Ci avevano promesso un mondo nuovo e libero. È nato un nuovo modello capitalistico. Ci avevano promesso che tutto sarebbe stato gratis. Scopriamo di pagare cedendo un pezzo alla volta dati che ci riguardano e su cui si fanno affari. Insomma ci avevano promesso tutto e invece l'universo digitale alimenta livelli ancora più intensi di dominio da parte di poche aziende private. Peccato che questo universo coincida con quello in cui trascorriamo gran parte del nostro tempo e in cui probabilmente vivremo in misura ancora maggiore nei prossimi anni. Uno dei più originali e innovativi sociologi italiani decostruisce in 7 mosse una delle principali ideologie del nostro tempo.
Più forti dei singoli Stati, decisivi nella tenuta delle monete e del debito pubblico, proprietari di quote sbalorditive di economia reale: i fondi speculativi - a cominciare da Vanguard e BlackRock - sono diventati i 'padroni del mondo'. Ancora marginali all'inizio del nuovo millennio, hanno cavalcato le crisi, hanno beneficiato dell'operato delle banche centrali e dei governi e hanno sfruttato, accelerandolo, il processo di smantellamento degli Stati sociali e di privatizzazione della società. Ma come è stata possibile una simile concentrazione del capitalismo che ha cancellato l'idea stessa di mercato? Questo libro prova a spiegarlo, tracciando un quadro chiaro dei numeri di tale monopolio e ricostruendo, al contempo, le storie dei protagonisti di una simile incredibile scalata al potere.
Nei testi raccolti in questo libro, i temi cari a Tullio De Mauro: uso dei dialetti e dell'italiano, il latino e l'eredità classica; la regola della chiarezza per quelli che devono trasferire ai cittadini conoscenze; la passione e l'impegno per la politica. E infine il ruolo essenziale della scuola.
I poteri visibili e quelli invisibili che governano il nostro Paese nell'analisi e nel racconto di un protagonista della vita pubblica italiana.
È vero, il regionalismo italiano funziona male. La soluzione sta nella proposta di un'autonomia regionale differenziata? Ma questa non determinerebbe una secessione di fatto delle regioni più ricche? Gianfranco Viesti, uno dei principali esperti di coesione territoriale, ci guida nel dipanare una materia tanto intricata quanto decisiva.
Esiste un'Italia dove i paesi si spopolano, la popolazione invecchia e il paesaggio perde la mano dell'uomo. È un'Italia vuota, che però contiene - molto più di quanto si pensi - il futuro del nostro Paese. Terre alle prese con le trasformazioni climatiche, con i mutamenti dell'economia mondiale, percorse incessantemente da flussi di umani. Dalle rilucenti valli occitane del Piemonte al cuore antico della Sardegna, passando per i colori caldi dell'Appennino centrale, nei paesi sabbiosi delle coste del mar Ionio, sotto il vulcano più grande del continente, tra i migranti del Friuli: un viaggio ai margini del nostro Paese, un Paese molto più grande e vario di come si autorappresenta, alla scoperta di uno spazio ancora aperto al possibile.
È cominciato il 25 settembre, con la sconfitta alle elezioni politiche, il lungo e travagliato inverno del Partito democratico. Da allora, ha affrontato per mesi un processo interno nonché un congresso e le primarie. Infine, senza che nessuno lo avesse previsto, il 26 febbraio è arrivata Elly Schlein. Il compito che la nuova segretaria ha di fronte è gigantesco: ricostruire il volto di un partito che ha smesso di domandarsi quale parte del Paese intende rappresentare, di leggere le nuove fratture della società, di interpretare la domanda di protezione sociale, sicuritaria ed economica. Attraverso le voci dei protagonisti, uno dei più pungenti cronisti politici della nuova generazione delinea le strade che si aprono di fronte al Partito democratico nel percorso per restituire un ruolo alla sinistra.
Pierluigi Di Piazza - fondatore del Centro Balducci che in trent'anni ha ospitato oltre mille profughi provenienti da 50 paesi nel mondo - ha testimoniato con la sua vita la possibilità di tradurre in atti concreti le parole dialogo, accoglienza, integrazione, pace. Le riflessioni contenute in queste pagine hanno al centro l'esortazione a non rassegnarci mai all'ingiustizia e alla violenza. Esortazione più che mai attuale in un tempo come il nostro, segnato da gravi disuguaglianze, attraversato da conflitti sociali profondi e in cui la guerra è tornata a essere un fatto che ci riguarda da vicino.
Il tasso di occupazione è considerato un indicatore fondamentale dello sviluppo di un paese: peccato che sia sempre più elevato anche in Europa il numero di lavoratori poveri. La costruzione delle identità personali e collettive è ancora legata al proprio ruolo professionale. Peccato che i ruoli professionali siano sempre più precari e frammentati. Insomma, il lavoro non basta più: sono necessarie urgenti misure che restituiscano stabilità economica e, con questa, fiducia nel futuro. L'introduzione del salario minimo, la promozione di contratti stabili e la revisione della tassazione sul lavoro rispetto a quella sui patrimoni sono i primi interventi urgenti che aiuterebbero il benessere collettivo.
Siamo sempre più immersi nel mondo digitale. Le aziende del Web ci promettono una futura esistenza online dove il nostro avatar interagirà costantemente con tanti altri sé virtuali. La nostra esistenza si sta inevitabilmente trasformando in una vera e propria 'vita digitale'. Ma quali sono le conseguenze sociali dei social media, delle piattaforme, del software informatico e degli algoritmi? Ovvero, questa 'rivoluzione digitale' sta profondamente modificando la struttura e l'identità della nostra società?
In Italia nascono sempre meno bambini, aumentano le donne senza figli, chi diventa madre lo fa sempre più tardi. Perché una dimensione della vita che dovrebbe essere semplice è diventata così complicata? Per rispondere bisogna affrontare sia gli aspetti culturali sia quelli strutturali che pesano sulle spalle delle italiane. Tra i primi, il mito della maternità che esercita una pressione fortissima nel nome di un ideale di perfezione. Tra gli aspetti strutturali, mancanza di servizi per l'infanzia, congedi parentali non equamente distribuiti e incertezza lavorativa. In questo saggio - informatissimo e ricco di dati - idee e proposte per superare la crisi demografica e per immaginare una società in cui vita professionale e vita privata siano in armonia.
Prevedere il futuro è impossibile. Chi poteva lontanamente prefigurare centocinquant'anni fa la diffusione delle automobili? Cent'anni fa l'avvento del personal computer? Cinquant'anni fa la capillare dominazione di internet? Il lungo termine, come amano dire gli economisti, è sempre capricciosamente diverso da come ogni generazione se lo immagina. Ma è proprio un economista a tentare con questo libro l'impresa, non quella di fare esercizi di futurologia, ma quella di cercare di articolare il futuro in alcuni campi del sapere interrogandone i più autorevoli esperti: dalla scienza all'istruzione, ai computer sempre più intelligenti, all'economia, ai media, all'urbanistica, al clima.
Dalla sua nascita, nel 1948, lo Stato d'Israele è costantemente al centro dei conflitti nel Medio Oriente e della politica internazionale. Il confronto con la comunità palestinese, che continua a insanguinare questa terra, spinge moltissimi a schierarsi pro o contro, senza provare a comprendere le effettive ragioni di quanto sta avvenendo. Partiamo allora da alcuni passaggi nodali, nella demografia, nell'economia e nella geografia, per conoscere meglio la storia di un paese estremamente complesso, vivace e differenziato, attraverso le sue tante trasformazioni. Così facendo, questo libro identifica gli elementi più importanti dei cambiamenti d'Israele e fornisce al lettore le chiavi fondamentali per interpretarne le recenti evoluzioni.
Gli uomini sono tutti 'rei', ovvero malvagi e dediti alla sopraffazione e al proprio interesse? È sempre e comunque indispensabile pensare al diritto come strumento di coercizione e di pena per reprimere queste tendenze innate? Oppure il diritto mette necessariamente in gioco anche le nostre risorse relazionali: la solidarietà e la cooperazione, in altre parole la fiducia reciproca? Riscoprire lo spazio della fiducia nel diritto non è solo un modo per mettere in primo piano la responsabilità di chi agisce e di chi fa cultura giuridica, ma è anche l'unica via per riportare al centro del nostro discorso giuridico le qualità migliori di cui siamo in possesso.
La didattica a distanza è accusata di impoverire il rapporto docente-studente, di dequalificare il corpo insegnante, di mercificare la conoscenza. Tutte queste accuse sono il cavallo di battaglia di molti docenti; tuttavia non sono pochi quelli che, praticando la nobile arte del fare di necessità virtù, hanno scoperto nel distance learning potenzialità insospettate dai più (ma ampiamente previste dagli studiosi). Questo è dunque un libro di parte, un libro che sta dalla parte di quanti hanno scelto di capire meglio le possibilità della didattica in rete. Liberandosi del pregiudizio che oppone distanza a presenza (concetti, questi, moderatamente conciliabili tra loro) si possono valutare le esperienze positive degli ultimi anni e, soprattutto, di questi ultimi mesi.
«Lasciamoli marcire in carcere!»: dietro questo slogan - che tanto piace a parte dell'opinione pubblica e a certi politici in cerca di facili consensi - c'è la negazione del nostro Stato di diritto. Sì, perché secondo la Costituzione italiana la pena deve prima di tutto rieducare: chi è in prigione è parte della nostra comunità e i detenuti, prima o poi, comunque escono. D'altra parte i dati statistici lo dimostrano: in Italia la recidiva degli ex detenuti è record - sette su dieci tornano a delinquere - ma la percentuale precipita all'uno per cento per l'esigua minoranza di chi in carcere ha potuto lavorare. Evidentemente c'è bisogno di andare esattamente in direzione contraria alla 'vendetta pubblica'. Un saggio lucido e necessario su un tema scottante e divisivo.
Ripensare criticamente i due pilastri fondamentali del moderno 'Stato di diritto': la separazione dei poteri e il principio di legalità. Paolo Grossi - uno dei più grandi giuristi italiani - ritiene assolutamente indispensabile una loro non marginale revisione. È necessaria una innovata visione di un ordine giuridico italiano che non si riduca e non si risolva soltanto in leggi dello Stato. Solo così si può attuare il pluralismo giuridico della nostra Costituzione: ritrovando la sua naturale complessità quale specchio fedele della realtà complessa della società.
Il nostro sistema scolastico e, conseguentemente, quello universitario non forniscono strumenti sufficienti a porre tutti i cittadini su un piano di equità. La rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale prevista dall’articolo 3 della nostra Costituzione appare da lungo tempo inefficace, a dispetto della storia del nostro paese che ha conosciuto il riscatto culturale e sociale come leva per la crescita civile. La cieca furia riformatrice, spesso enfatica e priva di risorse, è lo specchio di una società sempre meno interessata alla cultura. Ma adeguarsi alla dilagante perdita della preparazione di base, allargare le braccia in segno di impotenza, è il modo per cristallizzare l’impreparazione e la condizione di iniquità sociale che ne deriva.
Questo libro prefigura il nostro futuro prossimo. Quello quotidiano delle nostre case, delle città in cui abitiamo, fino ai nuovi e pervasivi usi che faremo degli smartphone. Ma questo futuro sta già accadendo in Cina: intelligenza artificiale, veicoli a guida autonoma, tecnologie green, smart city, riconoscimento facciale... Lì, chi progetta il nostro mondo di domani è già all'opera.
Un pianeta più caldo significa ghiacciai che si sciolgono, piogge meno prevedibili, alluvioni più frequenti, deserti che avanzano. Nell'acqua vediamo gli effetti del riscaldamento globale e la probabile causa di guerre future. Oro blu, in nove storie da tutto il mondo, dalla Sicilia al Bangladesh, dall'Olanda al Brasile, ci fa scoprire come l'acqua si intrecci all'economia, alla storia, alla cultura e alla vita di ciascuno di noi.
Si legge in modo diverso dal passato, ci si informa in maniera più complessa di come lo si faceva solo pochi anni fa. E sono soprattutto i giovani ad avere abitudini di consumo culturale e mediale assai lontane da quelle dei loro genitori. Ma cos'è questo nuovo che sta prendendo il posto del vecchio? E che effetti la rete sta producendo sulla trasmissione, sulla produzione e sul concetto stesso di cultura?
Con l’avvento dei social media, la politica è entrata in una nuova era. Gli attori tradizionali – partiti, sindacati, élites – sono rimpiazzati da protagonisti e reti di relazioni inediti e imprevedibili. Un cambiamento che avviene con una velocità senza precedenti. Al centro del processo, la connettività della rete che sostituisce antichi legami e gerarchie. Può la politica riprendere il comando e il destino di questa sfida? Per riuscirvi, il Principe digitale dovrà avere tre teste. Quella carismatica del leader. Quella gramsciana del partito nuovo. E quella del popolo sovrano, cui spetta – in prima e ultima istanza – lo scettro.
È vero che gli immigrati ci rubano il lavoro e abbassano i salari? Che abusano del nostro welfare? Che rallentano lo sviluppo? L'autore risponde a queste domande per spiegare come i migranti influiscono sulla nostra economia. E ne pone delle altre forse ancora più rilevanti per il nostro immediato futuro: perché senza immigrati il nostro sistema di welfare andrebbe a picco? Come possiamo attirare migranti con qualifiche elevate e perché farlo è fondamentale per l'innovazione? Perché 'aiutarli a casa loro' è come lasciare 50 euro sul marciapiede per evitare lo sforzo di raccoglierli? Perché investire sull'integrazione dei nuovi arrivati è vitale per l'economia italiana?
Ferruccio Parri, uno dei maggiori esponenti dell'antifascismo italiano e della Resistenza, è una vera e propria guida. I suoi scritti e i suoi discorsi ci conducono, ancora oggi, attraverso una ragnatela di parole chiave necessarie per contrastare il ritorno di retoriche e pratiche violente e identitarie. Che se fasciste non sono, al fascismo assomigliano molto. «Non vogliamo che su questa pagina della vita italiana, su questa carica morale si possa stendere un comodo lenzuolo di oblio. Questo no, compagni giovani. Ora tocca a voi.»
Cosa significa esattamente merito? Questa parola seducente mantiene ciò che promette? Oppure è una parola ambigua? Grattando la superficie, il merito mostra la sua vera natura: quella di una ideologia che sta trasformando la scuola, l'università, il sistema sanitario, la pubblica amministrazione, il mondo del lavoro nel nome della concorrenza e del mercato. Il concetto di cittadinanza è messo a rischio, e con esso il principio dell'uguaglianza sociale. Dietro al merito si nascondono questioni cruciali per comprendere il nostro tempo.
Viviamo in un paese fortunato: l'Italia è da anni ai vertici delle classifiche degli indicatori sanitari mondiali, con la maggiore aspettativa di vita dopo il Giappone e tassi bassissimi di mortalità materna e infantile. Non solo: se andiamo in ospedale per un accertamento o un ricovero non ci vengono chiesti né carta di credito né certificato assicurativo. Tutto questo grazie al Servizio sanitario nazionale, un sistema universalistico che non discrimina in funzione di sesso, razza, religione, livello economico-sociale. Da tempo però la nostra sanità pubblica sta attraversando una gravissima crisi. Se non si interviene presto e bene con un radicale cambio di rotta sarà una vera e propria débâcle civile e sociale.
Nel cuore dell'America ci sono città sull'orlo della dissoluzione. Assomigliano, sempre di più, a campagne post-urbane. Un nuovo paesaggio che nella cintura di ruggine - la cosiddetta Rustbelt, che si estende dal Midwest fino a parte del Nordest del paese - è diventato molto comune. Con le fabbriche e i negozi del suburbio abbandonati, distrutte dagli incendi e dalle rivolte razziali degli anni Sessanta e Settanta, da queste città è fuggita più della metà degli abitanti. Lasciandosi alle spalle macerie e popolazioni immiserite, che ogni giorno lottano per la sopravvivenza in un ambiente sempre più ostile. Dalle praterie urbane di Youngstown, dove l'amministrazione comunale si è ormai ridotta a pianificare con zelo l'autodistruzione della città, all'industria del riciclo e della decostruzione di Buffalo, dove attivisti visionari smontano con dovizia e con amore ciò che resta della città; dai deserti alimentari di Detroit e Philadelphia, dove sono scomparsi negozi e supermercati e gli abitanti si organizzano con geniali intraprese agricole, fino alle città come New York che puntano sull'agricoltura urbana, per costruire città più sostenibili grazie a un perfetto metabolismo naturale. Questo è il racconto di territori e popolazioni che non fanno parte delle rappresentazioni consolidate a cui siamo abituati, storie di persone che inventano nuovi modi di vita in ambienti in cui a essersi dissolta - forse per sempre - è la società contemporanea per come la conosciamo.
Le elezioni del 4 marzo 2018 si sono svolte nel segno delle divergenze. Fra il vecchio e il nuovo. Il popolo e l’establishment. Lega e M5s sono le due forze politiche uscite vincenti. Due soggetti e due identità divergenti che però viaggiano e muovono nella stessa direzione perché ‘divergono’ da nemici comuni. Non solo e non più la casta ma l’establishment politico, istituzionale, economico, finanziario. A loro basta distinguersi, distanziarsi, anzi: dissociarsi da tutti gli altri. Per questo è sufficiente un contratto che non delinei un sistema di valori, ma solo un accordo su temi e obiettivi specifici sui quali convergere, anzi divergere rispetto a ‘tutti gli altri’. Entrambi coesi nello sfidare la democrazia rappresentativa in nome della democrazia diretta. Anzi: immediata.
Per decenni gli scarti delle attività industriali sono finiti nella terra che abitiamo. Il fumo delle ciminiere ha impestato l'aria; gli scarichi hanno avvelenato l'acqua. Conviviamo, e conviveremo a lungo, con la diossina nei giardini pubblici, il piombo nei terreni, il Pcb e gli idrocarburi nelle falde idriche. Marina Forti ci porta in alcuni dei luoghi più inquinati d'Italia e ce ne racconta la storia, le bonifiche mancate, la mobilitazione dei cittadini, l'emergere di una coscienza ambientalista, lo scontro tra le ragioni del lavoro e quelle della salute.
In un mondo in cui i livelli di istruzione superiore sono decisivi per il progresso economico e l'inclusione sociale, l'Italia sta operando da dieci anni un forte disinvestimento sull'università. Per la prima volta dall'Unità si sono ridotti gli immatricolati. È cresciuto il costo degli studi. L'università italiana è diventata ancora più povera nel confronto europeo. Un'intera generazione di studiosi è stata costretta alla precarietà o alla fuga. Inoltre, processi di valutazione estremamente discutibili stanno riconfigurando il sistema, principalmente a danno degli atenei del Centro-Sud. Tutto questo ha gravi conseguenze per i giovani italiani di oggi e di domani. Una vicenda che deve interessare tutti i cittadini, non solo gli esperti.
Per costruire un futuro migliore ci serve un'utopia. Un'utopia sostenibile. È la via maestra che Enrico Giovannini indica per il raggiungimento entro il 2030 degli obiettivi di sviluppo sostenibile fissati dall'ONU. Fame, salute, acqua, povertà, energia, infrastrutture, occupazione, disuguaglianze, clima, pace, istruzione sono questioni che si affrontano solo con un pensiero integrato e il concorso di forze politiche, economiche e sociali. Continuare a pensare e ad agire come nel passato vuol dire far precipitare il nostro mondo in una profonda crisi ambientale, economica, sociale. È richiesto l'impegno di tutti e un profondo cambiamento del modo in cui leggiamo e affrontiamo i problemi che ci circondano.
Giulio Andreotti è stato assolto dall'accusa di associazione con Cosa nostra? Questo libro spiega come sono davvero andate le cose.
Trasformazioni rapide e radicali stanno rivoluzionando il mondo dei media. Nuovi protagonisti digitali assumono la leadership dell'informazione, della comunicazione della pubblicità, influenzando profondamente le nostre scelte in fatto di consumi, valori, consenso. In un breve saggio, documentato e lucido, le tendenze in atto nel mercato dei media, lo stato di salute dell'editoria, il prevedibile futuro dell'industria dell'informazione.
Altro che 'legge uguale per tutti': le nostre carceri sono affollate di ladruncoli e piccoli spacciatori, mentre bancarottieri e corruttori ne finiscono quasi mai A essere perseguiti con rigore dal i codice penale sono i reati 'di strada': furti, scippi, rapine. A anche altre classiche condotte dei poveri, come raccogliere rottami abbandonati o mendicare con dei bambini. Gli illeciti commessi da ricchi e potenti invece sono trattati con indulgenza: per le violazioni societarie, bancarie e tributarie sono previste maglie larghe; l'inquinamento di quei beni - aria, acqua, suolo - che sono patrimonio comune è punito perlopiù a titolo di contravvenzione; le morti da infortunio sul lavoro comportano condanne relativamente contenute. Un pamphlet feroce contro l'iniquità del nostro sistema penale.
Cosa c'è dietro una rivoluzione, sia essa politica, religiosa o scientifica? Quali, se ne esistono, i limiti? Che cosa differenzia il rivoluzionario dal ribelle? La rivoluzione è il ritorno a uno stato preesistente e ideale, come suggerisce l'etimo astronomico revolutio, che in latino indica il tornare di un pianeta alla posizione iniziale, o una marcia verso il nuovo? Che relazione c'è tra conoscenza e rivoluzione? Giulio Giorello riflette sulla rivoluzione come categoria capace di mediare il rapporto tra verità, tempo e conoscenza. Tutto nasce dalla libertà di cambiare: per studiare la conoscenza bisogna studiare le rivoluzioni nella conoscenza.
Statistiche nazionali, pagelle sulla vivibilità, indicatori del tasso di criminalità e inquinamento si intrecciano al racconto del revival turistico e ai segnali di una nuova vivacità culturale. La Napoli d'oggi è un Giano bifronte per capirla bisogna calarsi nella sua storia recente, fare un viaggio nella città reale. Come 'testimone informato dei fatti', l'autore si confronta con le caotiche, smaglianti, mitiche o drammatiche rappresentazioni di Napoli, consapevole dell'ampliarsi della distanza dal resto del Paese. Una distanza che è stata volutamente sottovalutata dalla politica o, all'opposto, mediaticamente interpretata come punto di non ritorno. Napoli non può essere una 'città normale' perché, lo ricorda Roberto Saviano, «i napoletani vivono sotto i proiettili e abbassano la testa». Eppure - a guardar bene - questa città sotto l'inadeguatezza della propria classe dirigente e la fragilità della compagine sociale, esprime degli anticorpi vitali, degli elementi di dinamicità inattesi e spesso poco visibili a uno sguardo superficiale.
"Bari, 18 gennaio 1956 "Caro Sciascia, dopo aver molto cercato, abbiamo trovato un titolo che mi auguro Le piaccia: Le parrocchie di Regalpetra. Spiegheremo nel risvolto della sovraccoperta che R. è un paese che non esiste, ma che proprio per questo rappresenta bene un aspetto saliente della società meridionale: la mancanza degli scambi tra i gruppi chiusi in loro stessi, la mancanza di interessamento per la comunità, la formazione cioè di tante parrocchie che non si dialettizzano, che non cercano nemmeno d incontrarsi." (Vito Laterza). Introduzione di Tullio De Mauro.
Perché sì. Perché... fa quello che i partiti promettono da trent'anni senza esserci fin qui riusciti, trasforma un doppione della Camera in un Senato che rappresenta le autonomie, semplifica il procedimento legislativo, impedisce l'abuso dei decreti-legge e limita il ricorso alla fiducia, razionalizza il riparto delle competenze fra Stato e Regioni, ridisegna la repubblica delle autonomie, rende più efficienti le istituzioni eliminando gli sprechi, potenzia gli strumenti di partecipazione popolare o amplia le garanzie democratiche, delinea istituzioni più stabili e rende la nostra voce più forte in Europa, non tocca i principi della prima parte della Costituzione, ma anzi li valorizza, non aumenta i poteri del governo, ma anzi li razionalizza, non riguarda la legge elettorale, ma anzi la sottopone a controlli più stringenti, semplifica la vita dei cittadini e delle imprese, migliora la qualità della democrazia. Prefazione di Maria Elena Boschi. Introduzione di Massimo Rubecchi.
La nascita dell’Euro è stata salutata in tutto il Vecchio Continente come il primo passo verso il superamento dei vecchi stati nazionali e la creazione di un nuovo ordinamento capace di creare pace e prosperità. Non è andata così. Paradossalmente, proprio la creazione di una moneta unica ha finito invece per accentuare le differenze di ordine strutturale esistenti fra i paesi dell’Eurozona. E ciò in seguito a una politica economica di rigida austerità, prevalsa a Bruxelles sotto l’egida della Germania e perseguita anche dopo l’esplosione nel 2008 della Grande Crisi provocata da un turbo capitalismo finanziario e speculativo. Parallelamente a questi fenomeni di declino economico e di degrado sociale sono venuti al pettine i nodi critici di ordine politico. Inoltre l’allargamento delle frontiere della Ue ha dato luogo a un groviglio di contrasti e di tensioni: non esiste una linea di condotta valida e omogenea né di fronte all’emergenza immigrazione, né in materia di politica estera e di sicurezza. Stiamo così assistendo a una crescente disaffezione verso la causa europeista, al ripristino delle frontiere interne, alla reviviscenza di forti istanze identitarie e nazionaliste, all’avanzata di un’estrema destra populista e xenofoba, al ritorno di una profonda cesura politica e normativa dei paesi dell’Est rispetto a quelli dell’Ovest. In pratica, mai come in questo momento è apparso così lampante lo scarso grado di coesione dell’Europa e, per contro, così evidenti e preoccupanti i sintomi di una sua pericolosa disgregazione.
Gustavo Zagrebelsky e Francesco Pallante argomentano per il rinnovamento di una democrazia partecipata contro le modifiche della Costituzione di cui si vorrebbero cambiare ben 47 articoli (oltre un terzo del totale) - e contro la legge elettorale. Oltre alle critiche di merito (contraddizioni, errori concettuali, complicazione del sistema), vengono messe in evidenza le forzature procedurali che hanno connotato il percorso di approvazione delle due leggi. Ne emerge un quadro tutt'altro che rassicurante: le nuove regole del gioco politico risultano essere, a giudizio degli autori, sempre più un'imposizione unilaterale basata su rapporti di forza incostituzionali leggi approvate in tutta fretta e al costo di qualunque forzatura. Il libro si chiude offrendo al lettore il confronto, articolo per articolo, del testo della Costituzione vigente con quello che scaturirebbe dalla riforma. Ciò allo scopo di offrire al t cittadino una chiara visione d'insieme del nuovo dettato costituzionale.
Le disuguaglianze di reddito e di ricchezza sono aumentate in tutti i paesi avanzati. Nonostante i molti studi apparsi finora, manca ancora una spiegazione convincente delle cause di questo fenomeno. Questo libro propone un'interpretazione basata su quattro motori della disuguaglianza: il potere del capitale sul lavoro, l'ascesa di un "capitalismo oligarchico", l'individualizzazione delle condizioni economiche, l'arretramento della politica. L'azione congiunta di questi motori sta cambiando i modi di funzionamento non soltanto del sistema economico ma anche di quello politico: l'economia diventa meno dinamica, la società più ingiusta, la politica meno democratica.
Un quadro aggiornato sui flussi migratori e sul loro contributo reale allo sviluppo economico, culturale e sociale del paese Senza eludere nessuno dei temi scottanti degli ultimi mesi: l'aumento esponenziale dei richiedenti asilo, l'impatto della crisi sulle migrazioni, il contributo degli stranieri all'economia italiana, i problemi di criminalità, l'integrazione fra le diverse culture e religioni.
"La giusta pretesa di non essere sottoposti in Rete a regole restrittive di Stati invadenti e imprese prepotenti esige la definizione di principi costituzionali, che abbiano come fine proprio la garanzia di libertà e diritti." (Stefano Rodotà) I diritti fondamentali che ci definiscono come uomini e donne, persone e cittadini, devono essere validi offline come online. La realtà dei fatti dimostra che troppo spesso così non è. A partire da casi concreti e da episodi di vita vissuta e avendo come riferimento la Dichiarazione dei diritti in Internet recentemente approvata dalla Camera, questa agile guida ci ricorda quello che tutti noi, in quanto cittadini digitali, dobbiamo pretendere. Accesso, cultura, uguaglianza, privacy, identità, anonimato, oblio, cittadinanza, sicurezza, democrazia: dieci parole chiave per ricordare che il diritto vale anche nel cyberspazio.
Il mondo è unico e dobbiamo condividerlo, ma quali sono le nuove pratiche di condivisione per garantire un futuro sostenibile? In queste pagine otto grandi studiosi italiani e stranieri provenienti dalle più diverse discipline - dalle neuroscienze alla linguistica, dalla politologia alla geografia - ragionano su come possiamo rinnovare il nostro modo di vivere insieme. In vista di un obiettivo comune: un mondo sostenibile.
Non ci si può dichiarare cristiani e prendere parte alle ingiustizie, professare il razzismo, accettare la discriminazione di omosessuali, nomadi, carcerati, migranti. Non ci si può dichiarare cristiani ed essere complici della distruzione e dell'usurpazione dell'ambiente. Non ci si può dichiarare cristiani aderendo solo a parole al nuovo corso di papa Francesco, perpetuando nei fatti l'antico vizio di strumentalizzare Dio senza voler cambiare nulla. Dall'autore del fortunato "Fuori dal tempio", un nuovo manifesto per tutti i cristiani intransigenti.
La nostra democrazia è irriconoscibile. Senza una rappresentanza funzionante, senza partiti governanti, senza elettori partecipanti. Una democrazia senza. Al centro della scena politica resistono solo i leader, ultimo perno di comunicazione, mobilitazione e decisione. Avamposto sempre più isolato della frontiera pubblica occidentale. Ma può la democrazia sopravvivere solo come protesi e baluardo della leadership? Per rispondere, dobbiamo avere il coraggio di capire perché il re è ritornato nudo. E cosa ci aspetta, oltre l’ultima spiaggia.
Negli ultimi anni la sinistra di tutto il mondo ha trovato la sua fonte di ispirazione principale in un piccolo paese del Sudamerica, l'Uruguay. Il protagonista di questa storia è senza dubbio José Mujica, ex guerrigliero tupamaro e poi presidente, personaggio inclassificabile e anticonformista, promotore di una serena austerità. Oltre a segnare progressi nella lotta alla povertà, il presidente ha lanciato il paese in progetti innovativi a livello mondiale, come la legalizzazione della marijuana o il programma che ha portato un computer a tutti gli studenti, anche nella pampa più sperduta. Ma tutto il paese è da sempre ricco di storie di visionari. In questo viaggio incontriamo persone originali e coraggiose, storie in contrasto con il vittimismo e la noncuranza della nostra Europa.
La crisi economica che abbiamo attraversato è stata la più lunga e la più dura della storia d'Italia. E non è finita del tutto e per tutti. Le cicatrici che ci lascia segnano ogni abitudine, ogni momento della nostra vita sociale: facciamo meno figli, ci curiamo di meno e peggio, consumiamo meno ma a volte meglio, stiamo abbandonando l'università, conviviamo con l'incertezza. Mutamenti profondi, non reversibili al primo rialzo del Pil.
"Qual era lo scopo di Sylos Labini nel distinguere diverse classi sociali? Era uno scopo politico: capire come le persone si sarebbero comportate politicamente, non tanto nel voto, quanto nella costruzione di una società moderna". (Innocenzo Cipolletta) Con due scritti di Innocenzo Cipolletta e Ilvo Diamanti.
Ritorno al diritto significa recupero della ineludibile relazione che vincola il diritto alla società e alla storia. Fin dalla rivoluzione francese, infatti, siamo stati soggetti alla mitizzazion del legislatore: l'affidamento nelle sue mani del monopolio della creazione giuridica ha innaturalmente sacrificato il diritto, riducendolo a voce autoritaria del potere politico. È solo durante il Novecento, il secolo post-moderno, che ha inizio il processo di affrancamento dalla stretta soffocante di un principio di legalità quale espressione dell'imperante assolutismo giuridico e si afferma la libertà da quelle pesanti mitologie che in Italia e in tutta l'Europa continentale hanno plagiato la coscienza collettiva con la connivenza della maggior parte dei giuristi.
"Ci sono momenti in cui l'Italia ha bisogno di un'auto-illusione ed è disposta a non guardare dentro a se stessa pur di continuare a illudersi. Attraversiamo spesso questi momenti nella nostra storia nazionale...". Romano Prodi racconta le stagioni vissute da protagonista, ritratto di un Paese ricco di potenzialità, ma sempre tentato di fuggire dalle sue responsabilità, anche nelle classi dirigenti. È stata "la strada scomoda" il cuore dell'Ulivo, il tentativo più ambizioso di dare forza al riformismo italiano, un'azione di governo, una visione complessiva, un popolo. Il seme della democrazia dei cittadini, perché per Prodi la crisi potrà essere superata solo con il pieno coinvolgimento della società. Una missione incompiuta, anzi, in attesa di compimento.
Niente è più astratto e sfuggente della nostra identità e nello stesso tempo niente è più esposto al giudizio altrui, è più concreto e visibile. A cominciare dal volto, la prima immagine di noi stessi. Da quasi due secoli la fotografia è legata alla nostra stessa idea di identità. Tutti portiamo con noi un documento con il nostro volto e abbiamo fotografie delle persone che più amiamo. Il rapporto emozionale che stringiamo con queste immagini è talmente complesso da farci rifiutare, qualche volta, i nostri stessi ritratti. Non ci riconosciamo, anche se bastano pochi anni per trovare sorprendentemente migliorate fotografie che prima detestavamo. Perché la fotografia è come la memoria: cambia. Non resta immobile, ma si trasforma sulla base della storia di ciascuno e dell'idea che si ha di se stessi.
Tutti i disoccupati avranno l'alloggio pagato e un assegno minimo vitale a condizione di frequentare dei corsi di formazione e di accettare il lavoro proposto dal centro dell'impiego. Se sui giornali leggessimo di una proposta del genere fatta dal governo italiano, rimarremmo sbalorditi. Eppure, per un tassista di Parigi, per un operaio di Berlino o per un giovane di Londra il reddito garantito è una realtà di tutti i giorni. Da decenni, la disoccupazione in Europa viene affrontata con potenti strumenti di welfare che prevedono, oltre a un sussidio vitale, assegni per le coppie, per i figli, per chi avvia un'impresa, corsi di formazione, trasporti, riscaldamento e molto altro. In Italia tutto questo non esiste. Siamo una gigantesca anomalia e neppure ce ne rendiamo conto.
L'idea che il maggiore partito di sinistra non possa arrivare a governare da solo, ma debba allearsi a un altro grande partito popolare. Il partito presentato come eccezionale e diverso rispetto a qualunque altro partito della sinistra europea e mondiale. Il tabù della modifica della Costituzione. La polemica contro il consumismo e la modernità. Sono questi alcuni dei tratti della politica di Enrico Berlinguer. Un'eredità che ancora oggi pesa sulla sinistra italiana e sulle difficoltà che incontra nel definire se stessa e un partito pienamente nuovo. A trent'anni dalla morte, il bilancio fuori dal mito e dalla nostalgia di ciò che il carismatico segretario del Pci ha lasciato dietro di sé getta una luce completamente nuova sulla contraddittoria esperienza della sinistra postcomunista in Italia.
L'Italia sembra non rendersene conto: tutte le statistiche ci ricordano il basso livello di competenze degli studenti e della popolazione adulta, lo scarso numero di laureati e diplomati che il nostrono invecchiato e gracile sistema produttivo non è capace di assorbire, la debole partecipazione dei nostri concittadini alla vita culturale. Un paese povero di risorse materiali e in ritardo dovrebbe investire in formazione più degli altri paesi. Invece continua a non avere una politica della conoscenza, fondamentale per la costruzione del nostro futuro: gli investimenti in istruzione e ricerca ci costerebbero meno di quanto ci costa l'ignoranza. Questo è il paradosso di un'Italia senza sapere.
Quella parte di vita che puoi cambiare, quel pezzo magari piccolo di destino che puoi spostare: la cultura è la condizione necessaria per autodeterminare la propria vita e per liberarla. Ma cosa accade quando tecnologie, linguaggi, modalità di creazione e di trasmissione cambiano così rapidamente e in profondità? Emergeranno forme di produzione e comunicazione della conoscenza e delle emozioni del tutto nuove. Dovremo avere un pensiero il più lungo e il più largo possibile. Lungo nel tempo, verso il futuro, e largo nello spazio, nell'apertura alle differenze e alle alterità.
Ad accomunare le persone che incontriamo in questo libro sonol'etica del bene comune, la giustizia, l'uguaglianza, la pace, la solidarietà, la libertà di coscienza, l'obiettivo di una politica rinnovata al servizio delle persone e della comunità. Sono personalità innovatrici, a tratti eroiche o rivoluzionarie come don Tonino Bello, don Puglisi e Oscar Romero; sono compagni di strada di Pierluigi Di Piazza che, come lui, si sono battuti appassionatamente per costruire una Chiesa povera e socialmente impegnata. Sono uomini e donne noti ma anche persone comuni come gli immigrati del Centro Balducci e persone estranee alla Chiesa come Margherita Hack e il Dalai Lama. Da uomo, prete e animatore culturale, Di Piazza intreccia le loro e la sua storia intorno ai temi più controversi dell'essere oggi cristiani e a quelli che uniscono le donne e gli uomini di buona volontà.
Se la trattativa fosse un reato, se lo Stato avesse ceduto, se la mafia avesse tratto benefici, allora le istituzioni sarebbero colpevoli. Ma non è così. Giovanni Fiandaca e Salvatore Lupo sostengono una tesi sorprendente: l'impianto accusatorio del pool di magistrati di Palermo non regge, i comportamenti di cui all'accusa non sono reato e Cosa Nostra non è stata salvata. Perché dunque si è scelto di celebrare questo processo? Perché gli italiani hanno bisogno di pensare che la mafia abbia vinto (e debba sempre vincere)? Uno sguardo nuovo su un processo ricco di ambiguità, di coni d'ombra, di nodi tecnici da sciogliere, nel quale si fondono e si confondono tre piani: giudiziario, storico-politico, etico.
"Se io fossi un ragazzo, non avrei tanta voglia di parlare con adulti piagnucolosi e impauriti, oppure rabbiosi e incattiviti con il mondo. Per questo invito tutti a ricominciare a dimostrare amore per le nuove generazioni, fiducia nelle loro capacità e possibilità. Dare "valore all'altro e costruire relazioni non è un gesto isolato, è un processo continuo che si deve percorrere con determinazione e volontà. E grazie alla speranza che molte persone hanno potuto cambiare vita, anche attraverso percorsi tortuosi. Il mio lavoro è costruire speranza, che nella pratica quotidiana traduco con 'cercare il cuore per costruire progetti'". Cambiare è possibile: è quello che insegna l'esperienza di un prete in prima linea nell'impegno verso i giovani, nelle carceri minorili e in un'importante comunità di accoglienza.
Il Pd è finito due volte fuorigioco. La prima volta perché ha rifiutato di accettare che una leadership forte è indispensabile per vincere. Ed è il miglior vaccino contro la degenerazione del partito personale. Ma la seconda, e più dura, sconfitta l'ha subita al proprio interno dove il virus della personalizzazione si è diffuso nella sua variabile più letale: quella del microvoto e dei micronotabili. Intenti a combattere una battaglia di retroguardia contro il fantasma del leader, i Democratici sono rimasti impigliati nel ginepraio delle correnti. Cacciandosi in una strettoia dalla quale non sarà facile uscire.
Il rapporto tra partiti, società e Stato si è definitivamente incrinato. Partiti autoreferenziali, disconnessi dalla società, incapaci di interpretare i bisogni dei cittadini. Partiti stato centrici che stentano ad assolvere alla loro funzione primaria: "concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale", come afferma l'articolo 49 della Costituzione. Dobbiamo quindi farne a meno? No, al contrario. Ma allora quale forma devono avere e a quale funzione devono assolvere? È il momento per i partiti italiani di guardarsi allo specchio: senza un radicale cambiamento non potranno governare l'Italia. Tantomeno sopravvivere. Interventi di: Nando Pagnoncelli, Walter Tocci, Laura Pennacchi, Carlo Borgomeo, Concita De Gregorio, Luca Telese, Sandra Bonsanti, Stefano Rodotà, Goffredo Bettini, Salvatore Biasco, Marco d'Eramo, Piero Bevilacqua, Andrea Ranieri, Claudia Mancina, Eric Jozsef.
Quali sono le parole della mente, le parole chiave che ci aiutano a svelare i processi creativi, a comprendere i percorsi di intuizione e di individuazione? 100 relatori del Festival della Mente, in occasione del suo decennale, rispondono proponendo 100 parole come memoria e percezione, futuro e passato, gioco e filosofia, ma anche giardino e passeggiata, con definizioni inedite e personali, brevi racconti o saggi. Un libro da leggere dall'inizio o dalla fine, perché ognuno possa seguire la propria curiosità, alla ricerca di cosa sia la creatività e come funzioni la nostra mente.
Dopo che il mondo intero è stato colpito da una gravissima crisi i cui postumi sono ancora ben visibili, si sono levate alte voci, sia dalla gente comune sia da insigni intellettuali, a esecrare il mostro finanziario e l'impotenza dei popoli verso di esso. È una caccia alle streghe? Oppure è sacrosanta indignazione contro autentici soprusi? Per capirlo occorre una seria riflessione. Anzi, occorre istruire un vero e proprio processo, con tutte le garanzie procedurali, in cui si dia equamente la parola all'accusa e alla difesa. I passi consisteranno nella identificazione dell'imputato, poi nella esposizione dei capi d'accusa, dei fatti, degli argomenti dell'accusa e della difesa. Seguiranno riflessioni che cercheranno di sceverare le buone ragioni dalle cattive, lasciando ai lettori - i giudici in questo processo - il compito di formarsi il proprio verdetto finale.
Parlare di Mezzogiorno è diventato perfino noioso: l'impressione è che sia una questione irrisolvibile. Metà degli italiani pensa che al Sud siano stati dati soldi; l'altra metà denuncia l'insufficienza delle risorse e l'incoerenza delle politiche adottate. Al di là di interventi sbagliati, sprechi, incapacità, c'è stato un errore di fondo: condannare il Sud a inseguire il livello di reddito del Nord, a importare modelli estranei alla cultura e alle tradizioni e a sviluppare, di fatto, una dimensione politica di dipendenza. Per spezzare questa logica bisogna introdurre una profonda discontinuità, a partire dalla consapevolezza della natura vera del divario. Il Sud è meno ricco del Nord, ma la distanza più grave è nei diritti di cittadinanza, nella scuola, nei servizi sociali, nella cultura della legalità. È da qui che bisogna ripartire convincendosi che la coesione sociale è una premessa, non un effetto dello sviluppo.
Guerra e politica, Oriente e Occidente, religione e potere, libertà e giustizia: sono alcuni dei temi che troveremo in questa Intervista curata da Antonio Carioti. Partendo dall'esperienza del mondo classico per giungere fino all'attuale crisi delle cosiddette democrazie, Luciano Canfora mette in campo la sua competenza di conoscitore dell'antichità nonché la sua passione di intellettuale alieno dai luoghi comuni del pensiero unico. I suoi giudizi non risparmiano neanche ciò che un tempo si chiamava la sinistra e che dalla caduta del comunismo a oggi sembra smarrita al rimorchio di un'inquietante degenerazione oligarchica.
L'economia in recessione, la società in frantumi, la politica che degenera: la crisi iniziata nel 2008 sembra non finire mai. Un italiano su sei vorrebbe un'occupazione i è senza lavoro un lavoratore dipendente su quattro è precario, i giovani sono i più colpiti, l'industria ha perso un quarto della produzione, il peso del debito aumenta, gli scandali della finanza continuano. Una via d'uscita c'è. In Italia come in Europa, possiamo "sbilanciare l'economia": mettere l'azione pubblica prima del mercato, la sostenibilità e il lavoro prima dei profitti, l'uguaglianza al posto del privilegio. Qui trovate il catalogo delle misure da realizzare. Con una politica nuova, fatta di partecipazione e democrazia.
Negli ultimi anni i 'beni comuni' sono diventati la parola d'ordine di quella parte della sinistra che si oppone alla riduzione dei rapporti economici e sociali a una pura logica mercantile. Una logica che ha via via permeato anche la dimensione pubblica. Sono tesi che scaldano il cuore di chi a ragione si batte contro il capitalismo ma che a una lettura più riflessiva appaiono retoriche, superficiali, incoerenti, inadeguate e contraddittorie. Belle fiabe che fanno leva su un desiderio diffuso di cambiamento ma fanno a pugni con il tentativo di definire idee chiare e distinte, argomenti radicali ma comunque razionali, com'è caratteristico della tradizione illuministica europea. La mistica dei beni comuni diventa così il peggior nemico interno di un costituzionalismo di diritto privato che sappia davvero porre limiti alla pura logica del profitto.
Roma è un caso esemplare di una condizione urbana le cui patologie affliggono la qualità del vivere e l'esistenza materiale delle persone. Le trasformazioni che ha vissuto o subito negli ultimi decenni sono quasi tutte riconducibili a un vorticoso aumento dell'edificato. È proprio dietro, accanto, sotto le trasformazioni fisiche che si è delineato il progressivo impoverimento della città pubblica, mentre è andata lievitando l'idea che soltanto l'estendersi di un controllo privato su parti crescenti della città possa contribuire a diffondere quel generale benessere e a fronteggiare la crisi che si è abbattuta su Roma. Siamo sicuri che le trasformazioni avvenute o che stanno avvenendo a Roma vengono incontro a bisogni collettivi? O non sono, invece, l'effetto di strategie immobiliari che danno lustro e soldi ai privati e scaricano oneri sul pubblico recando un utile molto dubbio alla città? Francesco Erbani racconta, con la lingua delle inchieste giornalistiche, una città invivibile, ingiusta, lasciata in balla dei potenti signori del mattone.
Governi e istituzioni hanno preso misure straordinarie per risolvere la crisi, ma il rischio di una grande depressione resta elevato. Sintomo della gravità della malattia è la crescita eccessiva delle disuguaglianze, nuova questione sociale del nostro tempo. Questo viaggio dentro la crisi mostrerà che la catastrofe non è solo economica e sociale ma culturale, e come tale non può essere affrontata con politiche tradizionali. Ciò di cui abbiamo bisogno è un nuovo paradigma che ricostituisca quel vincolo umano essenziale di solidarietà che l'economia ha perduto.
La nostra democrazia sta subendo un processo di mutazione molecolare di cui non riusciamo ancora a ogliere la direzione. Nel suo aspetto più visibile la mutazione è politica ed economica. Riguarda la composizione sociale della cittadinanza, il rapporto tra le classi e il governo dell'economia pubblica e si manifesta come una mutazione in senso antiegualitario. Nel suo aspetto meno visibile la mutazione è culturale e ideale e si presenta come appropriazione identitaria della libertà e dell'eguaglianza dei diritti civili. Se volgiamo poi lo sguardo alla sfera della vita privata, ai cambiamenti intellettuali, sociali e politici, scopriamo che esiste una maggiore distanza tra le persone in relazione alle opportunità che hanno di acquisire beni effettivi e simbolici. Siamo forse alla vigilia di un cambiamento paradigmi sociali e politici?
Chi vincerà la sfida dei prossimi anni, la politica o l'antipolitica? Massimo D'Alema va controcorrente e scommette su una sinistra rinnovata per fermare l'avanzare di movimenti di impronta populistica. In questa lunga intervista si sommano la cronaca dei trent'anni passati con autocritiche finora mai pronunciate e punti fermi ribaditi. D'Alema pensa a una sinistra più europea per contrastare l'eterno ritorno del nuovismo, il mito della società civile, le suggestioni tecnocratiche. La sinistra controcorrente di D'Alema si libera dagli ingombranti fardelli del passato ma non accetta le scorciatoie liberiste in economia e plebiscitarie nel sistema politico. È una sinistra che lascia ai più giovani una lettura severa del recente passato ma anche la traccia per diventare classe dirigente.
Ogni giorno in Italia vengono effettuate più di 4 milioni di transazioni attraverso forme di pagamento elettronico (carta di credito o bancomat). In un'area metropolitana come quella di Milano, ogni giorno le telecamere registrano il passaggio di più di 130.000 veicoli. Una parte sempre maggiore dei medicinali prescritti dal milione e mezzo di ricette mediche emesse quotidianamente viene acquistato attraverso l'associazione a un codice fiscale o alla tessera sanitaria. Le tessere del tifoso distribuite sono più di mezzo milione. A queste informazioni vanno aggiunte dichiarazioni dei redditi, presenze scolastiche, ricoveri in ospedale, presenza nelle strutture alberghiere e i dati incamerati da provider e social network: Google, per attivare le caselle di posta elettronica G-mail o per accedere al social network Google+, richiede ai propri utenti il numero di cellulare e Facebook ha recentemente introdotto il sistema attraverso il quale è possibile riconoscere i volti delle persone. Come è possibile tutelare la propria privacy in un contesto del genere? La questione non è di facile risoluzione e attorno a essa si intrecciano aspetti di natura regolamentare ed economica, aspetti di diritto internazionale e aspetti tecnici. È possibile però, oltre che doveroso, mettere delle regole, sostiene Bernabè, e per farlo è necessario uno sforzo comune da parte di tutti i soggetti coinvolti: operatori, attori del mondo internet, autorità preposte alla tutela della privacy...
Nel XX secolo il movimento dei lavoratori e le sue istituzioni di riferimento erano associati alla speranza. Oggi questo sguardo rivolto al futuro sembra scomparso, soprattutto nel nostro paese. La politica è in crisi e i partiti non hanno più la forza di attrazione che avevano nel Novecento. Accanto a loro perde credibilità anche la rappresentanza delle forze sociali e i sindacati non godono di molta popolarità. Si è infatti diffusa, in questi ultimi decenni, l'immagine che il sindacato difenda solo strati limitati di lavoratori, che non si faccia carico delle nuove generazioni e del mondo del precariato. È davvero così o il sindacato può offrire una spinta verso il cambiamento? Ha realmente esaurito le sue energie e il suo operato si rivolge soprattutto a chi è in pensione e ha già vissuto gran parte della propria vita? Oppure è in grado di raccogliere la sfida che gli pone il nuovo millennio, con la rivoluzione informatica, la globalizzazione e un mercato. E ancora, da almeno un ventennio il sindacato rivendica di occuparsi di "diritti" e non soltanto di condizioni materiali di lavoro: ma i diritti che rapporto hanno con le condizioni materiali? Quali sono inalienabili e quali no? E perché da questi diritti sono sempre escluse le donne, che pagano il prezzo più alto in termini di disoccupazione e squilibri salariali? Susanna Camusso, Segretario generale della Cgil, risponde a questi interrogativi.
Luca Ronconi racconta per la prima volta in modo organico la propria storia artistica e il proprio percorso di lavoro: dalla scelta del 'laboratorio' come metodo privilegiato, all'importanza e alla pratica della formazione di nuovi artisti teatrali. In una lunga conversazione con Gianfranco Capitta, descrive le scelte inusuali per il teatro che ha praticato con grande successo: dalla reinvenzione barocca alla traduzione per la scena di autori come Gadda e Dostoevskij, dalla rilettura delle tragedie classiche alle incursioni rivelatrici nella scienza e nell'economia. Progetti in cui prende corpo un denso linguaggio teatrale, attraverso l'uso degli attori e la reinvenzione degli spazi, ogni volta stupefacenti. Spettacoli che rispettano comunque la lettera e lo spirito degli autori - dai grandi barocchi a Shakespeare, fino alla complessità sorprendente dei contemporanei - e che hanno colpito, emozionato e qualche volta sconvolto generazioni di spettatori, studenti, critici letterari o personaggi dello spettacolo. Nel libro è presente per la prima volta la 'teatrografia' dell'opera ronconiana, che oltre a titoli, date e interpreti principali, raccoglie brevemente una visione di ogni suo spettacolo, sottolineandone ogni volta il tratto caratterizzante o di novità.
L'America sembra essere un paese occidentale al pari di quelli europei. Da molti anni è considerato il paese leader di un gruppo unito da valori, scelte, costumi, ordinamenti. È come un'Europa più grande, più ricca, qualche anno più avanti per le tecnologie e con alcune ovvie differenze culturali, non superiori a quelle che si trovano tra un paese e l'altro d'Europa. Non è così. Sotto un'ingannevole somiglianza superficiale, l'America è un paese profondamente diverso da qualunque paese europeo. La ragione principale riguarda quello che ancora oggi è il principio di identità americano: "Che cosa ci rende americani?" si domanda la voce del filmato didattico ufficiale relativo alla cittadinanza americana e la risposta è: "Un documento di 4 pagine scritto più di 200 anni fa, la Costituzione: un documento che definisce la struttura del governo degli Stati Uniti. Sono i principi della nostra Costituzione che ci uniscono come nazione". Principi cardine dai quali molto deriva: dal principio di cittadinanza non basato sull'identità etnica come in Europa, ma sull'adesione a un credo ideologico-politico, a quello di uguaglianza, basta sulle pari opportunità e dunque su una rigorosa meritocrazia, dalla donazione intesa come restituzione alla società, e dunque come obbligo morale piuttosto che come atto liberale di generosità, al perché della straordinaria gravità della menzogna.
La spiritualità, al di là delle fedi religiose, è stata una perdita sensibile, almeno a livello diffuso, dell'età novecentesca. Adesso, in un'epoca in cui le ideologie sono entrate in crisi nella loro pretesa di configurarsi come fede laica e in cui chiese e istituzioni appaiono sempre più arroccate nella difesa dei propri privilegi, la spiritualità può riacquistare un senso nuovo, come esperienza di ciò che ci supera e ci spinge fuori di noi, a incontrare l'altro che dà significato al nostro vivere. "Dentro" e "oltre" sono parole tra le più ricorrenti in queste esperienze: dentro come accoglienza e oltre come disponibilità del pensiero a gettarsi al di là di ogni orizzonte. Sono le parole delle donne che in questo libro si rincorrono, accompagnate da un breve commento, attraverso i testi di filosofe, poetesse, mistiche, scrittrici, da Saffo a Teresa d'Avila, da Juana de la Cruz a Marina Cvetaeva, da Emily Bronté a Maria Zambrano, dalla sufi Ràbia alla yogini Ma Gcig. Leggere queste pagine è come fare una visita guidata in un castello "interiore" dove alle pareti non ci sono quadri, ma pagine esemplari, voci che si cercano, raccontando la vicenda di un io in ascolto. Amore è il termine che le accomuna. Un amore che contiene e trascende tutti i termini che lo rappresentano: affetto, simpatia, sollecitudine, deduzione, eros. E le parole che tentano di descriverlo non possono che essere mobili e saporose come l'inafferrabile oggetto!
Ogni ricco ha il reddito di cento poveri. Non è l'Inghilterra di Dickens, è l'Italia di oggi. Redditi e ricchezza si sono concentrati nelle mani di una persona su dieci. Le altre nove - quasi tutti noi - stanno peggio di dieci anni fa, sono i 'perdenti', divisi in mille modi - tra uomini e donne, tra vecchi e giovani, tra Nord e Sud - ma uniti dal declino. Com'è potuto succedere? Togliere ai poveri per dare ai ricchi, rendere il lavoro più debole e il capitale più forte è da trent'anni l'orizzonte del liberismo. Da qui ha origine la crisi attuale, in Europa e in Italia. Ma un'alternativa c'è, ci meritiamo un altro futuro.
C'è uno scandalo, in Italia, che fa ancora poco scandalo. Lo scandalo sta nei numeri molto bassi della presenza delle donne nelle stanze decisionali della politica. Sta in quella media del 19 per cento che ci pone al cinquantaquattresimo posto nella classifica mondiale della presenza delle donne nei parlamenti nazionali. E sta nel ritardo particolarmente accentuato rispetto agli altri Paesi europei. L'Italia non è un paese per donne: a dirlo sono i numeri esigui della presenza femminile nelle istituzioni e il sentimento di estraneità molto diffuso rispetto a un territorio ancora monopolizzato dagli uomini. Analizzando i voti e le scelte politiche delle donne, emerge l'immagine di un puzzle complesso abitato da modelli femminili e gerarchie di valori ancora contrapposte anche se, proprio da parte delle donne, sta arrivando comunque un segnale di maggiore disponibilità a mettersi in gioco su un terreno tradizionalmente ostile. Queste pagine mettono insieme il doppio sguardo di una giornalista e di una sociologa che, con dati, tabelle e comparazioni alla mano, raccontano il rapporto controverso delle italiane con la politica, dal tardivo diritto al voto nel 1946 alle ultime amministrative
Yusuf frequenta il Liceo Garibaldi. Pur nato in Italia, per la legge Italiana è uno straniero. La sua classe è andata a Parigi. Lui è il solo che non è partito poiché gli uffici preposti al rinnovo del suo permesso di soggiorno erano in ritardo sui rilasci. Chandra vorrebbe far giungere il suo bambino dallo Sri Lanka, ma il soffitto della casa dove abita dista dal pavimento 2 cm meno di quanto prescrive la disciplina sul ricongiungimenti, così il figlio resterà lontano dalla madre chissà ancora per quanto. Sharu è divenuto clandestino perché il suo datore di lavoro non ha voluto metterlo in regola. Da oltre un anno è recluso in un Cie (Centro identificazione e espulsione), mentre il padrone della ditta dove faceva l'operaio prosegue indisturbato a lucrare sul lavoro nero e schiavistico. A Lampedusa, durante il picco dell'emergenza nella primavera 2011, il governo ha tralasciato di aumentare la fornitura d'acqua e di inviare una cucina da campo per preparare il necessario numero di pasti, così i tunisini sbarcati sono rimasti sporchi e affamati. Per questi e per innumerevoli altri casi, alla domanda "l'Italia è un paese razzista?", questo libro risponde "sì", per la più pervicace e meno evidente forma di discriminazione, quella delle leggi e delle istituzioni. La disparità di trattamento tra autoctoni e popolazione di origine straniera rischia di gettare le basi di una società divisa e diseguale, i cui effetti possono essere di enorme portata e di lunghissima durata.
Che cos'è la SpotPolitik? È la politica che pensa che per comunicare basti scegliere uno slogan generico, due colori e qualche foto. Quella che riduce la comunicazione a uno spot televisivo. Di SpotPolitik hanno peccato tutti i partiti italiani con pochissime eccezioni. Gli anni dal 2007 al 2011 sono stati i peggiori in questo senso, ma non illudiamoci che sia finita: la cattiva comunicazione potrebbe sommergerci ancora. Riflettere sugli errori del passato può essere utile ai politici, per non caderci ancora; e a tutti noi per scoprire come sia stato possibile accettare (e votare) quella roba.