Nel Novecento vengono ideati veri e propri «controcalendari» nella Russia bolscevica, nell'Italia fascista e nella Germania nazionalsocialista, ma nemmeno i regimi totalitari, a eccezione di brevi periodi, si dimostrano capaci di contestare in modo efficace il calendario tradizionale.
Sommario
1. Datazioni. 2. Gli inizi del calendario cristiano. 3. Prima e dopo Cristo. 4. Controcomputi e contro calendari. Note. Cronologia. Bibliografia.
Note sull'autore
Hans Maier è professore merito della «cattedra Guardini» (Concezione cristiana del mondo, teoria della religione e della cultura) alla Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco. Dal 1970 al 1986 è stato ministro della Cultura e dell'istruzione della Baviera. Nei suoi studi si è occupato, in particolare, del totalitarismo, delle religioni politiche e della relazione tra cristianesimo e democrazia. Su quest'ultimo tema ha pubblicato un libro conJoseph Ratzinger dal titolo Democrazia nella Chiesa. Possibilità, limiti, pericoli, (Paoline, 1971).
"In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio". Pur composto di soli 18 versetti, il prologo del quarto Vangelo, che la tradizione della Chiesa attribuisce all'apostolo Giovanni, è da sempre un luogo privilegiato di interpretazione esegetica, teologica e filosofica. Il saggio prende in esame le letture proposte da tre autori, uno di tradizione riformata, uno di estrazione ortodossa e uno di area cattolica. La prima voce è di Schelling (1775-1854), esponente dell'idealismo tedesco; la seconda di Solov'ëv (1853-1900), filosofo, teologo, poeta e critico letterario russo; la terza di Edith Stein (1891-1942), religiosa e filosofa tedesca, morta nel campo di concentramento di Auschwitz e proclamata santa nel 1998.
All'inizio del Seicento, nel periodo che si apre con la "guerra dell'Interdetto" tra Venezia e Roma e si chiude con la riconquista asburgica della Boemia, la possibilità di una riconciliazione tra i fronti confessionali appare un progetto realizzabile, quantomeno agli occhi di una minoranza di intellettuali, in stretto contatto epistolare tra loro. Grozio, Bacone e Sarpi, impegnati ai massimi livelli della vita politica, filosofi come Keplero, filologi come Isaac Casaubon, vescovi come De Dominis e Lukaris, pur appartenendo a confessioni diverse, condividono un ideale di riconciliazione religiosa fondato sul rifiuto del primato del dogma sulla convivenza civile e sulla necessità di adottare un cristianesimo essenziale nei suoi tratti dottrinali. Fede, scienza e politica si intrecciano in una compiuta ideologia che attribuisce alla sovranità politica il compito della coesione, che supera il paradigma filosofico aristotelico e il predominio della teologia scolastica e che, per alcuni anni, coincidenti con la prima fase del regno di Giacomo I in Inghilterra, sembra prefigurare un'età aurea di pace, ben presto smentita dallo scoppio della Guerra dei trent'anni.
Il successo commerciale e mediatico della Passione di Cristo di Mel Gibson (2004), seguito due anni dopo dall'ampia distribuzione che ha accompagnato l'uscita del film Nativity di Catherine Hardwicke, ha riacceso l'interesse di Hollywood per la figura di Gesù e per i temi della Bibbia.
L'attenzione agli immaginari di tipo mitico-religioso nella cultura di massa non è certo una novità per l'industria cinematografica americana, come testimonia la figura del regista e produttore Cecil B. DeMille (1881-1959). Con il grande successo dei Dieci comandamenti (1923) e del Re dei Re (1927) egli ha infatti notevolmente contribuito a rendere il cinema consapevole delle proprie possibilità come veicolo di mentalità e serbatoio dell'immaginario sociale.
Sommario
I. Cinema e religione nell'era dei blockbusters. II. DeMille e la messa in scena del desiderio negato. III. Gesù e il triangolo sentimentale. IV. L'emozione religiosa e l'etica del successo. V. Il Decalogo, ieri e oggi. VI. Tornare ai sani principi: Bibbia, cinema e politica. VII. Nel paese della libertà. Conclusione. Bibliografia.
Note sull'autore
Davide Zordan ha ottenuto il dottorato in teologia presso l'Institut d'Études Théologiques di Bruxelles ed è ricercatore presso il Centro per le scienze religiose della Fondazione Bruno Kessler. Insegna inoltre teologia fondamentale al Corso superiore di scienze religiose di Trento. I suoi studi riguardano in particolare l'estetica teologica e le dinamiche del credere nel contesto contemporaneo. È caporedattore della rivista Cabiria. Studi di cinema e membro del comitato di redazione di Studia Patavina e dello staff direttivo del Religion Today Film Festival. Ha pubblicato Connaissance et mystère. L'itinéraire théologique de Louis Bouyer (Éditions du Cerf, 2008) e Louis Bouyer (Morcelliana, 2009). Per EDB ha curato Riflessi di bellezza. Arte e religioni, estetica e teologie (2007) e, con Stefanie Knauss, La promessa immaginata. Proposte per una teologia estetica fondamentale (2012).
Intellettuale celebre per la causticità e l'originalità dei suoi giudizi, Hannah Arendt disegna un ritratto di Giovanni XXIII privo di remore o timori reverenziali. Non sono le doti intellettuali del pontefice ad attirare la sua attenzione, ma l'autenticità della sua religiosità e, ancor più, i suoi risvolti profondamente umani. Il breve saggio, un piccolo gioiello apparso la prima volta nel 1965 sulle pagine della New York Review of Books, è anzitutto il resoconto di una individualità esemplare. Di Papa Roncalli, l'autrice di Vita activa coglie innanzitutto l'umiltà e la capacità di non cedere al culto moderno per la soggettività. Una qualità umana che non va confusa con la modestia, ma che è condizione indispensabile per il dispiegarsi di una personalità autenticamente indipendente. Un amore per il mondo tutt'altro che ostinato e possessivo e una religiosità che si manifesta anzitutto come forma di gratitudine per l'esistente consentono a Hannah Arendt di ripetere con Papa Giovanni: «Ogni giorno è buono per nascere, ogni giorno è buono per morire».
Sommario
Introduzione del curatore. Angelo Giuseppe Roncalli: un cristiano sul trono di san Pietro dal 1958 al 1963.
Note sull'autrice
Hannah Arendt (1906-1975), ebrea tedesca, intellettuale tra le più originali della seconda metà del Novecento, è fuggita dalla Germania dopo la presa del potere da parte di Hitler. Tra le sue opere più importanti, dedicate alla natura del potere e alla politica, Le origini del totalitarismo (1951), Vita Activa. La condizione umana (1958) e La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme (1963).
Il 12 aprile 1948 il Times di Londra pubblica la notizia del ritrovamento di alcuni antichi manoscritti nel deserto di Giuda. Per il mondo scientifico internazionale e per l'opinione pubblica non è ancora evidente che si tratta della più sensazionale scoperta archeologica del Novecento.
Nel decennio compreso tra il 1946 e il 1956, in undici grotte vicine all'insediamento di Qumran vengono, infatti, ritrovati, più o meno integri, oltre 900 testi antichi, scritti in prevalenza in ebraico, ma anche in aramaico e greco, che costituiscono una delle più importanti collezioni dell'antichità.
Raccontare la storia del loro ritrovamento e della loro pubblicazione significa addentrarsi in un mondo fatto di scoperte casuali, più o meno leggendarie, legate all'inseguimento di una capra allontanatasi da un gregge di beduini o alla ricerca di un nascondiglio per merce di contrabbando. Le vicende di Qumran sono singolarmente intrecciate con l'attività dei governi e dei servizi segreti dei Paesi del Medio Oriente, con l'idea del tutto infondata di rallentamenti e boicottaggi dovuti al Vaticano, con incontri notturni sotto i ponti di Beirut e con la pubblicazione di libri di carattere scandalistico sul presunto contenuto scabroso dei manoscritti.
Sommario
La scoperta. Il calzolaio di Betlemme. La notizia del ritrovamento. La prima grotta. L'insediamento di Qumran. La quarta grotta e le grotte minori. Gli editori dei frammenti. L'opera di edizione. Il «rotolo del tempio». L'accesso ai manoscritti. Risultati e prospettive. Bibliografia. Versioni digitali. I manoscritti in Internet.
Note sull'autore
SIMONE PAGANINI è professore ordinario di Teologia biblica all'Università di Aquisgrana, in Germania. Dopo studi di Teologia, Filosofia e Orientalistica, è stato assistente alla facoltà di Teologia cattolica dell'Università di Vienna, ricercatore alla facoltà di Teologia evangelica all'Università di Monaco di Baviera, professore associato di Esegesi dell'Antico Testamento all'Università di Innsbruck, in Austria, e ricercatore associato all'Università di Pretoria, in Sudafrica. Per EDB ha pubblicato Qumran le rovine della luna. Il monastero e gli esseni, una certezza o un'ipotesi? (2011) e La Bibbia che Gesù leggeva. Breve introduzione all'Antico Testamento (2013). Con Georg Fischer ha curato il volume Conoscere la Bibbia. Una guida all'interpretazione (2013).
Alcune chiese conservano come reliquie della Passione presunti esemplari dei trenta denari ricevuti da Giuda per tradire Gesù. Ma si ha notizia anche di scudi d'oro macchiati del sangue di san Giovanni Battista e di "medaglie di sant'Elena" la cui iconografia è stata interpretata e travisata con gli occhi della devozione.
Manufatti altamente simbolici il cui significato va ben oltre l'ambito economico, le monete sono state utilizzate in modo rituale nel medioevo e nella prima età moderna. Associate alla ricchezza materiale, esse erano considerate nemiche dell'anima, ma quelle di poco valore godevano di un diverso statuto perché venivano date in elemosina, collocate nelle tombe, inserite nelle fondamenta degli edifici oppure offerte dai pellegrini che raggiungevano Roma, la Terra Santa o Santiago di Compostela. La "bontà" di quelle monete non dipendeva solo dalla loro "povertà", ma anche dalla purezza d'animo di chi le offriva e dall'onestà con cui erano state guadagnate.
Sommario
Introduzione. I. Memoria. II. Monete «buone». III. Pellegrini. IV. Monete miracolose e sanguinanti. V. Le «santalene» o medaglie di sant'Elena. Conclusione. Note.
Note sull'autrice
LUCIA TRAVAINI insegna Numismatica medievale e moderna all'Università degli Studi di Milano. È stata ricercatrice all'Università di Cambridge e ha lavorato per il Ministero dei beni culturali. Autrice di numerose pubblicazioni, ha curato per l'Istituto Poligrafico dello Stato Le zecche italiane fino all'Unità (Roma 2011) e ha ricevuto riconoscimenti in Italia e all'estero (Annual medal 2012 of the Royal Numismatic Society).
Il 17 novembre 1962 il nome di Galileo Galilei risuona inaspettatamente nella basilica di San Pietro, divenuta aula del concilio Vaticano II, solennemente aperto da Giovanni XXIII. La citazione, dopo quattro secoli in cui il «caso» ha offerto cornice a innumerevoli dispute e battaglie intellettuali che hanno coinvolto scienza, diritto e teologia, non è astratta o casuale, ma rientra nel vivo delle discussioni sulla rivelazione ed è in stretto rapporto con il timore di una condanna della curia romana al gesuita Teilhard de Chardin, morto nel 1955.
Contrariamente a quanto si è sempre creduto, l'indiretta citazione di Galileo si riduce, con un'abile mossa, alla rievocazione di un celebre e censurato libro del dotto monsignore Pio Paschini. In questo modo il riferimento allo storico caso, per come esso appare nel Vaticano II, ripropone con forza il tema della funzione del magistero nella vita della Chiesa.
Sommario
Premessa. I. I «casi Paschini». II. Galileo e Teilhard. III. Galileo e il De fontibus. IV. Galileo e il De Ecclesia. V. Processo al Sant'Ufficio. VI. Galileo e la Chiesa. VII. Fede e scienza. VIII. Galileo ad Ariccia. IX. Fuochi finali. Note.
Note sull'autore
ALBERTO MELLONI (1959) è ordinario di Storia del cristianesimo all'Università di Modena-Reggio Emilia e titolare della cattedra Unesco sul pluralismo religioso e la pace all'Università di Bologna. Allievo di Giuseppe Alberigo, dirige la Fondazione per le Scienze religiose «Giovanni XXIII» di Bologna. Collabora con la Rai e con il Corriere della Sera. Ha lavorato alla Storia del Concilio Vaticano II diretta da Giuseppe Alberigo e ha condotto l'Edizione nazionale dei diari di A.G. Roncalli (Istituto per le scienze religiose, 2003-2008), il Dizionario del sapere storico-religioso del Novecento (Il Mulino, 2010) e Cristiani d'Italia. Chiese, società, Stato 1861-2011 (Istituto della Enciclopedia italiana fondata da Giovanni Treccani, 2011). Per EDB ha curato Sette proposte per il Conclave. Attualità e limiti di un memorandum (2013).
Le missioni organizzate dai gesuiti nei territori dell'impero portoghese nella seconda metà del '500 sollevano inedite questioni di carattere morale. Casi di coscienza e interrogativi sull'amministrazione dei sacramenti si inquadrano nel tentativo di stabilire un nuovo ordine in grado di replicare ai Tropici, anche con modalità aggressive e intransigenti, i principali caratteri delle società europee. Attorno al rito del battesimo si elaborano le teorie di legittimazione del colonialismo, al matrimonio si attribuisce il compito di integrare coloni e popolazioni locali, mentre la confessione si dimostra lo spazio privilegiato per colmare la distanza fra codici e norme dell'Europa cristiana e quelli di un mondo che si presenta all'espansionismo lusitano nella sua multiforme, sorprendente differenza.
Hitler è al potere da meno di sei mesi quando il 20 luglio 1933 la Santa Sede stipula il Concordato con il Reich. In quello stesso anno si apre anche il primo grave dibattito teologico all'interno della Chiesa evangelica tedesca di fronte alle pressioni esercitate dal Partito nazionalsocialista per imporsi nella sfera religiosa. Al centro del confronto - che coinvolge figure come Paul Tillich, Dietrich Bonhoeffer e Karl Barth - vi è il cosiddetto «paragrafo ariano», che pone limiti all'assunzione di personale di ascendenza ebraica per le funzioni di pastore e di impiegato nell'amministrazione ecclesiastica. Il tema è in realtà più ampio e riguarda, tra l'altro, l'impianto di un cristianesimo razzista e l'istituzione di comunità separate per i battezzati di origine ebraica. Secondo un costume invalso da secoli, le facoltà teologiche di Marburg e di Erlangen vengono interpellate per responsi dottrinali - qui tradotti per la prima volta in italiano - che sull'ammissibilità del «paragrafo ariano» nella Chiesa esprimono posizioni diametralmente opposte.
Sommario
Premessa. 1. Politica ecclesiastica. 2. Sensibilità teologiche. 3. Manovre legislative. DOCUMENTI. 1. Responso della facoltà teologia dell'Università di Marburg circa il «paragrafo ariano» nella chiesa. 2. Responso teologico circa l'ammissione di cristiani di origine ebraica alle cariche della chiesa evangelica tedesca (Responso di Erlangen). Note.
Note sull'autore
GIANFRANCO BONOLA è docente di Storia delle religioni all'Università di Roma Tre. Ha tradotto in italiano L'essenza del Cristianesimo di Adolf von Harnack (Queriniana 1992) e La stella della redenzione di Franz Rosenzweig (Marietti 1985). Ha inoltre curato Sul concetto di storia di Walter Benjamin (con Michele Ranchetti, Einaudi 1997).
Eroina di un breve libro di soli quattro capitoli, Rut può essere definita la Cenerentola della Bibbia perché la sua storia sviluppa un tema del folclore universale dalle infinite variazioni, quello di una ragazza di modesta origine che trova un marito ricco e potente, il "principe azzurro" di tante fiabe popolari. Poiché è povera, vedova, straniera e senza figli, cioè nella peggiore condizione per una donna del mondo antico, gli ostacoli che la separano dal matrimonio con il facoltoso Booz si accumulano. Tuttavia, la generosità della protagonista e la sua nobiltà di cuore le attribuiscono i titoli che le consentono di salire nella scala sociale e che le permettono di ottenere, anche se straniera, l'equivalente del "diritto di cittadinanza". Sotto un'apparente semplicità, il breve libro biblico rivela una grande ricchezza di significati e attribuisce a Rut il compito di impersonare la presenza di Dio e di divenire strumento della sua grazia. Con il testo integrale del libro di Rut dalla Bibbia di Gerusalemme.
Con l'affermazione che il magistero della Chiesa non è al di sopra della Sacra Scrittura, ma al suo servizio, la Riforma protestante accende un dibattito che ha conseguenze sull'intero cristianesimo occidentale e sulla cultura europea della prima età moderna. Lo sforzo di procedere nel solco della teologia medievale, il vigoroso tentativo umanistico di privilegiare la Bibbia alle cerimonie e ai riti esteriori e l'applicazione pratica del principio del sola scriptura come unica fonte della rivelazione e norma della fede non sono tuttavia né semplici né pacifici. Se in campo cattolico questo tema diviene la prima questione teologica di peso affrontata al Concilio di Trento, con dibattiti accesi e prolungati, in ambito protestante si verifica un processo di identificazione tra Scrittura e Parola di Dio che produce l'effetto di considerare la Bibbia un libro ispirato persino nell'apparato di vocalizzazione del testo ebraico. L'insolita "battaglia delle vocali" che ne deriva scuote le Chiese riformate per oltre mezzo secolo e mostra i limiti e la grandezza del protestantesimo del Seicento nel mezzo di una transizione epocale dall'aristotelismo al cartesianesimo.
Il luogo della nascita di Gesù, il sepolcro della sua famiglia, la grotta in cui viveva Giovanni Battista, la tomba di re Erode, il ritrovamento a Gerusalemme di un lenzuolo funebre che rimetterebbe in discussione l'autenticità della Sindone. Sono solo alcuni esempi di "clamorosi ritrovamenti" e di "sensazionali scoperte" che, nonostante indizi poco chiari, prove fragili e vistose manipolazioni, alcuni archeologi hanno affidato all'amplificazione dei massmedia internazionali infuocando l'immaginario comune. Si tratta di "trionfali annunci" che rischiano di lasciare in ombra e in secondo piano il prezioso lavoro degli studiosi interessati ad avvicinare l'uomo di oggi all'ambiente sociale e culturale del mondo biblico attraverso gli scavi e l'analisi attenta delle antiche testimonianze materiali.
Descrizione dell'opera
Come si può interpretare la relazione tra Francesco e Chiara d'Assisi? Film e romantici lungometraggi hanno messo le ali alla fantasia sollevando l'interrogativo: erano innamorati, amici, alleati? Siamo di fronte a una coppia mistica o alla tragica storia d'amore tra due santi? A una delicata complicità fatta di vicendevole arricchimento o a un'affettività plasmata dalla castità evangelica?
Attraverso la lettura critica delle riflessioni di Leonardo Boff, Marco Bartoli, Jacques Dalarun, Helmut Feld e Margaret Carney, il saggio indaga il rapporto tra il giovane commerciante di tessuti e la figlia della nobiltà, mettendo in luce l'autonomia di entrambi e il loro vicendevole accordo.
Il volume prosegue una collana di brevi saggi di tema teologico, filosofico, storico, archeologico o di spiritualità, affrontati da specialisti di grande competenza, noti e meno noti, che offrono uno sguardo inedito sull'aspetto preso in considerazione. Si tratta di argomenti di interesse culturale che spesso intersecano l'attualità.
Sommario
Introduzione. 1. Leonardo Boff. 2. Marco Bartoli. 3. Jacques Dalarun. 4. Helmut Feld. 5. Margaret Carney. 6. La ricerca storica. 7. Innamorati, amici, alleati? Note.
Note sull'autore
NIKLAUS KUSTER è docente di Storia della spiritualità e francescanesimo alla Philosophisch-Theologische Hochschule di Münster, di Storia della chiesa e spiritualità nelle Università di Lucerna e Friburgo e di spiritualità francescana e clariana alla ESEF di Madrid. In italiano è stato tradotto il volume Francesco d'Assisi. Maestro di spiritualità (Edizioni Messaggero, 2004).
Descrizione dell'opera
La libertà di culto concessa ai cristiani nell'anno 313 con l'editto degli imperatori Costantino e Licinio ha dato origine a una «buona pratica» di devozione e penitenza - il pellegrinaggio in Terrasanta - che ha prodotto resoconti e guide di viaggio spesso arricchiti da minuziose descrizioni dei luoghi.
Con comodità e relativa sicurezza, i pellegrini potevano percorrere le strade mantenute in efficienza dall'apparato amministrativo dell'Impero Romano per le necessità del servizio postale, che per il suo funzionamento disponeva di dettagliati documenti itinerari.
Quel poco che è sopravvissuto al naufragio pressoché totale degli scritti di carattere pratico dell'antichità permette oggi di ricostruire il canovaccio essenziale del percorso sul principale asse di collegamento tra l'Europa e la Terrasanta nel IV secolo, momento di esplosione del pellegrinaggio cristiano.
Il volume prosegue una collana di brevi saggi di tema teologico, filosofico, storico, archeologico o di spiritualità, affrontati da specialisti di grande competenza, noti e meno noti, che offrono uno sguardo inedito sull'aspetto preso in considerazione. Si tratta di argomenti di interesse culturale che spesso intersecano l'attualità.
Sommario
Introduzione. I. LA STRADA ROMANA. II. ITINERARI, GUIDE E MEMORIE DI VIAGGI. Itinerari scritti. L'Itinerarium Antonini. Carte itinerarie. La Tabula Peutingeriana. Memorie di pellegrinaggi. L'itinerario di Eteria. III. IL DIARIO DI VIAGGIO DEL PELLEGRINO DI BORDEAUX. Itinerarium Hierosolymitanum o Burdigalense. Inquadramento storico. Analisi dell'itinerario. L'autore. IV. LA VIA DEI PELLEGRINI NEL IV SECOLO. Bitinia. Galazia. Cappadocia. Cilicia. Siria. Fenicia. I luoghi santi. La Città Santa. Pellegrinaggio al Giordano. Pellegrinaggio a Hebron. Conclusione. Note. Mappe e itinerari. Bibliografia.
Note sull'autore
GIOVANNI UGGERI è professore ordinario di Topografia antica all'Università La Sapienza di Roma. Autore di numerose pubblicazioni scientifiche, è direttore del Journal of Ancient Topography, la rivista che pubblica studi di topografia e urbanistica del mondo classico.
La morte di papa Paolo VI, avvenuta nell'estate del 1978 a pochi mesi dall'omicidio di Aldo Moro, segna un passaggio decisivo per la Chiesa cattolica e riaccende il dibattito sul concilio Vaticano II. In quei mesi, un gruppo di studiosi e ricercatori dell'Istituto di scienze religiose di Bologna, nato dall'intuizione di Giuseppe Dossetti, decide di scrivere un memorandum per i cardinali convocati in Conclave. Non si tratta di un appello pubblico o di un'azione di lobbying a favore di un candidato, ma di una riflessione riservata sul "rinnovamento del servizio papale nella Chiesa alla fine del XX secolo" volta a suggerire al nuovo pontefice atteggiamenti, idee, letture. Redatto inizialmente da Giuseppe Alberigo, Giuseppe Ruggieri e Massimo Toschi, il documento riceve apporti di altri, primi fra tutti Antonio Acerbi ed Enzo Bianchi, e viene recapitato ai cardinali prima dell'elezione di Giovanni Paolo I. Il memorandum torna a più riprese sui modi di un esercizio collegiale, e per questo libero, credibile, povero, del ministero petrino ed evoca i grandi nodi di un cattolicesimo che ha davanti a sé la possibilità di una riforma. Quel documento, riletto a distanza di 35 anni e dopo la rinuncia di papa Benedetto XVI, rivela visioni datate, ma anche una paradossale attualità poiché rimette al centro i temi della povertà, della collegialità, della credibilità ecumenica e della magnanimità misericordiosa verso tutti.
La Chiesa ha dato un rilevante contributo alla nascita della moderna società dell'organizzazione e le regole degli ordini religiosi, dai francescani ai benedettini, si possono interpretare come il tentativo di armonizzare necessità di governo e istanze spirituali, povertà evangelica e guida delle istituzioni. Proprio la dimensione spirituale viene oggi evocata come decisiva per il futuro dell'economia e per lo sviluppo di un più moderno, cosciente e responsabile management della cura collettiva, della salute, del cambiamento, della qualità e del personale. La crescente richiesta di attribuire un senso al lavoro, di gestire relazioni in modo aperto e onesto e di governare i conflitti richiede una cultura d'impresa innovativa, capace di recuperare in modo autentico e credibile il servizio come una delle categorie fondamentali della direzione cristiana e la fiducia come un pilastro dell'agire d'impresa. Il volume prosegue una collana di brevi saggi di tema teologico, filosofico, storico, archeologico o di spiritualità, affrontati da specialisti di grande competenza, noti e meno noti, che offrono uno sguardo inedito sull'aspetto preso in considerazione. Si tratta di argomenti di interesse culturale che spesso intersecano l'attualità.
Descrizione dell'opera
Il 20 marzo 1939 la Segreteria di Stato vaticana invia all'Ambasciata italiana presso la Santa Sede una durissima nota relativa alla rivista di propaganda La Difesa della razza, diretta da Telesio Interlandi. Il periodico, al quale tutti gli istituti di istruzione, anche quelli cattolici, sono obbligati ad abbonarsi, viene tenuto sotto stretta osservazione e persino la sezione della censura libraria del Sant'Uffizio ritiene di dover aprire un fascicolo. L'inconciliabilità tra l'ideologia razzista e la dottrina cattolica, già denunciata da Pio XI subito dopo l'approvazione delle leggi antisemite del 1938, rivela la consapevolezza che la posta in gioco è molto alta e investe in pieno l'identità della Chiesa, preoccupata per la carica di aggressivo paganesimo che si annida dietro la svolta razzista del regime. La controversia sulle categorie di "romanità" e "cattolicità" rinvia a due visioni alternative e inconciliabili del ruolo svolto da Roma nella storia dell'umanità e chiarisce i termini di un conflitto emerso, anche se in forma latente, sin dalla Conciliazione del 1929.
Il volume prosegue una collana di brevi saggi di tema teologico, filosofico, storico, archeologico o di spiritualità, affrontati da specialisti di grande competenza, noti e meno noti, che offrono uno sguardo inedito sull'aspetto preso in considerazione. Si tratta di argomenti di interesse culturale che spesso intersecano l'attualità.
Sommario
1. Critica al razzismo. 2. Polemiche sulla cattolicità. 3. Neocattolicesimo fascista. 4. Sfide alla Chiesa. Appendice documentaria. Abbreviazioni e sigle. Note.
Note sull'autore
GABRIELE RIGANO, ricercatore di Storia contemporanea all'Università per Stranieri di Perugia, redattore capo di Storia e Politica. Annali della Fondazione Ugo La Malfa, è autore di saggi di storia religiosa e politica del Novecento. Per Guerini e Associati ha pubblicato Il caso Zolli. L'itinerario di un intellettuale in bilico tra fedi, culture e nazioni (Milano, 2006) e Il podestà «Giusto d'Israele». Vittorio Tredici, il fascista che salvò gli ebrei (Milano, 2009).
Dalla comparsa del celebre saggio di Darwin sull'Origine della specie (1859) il falso dilemma tra la teoria scientifica dell'evoluzione e la dottrina filosofica e teologica della creazione continua ad accendere gli animi e i dibattiti. Nel quadro di un confronto spesso sospettoso, su cui ancora si allunga l'ombra del "caso Galileo", la scienza tende a confinare la teologia nel deposito dei relitti di un "paleolitico intellettuale", mentre la teologia è tentata di perimetrare i campi della ricerca o di piegarne i risultati in chiave apologetica. Spesso ci si dimentica che la prima disciplina si dedica ai fatti, ai dati, alla "scena" e al "come", mentre la seconda si consacra ai valori, ai significati ultimi, al "fondamento", al "perché". Si tratta di due livelli metodologici, epistemologici e linguistici che appartengono a piani differenti ma che hanno pari dignità, perché ogni ricerca sulla vita umana e sul rapporto con l'universo esige una pluralità armonica di itinerari e di esiti.Assieme al testo di Luciano Lotti, Vita affettiva di Padre Pio. Mondo interiore e cura d'anime nei diari delle figlie spirituali, il volume dà avvio a una collana di brevi saggi di tema teologico, filosofico, storico, archeologico o di spiritualità, affrontati da specialisti di grande competenza, noti e meno noti, che offrono uno sguardo inedito sull'aspetto preso in considerazione. Si tratta di argomenti di interesse culturale che spesso intersecano l'attualità.
L'uomo tende a interpretare tutto quanto non rientra nella propria esperienza diretta o nel cerchio rassicurante della tribù come un pericolo, una minaccia anche mortale. Di qui i suoi atteggiamenti aggressivi, per cui il diverso e l'altro vengono intesi come un nemico potenziale o reale. Un pregiudizio che continua ad alimentare i tanti conflitti che squassano le società contemporanee. (Introduzione di Ernesto Ferrero)
In questo libro, le definizioni di etica e laicità non sono poste - come spesso si intende - in un ruolo ancillare rispetto alle religioni, ma in una loro precisa autonomia, come vera e propria risorsa in grado di garantire il futuro spirituale dell'umanità. Una riflessione di grande acutezza e modernità sulla falsariga di quella filosofia della concretezza che ha caratterizzato il pensiero del grande filosofo americano. Introduzione di Gianni Vattimo.
Il 7 agosto 1974 un giovane funambolo percorre, a quattrocentododici metri di altezza, lo spazio che separava le Torri gemelle dal World Trade Center. Oggi vive in una cattedrale e il decano che lo ospita dice di lui: "Philippe non crede in Dio, ma Dio crede in Philippe". Il punto di vista di un uomo che percorre il vuoto. Philippe Petit (1949), artista e autodidatta del funambolismo, si esibisce in tutto il mondo da trentacinque anni, più o meno clandestinamente. Oltre a scrivere, tiene seminari sulla creatività e la motivazione, disegna, pratica l'arte dello scasso, è un esperto di vini francesi, ama gli scacchi e padroneggia la tecnica settecentesca della carpenteria in legno. È stato arrestato più di cinquecento volte mentre faceva il giocoliere per strada. Divide il suo tempo fra la Cattedrale di St. John the Divine, dove è Artist in Residence e il suo rifugio nei monti Catskills. Sono stati tradotti in Italia "Trattato di funambolismo" (Ponte alle Grazie 1999), il libro che ha affascinato artisti e intellettuali di tutto il mondo (tra gli altri il regista tedesco Werner Herzog), che ha scritto il testo che appare sulla quarta di copertina, e lo scrittore statunitense Paul Auster, che ha redatto la prefazione) e "Toccare le nuvole" (Ponte alle Grazie 2003). Introduzione di Michele Serra.