Al centro delle "Notti bianche" - racconto pubblicato per la prima volta nel 1848 - c'è un sognatore, un giovane che vive una vita tutta sua, avulsa dalla realtà, fatta di chimere, fantasticherie, impalpabili emozioni. Nelle calde notti senza tramonto di una Pietroburgo estiva e deserta, il timido e notturno protagonista, triste vittima della vita urbana, vagabonda senza meta per la città fra palazzi e canali, e sogna a occhi aperti. Proverà a inseguire l'amore: quello della bella e appassionata Nasten'ka, che però ama, desidera, attende un altro. Così, dopo quattro notti di esaltata eccitazione, l'ultimo mattino porta con sé un amaro risveglio: il disincanto di un addio. Introduzione di Fausto Malcovati.
Il "Galateo ovvero de' costumi", trattato nel quale, sotto la persona di un vecchio idiota ammaestrante un suo giovanetto, si ragiona de' modi che si debbono tenere o schifare nella comune conversazione, così precisa il sottotitolo, fu pubblicato nel 1558 da monsignor Della Casa, nunzio pontificio a Venezia, temperamento mondano, autore di quello che sarà poi l'"Indice dei libri proibiti". Vengono esposte norme sul modo di vestirsi, enumerati tutti i gesti e le cose spiacevoli da evitarsi; è riprovato lo scherno, la beffa, la parola che morde e offende; si suggeriscono i modi del parlare, si consigliano i vocaboli da usare e quelli da evitare. Insomma, biasimando ogni eccesso, l'autore incarna il culto della proporzione proprio del Rinascimento.
"Minima moralia" è un libro fondamentale per la ricostruzione del dibattito filosofico e culturale del Novecento. I suoi aforismi hanno alimentato appassionate discussioni nel mondo accademico, politico e sociale. Adorno li scrisse prevalentemente durante gli anni del suo esilio americano condensando in costellazioni concettuali i principali nuclei tematici del suo pensiero: la messa in discussione della razionalità moderna e occidentale, la critica del fascismo e della personalità autoritaria, lo smascheramento della cultura di massa e delle sue fascinazioni, la possibilità di pensare filosoficamente e teologicamente l'utopia. "Minima moralia" parla con sorprendente freschezza alla teologia contemporanea e può essere giustamente considerato un grande libro della tradizione cristiana. I "classici" infatti prospettano all'interno di una tradizione culturale o religiosa nuovi stili di riflessione e inediti orizzonti di ricerca, hanno inoltre il potere di avvicinare e convocare persone diverse per formazione, sensibilità e cultura. Nei singoli aforismi è all'opera un pensiero "in uscita" che non teme di riconoscere i propri limiti e non ha paura della propria incompletezza, un pensiero che rimanda costantemente ad "altro da sé" scegliendo la via dell'abbassamento, mostrando la rilevanza degli scarti e dei frammenti.
Nel pieno di un cambiamento d'epoca che coinvolgeva e sconvolgeva tanto il piano civile quanto quello ecclesiastico, papa Gregorio I (590-604), detto Magno, impegnò i primi mesi del proprio pontificato per redigere un piccolo libro che avrà una lunghissima storia degli effetti, fino a noi: la Regola Pastorale. Una «regola» scritta esplicitamente per formare a un'«arte» - anzi alla suprema delle arti: la cura delle anime - che, tuttavia, è stata nei secoli letta come un vademecum per predicatori, un manuale per governanti, un trattato sul ministero ordinato o una sorgente zampillante di sguardi misericordiosi sulla vita e sull'umanità. E forse anche molto altro. In questo volume si offre un'introduzione al libro, presentandone il contesto, la struttura, i temi principali e offrendo alcune brevi riflessioni su quali aspetti della vita credente potrebbe ancora nutrire oggi.
Nella Guerra giugurtina, Sallustio dà la misura del suo valore di storico della latinità. Traccia perfette sintesi delle idee e della società del suo tempo denunciando l'incompetenza della nobiltà nelle questioni belliche ed elogiando la vitalità imprenditoriale della nuova classe mercantile. La storiografia sallustiana è una cronaca vivace ma soprattutto un'indagine sulle cause che legano l'intreccio degli avvenimenti, condotta da un protagonista della vita politica romana. Lo stile di Sallustio è aspro, serrato, veloce nell'esposizione dei fatti. Il suo modo di fare storia ha avuto una lunga e profonda influenza sugli annalisti successivi.
La favola di Cenerentola comincia da qui. Quella tratta dal "Cunto de li cunti" (1634-36) è la più antica versione del tradizionale racconto di Cenerentola, che ha poi ispirato Perrault e i fratelli Grimm. La giovane Zezolla, figlia di un principe, viene indotta dalla propria istitutrice a uccidere la matrigna, che sempre si è mostrata crudele con lei. Quando il padre decide di prendere in moglie la maestra, Zezolla, scalzata dalle sei figlie di lei, finisce al lavoro nelle cucine, disprezzata e apostrofata come la "Gatta Cenerentola". Completano il volume tre delle più apprezzate fiabe del "Pentamerone": "La pulce", "La cerva fatata", "La vecchia scorticata".
Dopo la stagione epica e prima della grande età del dramma, la Grecia conosce il fiorire di un altro genere letterario, convenzionalmente noto con il nome di lirica. Tra i secoli VII e VI, la sua mappa geografica si estende dall'Asia alle isole dell'Egeo, fino alla Sicilia. La tradizione della lirica, come già quella dell'epica, è orale; ne discendono caratteri stilistici peculiari: periodi brevi, immediatezza espressiva, uso frequente di immagini e metafore. Il repertorio dei temi è vastissimo e porta il sigillo della concreta esperienza soggettiva, reale o intellettuale, fisica o psicologica.
Le 95 tesi di Lutero sono uno dei testi fondamentali della cristianità. Dalla loro affissione al portale della cattedrale di Wittenberg, il 31 ottobre 1517, prende le mosse il distacco dalla chiesa di Roma e, di fatto, l'inizio della Riforma religiosa luterana. In aperta polemica con la pratica delle indulgenze e delle opere devote largamente accolta e caldeggiata dalla chiesa cattolica, Lutero - riprendendo il dettato delle lettere paoline - sostiene che l'unica via per la salvezza dell'uomo sia la grazia divina. A cinque secoli di distanza il lettore troverà in queste parole l'eco di una frattura che ancora oggi segna l'identità europea. Introduzione di Domenico Segna.
Composta nella prima metà del XII secolo, l'Edda costituisce uno dei principali monumenti della letteratura islandese medioevale e della tradizione della poesia scaldica. Testo fondamentale per la conoscenza del patrimonio mitologico nordico e del credo religioso della Scandinavia pagana, nonché delle interazioni e tensioni tra paganesimo e cristianesimo, è un'opera in cui rifulge il talento di Snorri Sturluson: non soltanto poeta, storiografo e studioso, ma anche narratore di miti e leggende. Snorri Sturluson è noto soprattutto come autore dell'Edda detta "in prosa" per distinguerla dal testo in poesia, forse più antico, cui si attribuisce lo stesso titolo (Canzoniere eddico).
Seguito di "Alice nel Paese delle Meraviglie", "Attraverso lo specchio" (1871) ne riprende i personaggi e le ambientazioni fantastiche, pur in una chiave meno trasognata e più malinconica. Nel mondo a rovescio che Alice trova al di là dello specchio di camera sua, sei mesi dopo il suo primo viaggio nel paese delle meraviglie, è valida una sola regola: credere all'impossibile. Le carte da gioco si tramutano qui nei pezzi di una scacchiera; la sequela di imprevisti e trabocchetti in una sfrenata corsa tra filastrocche, poesie, giochi. E mentre Alice si muove sulla scacchiera, di casella in casella, impara a difendersi, a dire la sua, a entrare nel gioco dell'eccentrico e dell'incredibile, a capire e a simpatizzare con gli esseri stravaganti che incontra, allucinati ma ricchi di umanità. Età di lettura: da 8 anni.
La storia di Mowgli, il "cucciolo d' uomo" allevato da un branco di lupi nel cuore della giungla indiana, è uno dei miti letterari più famosi e amati della storia. Via via che affronta una serie di appassionanti avventure che lo trasformeranno da bambino in uomo, Mowgli incontra e stringe amicizia con gli animali della foresta, che si trasformano in altrettanti indimenticabili personaggi: il saggio e scontroso orso Baloo, la pantera nera Bagheera, simbolo del coraggio, e specialmente il pitone bianco Kaa, interprete di significati mistico-filosofici ispirati alla tradizione indiana. Antagonista assoluta è la tigre, Shere-Khan, che incarna la volontà di morte e di distruzione opposta al senso di amicizia e di solidarietà che accomuna gli abitanti della giungla.
Tra le stradine del centro storico di Budapest, ce n'è una il cui nome nessuno potrà mai scordare: è la via Pàl, la via in cui la giovinezza dura in eterno. Sono i primi anni del Novecento: i magniloquenti palazzi asburgici sono poco distanti, come il lento e solenne scorrere del Danubio. Qui, in un lotto di terreno abbandonato e usato come deposito di legname, ha il suo quartier generale una banda di ragazzi del ginnasio, capitanata dal virile e leale Boka. Loro rivali giurati sono le Camicie Rosse, acquartierate nell'Orto Botanico e guidate dal temibile e fiero Feri Àts. Le due bande, organizzate come veri e propri eserciti, si contendono il controllo del territorio, oltre che la palma del più forte. Ma il mondo degli adulti, freddo e ostinato, detta legge: il campo di gioco viene occupato dalle costruzioni e la storia dei ragazzi di via Pàl ha la sua mesta e prosaica conclusione segnando la fine di un'età spensierata, piena di sogni e di generosi ideali. Prefazione di Giuseppe Maugeri. Età di lettura: da 10 anni.
"Cimbelino", rappresentato in vita dell'autore ma pubblicato solo postumo nel 1623, è un dramma romanzesco che curiosamente combina un episodio di storia britannica all'epoca della dominazione romana con una novella del Decamerone. Protagonista del dramma è la bella e innocente figlia di Cimbelino, Imogene, che si trova al centro di una complessa rete di forze che vorrebbero imporle le nozze con il figlio della matrigna. Solo dopo un'innumerevole serie di equivoci, travestimenti e colpi di scena, Imogene riuscirà a riabbracciare il marito segreto Postumo, a ricongiungersi con il padre e a propiziare una nuova alleanza tra romani e britanni. Introduzione di Nemi D'Agostino.
A Saint-Helme, gli Hardelot svolgono da sempre il mestiere di cartai, di padre in figlio. Pierre, erede di nome e patrimonio, è fidanzato con Simone, una giovane poco attraente ma un buon partito; è però innamorato di Agnès, con la quale è cresciuto. Le loro famiglie non si frequentano: Agnès appartiene alla piccola borghesia e non ha dote. Alla vigilia del matrimonio, e dello scatenarsi della drammatica sequela di guerre che sconvolgerà l'Europa del Novecento, Pierre decide di voltare le spalle alla tradizione familiare e alle convenzioni sociali sposando la donna che ama, rifiutando il ruolo di erede e rivendicando quello di uomo libero e innamorato.
La straordinaria sensibilità e lo scavo psicologico di Eschilo non solo danno vita nel suo teatro a personaggi grandiosi e complessi, ricchi di risvolti, ma fanno irrompere sulla scena, e con la massima violenza, le grandi questioni politiche e sociali dell'epoca, incredibilmente attuali e moderne: il diritto d'asilo, il sorgere dello stato dalle ceneri delle lotte intestine, la necessità del voto e della democrazia. Il linguaggio è ricchissimo di risorse e accosta registri lirici ed epici, espressioni del parlar comune o dialettali, e quando si gonfia e tende al solenne ha sempre, come in Shakespeare, il crisma dell'autenticità. Introduzione di Umberto Albini.
Hardy è un meraviglioso creatore di figure femminili, e Batsceba, la protagonista di "Via dalla pazza folla", è la prima e la più incantevole di esse. Irrequieta e indipendente, intelligente e svagata al tempo stesso, crede di raggiungere una completa autonomia quando eredita un magnifico podere e un'antica casa signorile. Ma la bella forestiera finisce col trovarsi contesa fra tre pretendenti: lo sfortunato, ma forte e sereno Oak, suo lavorante e fattore; il ricco fittavolo Boldwood, grave e austero; lo spregiudicato sergente Troy. È quest'ultimo ad avere la meglio sulle prime, ma alla fine sarà Oak con la sua cieca e malcompresa devozione a salvare le sorti della padrona e del piccolo mondo bucolico di Watherbury dai rovesci della sorte. Affascinante ballata rurale e primo grande romanzo di Hardy, "Via dalla pazza folla" (1874) è insieme il punto di passaggio fra la maniera idillica degli esordi e la visione tragica della maturità.
Il 10 marzo 1762 il protestante Jean Calas viene giustiziato in una piazza di Tolosa, di fronte a una folla inferocita. L'accusa è quella di aver ucciso il figlio, sospettato di volersi convertire al cattolicesimo. Nonostante l'inconsistenza delle prove e l'arbitrarietà di un processo che risponde più alle storture del fanatismo religioso che al rigore della ragione e della giustizia, la supplica di Calas - che fin sul patibolo non cessa di protestare la propria innocenza - rimane inascoltata. Non da Voltaire, che impugna la penna contro questa palese ingiustizia. L'anno successivo viene pubblicato il breve e fulminante "Trattato sulla tolleranza". Non solo Voltaire chiede la riabilitazione della memoria di un padre amorevole e di un uomo innocente: la sua invocazione assume i toni di un'accorata denuncia del fanatismo religioso e della superstizione, di un vibrante appello alla tolleranza e alla libertà di pensiero destinato a risuonare nei secoli a venire.
"Suite francese", pubblicato postumo nel 2004, è l'ultimo romanzo di Irène Némirovsky. Scritto agli albori del secondo conflitto mondiale a Issy-l'Évèque, in Borgogna, è un affresco spietato, composto quasi in diretta, della disfatta francese e dell'occupazione tedesca, in cui le tragedie della Storia si intrecciano alla vita quotidiana e ai destini individuali. È un caleidoscopio di comportamenti condizionati dalle aberrazioni della guerra, dalla paura, dal sordido egoismo, dalla viltà, dall'indifferenza, dagli istinti di sopravvivenza e di sopraffazione, dall'ordinaria crudeltà, dall'ansia di amore. È il racconto della passione, ambigua e tormentata, che nasce tra una giovane donna il cui marito è disperso al fronte e un ufficiale tedesco. Con lucida indignazione ma anche con pietà, Némirovsky mette a nudo le dinamiche profonde dell'esistenza umana di fronte alle prove estreme e scrive un insperato capolavoro della letteratura del Novecento.
A Ginevra, nella fredda e piovosa estate del 1816, Mary Shelley scrive, a soli diciannove anni e in attesa del secondo figlio, la terrificante storia di un mostro, il più famoso "uomo artificiale" della letteratura. Il protagonista di Frankenstein non è l'automa stolido e brutale reso popolare da tante trasposizioni cinematografiche, che semina il terrore per appagare un'insaziabile sete di sangue. La creatura nata dall'audace progetto di un moderno Prometeo è un fratello gotico di Edipo: uccide per vendicarsi dell'indifferenza del suo artefice che, accecato da una folle e smisurata ambizione scientifica, lo ha prima assemblato con membra umane, poi gli ha dato la vita e infine l'ha rinnegato e maledetto per il suo aspetto ripugnante, simbolo del fallimento del proprio ingegno di inventore. Ispirato al mito antichissimo dell'uomo che si fa dio e accende la scintilla della vita, il racconto sostituisce al prodigio la chimica e il galvanismo, e intreccia al plot riflessioni sui temi al centro del dibattito speculativo dell'epoca: l'ambiguità della scienza, la paura della diversità, l'originaria bontà della natura umana, la necessità della bellezza, il mistero delle origini della vita. Introduzione di Maria Paola Saci.
Primi anni Venti. Uno scandalo sconvolge la sonnolenta vita di un lussuoso hotel della Costa Azzurra: Madame Henriette, moglie e madre irreprensibile, fugge nottetempo con un giovane bellimbusto francese appena conosciuto. Subito, la tresca infiamma il pettegolezzo tra i villeggianti: unico a prendere le difese della donna è il narratore-protagonista. Colpita dall'accaduto, Mrs. C, una distinta gentildonna inglese, decide di confessare proprio a lui il suo più intimo e scandaloso segreto: il racconto delle ventiquattr'ore che trent'anni prima cambiarono per sempre la sua vita. Alternando con maestria tensione narrativa e sottile indagine psicologica, Zweig ci regala un racconto moderno e appassionato sull'imprevedibilità del destino e la forza incontrollabile dei sentimenti.
"Sottosuolo" è la sfera della vita psichica, nella sua intimità libera e irrazionale, necessariamente in urto con le leggi del mondo esterno. È disarmonia radicale tra l'informe privato e l'ordine "di facciata", che alimenta una perpetua e morbosa irritabilità, un costante senso di irrequietezza e di risentimento. È assenza di legge o convenienza imposta dalla società o dal prossimo. L'uomo autentico non è l'uomo esteriore, la maschera esibita per il mondo, ma quello interiore, che si rifugia e si nasconde nel proprio io. "Memorie dal sottosuolo" è un'opera fondamentale nel percorso dell'autore: d'ora in poi tutti i personaggi di Dostoevskij avranno un "sottosuolo" e vi si immergeranno per poi risorgere rigenerati o per affondarvi senza speranza. Introduzione di Fausto Malcovati.
Sei anni di incessante lavoro precedono l'uscita del libro, nel 1910, e dieci anni di "siccità" artistica la seguono. Sorta di romanzo-diario autobiografico in cui il protagonista, alter ego di Rilke, annota sogni, incubi, reminiscenze dell'infanzia e meditazioni sulla morte, Malte è la testimonianza artistica, e per molti aspetti rivoluzionaria, di una tormentosa condizione umana: quella dell'artista chiuso nella propria interiorità che, in una Parigi trasognata e allucinata, sperimenta la solitudine e la paura, la miseria ma anche l'ansia di Dio. Libro che riesce a tradurre in parola gli eventi infimi e impercettibili come anche l'orribile e il terribile, il "Malte" si colloca sulla soglia della modernità letteraria: prova sconcertante della crisi del romanzo ottocentesco, precorre la narrativa esistenzialista del secondo dopoguerra. Introduzione, traduzione e note di Furio Jesi.
Autentico capolavoro del teatro barocco, l'opera mette in scena il conflitto tra libertà e destino, vita e sogno (un sogno presunto, insinuato da altri), verità e ingannevole apparenza. "Sogno" infatti non è emblema solo d'una condizione sfuggente e precaria, ma anche d'uno strato di finzione e di menzogna, di paralisi parziale della volontà, di un'angoscia esistenziale "il delitto d'esser nato" - che consiste nel non poter imporre agli altri il proprio essere e il proprio esistere. Introduzione di Andrea Baldissera.
Le "Confessioni" di Agostino iniziano un'epoca nuova del pensiero filosofico. Non c'è, per imparare la sapienza, altro curriculum che l'ordine dei giorni, altra "via" che un percorso esistenziale. Quello dell'esistenza ansante e inappagata, che non si è sottratta alle comuni speranze e disperazioni, che ha corso in lungo e in largo la terra e ha voluto sperimentare ogni cosa umana, senza tenerne a distanza alcuna, assaporandole tutte o lasciandosene urtare, ferire, dominare, invece di limitarsi a esercitare il sereno potere della vista, che le domina da lontano. La metafisica non si svela veramente che nello specchio - e nell'enigma - di un destino personale.
Nell'atmosfera immateriale del "Paradiso" si stemperano, tra visioni ineffabili ed estatici rapimenti, i gorghi tumultuosi della natura umana. E la cantica di Beatrice, ormai beatificata, guida amorosa e teneramente sollecita dei misteri di Dio. Ma è anche la cantica del riscatto del poeta: la sorte personale di Dante raggiunge finalmente la catarsi. A lui, vittima dell'ingiustizia e dei disordini degli uomini, spetta il compito di rivelare le verità divine e il futuro avvento di un mondo giusto. Le invettive, le polemiche, le dure condanne di uno spirito forte si placano nell'ardore profetico, nella consapevolezza di una pace meritata, di una missione compiuta, di una pienezza raggiunta.
Se l'Inferno è la cantica più drammatica, rutilante e movimentata, nel Purgatorio, l'unico regno oltremondano non eterno, predominano i toni elegiaci, i colori tenui della mestizia e del dolore che redime. Dal coro dolente e sospiroso dei peccatori che sono disposti sulle sette balze di una montagna dominata dal paradiso terrestre, non emergono più i lividi simboli della disperazione perenne, ma rassegnate e come velate creature che il poeta disegna affettuosamente.
Nel mondo contemporaneo i nomi di Tristano e Isotta devono sicuramente parte della loro fama all'opera musicale di Wagner, ma la loro vicenda affonda in una sorta di "trama narrativa" che ha preso forma in più opere letterarie di epoca medievale. Quella di Thomas - databile intorno al 1170 - è chiamata "versione cortese", perché alle sofferenze degli amanti è dato un significato, un carattere, che discende appunto dalle concezioni dell'"amor cortese". Questo mito dell'amore fatale è sopravvissuto al mondo medievale grazie anche alle molte rivisitazioni romantiche e non ha ancora cessato di avvincere e affascinare.
Autore che sfugge a qualsiasi etichetta, ferocemente introverso, acuto osservatore del decadimento intellettuale e morale della società russa, Cechov anticipa caratteri e temi del moderno teatro novecentesco. L'attitudine rassegnata e dolente di fronte a un ineluttabile sempre sottinteso, l'attenzione quasi morbosa per il dettaglio psicologico aberrante e rivelatore, la capillare ricostruzione di atmosfere più che di vicende, sono alcuni degli elementi caratteristici del suo teatro, modellato sul tragico quotidiano, sul sentimento della "mancanza", sulle minute pene dell'esistenza umana che celano l'incapacità di trovare una ragione di vita. Il volume contiene le seguenti opere: Sulla strada maestra; Il canto del cigno; Sul danno del tabacco; L'orso; La proposta di matrimonio; Tat'jana Repina; Tragico suo malgrado; Le nozze; La notte prima del processo; L'anniversario; Ivanov; Il gabbiano; Zio Vanja; Tre sorelle; Il giardino dei ciliegi. Introduzione di Fausto Malcovati.
Capolavoro della letteratura mondiale, Don Chisciotte inaugura la grande stagione del romanzo moderno. Scritto con l'intento di parodiare i libri di cavalleria, narra le gesta di un nobile hidalgo spagnolo, idealista e folle, e del suo fido scudiero Sancho Panza, dal tenace e realistico buon senso. Sul filo di vicende grottesche e sconclusionate dominate dall'animo visionario del protagonista, i due vanno verso "un destino di sconfitta e di smentita". Ma dietro una realtà disincantata e triste, permane nel romanzo un sorriso di saggezza, che guarda a tutte le illusioni con animo sereno, non ripudiandone nessuna, perché tutte sono proprie dell'uomo. Introduzione di Dario Puccini.
"Pubblicato nel 1813, Orgoglio e pregiudizio è l'opera più popolare della Austen, la più perfetta per equilibrio di struttura narrativa e smalto di stile", scrive Attilio Bertolucci nell'introduzione. "Intorno al personaggio di Elizabeth, bella senza essere bellissima, intelligente e ferma senza essere dura, viene fuori nella sua verità l'Inghilterra di prima della rivoluzione industriale, col verde dei suoi boschi, col fango delle sue stagioni autunnali, col rosso delle sue uniformi militari".
La prima cantica della "Commedia" è sempre stata letta e apprezzata per i grandi personaggi, gli incontri frontali, gli episodi drammatici, i sentimenti corposi che la attraversano e la interpretano. Anche se questi sono tratti più vistosi che distintivi del mondo infernale rispetto alle dimensioni degli altri due, sin dal suo primo apparire, la rappresentazione dantesca del male è stata visitata ed esaltata come una galleria storico-romanzesca di quadri firmati, antichi e recenti. Ed è nelle loro sculture e raffigurazioni che troveremo le ragioni di un successo d'impressionante continuità.
Una risoluta disposizione a rispettare lo svolgimento disordinato e imprevedibile della vita governa il capolavoro manzoniano. Seguendo un filo modesto che si dipana e si arruffa, rimbalza in ogni direzione, il narratore giunge a scoprire la rete di connessioni che unisce tutte le parti della babelica dimora umana, dalle più grandiose alle più inospitali, e l'intimo rapporto di necessità che collega gli elementi del disegno complessivo. Casta ma non timida, la fantasia del Manzoni è affascinata dalla violenza delle passioni che ardono nel cuore umano, e vuol riviverne tutte le potenzialità in un paragone assiduo di estremi opposti, dall'infima bassezza all'eroismo sublime. Introduzione e note di Vittorio Spinazzola.
La prima parte di "Enrico IV" lascia un'impressione di vitalità esuberante, di ardimento individuale (nei personaggi) e creativo (nell'autore). Tutt'altra impressione suscita la "Parte Seconda", che ha la stessa lunghezza di quella precedente, lo stesso numero di scene e la stessa struttura animata dagli stessi protagonisti. La differenza è che è rimasto un solo giovane, Hal, assente dal campo di battaglia, e i padri che si sono rattrappiti. Inoltre Shakespeare introduce altri due personaggi entrambi in là con gli anni: il Primo Giudice e il giudice di campagna Robert Shallow.
"Nessuno dei drammi di Shakespeare è più letto della prima e della seconda parte di Henry IV", scriveva Samuel Johnson nel 1756. Questa affermazione resta vera per la cultura inglese e americana, che continuano a vedere nell'"Enrico IV" un nodo centrale del canone letterario, poichè in esso comico e tragico convergono. "The historie of Henry the Fourth" - titolo della prima edizione poi mutato in "The first part of Henry the Fourth" nell'in-folio del 1623 - è il settimo dramma storico in otto anni, per venire incontro all'interesse patriottico del pubblico per l'epopea nazionale. Dietro la visione apparentemente rassicurante del passato storico si celavano problematiche più sottili, e attuali: il tema dell'unità nazionale contro le divisioni feudali (rappresentate anche dalle tre parti dell'Enrico VI e dal Riccardo III), il problema della successione e dell'educazione ideale del principe. Chi sarebbe succeduto a Elisabetta? La capacità di regnare poteva giustificare l'usurpazione e l'abuso?
Immaginate di essere due persiani che arrivano a Parigi nel corso di un viaggio alla scoperta della civiltà occidentale: nella Francia dell'assolutismo del Re Sole e della reggenza, ma anche di una crisi finanziaria senza precedenti. Attraverso la fitta corrispondenza che Usbek e il suo giovane amico Rica intrattengono con la Persia, prendono forma due intrecci narrativi - il serraglio di Usbek a Ispahan e il "serraglio" della società francese - accomunati dalle dinamiche visibili e invisibili del dispotismo. L'occhio inafferrabile e divertito di Montesquieu restituisce una realtà a più dimensioni in cui tutto coesiste e contrasta, con uno stile coltissimo e sapiente che spazia dalla satira di costume alla dissertazione storica e filosofica, al melodramma.
Diario immaginario di un bambino di terza elementare, il romanzo narra gli episodi lieti e tristi di un intero anno scolastico, inframmezzati da nove racconti esemplari in forma di dettato, tra cui i celeberrimi Piccola vedetta lombarda, Tamburino sardo, Dagli Appennini alle Ande. Una galleria di personaggi entrati saldamente nella memoria popolare e colta - come Franti, Derossi, Garrone - anima le pagine del romanzo, considerato da Alberto Asor Rosa una storia di iniziazione alla vita. In questo caso, alla vita dura e difficile dell'Ottocento, ma anche alla nuova vita di una nazione nascente, che deve sorgere dal lavoro, dalla fusione delle regioni, dall'accordo fra le classi. Introduzione di Franco Custodi, prefazione di Bruno Gambarotta. Età di lettura: da 10 anni.
Con numerosi riferimenti ai testi letterari, questo dizionario illustra episodi e personaggi ricorrenti nell'arte occidentale di ispirazione classica o cristiana, dal Medioevo fino al Settecento. Nel libro si dispiega il complesso dei topoi del patrimonio iconologico occidentale, siano essi temi narrativi oppure figure storiche e allegoriche caratterizzate da precisi attributi che ne contrassegnano l'identità. Il volume, pubblicato in prima edizione nel 1983, è qui proposto in ottava edizione.
Quando, nel 1964, fu pubblicata la prima edizione di questo libro, erano già apparse opere sull’arredamento corredate da ampia documentazione fotografica e da notizie sullo sfondo storico e sociale dei vari stili di decorazione interna. Nessuna di esse, però, era riuscita a penetrare in profondo nelle case del passato. A distanza di quasi mezzo secolo, questo prezioso volume è diventato il classico sull’argomento.
Mario Praz vi traccia la storia degli uomini quale si rispecchia negli ambienti in cui essi hanno vissuto nel corso dei secoli, esplorando il loro «animo» al di là di quel velo di Maia che sono gli stili. A render lo spirito di questi ambienti e dei tempi che essi rappresentano, occorreva uno scrittore di eccezione. Mario Praz, oltre alle doti di ricercatore filologico e di storico della letteratura e dell’arte, possedeva quelle di un malioso saggista, e a tali doti accompagnava la passione del collezionista (più di una delle tavole riproduce quadri o acquarelli da lui posseduti). La documentazione letteraria va di pari passo con quella iconografica, frutto di un’appassionata ricerca che soltanto Praz poteva attuare, raccogliendo raffigurazioni contemporanee che conservano inalterata l’impronta del gusto del tempo anziché ricavarla da fotografie di ambienti allo stato attuale che non sempre rispecchiano l’aspetto originale e che spesso appaiono svuotati di quella vita che un tempo pulsava in loro. Questi interni sono descritti per così dire dal vivo sotto entrambi gli aspetti: interni in funzione di personaggi nella narrativa, ma interni per sé nella pittura, soprattutto da quando nell’ultimo quarto del Settecento comparvero le prime raffigurazioni di camere senza figure umane, anzi viventi di una propria magia di nature morte, un nuovo genere di pittura che sta tra il progetto d’arredamento, la fedele riproduzione di un ambiente quale esiste con tutte le vestigia della vita ivi vissuta, e la camera come espressione di un modo di vita, come paesaggio interiore.
Definito dallo stesso Gide "un intermezzo semifrivolo tra due opere troppo serie", "Isabelle" (1911) è un'opera di laboratorio, un esercizio narrativo di storie non più autobiografiche, in direzione dell'impersonalità. Un castello, un innamoramento romantico, un delitto. In un'atmosfera inquietante e misteriosa, un sogno letterario rivela un'orrenda verità. Dietro il volto angelico e affascinante di Isabelle si nasconde una prostituta. La "Sinfonia pastorale" porta i segni evidenti della relazione con Marc Allégret e dei turbamenti morali che provoca in Gide. Il sentimento evangelico e l'amore terreno si sovrappongono e si confondono nel dolente rapporto tra un pastore protestante e una ragazza cieca. I temi gidiani della responsabilità individuale e del diritto a un'esistenza autentica sono indagati in un racconto che si caratterizza per un'estrema trasparenza strutturale e stilistica.
Nel 1916, ferito a un occhio e costretto a indossare una bendatura che lo condanna a una temporanea cecità, D'Annunzio scrive il "Notturno" "con il capo riverso, un poco più in basso dei piedi"; per farlo si affida a sottili striscioline di carta, le "liste sibilline", poi raccolte, risistemate e pubblicate nel 1921. L'opera - spiega Elena Ledda nella prefazione -"sembra fondata su una sorta di sovrapposizione fantastica e allucinatoria di tre piani temporali che vicendevolmente si scambiano: il presente della scrittura e della malattia, il passato recente degli episodi di guerra, il passato remoto dei ricordi d'infanzia, della terra d'Abruzzi e della madre. E pochi ma essenziali sono gli elementi attorno ai quali si sviluppa questa narrazione frammentata: la morte, la guerra, la cecità, la donna".
Opera di primo piano della storiografia romana, gli Annali di Tacito, in 18 libri, era divisa in tre esadi dedicate la prima a Tiberio, la seconda a Claudio e Caligola e la terza a Nerone. Attraverso le pagine del grande scrittore prendono vita le vicende dei primi imperatori, i loro scandali, i delitti e le sanguinose congiure dinastiche della famiglia Giulio-Claudia.
Spetta senz'altro a Seneca il merito straordinario di aver scoperto la dimensione dell'interiorità in termini moderni e di aver fornito non solo uno stile nuovo, tutto rotture, che vive sul fuoco d'artificio della sentenza finale, ma anche un nuovo coerente linguaggio, nelle cui innumerevoli sfaccettature si riflettono le inquietudini e i dubbi del suo animo, quell'alternanza di pensieri diversi che non sono vere e proprie contraddizioni, ma incertezze, approdi temporanei di una mente inquieta che, avvolta nel mistero delle cose, cerca nella fermezza dello spirito il sostegno della propria esistenza.
"Il convito" è uno dei dialoghi dedicati al tema dell'amore. I numerosi protagonisti del dialogo danno voce ai diversi aspetti dell'amore: amore come forza universale, che guida il mondo vegetale e animale; amore come desiderio di bellezza (e dunque come origine della poesia e delle arti) e della conoscenza (origine delle scienze); amore come essere intermedio tra il divino e il mortale, come interprete e messaggero tra gli uomini e gli dei. È uno dei dialoghi più belli non solo per il tema trattato e il fascino delle argomentazioni, ma anche per lo stile vivace e appassionato.
"Una vita" è il racconto di una iniziazione impossibile. Giovanissimo impiegato di banca, da poco inurbato, che chiama "malattia" il suo disagio sociale e sogna il successo come riscatto, Alfonso Nitri coltiva il "sogno": il sogno a occhi aperti, la fantasticheria che blocca la presa di coscienza; il sogno notturno di intensa vividezza, in rapporto stretto ma imprecisabile con l'esperienza reale, che fornisce intermittenti illuminazioni ma anche complica e frantuma in labirintici percorsi interni la sua complessiva esperienza. L'enigma non è nei fatti, ma nella natura del personaggio e nella fertilità inventiva con la quale egli, rifuggendo dall'apparente gratuità dei suoi gestì, insiste nel decifrarsi, si contraddice, conforta se stesso, traveste l'esperienza.
Sacrificata dal padre Agamennone alle ragioni della guerra, Ifigenia è salvata e resa immortale dall'intervento di Artemide, della quale sarà consacrata sacerdotessa. Così il mito classico; nella sua "rilettura" Goethe rappresenta nella figura di Ifigenia - mite ma non rassegnata - un ideale di pace che supera ogni dissidio e si batte per il trionfo della solidarietà, della saggezza e della tolleranza; un modello di armonia e di femminilità che chiama la donna a un'opera civilizzatrice delle società virili.
Il "Fedone" fa parte dei dialoghi cosiddetti socratici, quelli cioè che rispecchiano l'insegnamento del grande maestro, ma rivela già una forte autonomia nel pensiero di Platone. Il tema affrontato e discusso in questo dialogo con serrata dialettica e stupefacente psicologia è quello, indubbiamente complesso, della natura dell'anima, delle sue contrastanti tendenze, della sua essenza immortale.
Delle novelle verghiane lo scrittore Massimo Bontempelli ha detto: "La brevità estrema di Verga è fatta soprattutto di soppressione d'alcuni tratti del racconto. Non esistono più le zone di passaggio. La sicurezza con la quale esse sono state recise, al punto esatto, è spaventosa; sono tagli improvvisi e netti, che riempiono di coltellate tutta la narrazione". Le "coltellate" inferte dal Verga al tessuto compatto del narrare tradizionale sono aperture sulla realtà, rappresentano i varchi attraverso i quali la chiamata stentorea dei simboli giunge direttamente alla coscienza.
Con "Ifigenia in Taurine" Euripide porta il caos sulla scena sostituendolo all'ordine cosmico: gli equilibri sono rivoluzionati, le gerarchie sovvertite fino al ricatto posto da un uomo a un dio, i grandi scopi, le forti tensioni morali perdono consistenza e si degradano, diventano obiettivi circoscritti, personali, intrisi di egoismo. Goethe giudicò "Baccanti" la più bella delle opere di Euripide: ambigua e ricca di molteplici interpretazioni, è la tragedia della debolezza umana di fronte agli spietati e imperscrutabili disegni della divinità, il dramma della ragione che tenta di opporsi all'estasi dionisiaca, alla sua promessa di far svanire le sofferenze della vita.
Seconda opera del progettato ciclo dei "Vinti", dopo i "Malavoglia", "Mastro-don Gesualdo" è un romanzo di costume. La parabola di Gesualdo Motta che da "mastro" (muratore) diventa "don" (ricco borghese) descrive il fallimento di una vita tutta dedita al culto della "roba", ma completamente aliena da affetti genuini e sinceri. Nel sovrapporsi chiassoso di voci che incrinano ogni valore sociale Verga sembra aver individuato il ritmo espressivo di un'umanità condizionata dal denaro e condannata alla solitudine. È una condizione di cui i personaggi non hanno coscienza, e questo fa di "Mastro-don Gesualdo" il primo romanzo italiano dell'alienazione borghese.
Noto anche come "Pentamerone", "Lo cunto de li cunti" raccoglie cinquanta favole, raccontate in dieci giorni da cinque vecchie. Vi si trovano fiabe celeberrime, come "Cenerentola", ma anche racconti meno noti, ugualmente ricchi di invenzioni visionarie e metaforiche, che arrivano a toccare punte di crudele sensualità. Testo originale a fronte.
"L'immoralista" e "La porta stretta" sono due romanzi di ammirevole fattura stilistica che affrontano, da punti di vista differenti, lo stesso problema: nel primo l'esigenza di autorealizzazione di Michel e il suo nichilismo finiscono per uccidere la giovane moglie; nel secondo, Alissa percorre l'opposta strada della rinuncia e dell'ascesi spirituale fino ad annullarsi nella morte. La contraddizione tra le due opere rispecchia esemplarmente il conflitto interiore di Gide e il loro senso finale sembra essere che tanto l'immoralismo, quanto la virtù conducono alla dannazione dell'aridità. Saggiamente, lo scrittore rinuncia a risolvere il contrasto optando per l'ambiguità.
"Il Faust - spiega Italo Alighiero Chiusano nella sua prefazione - fa convivere sotto lo stesso tetto dramma shakespeariano e tragedia greca, moralità medievale e rivista satirico-illuministica, aforisma gnomico e poema epico, ballata popolare e lirica cerebrale, frecciate politiche e squarci di dialogo scientifico. Per questo il Faust non è imitabile. Discorso analogo si può fare per lo stile, cioè per quella foresta di stili e di proposte linguistiche e verbali, formali e sonore che costituisce uno dei lati più attraenti dell'opera goethiana."
Scrittore tra i più rappresentativi e influenti del Novecento, Gide è stato il maestro di due generazioni, quella che si espresse nel movimento surrealista e quella "esistenzialista", e ha lasciato un segno profondo nella cultura e nel costume contemporanei. La rivolta contro la morale puritana e borghese, l'evasione e il ritorno, il fascino dell'altrove, l'aspirazione alla sincerità, il conflitto tra il demoniaco immoralista e il mistico spiritualista, sono alcuni dei nuclei tematici "forti" della sua opera. Nella strenua esplorazione degli spazi segreti dell'io, nel suo lavoro di autoanalisi, nel suo sforzo di far coesistere etica e istinti, Gide è riuscito a illuminare ampie zone della natura umana.
"Controcorrente", tipica espressione dello spirito decadente, avvia la transizione alla complessità e alle inquietudini del gusto letterario moderno. Il protagonista, rifiutando l'insostenibile mediocrità del mondo contemporaneo, si ritira in una sorta di squisita clausura, popolata di sogni, di profumi esotici e di artificiose bellezze, alla quale deve poi rinunciare a causa di profondi turbamenti psichici. "Ma perché questo nevrotico - scriveva Maupassant recensendo il libro - mi appare come un uomo che, se esistesse, sarebbe il solo uomo intelligente, saggio, veramente idealista e poeta dell'universo?"
Due tragedie "forti", in cui la presenza degli dèi ha ormai solo una funzione di immagine-simbolo di valori immanenti nella vita dell'uomo, come la forza dell'eros e l'ideale della purezza. La protagonista di "Ippolito", Fedra, e ancor più Medea sono tra i personaggi più drammatici del teatro d'ogni tempo: la tragedia è tutta interiore, il conflitto è dentro l'animo delle due straordinarie figure femminili, nello scontro tra le ragioni del cuore e della passione e la lucidità delle risoluzioni estreme portate a compimento.
Frutto di una gestazione meditata e lunga circa nove anni, il Wilhelm Meister è un romanzo "di formazione". Attraverso il travaglio evolutivo del giovane Wilhelm e della sua passione per il teatro, Goethe osserva e descrive la lotta crudele, il confronto interiore che mette di fronte fallimenti, umiliazioni, rinunce e intimo desiderio. È la storia di qualsiasi vera, difficile vocazione: urgente e imperiosa, sofferta e messa in dubbio, abbandonata e continuamente ripresa, infine riconosciuta come parte più vera di sé, a un tempo condanna inevitabile e appagante destino.
I nove libri delle Storie trattano dei contrasti e delle lotte tra i Greci e i barbari prima e durante le guerre persiane, investigandone le cause. L'opera, che si basa sulla raccolta di materiali frutto di ricerche dirette, narra di paesi e popoli diversi, coprendo un arco di vari secoli. Attento alla dimensione religiosa, Erodoto la coniuga con un senso acuto della relatività dei fenomeni umani: pur accogliendo fatti mitici o leggendari, egli rifiuta l'interpretazione mitica della storia e fonda il suo racconto - che si avvale di uno stile semplice ed efficace - sull'analisi critica sorretta da una passione investigativa laica e razionale.
I tre racconti lunghi, qui presentati, sono esemplari del mondo narrativo di James e toccano temi ricorrenti della sua prosa: la differenza fra la cultura americana e quella europea, fra il candore e l'innocenza del Nuovo Mondo e la raffinatezza spesso decadente del Vecchio Mondo; l'analisi dei personaggi, intrappolati nei loro caratteri; il destino insito nelle cose e nelle situazioni. Tre racconti, tre città (Roma, Firenze, Venezia), tre storie d'amore, tragiche quando sono innocenti; beffarde quando sono maliziose.
"Teresa Raquin", che inaugura la grande stagione artistica di Zola, è una delle opere più rappresentative del realismo francese. Sposata infelicemente a Camillo, un uomo debole e malato, Teresa si lascia sedurre da Lorenzo, ex pittore nullafacente, cinico, parassita. Insieme concepiscono e portano a termine l'assassinio di Camillo. In questo romanzo - definito dall'autore un "grande studio psicologico e fisiologico" - Zola vuole raccontare, nella secchezza bruciante di un referto clinico, la storia di una degradazione. Ne risulta un'opera scabrosa, vero e proprio romanzo nero insieme appassionante e inquietante.
Si può leggere quest'opera in due prospettive: come "fonte" per ricostruire la storia religioso-filosofica antica in uno dei suoi aspetti più suggestivi, o come espressione del pensiero, dell'ideologia politico-religiosa e dell'arte di Cicerone, in uno dei periodi della sua vita più fecondi di opere e insieme più travagliati biograficamente e politicamente. Cicerone smaschera l'ipocrisia degli indovini, sostenendo che è meglio ammettere la propria ignoranza piuttosto che, per non volerla riconoscere, tentare l'ignoto e postulare la presenza del divino quando è proprio questo misterioso divino che inquina con dubbie pratiche di superstizione la schiettezza della religione.
A dispetto dell'eleganza stilistica, della sobrietà del linguaggio, del tono sicuro con cui Forster scandisce il ritmo della vita dei protagonisti, ognuno dei suoi libri trasmette una lieve inquietudine e un vago senso di precarietà. Con grande sottigliezza e acume lo scrittore inglese è capace di svelare le convenzioni sociali e i pregiudizi morali che imprigionano la sensibilità e che mettono in crisi i rapporti tra gli uomini.
Pubblicato dal suo allievo Arriano nel II secolo, esempio fra i più riusciti di letteratura filosofica che si prefigge di ridurre la distanza tra riflessione morale e condotta conseguente, il Manuale è una raccolta di massime e di insegnamenti esposti in modo organico e conciso, pensati per orientare l'azione nella situazione concreta. Esercitò grande influenza sul pensiero filosofico successivo e, più tardi, sul cristianesimo.
Composto da due cicli di poesie - in vita e in morte di Laura, la donna amata dal poeta - il "Canzoniere" non canta la storia di una passione, ma piuttosto quella di un'anima inquieta, dalla psicologia fragile, perennemente tesa tra l'ideale e la realtà. È il sommesso, controllato colloquio del poeta con se stesso, mirabilmente scandito e intrecciato da ricorrenti motivi, come lo smarrimento tra sogno e realtà, l'angoscia della solitudine o la sua ricerca, le effuse preghiere, le struggenti antinomie del suo animo.
"Ci sono tre tempi marcati dal procedere della trama: il tempo narrativo della peripezia, il tempo teatrale dell'inganno, e il tempo letterario della parola. E tutti e tre saranno destinati a confrontarsi alla fine con l'assenza di tempo, con l'eternità, davanti alla quale il disordine mondano, la rottura delle leggi dell'equilibrio sociale, diventerà ordine divino". Così Maria Grazia Profeti sintetizza, nella prefazione, l'opera che inaugura la ricchissima tradizione europea del "mito" di Don Giovanni, fondendo due leggende popolari: quella del convito macabro e quella del profanatore, per amore, del luogo sacro.
Con questo libro, apparso nel 1923 (e pubblicato la prima volta in Italia da Longanesi nel 1973), Le Corbusier avviò il suo irruente dialogo con il pubblico e gli architetti destinato a svilupparsi nei successivi quarant'anni in innumerevoli pubblicazioni e in opere costruite e progettate tra le più importanti dell'architettura moderna. Oltre a essere il primo testo della collezione dell'"Esprit Nouveau", il libro, che enuncia i fondamenti di una teoria architettonica di straordinaria modernità e singolare forza innovativa, costituisce uno dei maggiori documenti della cultura parigina ed europea di quegli anni.
Il Cid Campeador - nome leggendario d'un personaggio storico, Rodrigo Diaz de Bivar, vissuto nel sec. XI - è un eroe che si offre al pubblico come modello di equilibrio e di modesta sicurezza di sé, di coraggio mai disgiunto dalla consapevolezza dei limiti del fare umano. Ardito ma accorto, leale e generoso, non è l'eroe sovrumano della Canzone di Orlando, né le sue virtù sono idealizzate: ogni sua azione appare al contrario meditata, e il poema presenta numerose "istantanee" dell'eroe che riflette prima di reagire, anche di fronte ai gravi oltraggi subiti. L'indiscutibile grandezza del Cid, non esente da quelle debolezze umane e da quegli abbandoni all'affetto e all'intimità di sentimento che lo avvicinano all'uomo comune.
Il meglio dello spirito degli umanisti del secolo XVI da parte di uno di quegli intellettuali cristiani, insieme critici e idealisti, che credono nella forza dell'educazione. Questi Colloqui, in forma quasi teatrale, erano destinati a far riflettere, senza annoiare, studenti e un più vasto pubblico.
Scritti con febbrile intensità, quasi il poeta sapesse di essere incalzato dal tempo, i versi di Keats scorrono con suggestiva musicalità risalendo i "nodi" del rapporto tra arte e vita, piacere e dolore. La ricchezza immaginativa, espressione dei canoni romantici, non scivola mai nel facile lirismo e rivela una sincera, autentica adesione alla vita. Con testo inglese a fronte.
L'operosa ricerca e l'insaziabile curiosità di Federico Zeri si muovono liberamente nel tempo e nello spazio, dai grandi temi dell'arte ai più minuti o stravaganti aspetti della comunicazione visiva, ravvicinati dalla capacità dell'autore di coinvolgere il lettore e di trascinarlo. Pagine nate in occasioni e tempi diversi acquistano così un'intima unità, animate sempre dalla straordinaria erudiziene, dal costante senso della storia, dalla lucidità interpretativa e dalla puntigliosa foga polemica del grande maestro. I cui intenti, sin dal titolo, risultano palesi: l'"orto" che egli coltiva non è chiuso, non è quell'hortus conclusus che indica l'intimità dei segreti pensieri o il geloso campo di un lavoro intellettuale; bensì è aperto, a disposizione del pubblico e insieme luogo da cui si può indagare in qualsiasi direzione. Il ricco corredo iconografico consente inoltre un puntuale riscontro visivo delle affermazioni dell'autore e fa di questo libro un prezioso strumento per la lettura dell'opera d'arte.