Diecimila anni fa, nella preistoria, si sono messe in moto trasformazioni che ancora ci riguardano, che ancora influenzano il nostro modo di lavorare, di vestirci, di mangiare, di confrontarci con gli altri membri della nostra comunità. È una rivoluzione che ha cambiato anche l'ambiente intorno a noi e le nostre relazioni con piante e animali, tanto che il DNA - sia il nostro, sia quello di molti animali e piante - ne è uscito diverso. Si chiama rivoluzione neolitica: il momento in cui, più che in qualunque altro, biologia e cultura si sono intrecciate, influenzandosi a vicenda e producendo la nostra storia. È stato allora che un'umanità in precedenza sempre affamata ha cominciato a produrre il cibo di cui aveva bisogno, e quindi a crescere e a diffondersi sul pianeta. Nel giro di qualche millennio la rivoluzione è arrivata ovunque, sulle gambe dei rivoluzionari che dalla Mezzaluna fertile, dalla Cina, dall'America centrale e dalle Ande hanno esportato in tutto il mondo i propri geni, le piante coltivate e gli animali allevati. Abbiamo iniziato ad abbattere foreste, per farne campi e pascoli, modificando il paesaggio; abbiamo smesso di essere nomadi, costruendo villaggi e poi città dove ha preso forma la nostra società, anche in certi suoi aspetti che sembrerebbe difficile collegare alla preistoria. Ma è così: se oggi in Europa molti digeriscono il latte, se abbiamo la pelle chiara e parliamo lingue che si somigliano, è grazie alle migrazioni neolitiche. E non è tutto: abbiamo cominciato a modificare geneticamente piante e animali proprio allora e non abbiamo mai smesso. Ripensarci - oggi che la consapevolezza è cresciuta - ci permette di ragionare più lucidamente su costi e benefici della moderna ingegneria genetica. Allo stesso modo, ricordare come per millenni l'umanità si sia ripetutamente spostata e rimescolata può aiutarci a osservare con meno ansia le trasformazioni che la nostra società sta attraversando, e a spegnere qualche allarme ingiustificato.
Nell'Europa del Cinquecento è esistita una donna che ha attraversato tutto il continente, perennemente in fuga. Una donna che ovunque sia stata, da Lisbona ad Anversa, da Venezia a Ferrara, passando per Lione, ha costruito relazioni, ha lasciato il segno per le sue incredibili capacità commerciali e finanziarie. Una donna che è appartenuta a una delle minoranze più perseguitate della storia, quella degli ebrei spagnoli convertiti forzatamente al cattolicesimo - i marrani - e ha saputo fare di questa identità marginalizzata una forza. Gracia Nasi, questo era il suo nome, si è trovata a 26 anni, vedova e con una figlia ancora piccola, a gestire i capitali della propria famiglia e a diventare in breve una delle donne più ricche del suo tempo. In ognuna delle città dove ha abitato si è svolta una storia avvincente: rapimenti, prestiti di portata colossale, fughe improvvise, intrecci di dispacci per guadagnare accoglienza, mediazioni, doni generosi, straordinarie iniziative editoriali, roghi e boicottaggi di reazione. Ogni tappa è per noi il modo di aprire una finestra sul suo tempo. Scorre sotto i nostri occhi un campionario di comportamenti spesso cangianti, contraddittori e generatori di insicurezza dove il denaro aveva una parte importante: serviva a patteggiare la salvezza ma anche a condizionare le politiche dei diversi potentati. Denaro che Gracia, spregiudicata e generosa, aveva in abbondanza e sapeva maneggiare ma che fu anche occasione di lunghi e profondi dissidi interni alla famiglia. Insomma sacrifici, rischi e viaggi lunghi, pericolosi, estenuanti, fino alla meta finale, Istanbul. Là finiscono le avventure e la vita di Gracia, in un paese che fu capace di capire la convenienza dell'accoglienza.
«Per essere un uomo buono chiedi consiglio a tre uomini anziani», dice un antico proverbio. In questo libro si fa di più: si chiede consiglio agli esseri viventi più antichi della Terra, le piante. D'altra parte, se è vero che andando avanti con l'età si diventa più saggi, quanta esperienza ha accumulato il mondo vegetale in centinaia di milioni di anni? Meglio di qualsiasi maestro zen, ogni pianta porta un preciso insegnamento, regala lezioni di vita, e può addirittura suggerirci alcune vie per la felicità. Basta mettersi in ascolto della lingua più parlata del mondo, quella clorofilliana. Sbocciare, fare scorrere nuova linfa nel nostro corpo e tra i pensieri. Fiorire. È possibile, anche con l'aiuto degli 'esercizi vegetali' proposti dall'autrice, ideati per curare il nostro deficit di natura e la cecità vegetale che affligge buona parte dell'umanità. Come nella migliore tradizione della divulgazione scientifica, capitolo dopo capitolo apprenderemo i meccanismi che regolano la vita del mondo vegetale e impareremo a conoscere meglio specie a noi vicine e piante dal fascino esotico. Soprattutto troveremo alcune risposte al nostro bisogno di benessere: non possiamo dirci felici se non in una rete di relazioni e amicizie. Non solo umane.
Nella Resistenza italiana, parte integrante di un conflitto globale che travolge i confini nazionali e spazza vite e destini ai quattro angoli del pianeta, hanno combattuto migliaia di persone - non meno di 15-20.000 - che italiane non erano. Le nazionalità sono decine: statunitensi e britannici, neozelandesi e sudafricani, jugoslavi e francesi, libici, etiopi, eritrei e somali, e poi tedeschi, sovietici, polacchi, cecoslovacchi, ebrei stranieri. Sono spinti alla lotta da una pluralità di motivazioni e da una molteplicità di percorsi individuali, che vanno dall'internazionalismo consapevole - di chi ad esempio ha alle spalle la guerra di Spagna e una lunga militanza politica - alla semplice ricerca di una via di salvezza individuale. Ma si trovano coinvolti nello stesso spicchio di guerra mondiale e nello stesso periodo, e sullo stesso lato della barricata, saldando le loro traiettorie con quelle degli italiani e di comunità tradizionalmente perseguitate come quelle rom e sinte. Perché se il nazifascismo ha avuto un'indubbia efficacia è stata quella di saper compattare le file di chi gli si è opposto ed è stato sconfitto proprio perché hanno combattuto, fianco a fianco, più generazioni di uomini e donne, di ogni credo politico e religioso, ceto sociale e di ogni nazione. Contributi di Enrico Acciai, Valeria Deplano e Matteo Petracci, Eric Gobetti, Isabella Insolvibile, Mirco Carrattieri, Laura Bordoni, Liliana Picciotto, Luca Bravi.
Che cosa sappiamo di Sparta? Città guerriera, popolata di eroi programmati per combattere a difesa della patria senza temere la morte. Società dove il singolo non conta di fronte alla comunità. Sparta è la pólis severa che senza pietà elimina i bambini imperfetti e sottopone i superstiti a un addestramento durissimo. Soprattutto, Sparta è l'antitesi di Atene: se questa è la culla della democrazia, della filosofia, della poesia, della libertà, Sparta è la roccaforte dell'oligarchia, città senza cultura, austera ed essenziale. Ma è davvero così? Questo libro prova ad andare oltre lo stereotipo. Scopriremo che la vulgata sulla soppressione dei bambini è probabilmente un falso; che l'educazione spartana non era poi così diversa dall'educazione impartita ai ragazzi nelle altre città di Grecia; che vivere a Sparta non significava votarsi solo alla guerra e all'addestramento militare; che in città si apprezzavano motti di spirito, musica, feste; che le donne avevano più libertà e più diritti rispetto alle altre donne greche. Insomma, scopriremo perché la città «amabile» e «divina» - per citare Omero - ha lasciato segni indelebili nella storia e nella cultura del mondo greco.
Nonostante il fallimento dei tentativi di revisione costituzionale del 2006 e del 2016, l'ossessione per la modifica della Costituzione torna a occupare la scena politica italiana. Contro la democrazia partecipata si pone il premierato proposto da Fratelli d'Italia: una visione nella quale la democrazia si riduce alla scelta, tramite plebiscito, del capo cui sottomettersi una volta ogni cinque anni, senza che, tra una votazione e l'altra, possano operare contropoteri o i cittadini far sentire la propria voce. Sarebbe la negazione del costituzionalismo e della democrazia. Contro l'indipendenza e l'autonomia della magistratura si pone una riforma della giustizia che prevede la separazione delle carriere di giudici e pubblici ministeri e la creazione di due Csm separati e di una Alta Corte per i procedimenti disciplinari, composti tramite sorteggio di tutti i membri. Misure che manifestano soltanto la volontà di controllo della magistratura da parte della politica, ottenuta per svuotamento e indebolimento del suo ruolo. Contro il principio di uguaglianza opera l'autonomia regionale differenziata voluta dalla Lega: un progetto volto ad aumentare poteri e risorse economiche a favore delle regioni più forti e più ricche, con il conseguente abbandono a sé stesso del resto del Paese. L'esatto contrario di ciò di cui l'Italia avrebbe bisogno perché segnerebbe la fine della solidarietà sociale e dell'unità della Repubblica. Se l'Italia soffre una crisi trentennale, la soluzione non è acuirne le cause, annichilendo il Parlamento, il potere giudiziario e l'idea della cittadinanza nazionale, ma difendere sopra ogni cosa l'equilibrio dei poteri e il valore di un'appartenenza comune nel pieno rispetto delle differenze alimentate dal pluralismo delle idee.
Un sorriso enigmatico che «non passa drento» accompagna sempre Machiavelli da quando, giovanissimo, ascolta le prediche del «profeta disarmato» Savonarola e assiste alla cacciata dei Medici da Firenze, a quando diventa integerrimo segretario della Repubblica di Soderini. Quel sorriso che non si spegne né a seguito del ritorno al potere dei Medici, che lo destituiscono da ogni incarico pubblico e lo rinchiudono nelle carceri del Bargello, né quando, dopo aver quasi perso la vita, si ritira nelle campagne fiorentine e si dedica alla scrittura dei suoi capolavori della politica. I suoi consigli restano inascoltati e, ironia della sorte, la morte lo coglie mentre gli eserciti stranieri saccheggiano quella patria che ha amato più della sua anima. Questa storia di Machiavelli racconta i suoi incontri con i potenti, le amicizie e gli amori, i viaggi, i successi e le sconfitte e getta luce sulla Firenze dei Medici, sul gioco politico degli Stati italiani del Cinquecento e sui profondi mutamenti dell'Europa all'inizio dell'età moderna. Un'edizione completamente rivista e aggiornata di quella che è divenuta ormai una biografia classica di Machiavelli, tradotta in dodici lingue.
Israele stava già attraversando un periodo di crisi drammatica prima del criminale attacco del 7 ottobre 2023. Grandi manifestazioni chiedevano a gran voce le dimissioni di Netanyahu e del suo governo e il paese era praticamente bloccato. La risposta al gesto terroristico di Hamas con la guerra di Gaza rischia però di essere un vero e proprio suicidio per Israele. Da un lato, infatti, abbiamo l'involuzione del sionismo, o meglio dei sionismi: da quello originario della fine del XIX secolo, passando per quello liberale e favorevole alla pace con gli arabi, fino alla crescita del movimento oltranzista dei coloni e all'assassinio di Rabin. Dall'altro, il resto del mondo ebraico - la diaspora americana e quella europea - si confronta oggi con un crescente antisemitismo che, contrariamente alla propaganda di Netanyahu, non è la stessa cosa dell'antisionismo, ma che certo dalle vicende della guerra di Gaza trae spunto e alimento. Per salvare Israele è necessario contrapporre al suprematismo ebraico, proprio dell'attuale governo Netanyahu, l'idea che lo Stato di Israele deve esercitare l'uguaglianza dei diritti verso tutti i suoi cittadini e deve porre fine all'occupazione favorendo la creazione di uno Stato palestinese. Qualunque sostegno ai diritti di Israele - esistenza, sicurezza - non può prescindere da quello dei diritti dei palestinesi. Senza una diversa politica verso i palestinesi Hamas non potrà essere sconfitta ma continuerà a risorgere dalle sue ceneri. Non saranno le armi a sconfiggere Hamas, ma la politica.
Da sempre, nella storia, le città hanno guidato i cambiamenti decisivi. Oggi, più che mai, competizioni e conflitti globali si misurano nelle città: quelle che includono e che crescono; quelle che declinano e che perdono. Alcune, addirittura, letteralmente affondano. Le crisi climatiche, le trasformazioni del lavoro, della mobilità, dell'abitare, la transizione green e le sfide digitali stanno imponendo cambiamenti profondi. Mutano e si trasformano abitudini, servizi, istruzione. In questo libro, attualissimo, documentato e ricco di dati, Francesco Rutelli - riconosciuto per la visione e i risultati ottenuti nel governo della Capitale - descrive strategie e fattori di gestione della città che distinguono quelle vincenti da quelle perdenti. E allora: sarà meglio puntare sull'industrializzazione del turismo, su nuove architetture e infrastrutture, su grandi eventi, sull'attrazione di investimenti e finanza? Su knowledge economy, tecnologia, ricerca, innovazioni, centri di formazione di eccellenza? Nel mondo qualcuno prenderà il testimone di Silicon Valley o di Hollywood? Come impatterà il caos delle nuove megalopoli africane sul futuro prossimo dell'Europa? Sarà Singapore a interpretare il ruolo svolto per decenni da Hong Kong? E l'Italia? Le nostre città devono conoscere una nuova stagione di grandi trasformazioni. Quali possono essere i nuovi modelli di governo e organizzazione capaci di realizzare innovazioni coraggiose a beneficio dei cittadini per la sostenibilità, l'autonomia energetica, la gestione delle acque, facendo funzionare rivoluzioni digitali, inclusione sociale e una nuova e rinnovata partecipazione civica?
A partire dal III secolo dopo Cristo e fino alla fine del Medioevo, l'elezione del papa avveniva spesso in un clima molto conflittuale, che dava adito a contrasti e contestazioni. Il più delle volte questi sfociavano nella presenza contemporanea di due pontefici, uno dei quali definito, appunto, antipapa. Nel nostro immaginario questi personaggi sono rappresentati come individui corrotti, assetati di potere, nemici della Chiesa e dell'unità dei cristiani. In realtà, lungi dall'essere creature tenebrose che tramano nell'ombra, molti sono devoti uomini di Chiesa divenuti antipapi perché sostenitori di posizioni teologiche poi sconfitte o per una serie di motivi fortuiti. Questa storia dei 'perdenti' rispetto alla tradizione ufficiale della Chiesa ci farà scoprire così che dei trenta e più antipapi, uno è venerato come santo e martire e altri sono morti in odore di santità. Che per lunghi secoli su molti di loro la Santa Sede ha preferito non prendere posizione e su alcuni si mantiene tuttora cauta, ammettendo che potrebbero essere considerati papi legittimi. Si scoprirà anche che alcune figure che la storiografia tradizionale ha considerato burattini in mano al potere secolare, hanno contribuito in modo decisivo alla definizione delle regole che stanno alla base del papato e, per questo, in modo del tutto inatteso, alla storia e all'autocoscienza della Chiesa stessa.
Oggi le società occidentali sembrano ossessionate dai ricchi: ammirati e lusingati e, allo stesso tempo, biasimati e disprezzati. Ma è sempre stato così? Nel corso di mille anni le cose sono molto cambiate. Nel Medioevo, ad esempio, un'eccessiva accumulazione di ricchezze era considerata peccaminosa e perciò ci si attendeva che i ricchi non facessero sfoggio della propria opulenza. Per lungo tempo la loro semplice esistenza ha prodotto disagio sociale, mitigato solo dal ruolo che potevano svolgere nei tempi di crisi, impiegando i propri beni per aiutare la comunità. In passato come oggi, però, ci si è interrogati su come si diventa ricchi e sul perché le ricchezze tendono ad accumularsi nelle mani di pochi. Diventare ricchi è frutto di abilità o di fortuna? Di parsimonia o di capacità d'investimento? Quanto contano le ricchezze ereditate e quanto le reti di relazione che si creano nel corso della propria vita? In questo libro, pieno di esempi e di resoconti delle vite di alcuni individui straordinari, si prova a rispondere a queste domande all'interno di un'ampia e organica ricostruzione storica, capace di offrire anche una prospettiva da cui guardare ai dibattiti in corso sulla disuguaglianza di ricchezza e di reddito. A segnare una differenza dal passato è il fatto che, nonostante i loro patrimoni siano stati sostanzialmente risparmiati dalla Grande recessione del 2008 e dalla pandemia di Covid-19, i ricchi e i super-ricchi si sono mostrati riluttanti a contribuire al bene comune, opponendosi persino a misure d'urgenza. La storia suggerisce che questo è uno sviluppo preoccupante - per i ricchi e per tutti gli altri.
«Ancora oggi, ad un'età nella quale chi cerca qualcosa dovrebbe averla trovata, l'idea di aver finito di apprendere e cercare, suona per me come una dichiarazione di resa, di vecchiaia e di morte. Ecco la parola: il pensiero di aver trovato, di poter sostare per godersi seduti il bottino della ricerca mi ricorda la morte. Cercare è sentirsi vivi, avere ancora qualcosa di importante da fare, un provare a differire la morte con la scusa che c'è tanto da fare e non si sa quando si finirà». È questa postura che ha caratterizzato tutto il pensiero di Franco Cassano e che gli ha permesso di scrivere dei libri indimenticabili. La sua è stata una ricerca senza fine, un modo di pensare giunto a maturazione nella seconda metà degli anni settanta, quando inizia a logorarsi la storia collettiva, quando inizia a scucirsi il rapporto con la politica. In momenti così, anche una differenza personale può diventare una differenza epistemologica. «Non ho mai pensato di aver conquistato la verità, ho solo cercato di avere un rapporto onesto con il problema che essa pone». È questa consapevolezza che innerva ogni pagina di questo libro e che rende le riflessioni di Franco Cassano un'inestinguibile fonte di conoscenza e bellezza.
Chi l'ha detto che le donne del Rinascimento erano destinate unicamente a indossare splendidi abiti come Monna Lisa? O a passare la vita tra seduzione, inganni e trame come Lucrezia Borgia? In realtà in Italia è esistita una tradizione importante di donne dedite all'arte della guerra: feudatarie, capitane di ventura, donne cavaliere e anche popolane. Se Matilde di Canossa è la prima, e forse la più conosciuta, altre sono state all'epoca capaci di suscitare sconcerto e terrore per l'audacia delle proprie imprese: da Caterina Sforza a Cia Ordelaffi, da Orsina Visconti a Bona Lombardi - la Giovanna d'Arco italiana. Donne al comando di eserciti in difesa dei propri castelli, è il caso di Donella Rossi, e battaglioni interamente femminili, come quelli che combatterono a protezione di Siena e della sua indipendenza durante l'assedio dei fiorentini nel 1555. Quello che emerge da queste storie avventurose e che oggi appaiono quasi leggendarie, è un tema trascurato dagli storici: quello di una vera e propria educazione militare impartita alle donne dai padri e più spesso dalle madri o dalle nonne, che hanno dato vita a una via femminile alla guerra. Per secoli è stato facile idealizzare queste donne combattenti, imbalsamandole nel ruolo di figure eccezionali e irripetibili, quasi letterarie, addomesticandone la portata rivoluzionaria. Oggi, finalmente, possiamo provare a restituire a queste donne la loro verità di soggetti attivi, anche nella violenza estrema della guerra.
Il Mediterraneo, il nostro oceano in miniatura, così piccolo e così diverso nei paesaggi, sta attraversando una trasformazione vorticosa per effetto del surriscaldamento globale e dell'impatto delle attività antropiche. Dalle specie aliene che proliferano alla plastica che lo soffoca, dall'eccesso di pesca all'estrazione di idrocarburi, è diventato lo specchio dell'azione nefasta dell'essere umano sul suo habitat. Oggi in questo nostro mare si intrecciano e si evidenziano tutti i nodi problematici della contemporaneità: cambiamento climatico, sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali, inquinamento e collasso degli ecosistemi. Stefano Liberti, reporter di lunga esperienza, viaggia tra le sue isole e le sue coste - da Linosa a Cipro, da Tunisi alle Kerkennah, da Mazara a Samos - interrogando chi, vivendoci a contatto diretto, può testimoniarne e spiegarne la sorprendente metamorfosi.
A scuola abbiamo studiato la storia e ci siamo fatti l'idea di una disciplina fondata sulla memoria, la memoria di date, di nomi e di battaglie. Poi a casa ciascuno di noi si è sentito raccontare la storia della propria famiglia, dei nonni e dei bisnonni e di come questa storia minuscola si è intrecciata ed è stata attraversata da quella maiuscola: la storia di coloro che restano solo nel ricordo dei propri cari e la Storia di coloro a cui sono dedicati libri e monumenti. Eppure queste due prospettive non dovrebbero essere in contrapposizione: la storia dovrebbe aprire squarci inediti sul nostro passato, riproporre a chi è vivo oggi storie di chi ha vissuto ieri. Ma ricostruire vite che non sono la propria è un percorso a ostacoli dove centrale è la ricerca meticolosa che scava, indaga, spolvera, interroga. In questo libro appassionato, Carlo Greppi ci guida attraverso le miriadi di scelte che vengono compiute nell'imbastire una narrazione storica: il punto di vista, il tono, il montaggio, il corpo a corpo con le fonti e con la storiografia, fino alla 'messa in scena' dei risultati della propria indagine. Osservando il mestiere di storico e il racconto pubblico del passato nella loro concretezza si può dunque umanizzare la storia, studiando in orizzontale - non dall'alto, come fossero formiche sulla scena della 'grande Storia' - gli esseri umani che osserviamo e che narriamo. Insomma, un'altra storia è possibile e già esiste.
Il suolo è sotto attacco. Cemento, asfalto, microplastiche, pesticidi, erosione e incendi sono colpi che feriscono a morte l'ecosistema più fragile e vitale del pianeta. Grande regolatore climatico e custode di un terzo della biodiversità terrestre, il suolo è l'habitat di miliardi di esseri viventi che consentono alle piante di sopravvivere, una riserva preziosissima di acqua e la fonte di quasi tutto il cibo di cui si nutrono animali e umani. Ma noi continuiamo a non riconoscere il suo status di corpo vivente, natura non rinnovabile e non resiliente, dato che impiega 2000 anni per crescere di soli 10 centimetri. Fuori dall'agenda dei beni comuni, il suolo resta un prodotto di mercato, una risorsa da consumare senza scrupoli, con conseguenze drammatiche per tutti noi. Paolo Pileri ci fa conoscere la ricchezza ecologica del suolo, la sua incredibile generosità e i suoi benefici, additando chi ha l'ingratitudine di fargli male: logistica, agricoltura intensiva, cave, guerre, incentivi edilizi, piani urbanistici e altro ancora. Ci aiuta a capire cos'è il suolo, come difenderlo imparando a porre le domande giuste a coloro - tecnici, amministratori, urbanisti - che avallano il suo consumo, spesso camuffato da sostenibilità. Un libro che dà voce alla terra e invita il lettore a stare dalla sua parte, l'unica parte che possiamo permetterci nella crisi ambientale odierna.
È vero, la scuola è in crisi, ma non è detto che questo debba comportare una resa. Questo libro nasce da una presa di coscienza: la scuola democratica ha una storia luminosa in Italia che passa per il metodo montessoriano, la scuola media unica, l'eliminazione delle classi differenziali, le riforme dell'inclusione, Barbiana e le mille sperimentazioni di scuole attive, un'editoria dedicata di valore internazionale. Una storia che va conosciuta e che soprattutto va rinnovata. Con questo scopo Christian Raimo ha riunito un gruppo di intellettuali, maestri, professoresse, pedagogiste, educatori che vivono, lavorano e studiano il mondo della scuola - dai nidi all'università, dai licei di periferia ai professionali di provincia - per disegnare la mappa di temi essenziali quali l'inclusione, la diversità, i sistemi di valutazione, le necessità educative dei bambini in età prescolare e molto ancora. Con loro ha disegnato una costellazione di storie, prospettive, proposte, metodologie, per una scuola nuova che assomigli ai nostri desideri e ai nostri bisogni. Contributi di Giulia Addazi, Fabio Bocci, Raffaele Cariati, Pietro Causarano, Cristiano Corsini, Michele Dal Lago, Simone Giusti, Franco Lorenzoni, Federica Lucchesini, Giusi Marchetta, Rahma Nur, Laura Parigi, Roberta Passoni, Fabio Poroli, Claudia Ricci, Marco Romito, Pietro Savastio.
La Corrente del Golfo, elemento chiave del clima europeo, capace di riscaldare terre altrimenti coperte dai ghiacci e di portare pioggia dal Portogallo fino alla Russia, si sta progressivamente indebolendo. Se rallentasse ulteriormente, la Gran Bretagna finirebbe per assomigliare alla Siberia, le precipitazioni si ridurrebbero, il deserto avanzerebbe nel Sud, le foreste, l'agricoltura e le zone umide verrebbero minacciate in tutto il continente. Come stanno reagendo le comunità, le città, gli ecosistemi a questa trasformazione che mette a rischio la loro stessa sopravvivenza? In questo libro scopriremo un'Europa che cambia, che si adatta e si trasforma: dalle comunità nate con il petrolio scozzese che si convertono alle rinnovabili fino a quelle di giovani spagnoli che tornano nelle terre dei padri, sperimentando una agricoltura sostenibile. Ad accompagnarci saranno ex pescatori che ora contribuiscono alla ricerca sulle balene, minatori coinvolti nella rinaturalizzazione di vecchi siti industriali, cacciatori che proteggono la foresta e i suoi abitanti con tecniche vecchie di secoli. Un libro di viaggio - a piedi, in treno e in barca a vela - attraverso sei paesi, alla scoperta dell'Europa che non aspetta l'apocalisse del cambiamento climatico ma si sta attrezzando per affrontare le trasformazioni che sono già avvenute e quelle che stanno avvenendo.
Israele viene solitamente descritto come un'isola democratica in mezzo a un oceano oscurantista e Hamas come un esercito di belve assetate di sangue. La storia sembra tornare al XIX secolo, quando l'Occidente perpetrava genocidi coloniali in nome della sua missione civilizzatrice. I suoi presupposti essenziali rimangono gli stessi: civiltà contro barbarie, progresso contro intolleranza. Accanto alle dichiarazioni di rito sul diritto di Israele a difendersi, nessuno menziona mai il diritto dei palestinesi a resistere a un'aggressione che dura da decenni. Ma se in nome della lotta all'antisemitismo viene scatenata una guerra genocida, sono i nostri stessi orientamenti morali e politici a offuscarsi. A uscirne minati sono i presupposti della nostra coscienza morale: la distinzione tra bene e male, oppressore e oppresso, carnefici e vittime. L'attacco del 7 ottobre è stato atroce, ma deve essere analizzato e non solo condannato. E dobbiamo farlo chiamando a raccolta tutti gli strumenti critici della ricerca storica. Se la guerra a Gaza dovesse concludersi con una seconda Nakba, la legittimità di Israele sarebbe definitivamente compromessa. In tal caso, né le armi americane, né i media occidentali, né la memoria distorta e oltraggiata della Shoah potranno riscattarla.
La superficie del nostro pianeta è segnata da innumerevoli confini. Alcuni sono naturali, altri sono legati all'opera dell'uomo, marcati da frontiere, muri e barriere. Accanto a questi, ne esistono molti altri che sono meno scontati e tanto sottili da risultare quasi invisibili. Sono quelle linee che separano, dividono, porzioni del nostro mondo a vari fini: dividono popoli, custodiscono identità e culture, sono capaci di generare tensioni e conflitti anche molto gravi. Il geografo Maxim Samson esplora trenta di queste linee invisibili: dalle correnti artiche o la 'cintura della malaria' a quelle che abbiamo segnato per circoscrivere gli effetti delle nostre azioni, come la 'zona rossa' di Cernobyl o i cordoni sanitari del Covid. O ancora: le linee utilizzate per reclamare territori contesi, come quelle nella ex Jugoslavia o tra le gang di Los Angeles, o quelle che servono a definire e difendere le diverse identità, come il Bosforo, gli Urali o la 'Bible Belt'. Queste linee compaiono raramente sulle nostre mappe fisiche e politiche, ma sono ugualmente rilevantissime in qualche parte del mondo perché segnano un qualche tipo di divisione tra un 'noi' e un 'loro'. Questo libro è una guida per osservare e comprendere il nostro pianeta in tutta la sua consistenza e in tutto il suo disordine.
Dalla xylella al granchio blu, negli ultimi anni si parla sempre più spesso di specie aliene. Per la verità, è da tempi remoti che noi umani trasportiamo piante, animali e altri organismi al di fuori dei loro ambienti originari. È un fenomeno antico, che ha arricchito la nostra vita, ad esempio diffondendo in Europa alimenti come il pomodoro o le patate. Ma è quando l'arrivo di una nuova specie incrina gli equilibri naturali che iniziano i problemi. Al di fuori del loro habitat, alcune specie aliene possono infatti diventare invasive, con effetti molto gravi sugli ecosistemi. E anche su di noi. Lo sanno bene i pescatori dell'Adriatico, che hanno visto gli allevamenti di vongole decimati dal granchio blu. Con la globalizzazione sono queste 'invasioni biologiche' a essere aumentate, fino a diventare una delle principali minacce alla biodiversità, responsabili di un numero impressionante di estinzioni. Quali misure dobbiamo adottare per prevenirle? E cosa può fare ciascuno di noi? Piero Genovesi, uno degli scienziati ambientali più influenti al mondo, ci indica come invertire la rotta, se vogliamo davvero proteggere la natura, le nostre società e la salute delle persone.
Il 'delitto Matteotti', di cui quest'anno ricorrono i cento anni, è stato senza dubbio il più grande 'caso' della storia italiana. Proviamo a raccontarlo come se nessuno l'avesse raccontato prima, come se nessuno lo ricordasse più, facendone 'un affaire' in cui non è semplice districarsi. All'inizio dobbiamo analizzare la scena del crimine, sul lungotevere di un afoso pomeriggio romano, e descrivere la meccanica del delitto. Dopo di che si approfondisce la conoscenza prima degli esecutori e poi dei loro mandanti - il duce e il suo entourage - per raccontare la tremenda lotta per il potere e per la sopravvivenza di uomini divisi su tutto, ma accomunati dalla menzogna (mentono tutti e più di tutti mente il loro capo) e dalla consapevolezza che per salvare se stessi devono salvare a ogni costo Benito Mussolini. Poi dovremo interrogarci sui possibili moventi del delitto, muovendo dall'assunto borgesiano che se la realtà può sottrarsi all'obbligo di essere interessante, non possono sottrarvisi le ipotesi. Infine, come in ogni delitto, c'è un 'dopo', le molteplici 'vie di fuga' dall'affaire: dai processi del 1926 e del 1947 al destino di ciascun protagonista nel corso del ventennio. Ma soprattutto c'è Giacomo Matteotti. Finora è stato come un fantasma: un'assenza, una salma, la vittima. Giunti alla fine, siamo costretti a chiederci: chi è, chi era, chi è stato Matteotti? E perché proprio lui?
Il 25 aprile 1974, una data che pare ormai lontana anni luce, avvenne in Portogallo un fatto straordinario: sulle note di Grândola, vila morena di José Afonso, un gruppo di ufficiali dell'esercito diede avvio a una rivoluzione che pose fine alla più longeva dittatura d'Europa, durata quarantasette anni, dieci mesi, ventiquattro giorni e qualche ora. I fiori nelle canne dei fucili, simbolo della Rivoluzione dei garofani, furono un momento di speranza per un'intera generazione che, dopo il golpe del Cile del 1973, le feroci repressioni in Grecia, il fallimento della Primavera di Praga del 1968 e la guerra del Vietnam, vedeva finalmente trionfare i propri ideali. Furono in molti, come i protagonisti di questo libro Victor e Vasco, a partire da ogni parte d'Europa per assistere, almeno una volta nella loro vita, al trionfo della rivoluzione. Ma ogni viaggio, anche o soprattutto se fatto su una mitica Due Cavalli, senza navigatori e fuori autostrada, è un'avventura, un tragitto fatto di incontri, inconvenienti e sorprese per «seppellire i tiranni con una risata». Cosa resta oggi di quel viaggio iniziatico? Lo scopriranno i lettori che ritroveranno Victor e Vasco cinquant'anni dopo ancora sulle strade di Lisbona, sempre alla ricerca di un nuovo sogno per ricominciare. Come se la gioventù fosse un'eterna nostalgia.
Nel 1494, solo due anni dopo la 'scoperta dell'America', a Tordesillas, una piccola località della Castiglia, veniva firmato un trattato tra Spagna e Portogallo che divideva il mondo in due e inventava l'Occidente come spazio, comunità e cultura. Mai nessuno si sarebbe potuto aspettare che una semplice firma avesse conseguenze così gigantesche e durature. Questa è la storia di come, tra medioevo ed età moderna, le società europee (all'inizio spagnoli e portoghesi in testa) spinsero le proprie ambizioni sempre più verso l'oceano e così facendo trasformarono l'idea che esse avevano dell'Ovest: quella che era una direzione divenne poco alla volta uno spazio pensabile. È perciò una storia di grandi navigatori e di dibattiti violenti tra geografi, una storia di sfide e di esplorazioni che solcarono l'ignoto. Ma è anche la storia dei dibattiti culturali che ne seguirono e che inventarono e definirono quell'Occidente che prima mancava dalle mappe. E il punto di arrivo di questa storia siamo noi. In un momento in cui tutto questo appare ormai largamente messo in discussione, forse vale la pena riprendere il discorso da capo e chiedersi come si sia giunti alla nostra idea di Occidente. Come una direzione geografica ha fatto nascere e maturare un'idea di appartenenza. Quel che non possiamo fare è darlo per scontato. Pensare che noi si sia davvero da sempre così, che la nostra storia, la nostra cultura e la nostra civilizzazione corrispondano da sempre a quello spazio indistinto con i piedi in Europa e la testa nell'Atlantico: quell'Occidente che in questo secolo faticoso appare sempre più difficile da stringere nelle nostre idee e nelle nostre mappe
La pratica della meditazione accompagna tutta la storia della cultura, in ogni tempo e a ogni latitudine, e affonda profonde radici in Oriente ma anche nelle tradizioni a noi più vicine di ebraismo, cristianesimo, islam. Dalla mistica ebraica all'ascesi cristiana e al sufismo, questo libro ci fa viaggiare attraverso i secoli per riscoprire uno degli aspetti più suggestivi della dimensione spirituale dell'umanità. Quando parliamo di 'meditazione' ci riferiamo prevalentemente all'insieme di pratiche di concentrazione e di raccoglimento tipiche di molte filosofie o religioni orientali, volte al raggiungimento del benessere personale. Ma esiste un'accezione più ampia del termine, in cui far rientrare non solo la cultura orientale ma anche tradizioni legate alla storia della spiritualità e del pensiero in Occidente: se per 'meditazione' possiamo intendere ogni attività di raccoglimento tesa all'incontro con una dimensione assoluta, scopriremo che è possibile rintracciare delle vie della meditazione nell'ebraismo, nel cristianesimo, nell'islam. E se in ciascuno dei tre monoteismi la dimensione assoluta coincide - ovviamente - sempre con l'alterità radicale che è Dio, sarà affascinante conoscere i percorsi diversissimi che queste religioni hanno tracciato come risposta a quella che è una esigenza profonda dell'essere umano. Scopriremo così protagonisti e luoghi di una tradizione che dice ancora moltissimo agli uomini e alle donne di oggi.
Le montagne esistono perché noi possiamo scalarle, possiamo camminarci, possiamo sciarci? Ha senso, in un ecosistema così fragile, perseguire un modello di sviluppo fondato sulla crescita, sull'aumento anno dopo anno di turisti e di impianti? Perché altre culture, dall'Himalaya alle Ande, hanno immaginato l'esistenza di montagne sacre, luoghi da cui l'uomo dovesse restare lontano? Cosa ci insegna questa idea di limite? Se sulle carte geografiche non esistono più spazi bianchi e inesplorati, in montagna non esistono più vette inviolate, in particolare sulle Alpi. Ogni anno, di pari passo con la scomparsa della neve, aumentano gli impianti di risalita a quote assurde e non si arrestano i disegni speculativi - dalla spinosa questione delle Cime Bianche sotto il Cervino ai progetti invasivi sul Sassolungo, nel cuore delle Dolomiti, agli impianti per le Olimpiadi invernali di Milano-Cortina 2026. Anche la cultura alpinistica, un tempo attenta a definire dei limiti per garantire il proprio futuro, sta accettando una sempre maggiore spettacolarizzazione e una competizione senza più vincoli. No limits. Contro questa deriva è nata, nel 2022, una proposta che ha scosso tutta la comunità alpinistica italiana: scegliere una cima - il Monveso di Forzo, tra la Val Soana e la Val di Cogne - e dichiararla 'sacra', impegnandosi a non salirla. Non calpestarne più la vetta. Una proposta che ha acceso un grande dibattito, dividendo il mondo degli ambientalisti e dei frequentatori della montagna. E non solo. Ma una cima non sottomessa ai capricci dell'uomo, sull'esempio di quanto avviene da secoli in Himalaya e sulle Ande, è la strada giusta per ritrovare il senso del limite che abbiamo perso? È così che la montagna può tornare a essere una maestra di vita?
Un giorno James Clifford, uno dei più noti antropologi contemporanei, fu invitato dal suo amico Jean-Marie Tjibaou, un Kanak della Nuova Caledonia, a visitare la sua tribù natale. A un certo punto, dalla sommità della collina, Clifford vide alcune abitazioni in mezzo a una radura nella foresta. «Dov'è casa tua?», gli chiese. Tjibaou lo guardò, aprì il palmo della mano muovendolo a 360 gradi, invitandolo a osservare l'insieme del paesaggio e gli disse in francese: «C'est ça la maison!» (È questa la casa!). 'Casa' è fuori di noi, è l'insieme delle relazioni che abbiamo con gli umani e con gli altri esseri che vivono con noi qui sulla Terra. Dobbiamo la vita a forze ed esseri 'selvatici', 'incolti', che vivono cioè fuori dai confini delle culture intese come spazi simbolici. L'incolto è la nozione di cui abbiamo bisogno per uscire da quella contrapposizione tra natura e cultura che continua a colonizzare le nostre menti. L'incolto non è il caos: è la vita che si organizza, che germoglia, che si stratifica come i coralli, che si incontra e si scontra, la vita che rinasce continuamente nei dintorni di quella organizzazione che chiamiamo 'cultura'. L'incolto è un aspetto del mondo che viviamo e della condizione umana. Non è un caso che alcune società lo abbiano 'sacralizzato' e spesso posto al centro di rituali, proteggendolo dall'invasività e dall'avidità umana con norme e divieti. È in gran parte nell'incolto o nel semi-colto delle foreste e degli oceani che si produce l'ossigeno che respiriamo; è nei greti dei torrenti e nelle forre sotterranee che si accumula l'acqua che beviamo. Gli dobbiamo l'esistenza e, anche se non sempre lo riconosciamo, l'incolto ha una sua vita, è un assemblaggio di progettualità che prescindono da noi; l'incolto si cura di noi. Noi siamo incolto.
Attraverso il conflitto tra partiti e toghe, una delle firme di punta del "Corriere della Sera" racconta gli ultimi trent'anni di storia del nostro Paese. La prima vittoria elettorale di Berlusconi e il processo Andreotti, il braccio di ferro tra il Cavaliere e i magistrati nella stagione delle leggi ad personam, le scalate bancarie dei primi anni Duemila e il tramonto di Di Pietro. E ancora: la piazza del 'vaffa' e l'odio per la casta, il grillismo giudiziario, gli scandali sessuali e la fine del berlusconismo, l'avventura di Matteo Renzi e il crollo del Pd, il processo sulla Trattativa e lo scontro con Napolitano. Infine, la stagione dei populismi, da Salvini a Giorgia Meloni; gli scandali del Csm, da Palamara ad Amara; gli scontri tra vecchi sodali, come Greco e Davigo; la morte di Berlusconi, che non chiude lo scontro.
Il 3 agosto del 1924 moriva a Bishopbourne, un piccolo e tranquillo villaggio dell'Inghilterra meridionale, Józef Teodor Konrad Korzeniowski, ovvero Joseph Conrad, uno dei più grandi scrittori della modernità. Unico erede di una famiglia aristocratica polacca, quasi cinquant'anni prima aveva lasciato il suo Paese per sfuggire alla polizia zarista e per inseguire il sogno romantico di una vita sul mare. Si era imbarcato a Marsiglia e aveva navigato per vent'anni. Questa vita avventurosa, sempre a contatto con il lato più selvaggio e imprevedibile della natura e degli esseri umani, trovò poi forma, trasfigurata, in capolavori come "La linea d'ombra", "Cuore di tenebra", "Lord Jim", "Tifone". Con lui si viaggia dall'arcipelago malese al Centro America, dal cuore del continente africano a cupe atmosfere londinesi, leggendo storie che hanno affascinato generazioni di lettori, coinvolgendo i più giovani per il senso dell'avventura e del mistero e i più adulti per la profondità e la molteplicità di punti di vista interpretativi e narrativi. Questa biografia, intrecciando vita e opere, ne porta in piena luce aspetti coinvolgenti e intramontabili: il confronto con la natura e con la storia, la solitudine e le responsabilità dell'uomo, l'amore per la libertà e l'avversione per ogni totalitarismo.
Questa è la storia di Franco Basaglia, nato nel 1924, figura rivoluzionaria che ha dimostrato che i 'pazzi' potevano vivere fuori dagli istituti e che ha lottato per il superamento degli ospedali psichiatrici. Ma è anche la storia di Rosa, coetanea di Basaglia, una giovane donna nata e cresciuta non lontano da lui, che viene investita da un'auto e che da quel momento combatte con le crisi epilettiche e con la malattia mentale. Rosa per tutta la vita affronta il manicomio, l'elettroshock, l'uso massiccio di psicofarmaci, l'assenza di diritti civili, lo stigma. «Cento giorni che non torno», ripete a una delle figlie che la va a trovare in manicomio di nascosto, perché una madre internata è una vergogna. Le due vite di Franco e Rosa corrono parallele in un secolo in cui l'approccio alla malattia mentale cambia profondamente. Con l'approvazione della legge 180 si apre una stagione di speranze, ma l'iniziale entusiasmo lascia spazio presto alla lotta delle famiglie con servizi pubblici sottodimensionati, alla preoccupazione per i Tso violenti, alla diffusione di un 'manicomio chimico'. Valentina Furlanetto ci accompagna, con la lucidità della cronista e la sensibilità della scrittrice, in un viaggio tra dolore, vergogna, voglia di libertà.
Spesso si considera la scienza il regno della certezza e della verità. Invece, il dubbio e l'errore sono fondamentali per il progresso del sapere in ogni settore. E, come accade nella vita di ogni giorno, anche nella scienza l'errore si presenta sotto molteplici forme: c'è l'errore che è motore di nuove conoscenze, ma anche quello frutto dell'ideologia o della fretta. C'è l'errore riconosciuto e quindi fecondo, ma anche quello testardo. In questo libro scopriremo storie affascinanti di chimica, biologia, medicina e soprattutto di fisica, dal punto di vista di chi sbaglia. Incontreremo scienziati come Fermi, Einstein e Pauling e studiosi quasi ignoti. Scoprire che anche i grandi della scienza hanno sbagliato sarà una iniezione di ottimismo. Viviamo in un mondo che con l'errore ha un rapporto difficile. Oggi più che mai è importante rivalutarlo: lunga vita all'errore!
È da un inciampo che il filosofo Maurizio Ferraris parte per ragionare attorno all'esistenza, alla stratificazione di esperienze e memorie che sono il modo in cui ciascuno di noi impara a vivere. Vivere, sopravvivere, previvere, convivere sono le stazioni attraverso cui questo libro ci fa passare per riflettere su un mélange di argomenti che ruotano attorno alla vita e a come si possa imparare a vivere. Se lo spunto è una battuta d'arresto accidentale, capillare, profonda e non casuale è la considerazione della propria intera esistenza, della piega che ha preso nel tempo. Nel momento in cui ci si ferma, la galassia di sentimenti e risentimenti che emergono è fatta dalla memoria delle cose vissute nel passato, nel proprio intimo, attraverso gli altri, intrecciata alle cose apprese anche attraverso la vita scritta, i libri, la letteratura. Da Montaigne a Heidegger, da Nietzsche a Derrida, da Proust a Yourcenar, da Fitzgerald a Hemingway: tutto questo e altro ancora è precipitato in questo libro unico, emozionante e ricco di riflessioni.
Nella cultura giuridica della chiesa, e dunque nel codice di diritto canonico, lo stupro e l'abuso sessuale sono considerati trasgressioni del sesto comandamento e mai atto contro un'altra persona. Ma questo comandamento è l'unico del decalogo ad aver cambiato denominazione nel corso della storia: il «non commettere adulterio» delle origini bibliche è divenuto nel XVI secolo «non commettere atti impuri». Anche se si tratta sempre di norme relative al comportamento sessuale, la differenza è importante. L'adulterio è un atto che rompe gli equilibri comunitari e familiari, sconvolgendo le relazioni sociali, mentre gli atti impuri riguardano solo il peccatore, che diventa impuro. L'attenzione quindi si sposta dalle relazioni, danneggiate dalla trasgressione, all'impurità del solo colpevole: ecco perché la chiesa fa molta fatica a occuparsi delle vittime. Del resto, a causa di una concezione sbagliata della sessualità, di tipo solo maschile, nella cultura cattolica si crede che le vittime provino comunque piacere e quindi diventino così complici nella trasgressione. Per affrontare le radici degli abusi bisogna, dunque, ritornare a riflettere sul sesto comandamento.
La morale esiste da molto prima che si parlasse di Dio, di religione o filosofia. La sua storia è, anzitutto, il frutto di un processo di selezione naturale. Questo libro risale allora fino agli albori dell'umanità: nelle foreste dell'Africa orientale che, 5 milioni di anni fa, diradano per effetto dei cambiamenti climatici. Tra gli ominidi che scendono dagli alberi ci sono anche i nostri antenati, che si adattano agli spazi aperti organizzandosi in gruppi estesi. È sotto la pressione di fattori ambientali che la moralità emerge come fondamento di una cooperazione tanto precaria quanto essenziale alla sopravvivenza della specie. Hanno Sauer offre al lettore una 'genealogia' della morale che si muove tra paleontologia e genetica, psicologia e scienze cognitive, filosofia ed evoluzionismo. Le tappe di questo percorso marcano le principali trasformazioni morali nella storia dell'umanità, arrivando fino ai giorni nostri. La crisi morale del presente, ci insegna Sauer, è il risultato di secoli, millenni, milioni di anni di stratificazioni. Ripercorrerne lo sviluppo è l'unico modo per costruire un futuro insieme.
Nel volgere di pochi decenni, l'umanità è andata incontro a una rivoluzione nelle sue abitudini ancestrali. Senza che ce ne accorgessimo, la nostra specie, che fino a poco tempo fa viveva immersa nella natura abitando ogni angolo della Terra, ha finito per abitare una parte davvero irrisoria delle terre emerse del pianeta. Cosa è accaduto? Da specie generalista in grado di vivere dovunque, ci siamo trasformati, in poche generazioni, in una specie in grado di vivere in una sola e specifica nicchia ecologica: la città. Una rivoluzione paragonabile soltanto alla transizione da cacciatori-raccoglitori ad agricoltori avvenuta 12.000 anni fa. È certo che in termini di accesso alle risorse, efficienza, difesa e diffusione della specie questa trasformazione è vantaggiosa. Ma è altrettanto certo che ci espone a un rischio terribile: la specializzazione di una specie è efficace soltanto in un ambiente stabile. In condizioni ambientali mutevoli diventa pericolosa. Il nostro successo urbano richiede, infatti, un flusso continuo ed esponenzialmente crescente di risorse e di energia, che però non sono illimitate. Inoltre, fatto decisivo, il riscaldamento globale può cambiare in maniera definitiva l'ambiente delle nostre città e costituire proprio quella fatale mutazione delle condizioni da cui dipende la nostra sopravvivenza. Ecco perché è diventato vitale riportare la natura all'interno del nostro habitat. Le città del futuro, siano esse costruite ex novo o rinnovate, devono trasformarsi in fitopolis, luoghi in cui il rapporto fra piante e animali si riavvicini al rapporto armonico che troviamo in natura. Non c'è nulla che abbia una maggiore importanza di questo per il futuro dell'umanità.
Già a metà degli anni Novanta, destra populista e cattolicesimo tradizionalista hanno cominciato a lanciare allarmi contro i pericoli a cui una fantomatica 'teoria del gender' esporrebbe la società (o anche la nazione, la famiglia, la civiltà, la gioventù, l'infanzia e chi più ne ha più ne metta). Oggi, il nemico è l''ideologia gender', un'etichetta che serve a evocare l'attacco, unitario e programmatico, che una molteplicità di soggetti (le femministe e le persone Lgbtq+ prima di tutti) starebbero sferrando all'ordine naturale alla base della nostra società. Da chi si aggirerebbe per le scuole a confondere l'identità sessuale di ignari bambini agli uomini che mettono la gonna, fino ai fanatici delle lettere e simboli finali (schwa, u, *). Ma sono davvero questi gli oggetti del contendere? Perché ci si accalora tanto su questi temi? Quali sono le istanze portate avanti dagli antigender e, sul fronte opposto, da chi sfida l'ordine 'naturale'? Se gender è una parola moderna, questa sfida è iniziata molto tempo fa. Una lunga storia a cui conviene prestare attenzione, oltre le comode semplificazioni.
Dalla penna vivacissima di un attento conoscitore della storia veneziana, la biografia di un figlio illustre della Serenissima, Giacomo Casanova. Protagonista indiscusso del Settecento europeo, nei 73 anni della sua vita visita per 213 volte un centinaio di città e cittadine, da Madrid a Pietroburgo, da Londra a Costantinopoli; incontra ben dodici sovrani regnanti e cita nel suo libro Histoire de ma vie duemila persone, tra le quali duecento tra attori, attrici e musicisti. Finisce nelle celle di cinque diverse carceri ed evade rocambolescamente da una, quella dei piombi a Venezia. Gioca d'azzardo (spesso barando) e ama il buon cibo: nelle sue pagine nomina 22 giochi e 120 diversi piatti. Nel libro si racconta di teatro, di spionaggio, di massoneria e di magia. Si ricostruiscono gli incontri con i personaggi più famosi dell'epoca: da Voltaire a Lorenzo Da Ponte, il librettista di Mozart. E si parla anche di donne, naturalmente.
La fine della Repubblica romana è una storia che è stata raccontata tante volte da apparire pressoché scontata: chi non ricorda le Idi di Marzo e le guerre civili? La vittoria finale di Ottaviano? Eppure, di questi avvenimenti abbiamo sempre ascoltato soltanto un punto di vista, quello degli storici greci e romani, che hanno fornito una versione parziale della realtà politica e militare. Se ci allontaniamo da Roma e dall'Italia e allarghiamo lo sguardo all'insieme dell'imperium Romanum, ai territori delle province e dei regni alleati, senza trascurare i nemici esterni di Roma - a cominciare dall'impero partico -, scopriremo i veri comprimari di questo racconto storico. Familiarizzeremo con un caleidoscopio di popoli - africani, ispanici, galli, greci, traci, armeni, egizi - e di personaggi, dalla famosissima Cleopatra ai re Artawazd di Armenia e Bogud di Mauretania. Personaggi e popoli visti non più come semplici pedine, bensì come attori di un equilibrio geopolitico che fa delle guerre di questo periodo un insieme di conflitti che non è scorretto definire come una vera e propria guerra mondiale ante litteram.
Che cos'hanno in comune una rivolta di pescatori corsi in un mare colorato di rosso, un volantino piegato in quattro trovato nella tasca di una giacca, un circuito elettrico nascosto da un controsoffitto, una telefonata nel cuore della notte e un testo poetico usato nel posto sbagliato? L'inizio di una storia. O di più storie, individuali e collettive, ma sempre con due protagonisti in comune: l'ex magistrato Gian Carlo Caselli e l'Italia. Dieci date per dieci capitoli, dalle Brigate rosse alla mafia, dalla strage del cinema Statuto al 'processo del secolo' contro Giulio Andreotti, passando per il Csm e la 'ndrangheta al Nord, fino ad arrivare alle polemiche sulla Tav. Questo libro racconta gli snodi fondamentali di cinquant'anni di storia italiana intrecciati con la biografia, non solo professionale, di un testimone forse unico nel panorama della magistratura italiana: un giudice accusato di essere 'toga rossa' o 'fascista' con sorprendente disinvoltura a seconda delle stagioni e - soprattutto - degli interessi colpiti da indagini e processi. O forse semplicemente perché schierato sempre da una parte: quella della Costituzione, dove ogni cittadino è uguale davanti alla legge.
Nella storia dell'umanità esistono date che rappresentano un evento, un momento in cui sentiamo la curvatura del tempo, la separazione tra un prima e un dopo. Basti pensare alla nascita di Cristo o al 12 ottobre del 1492, il giorno in cui Cristoforo Colombo 'scoprì' l'America. Ma cos'è un evento storico? Cosa lo rende tale? A scuola la storia è insegnata tradizionalmente con una serie di date da ricordare e la nostra stessa vita è scandita da una serie di 'momenti chiave' che ne orientano il corso. Questo libro si propone di rispondere indagando trenta date, dal momento in cui vennero affrescati i dipinti rupestri della grotta di Lascaux alla liberazione di Nelson Mandela, passando per il processo a Socrate, la morte di Alessandro Magno, la distruzione di Pompei, le grandi battaglie dell'Asia centrale, fino alla conquista del Polo sud e all'esplosione della bomba atomica a Hiroshima. Alcune le ricordiamo perché sono 'anni tondi' (come il 1000), altre perché fondazioni o rifondazioni, altre per catastrofi epocali, altre ancora per battaglie diventate vere e proprie 'liturgie del destino'. Altre, infine, le ricordiamo per ciò che avrebbe potuto essere e non è stato. Ripercorrendole, interrogandole di nuovo, Patrick Boucheron ne fa risuonare l'eco nella nostra memoria e restituisce alla storia la sua forza motrice e la sua arte di sorprenderci, sempre.
In queste pagine Francesco Terracina ricostruisce della Sicilia un'immagine inconsueta, un po' tragedia e un po' commedia, attraverso i ritratti di uomini e donne sedotti e respinti dalla singolarità di una terra che ha le dimensioni di una regione e il sentimento di una nazione. 'Mal di Sicilia' definisce la condizione di chi maneggia gli arcani dell'isola, ne scopre limiti e pericoli, eppure non riesce a staccarsene. Scrittori come Elio Vittorini, Goliarda Sapienza o Stefano D'Arrigo pagano ciascuno a modo proprio il loro legame con questa zattera del Mediterraneo. E qualche volta il prezzo del vincolo sentimentale è così alto da costare la vita a chi tocca i fili scoperti della scalcinata e suggestiva terra siciliana: è successo tra gli altri a Gaetano Costa e a Pio La Torre, così come a un ignaro inglese che all'inizio del Novecento rimane folgorato dalla bellezza dei templi di Agrigento e paga quest'amore con la sua rovina. Ma la Sicilia è anche il luogo in cui perdersi nella solitudine di un promontorio che dà sul mare delle Eolie, come è accaduto a un marinaio tedesco che ha abbandonato la tolda delle navi per una grotta incavata in una roccia in bilico sulle acque di Filicudi. E c'è chi punta i piedi, come l'elegante fantasista del Milan, Benigno De Grandi, mandato a Palermo per punizione, che ripete a se stesso di non volerci restare. E più lo ripete e più si radica nell'isola. Intellettuali, viaggiatori, sportivi, magistrati, artisti: una galleria di personaggi molto diversi tra loro che si misurano con trappole e piaceri dell'isola, finendo per contagiare anche il lettore di uno struggente mal di Sicilia.
ChatGPT e gli altri sistemi di intelligenza artificiale generativa, capaci di produrre testi e immagini in risposta a una richiesta dell'utente, rappresentano in prospettiva una vera e propria rivoluzione. Probabilmente la terza grande rivoluzione causata dal digitale, dopo la diffusione del personal computer e dell'idea di informatica personale e dopo l'esplosione di Internet e dell'accesso mobile e universale alla rete. Per comprendere il significato e la portata di questa rivoluzione bisogna collocarla nel contesto di quello che è stato, da millenni, un sogno dell'umanità: organizzare il sapere in modo da poterlo trasmettere, recuperare, utilizzare, accrescere nelle forme di volta in volta più funzionali rispetto ai nostri molteplici e diversi obiettivi. E bisogna capire le idee e i principi che sono alla base degli strumenti non solo tecnologici ma anche sociali e culturali che stiamo creando all'interno del nuovo ecosistema digitale.
Le passioni e i sentimenti, lo sappiamo, hanno un ruolo fondamentale nelle nostre vite. Ci fanno compiere scelte improvvise, ci fanno gioire e soffrire. Alimentano un fuoco che non può essere spento. Passioni e sentimenti certamente mossero le donne e gli uomini che scelsero la strada della ribellione e della Resistenza durante la guerra. Possiamo comprenderle davvero noi che viviamo un altro tempo e un'altra storia? È quanto prova a fare Chiara Colombini, cogliendo, attraverso diari, lettere e carteggi, queste passioni 'in diretta', nel loro erompere durante quei venti mesi, tenendo sullo sfondo ciò che solo lo svolgersi della storia ha permesso di razionalizzare. In un tempo condizionato dall'eccezionalità che deriva dall'intreccio tra guerra totale, occupazione e guerra civile, i partigiani si innamorano, coltivano ambizioni, si accendono di entusiasmo o si arrovellano nell'insoddisfazione. Una condizione in cui, oltre alla vita, è in gioco ciò che si è scelto di essere. E, a quasi ottant'anni di distanza, emerge intatto il fascino di quell'esperienza così centrale per la storia di questo paese, la sua dimensione di profonda umanità, il prezzo pagato da uomini e donne direttamente nelle loro esistenze, il loro lascito.
«Dovevo fare i conti prima o poi con Nerone. Lo avevo già affrontato di lato, semplificandolo nel male, similmente a come si tende sempre più a fare semplificandolo nel bene», confessa Andrea Carandini. Chi si è occupato di Roma antica non può evitare di confrontarsi con quell'uragano che è stato Nerone. Per interpretare una personalità del passato romano fuori misura, come quella di Nerone, occorre con una parte di sé entrare nella sua logica, mentre con l'altra avversarla, evitando la soluzione facile e deludente del tiranno democratico e individuando i modelli a cui s'ispirava. Un progetto ambizioso che Andrea Carandini porta a compimento, dopo aver scritto la biografia della madre Agrippina, anch'essa in prima persona.
In tutto il mondo, negli ultimi trent'anni, imprese private e governi si sono affidati sempre più spesso a società di consulenza per ricevere consigli sulla propria gestione o sugli orizzonti strategici da perseguire. L'esito è stato disastroso: l'affidamento delle nostre economie a società come McKinsey & Company, Boston Consulting Group, Bain & Company, PwC, Deloitte, Kpmg ed Ey non ha soltanto bloccato l'innovazione, ma ha reso sempre più opaca e meno trasparente la responsabilità politica e aziendale. L'industria della consulenza ha messo in atto un vero e proprio inganno nei confronti di governi svuotati e avversi al rischio e di aziende che si preoccupano unicamente di massimizzare il valore per gli azionisti. Un inganno reso possibile dall'enorme potere che queste mega società esercitano attraverso contratti e reti di relazione ampie - consulenti, lobbisti e outsourcer - e dal presentarsi come i veri detentori di competenze e capacità oggettive. Questo libro rompe il silenzio sulle società di consulenza mostrando come indeboliscono le imprese, infantilizzano i governi e distorcono l'economia. A riprova degli esiti disastrosi del loro operato, vengono portati casi internazionalmente significativi, tra cui - ed è solo un esempio - i tragici fallimenti dei governi nel rispondere in modo adeguato alla pandemia di Covid-19. Il risultato è un'analisi originale e sorprendente che ci porta a conoscere il cuore pulsante dell'economia contemporanea.
"La storia come pensiero e come azione" esce presso Laterza nel 1938. La prima tiratura risulta rapidamente esaurita e viene subito preparata la seconda edizione. Un anno dopo esce la terza edizione, accresciuta di nuovi capitoli. Come scrive Luciano Canfora nella sua introduzione: «Questo libro, dal titolo mazziniano e goethiano al tempo stesso, è stato definito, non a torto, "il maggior libro della maturità crociana". Esso consiste, in primo luogo, in una appassionata difesa dello storicismo contro i suoi detrattori. Croce li chiama "avversari della storiografia". Essi denunciano, dello storicismo, la avalutatività; gli contrappongono l'illuminismo; a costoro, esso appare come la "maschera" che nasconde immobilismo, fatalismo, inerzia. È dunque un libro di battaglia culturale tanto quanto 'olimpico' era il remoto suo predecessore concepito e diffuso prima della 'grande guerra' (1912/1913) "Teoria e storia della storiografia". Ma è una battaglia su più fronti». Introduzione di Luciano Canfora.
Arrivano completamente inaspettate. Durano pochissimo, talvolta solo qualche settimana, poi vengono represse. Ma in quel poco tempo succedono cose tali da rimanere per sempre incise nella memoria collettiva. Sono le rivolte popolari. La storia, almeno nell'ultimo millennio, è tutta punteggiata da momenti critici in cui una massa di persone decide che il futuro così come lo vede non gli piace, e prova a cambiarlo. Il Medioevo non fa eccezione: anche allora non sono mancati movimenti insurrezionali che nel loro sviluppo iniziale non sembrano affatto distinguibili dalle più travolgenti rivoluzioni moderne. In particolare nella seconda metà del Trecento se ne sono concentrati così tanti da costituire un'anomalia. Alessandro Barbero racconta proprio le più spettacolari fra queste insurrezioni. Per molto tempo gli storici hanno visto nel loro fallimento non solo la prova che i rivoltosi non avevano nessuna possibilità di riuscire, ma che non perseguivano neppure un obiettivo consapevole. Nulla di più falso: i rivoltosi sapevano quello che stavano facendo, avevano rivendicazioni precise e si battevano consapevolmente per realizzarle.
Trenta volontari del Cuamm - dalle provenienze e dalle aspirazioni più disparate - raccontano in formato epistolare la propria esperienza. Sono lettere che parlano di viaggi importanti, che disegnano traiettorie, tutte diverse, di andate e ritorni. Da un piccolo paese della provincia sarda o veneta, dalle grandi città di Roma e Milano, fino al più sperduto villaggio in Uganda, in Sud Sudan o in Mozambico. In tutti questi viaggi, l'Africa smette di essere poco più di un luogo comune e brilla nel prisma delle sue differenze culturali e regionali. Nel racconto sincero e a tratti duro dei giovani volontari a volte la distanza di opportunità e risorse appare difficile da colmare, eppure ogni giorno si possono spalancare spazi di incontro e di condivisione. Succede a chi ha raccolto l'appello di partire per curare i più fragili. Perché il cambiamento è possibile sempre.
I Greci presero Troia; Ramses II sconfisse gli Ittiti; Didone fondò Cartagine; Romolo fece rapire le Sabine; Temistocle vinse a Salamina; Annibale tenne in scacco l'esercito romano. Cosa accomuna questi e altri episodi della storia antica, greca, romana e non solo? Il ricorso a imbrogli, trucchi, raggiri: in una parola, stratagemmi. Anche se lasciavano credere che fossero sempre e solo i nemici a perpetrare le astuzie più ambigue ai loro danni, in realtà i popoli antichi non si fecero mai scrupoli a utilizzare mezzi subdoli e ingannevoli. Ritenevano l'intelligenza l'arma più efficace, affidabile e pronta per superare difficoltà, vincere nemici, imporsi sulla scena politica. I protagonisti di questo libro sono personaggi noti e meno noti della storia antica. Alcuni leggendari, come Ulisse, Pericle, Alessandro Magno, Annibale, Cleopatra. Altri meno familiari, ma ugualmente significativi per l'entità delle loro gesta. Tutti emergono vincenti da contesti competitivi o escono indenni da situazioni di disagio. Tutti mostrano come l'intelligenza, nelle sue diverse declinazioni - e tra queste, soprattutto l'astuzia -, sia la chiave per imporsi, o anche solo per sopravvivere, in ogni occasione.
L'immensità è un concetto familiare per chi nasce in Amazzonia, dove lo spazio sembra non avere confini. Un'inesauribile varietà di ambienti, la più alta concentrazione di forme di vita sul pianeta, corsi d'acqua così vasti da non scorgerne la sponda opposta. Emanuela Evangelista, biologa e attivista, vive da oltre dieci anni nel cuore della foresta amazzonica e precisamente nel villaggio di Xixuaú, una manciata di palafitte ignorate dalle mappe ufficiali, come la maggioranza degli insediamenti umani situati nelle zone più remote. Nelle pagine di questo libro racconta l'Amazzonia che ha conosciuto e lo fa da un punto di vista unico: un'italiana, ormai parte integrante della comunità? dei popoli della foresta. Conosceremo il susseguirsi delle stagioni, l'importanza dell'acqua e dei suoi movimenti; la paura e l'incanto che scaturiscono dal contatto senza mediazioni con la natura; l'indicibile bellezza dei luoghi e dei suoi abitanti, non solo umani; i lenti viaggi lungo i fiumi a bordo di un battello, la magia degli spiriti della selva, la conoscenza delle piante medicinali, la vita quotidiana nel villaggio. Ma anche la violenza, le miniere illegali, il disboscamento, le speculazioni, il bracconaggio, la lotta dei rivieraschi per preservare le terre in cui vivono. Umanità e spazi che rendono questo luogo uno dei più? affascinanti del pianeta.
Quella della destra italiana dopo il fascismo è una storia tortuosa. Che, nei decenni del dopoguerra, va dai qualunquisti di Guglielmo Giannini agli orfani della monarchia, dal Movimento sociale italiano ai liberali di Giovanni Malagodi. E che poi, con la seconda Repubblica, approda al populismo liberale di Silvio Berlusconi, alle leghe nordiste, al tentativo di Gianfranco Fini di trasformare l'eredità neofascista in un moderno conservatorismo e, oggi, alla scommessa di Giorgia Meloni. Ma dietro le destre, c'è il paese al quale esse si rivolgono. E cioè una 'maggioranza silenziosa' che nel dopoguerra era stata estranea alla religione dell'antifascismo, tradizionalista, talvolta reazionaria, anticomunista e che finiva per votare 'turandosi il naso'. Un'opinione pubblica che porta fino ai giorni nostri la sua diffidenza nei confronti della politica e dei partiti, l'ostilità verso le élites, la permeabilità ai messaggi populisti. È facile cadere nella tentazione di giudicare questa parte del paese 'arretrata', incolta, umorale, senza capirne le ragioni, tanto più che ha sempre espresso un elettorato senza tessere e senza fedeltà ideologiche, dunque pronto a cambiare bandiera. Una mina vagante per la stabilità del paese o una sorta di sua coscienza critica? Un popolo da rieducare o da ascoltare? Giorgia Meloni, che da quel popolo trae non pochi consensi, dovrà fare le sue scelte.
Dai tempi delle guerre persiane, Oriente e Occidente sono fratelli coltelli, amici e nemici, sogno e incubo. «L'Oriente è l'Oriente, l'Occidente è l'Occidente: e nessuno potrà mai accordarli», dichiara Rudyard Kipling al tempo della fondazione dell'impero britannico d'India. Sulla base dei troppi malintesi generati dal loro confronto sono emersi anche 'ismi' ideologici, tanto accaniti tra loro quanto ambigui: orientalismo e occidentalismo, avvolti nel dilatare delle loro contraddizioni. Già Oswald Spengler aveva decretato il 'tramonto dell'Occidente'; ma immediatamente, dietro l'Occidente-Europa spengleriano, se n'era andato profilando un altro, quello americano, che dopo aver soggiogato il Pacifico si apprestava a trangugiare anche l'Atlantico: Leviathan di terra e di mare secondo Carl Schmitt, contrapposto a Behemoth, compatto Oriente tutto terragno. Ma intanto però, altrove, dal Giappone alla Cina e all'India si andavano proponendo altri Occidenti, fondati su presupposti differenti da quello euroamericano e portatori di altre 'modernità'. Con la guerra in Ucraina, la Russia viene definitivamente spostata verso l'Asia ed esclusa dalla sua dimensione cristiana ed europea. Ma questa definizione di Occidente ha senso o è soltanto utile oggi per ragioni strumentali?
Chi era il cavaliere dei Rossomori e cosa erano i Rossomori? Per polemica, un industriale minerario continentale in Sardegna, finanziatore dei primi fascisti isolani, marchiò il neonato Partito sardo d'Azione con il nome di 'partito dei rosso-mori' fondendo le propensioni socialiste con i quattro mori della bandiera sarda. Da qui il titolo del libro di Giuseppe Fiori su Emilio Lussu. Era lui, infatti, il 'cavaliere' di quel movimento. Lo fu per dignità e destrezza intellettuale. È la sua vita a testimoniarlo: quattro medaglie in guerra; il carcere, il confino e la fuga da Lipari con Rosselli e Nitti; l'opera di 'diplomazia clandestina' svolta fra Spagna, Inghilterra, Francia e Stati Uniti. Emilio Lussu fu un politico e un intellettuale insolito nella storia italiana, un socialista 'irregolare' perché libertario, antiautonomista, svincolato dal Pci, eppure consapevole che solo la coesione tra le forze di sinistra avrebbe permesso di 'costruire l'Italia'.
Calvino non amava parlare di sé direttamente, ma attraverso lo schermo delle immagini. Silvio Perrella ne ha interrogate alcune, le ha connesse tra loro e ha scoperto che in molte di esse si nascondono dei veri e propri autoritratti. «Avevo tenuto così a lungo con me la possibilità di scrivere un libro su Calvino, che quando davvero lo scrissi fu come acciuffare una cometa per la coda». Dagli anni Quaranta agli Ottanta del Novecento, il giovane, baldanzoso e iperattivo Calvino si trasforma in un malinconico Prospero della letteratura che desidererebbe dismettere le armi della finzione per tornare a essere lettore tra i lettori. La sua è la storia di una metamorfosi oscura e affascinante che s'intreccia con l'evoluzione della letteratura italiana e internazionale.
Quando crollò il cosiddetto 'socialismo reale', Gabriel García Márquez lanciò un allarme. Paventò lo sprigionarsi di un 'fondamentalismo democratico', fondato sul presupposto che ciò che non è come noi è 'il male'. Gli effetti di tale svolta, impressa al pianeta, sono sotto i nostri occhi. Ma il fenomeno viene da molto lontano: si tratta dell'esito deludente della grande speranza, durata secoli, di portare le società umane ad inverare la democrazia. Questo libro racconta questa storia.
Gigantesca penisola abbracciata dai mari, l'Europa li ha vissuti come frontiere della paura o rive della speranza, veicoli incessanti di mercanzie, idee, uomini. «A sud, è il Mediterraneo con le sue antiche civiltà, gli orizzonti del mondo greco e arabo, del vicino Oriente e dell'Africa del Nord, dell'Islam e del petrolio. A nord, è il mondo dei Vichinghi, delle saghe, dell'aringa, del salmone e della balena, del polo e del petrolio del Mare del Nord. A ovest, è l'immensità - sia pure attualmente di molto ridotta - dell'Oceano con gli orizzonti dell'America e dell'Africa e, al di là, le favolose Indie, occidentali e orientali, i paesi delle popolazioni di colore - un vasto mondo ignorato o appena sfiorato sino alla fine del Medioevo, ma divenuto in seguito di fondamentale importanza per l'Europa. Il mare isola e insieme unisce».
La nuova astronomia, le osservazioni compiute con il cannocchiale e il microscopio, il principio di inerzia, gli esperimenti sul vuoto, la circolazione del sangue, le grandi conquiste del calcolo. E insieme le grandi idee e i grandi temi che furono centrali nel corso della rivoluzione scientifica: il rifiuto della concezione sacerdotale o ermetica del sapere, la nuova valutazione della tecnica, il carattere ipotetico o realistico della nostra conoscenza del mondo, i tentativi di impiegare i modelli della filosofia meccanica, la nuova immagine di Dio come ingegnere o orologiaio, l'introduzione della dimensione del tempo nella considerazione dei fatti naturali. Questa materia immensa, questa nuova immagine del mondo, è affrontata con facilità, trasparenza, precisione e rara passione da Paolo Rossi, storico della filosofia e della scienza. «Ciò che chiamiamo 'scienza' acquistò in quegli anni alcuni di quei fondamentali caratteri che ancora oggi conserva e che giustamente apparvero ai padri fondatori qualcosa di nuovo nella storia del genere umano: un artefatto o un'impresa collettiva, capace di crescere su se medesima, volta a conoscere il mondo e a intervenire sul mondo. Quell'impresa, che certo non è innocente, né mai si è ritenuta tale, a differenza di quanto è avvenuto per gli ideali politici, le arti, le religioni, le filosofie, è diventata una potentissima forza unificatrice della storia del mondo».
A prima vista, l'otium, il riposo, non si confà a un imperatore: la sua è una carica che non prevede interruzioni; su di lui grava il peso del mondo; la sua veglia protegge il sonno di tutti e la sua operosità assicura l'otium degli altri. Eppure, per molti imperatori la routine quotidiana era ordinatamente scandita da riposi, letture e pratiche ludiche. Anzi, l'otium era così importante che finiva per diventare un metro di giudizio: Plinio elogiava Traiano come cacciatore e timoniere perché nel suo ritemprarsi rivelava il suo vero carattere. Al contrario, le giornate dei cattivi imperatori, come Nerone, erano invase dai bagordi, al punto da fagocitare tutto il loro operato. Seguiremo la vita quotidiana degli imperatori nelle loro proprietà nella cintura verde che circondava Roma (gli horti) o mentre si muovevano tra le ville del Lazio e della Campania, anche se neanche lì incombenze e preoccupazioni cessavano di perseguitarli. Augusto, dopo il pasto di mezzogiorno, con indosso vestiti e scarpe, si riposava un po' con una mano sugli occhi. Se la notte si svegliava per colpa delle preoccupazioni, chiamava i novellieri a leggere e ad allietarlo. Vespasiano, invece, dopo aver letto la corrispondenza e i rapporti dei funzionari, faceva entrare gli amici, andava a passeggio in lettiga o si concedeva il riposo con una concubina.
La formazione della civiltà europea deve molto a un comune 'linguaggio' alimentare. Infatti, le molte facce - economiche, sociali, politiche, culturali - della nostra civiltà hanno sempre avuto un rapporto diretto e privilegiato con i problemi dell'alimentazione. Una storia molto risalente che vede il suo inizio a partire dal III-IV secolo, via via che lo scontro fra mondo 'romano' e mondo 'barbarico' - vale a dire, fra la civiltà del pane e la civiltà della carne - si trasformò in un processo di reciproca assimilazione, favorito dal diffondersi della religione cristiana. Infatti, l'opposizione pane/carne si sarebbe mantenuta nei secoli, ma con un significato diverso: non più, o non solo, etnico e culturale, ma sociale ed economico. Il mondo della povertà e dell'umiltà contro il mondo della ricchezza e del potere; la fame contro l'abbondanza. Attraverso le vicende del cibo, dense di aspetti simbolici, questo libro ripercorre le tappe essenziali della storia europea, fino alla rivoluzione che, alle soglie dell'oggi, ha scardinato modelli millenari di produzione e di consumo. Essi tuttavia continuano, fra molte contraddizioni, a condizionare i nostri comportamenti quotidiani.
Da quando, negli ultimi due secoli, la tecnologia ci ha permesso di trascorrere molto più tempo sotto il mare, nelle profondità subacquee accade di tutto, come mostrano le straordinarie vicende raccontate in queste pagine. Pietro Spirito ripercorre la vita di Narciso Monturiol, inventore, nell'Ottocento, di un avveniristico sottomarino che avrebbe potuto ispirare il coevo romanzo "Ventimila leghe sotto i mari". E poi la parabola di Raffaele Rossetti, l'affondatore, nel 1918, della corazzata Viribus Unitis, riluttante eroe nazionale che dopo la Grande guerra lottò contro il fascismo. Ancora, le imprese degli incursori della Decima Mas, tra battaglie, agguati e tanti misteri. Come misteriosa rimane l'avventura di Lionel Crabb, l'uomo rana britannico scomparso durante una missione nel 1956 per carpire i segreti di una nave sovietica. Tra i racconti anche il ricordo degli esperimenti italiani, a fine anni Sessanta, per realizzare futuribili cittadelle sommerse. Esperienze precedute dalla costruzione del batiscafo "Trieste", nella città giuliana allora amministrata dagli angloamericani, con le confidenze della donna che aiutò Jacques Piccard a raggiungere il punto più profondo del pianeta. Un libro che - seguendo le affascinanti vie dei mondi sommersi - ci ricorda quanto sia terribilmente umana la sfida verso se stessi e l'ignoto.
Gli organi del gusto sono la lingua e il cervello. La prima sente i sapori, a valutarli è il secondo. Il meccanismo non è solo biologico, ma anche e soprattutto culturale: è una questione di abitudine, di apprendimento, di giudizio. Dunque, se ci chiediamo perché la sensibilità gustativa degli italiani è così attratta dall'amaro, la spiegazione non va cercata nella genetica ma nella storia. Ce lo spiega uno dei più grandi storici dell'alimentazione, scavando tra fonti letterarie e trattati di botanica, agricoltura, cucina, dietetica. Un sorprendente itinerario che mette a fuoco un aspetto affascinante e caratteristico della cultura italiana.
I santuari hanno cominciato a diffondersi a partire dal IV secolo grazie al successo in Occidente del culto dei santi. Grande, infatti, era l'afflusso di pellegrini desiderosi di ottenere guarigioni, di venerare reliquie e immagini sacre legate soprattutto alle apparizioni della Madonna e dell'arcangelo Michele. Questo rappresentava un paradosso per la religione cristiana, dal momento che il suo fondatore aveva rifiutato l'idea che esistessero dei luoghi privilegiati per rivolgersi a Dio. Ma le iniziative dei vescovi e la pressione dei fedeli smussarono presto questo riserbo. André Vauchez ricostruisce la storia della formazione di questi santuari e la loro crescita all'interno del mondo cristiano occidentale fra il IV e il XVI secolo. I più rinomati furono quelli di Gerusalemme - a cominciare dal Santo Sepolcro -, San Michele Arcangelo sul Gargano e in Normandia, San Martino di Tours e Rocamadour in Francia, Santiago di Compostela in Spagna e, negli ultimi secoli del Medioevo, San Francesco ad Assisi e della Madonna di Loreto in Italia. Insieme ad altri più modesti e meno noti, questi santuari formarono una rete densa di luoghi sacri che popolò l'Europa con forme nuove di sacralità. Un'ampia iconografia completa una ricerca così vasta e originale.
Scalare erroneamente una montagna di quattromila metri di altezza in scarpe da jogging. Attraversare il deserto del Turkmenistan in autostop. Percorrere in bici una strada sulle Ande che parte da quota 4.700. Queste sono solo alcune delle esperienze che Luigi Farrauto ha vissuto durante i suoi innumerevoli viaggi in giro per il mondo. Viaggi iniziati da bambino, prima di poter prendere un aereo, sfogliando l'atlante e tracciando itinerari fantasmagorici, da Milano al Polo Nord, poi giù fino a Damasco, dal Cairo al Sudafrica passando per Marrakech, fino alle steppe russe. Ma Luigi ha un segreto: ha paura di tutto. Delle montagne, degli animali, del mare aperto, delle malattie, del futuro, della morte. Ha una collezione di idiosincrasie e fobie più lunga del suo passaporto, eppure non ha mai rinunciato a viaggiare. Anzi solo viaggiando, Luigi da pavido diventa coraggioso e si sente quasi immortale. Perché è solo così, tra indizi, deviazioni, incontri, muovendosi da Hong Kong all'Isola di Pasqua, dalla Cina al Medioriente, che riesce a realizzare quella che chiama «la mia piccola libertà, la mia grande vita».
Abilismo è quando ti senti particolarmente figa perché hai un nuovo taglio di capelli e vai in giro sfoggiandolo con uno swishh, ma un tizio si avvicina e ti dice che «sei proprio brava a uscire di casa». Abilisti sono i film con personaggi disabili che dispensano grandi lezioni di vita a tutti, fanno sesso per la prima volta prima di schiattare e poi schiattano. Abilista è l'inquietante signora che ti fa pat pat sulla testa al supermercato. Ma è anche l'aula universitaria inaccessibile, la burocrazia infinita, l'assistenza insufficiente. Un fumetto in 8 storie che con intelligenza e ironia svela i pregiudizi e l'oppressione strutturale che circondano ogni giorno le persone disabili. Senza tralasciare qualche strategia per combatterli.
In Italia i crimini di guerra commessi all'estero negli anni del fascismo costituiscono un trauma rimosso, mai affrontato. Non stiamo parlando di eventi isolati, ma di crimini diffusi e reiterati: rappresaglie, fucilazioni di ostaggi, impiccagioni, uso di armi chimiche, campi di concentramento, stragi di civili che hanno devastato intere regioni, in Africa e in Europa, per più di vent'anni. Questo libro ricostruisce la vita e le storie di alcuni degli uomini che hanno ordinato, condotto o partecipato fattivamente a quelle brutali violenze: giovani e meno giovani, generali e soldati, fascisti e non, in tanti hanno contribuito a quell'inferno. L'hanno fatto per convenienza o per scelta ideologica? Erano fascisti convinti o soldati che eseguivano gli ordini? O furono, come nel caso tedesco, uomini comuni, 'buoni italiani', che scelsero l'orrore per interesse o perché convinti di operare per il bene della patria?
È stata definita una 'tempesta perfetta' quella che si è abbattuta sull'Occidente. La guerra, la crisi energetica e l'emergenza climatica hanno sconvolto le nostre vite quotidiane. Per la prima volta nella memoria recente, tra profezie di scaffali vuoti al supermercato e rischio di carestia globale, è sembrata addirittura minacciata la disponibilità di cibo sulle nostre tavole. Ma le cose sono andate sul serio come ci hanno raccontato i media? Che ruolo ha avuto la speculazione finanziaria? E la politica, quali interessi sta tutelando? Se è vero che siamo al cospetto di una crisi di sistema senza precedenti, occorre tirarne le fila senza cedere ad allarmismi e narrazioni fuorvianti. Di certo a essere saltato è il dogma del sotto costo, con i prezzi in salita mentre gli stipendi in Italia restano fermi al palo. A crescere è allora anche la frustrazione al supermercato, tra chi vuole ancora fare scelte ecosostenibili, ma vede svuotarsi il portafogli. Sottrarsi a questo ricatto morale è l'unica via d'uscita dal vicolo cieco in cui ci troviamo.
La marcia del neofascismo italiano verso l'atlantismo più radicale incominciò subito dopo la stipula del patto politico-militare tra gli Stati Uniti e il governo franchista spagnolo. Questo confortevole contesto, collaudato da oltre settant'anni, spiega la naturalezza con cui gli eredi del Movimento sociale italiano (MSI), mutate le denominazioni, giunsero tempestivamente a far parte del governo italiano sin dai primi anni Novanta e, nei mesi scorsi, al vertice di esso. Con quanta dedizione ai fondamenti della Repubblica si può arguire dalla definizione datane da Giorgio Almirante nel gennaio 1988: «Repubblica bastarda». Le premesse remote di questo idillio vanno ricercate nel modo in cui, conclusasi la seconda guerra mondiale, prontamente decollò la guerra fredda. La cui conclusione - crollo del mondo 'socialista' e trionfo dell'alleanza atlantica - ha determinato un ampio schieramento di poteri e di opinioni pubbliche che riconnette la remota contrapposizione 'o Roma o Mosca' agli sviluppi tuttora in atto: all'insegna del «dunque avevamo ragione».
Parlare dei costituzionalisti è come parlare di costituzione. Se essere costituzionalisti significa sfornare 'pareri', la costituzione anch'essa diventa un parere, anzi una somma di pareri. E diventa un parere persino che ci sia questa Costituzione e non un'altra. Un tempo, almeno su questo i costituzionalisti erano uniti: quella Costituzione alla quale hanno promesso di dedicare studi ed energie deve essere difesa e promossa. Oggi, un'epoca sembra tramontata e molti lavorano allo scopo opposto: cambiarla, renderla irriconoscibile. Naturalmente, si dice, lo scopo è sempre quello di migliorarla. Sono ancora costituzionalisti? La domanda è lecita. Talora sembrano ideologhi, altre volte politici, se non anche politicanti che usano la Costituzione come un mezzo e non come il fine, il fine ultimo che è la convivenza senza sopraffazione e senza violenza. «Che cosa stiamo diventando?» si chiede un costituzionalista che viene da tempi ormai lontani. È un destino finire tra gli 'opinionisti' da cui si pescano quelli più congeniali a questa o quella area politica, a questa o quella tesi? C'è un'Associazione dei costituzionalisti che riunisce circa 500 persone con il compito di «promuovere e difendere le peculiarità della cultura costituzionalistica». Che cosa sono queste peculiarità? Se c'erano, dove sono finite? Forse un tempo si sarebbe potuto rispondere. Oggi è difficile. «Sia chiaro - si dice in questo libro -, questa non è una critica, ma una constatazione e, insieme, una delusione, un dispiacere e, forse, un rimorso».
«Sono in biblioteca e aspetto. No, non sono in attesa della consegna di un libro, anche perché sono in una piazza coperta con immense vetrate sul mare e, al centro, un tubo di bronzo di 7,5 metri di lunghezza appeso al soffitto. L'opera d'arte è in realtà un gong, realizzato dall'artista Kirstine Roepstorff, che suona ogni volta che in città nasce un bambino. Questo rintocco si espande per tutto l'edificio e tutti sanno che qualche minuto prima una nuova vita è entrata nella comunità: cos'altro può generare fiducia nel mondo in cui viviamo, se non un piccolo essere che arriva tra noi? Il gong di Dokk1, la biblioteca di Aarhus, in Danimarca, dimostra meglio di qualsiasi altra cosa perché le biblioteche siano parti necessarie, vitali, dell'infrastruttura sociale: perché con la loro stessa esistenza creano fiducia nel domani.»
Non potrebbe esserci contrasto più stridente tra le invettive ideologiche nazionaliste e ortodosse della Russia di Putin contro l'Occidente e la 'dolce vita' che Putin, la sua famiglia e i suoi fedeli amici conducono proprio in Occidente, e preferibilmente in Europa. Questo libro cerca di illuminare questo contrasto raccontando la faccia nascosta degli affari degli oligarchi e della famiglia di Putin. Attraverso una vasta mole di documenti societari, testi delle direttive europee, rapporti di intelligence, inchieste delle polizie finanziarie sui beni da sequestrare ai russi sanzionati in Europa e in Occidente, si racconta una controstoria che scorre parallela al massacro dei civili e alla guerra in Ucraina. Con il conflitto è iniziata peraltro una nuova stagione: la caccia agli asset degli oligarchi, una caccia ai quattro angoli del mondo tra oscure e intricate costruzioni societarie, prestanome e potenti studi legali internazionali, gli enablers, i facilitatori occidentali della corruzione del Cremlino, che cercano di evitare congelamento e sequestro dei beni dei russi. Un romanzo planetario dal quale dipende anche la futura sicurezza delle democrazie contro la cleptocrazia più vicina e minacciosa per l'Europa.
Negli ultimi anni abbiamo assistito a una continua invasione di campo: da una parte c'è stato il ritorno a una dimensione narrativa della storia. Dall'altra, sempre più romanzieri si sono inoltrati nel terreno della storia, da Cercas a Binet, da Littell a Scurati. Ma qual è la relazione fra la letteratura e la storia? Un romanzo può essere uno strumento per indagare la realtà? Prendiamo il caso di "Se questo è un uomo". È testimonianza? È letteratura? È riflessione storica e sociologica? Certamente il contributo teorico e interpretativo di Primo Levi, e in particolare la sua nozione di 'zona grigia', è decisivo per chiunque voglia studiare la Shoah. Oppure "Una questione privata". Cosa c'è di più romanzesco? Eppure la storiografia ha impiegato oltre trent'anni per arrivare a interpretare, come Fenoglio, la Resistenza anche come guerra civile. Insomma, si potrebbe parlare di una vera e propria 'ragione letteraria', diversa da quella storica, ma non meno ficcante e rivelatrice. In fondo storia e letteratura hanno molte cose in comune: entrambe vogliono ricreare mondi perduti, riesumando i morti oppure infondendo la vita a uomini che non l'hanno mai avuta.
Le imprese di Francis Drake, il grande corsaro inglese al servizio della regina Elisabetta I, hanno qualcosa di veramente epico. Fu un uomo capace di sfidare da solo, dopo gli iniziali raid condotti nel Mar dei Caraibi, l'impero spagnolo in America, tra il 1577 e il 1579. Durante le navigazioni, Drake e i suoi uomini affrontarono battaglie sanguinose e violente tempeste, compiendo eccezionali scoperte geografiche tra Antartide e Terra del Fuoco. Risalirono tutta la costa americana del Pacifico fino alla California e tornarono a casa attraversando gli oceani, primi inglesi nella storia a farlo. Grazie alle carte scoperte da David Salomoni negli archivi di Lisbona, per la prima volta un libro può raccontare questa storia attraverso la testimonianza di uno dei protagonisti, il pilota portoghese Nuno da Silva, rapito da Drake a Capo Verde, l'uomo che gli svelò la rotta del passaggio nello Stretto di Magellano. In queste pagine si viaggia attraverso l'Inghilterra di Shakespeare e la Spagna di Cervantes, dall'Africa della tratta schiavista all'America degli agonizzanti popoli precolombiani. Troverete un mondo affascinante e sorprendente ancora dominato dagli spazi bianchi sulle carte.
Fin da giovane, addirittura dal 1911, Benito Mussolini aveva cominciato a scrivere pagine in cui raccontava la propria vita. Aveva proseguito durante la prima guerra mondiale con un diario in cui raccontava le sue avventure di cronista militare dal retrofronte. Nel 1932 aveva a lungo dialogato con il giornalista tedesco Emil Ludwig per descrivere la vita di un dittatore sotto le luci della ribalta e dietro le quinte. A raccontarci il crollo dall'altare alla polvere e il trauma provocato dalla perdita del potere, ci sono poi le numerosissime lettere e confessioni a Claretta Petacci e le riflessioni sulla prigionia dell'agosto 1943. Insomma, una documentazione straordinaria, qui raccolta per la prima volta, che mostra quanto Mussolini desse peculiare rilievo alla sua immagine, come imponesse una determinata visione di se stesso, consapevole del fatto che, dinanzi alla folla, spesso è l'abito a fare il monaco. Un libro utile per riconsiderare una delle figure fondamentali del Novecento italiano, mostrandocene la psicopatologia, dalla rincorsa al potere alla gestione dittatoriale dello Stato, sino al sanguinoso tramonto di Salò.
C'è stata una donna, durante la Rivoluzione Francese, che ebbe il coraggio di sollevare i gonnelloni e marciare su Versailles a cavallo di un cannone. E un'altra, una deputata del parlamento inglese, che nel primo Novecento pronunciò una frase memorabile: «Mi servirebbe una moglie!», denunciando così il sostegno che, nell'ombra, da sempre le mogli dei politici hanno dato loro. Perché, come affermò nel 1893 Helene Lange: «La questione femminile è anche una questione maschile». Le voci delle donne, e degli uomini, che riecheggiano in questo libro ristabiliscono un dialogo fra noi e il passato. Provano a raccontarci cinque secoli di ricerca contrastata e difficile per la libertà.
Negli stessi secoli in cui entra in crisi l'unità linguistica e politica del mondo romano, incominciano a risuonare quelle lingue che ancora oggi l'Europa parla e la cultura europea rimedita l'episodio biblico della confusio linguarum, cercando di recuperare la lingua di Adamo o di ricostruirla come lingua perfetta. A questo sogno si sono consacrate alcune delle personalità più insigni della cultura europea e malgrado le loro utopie non si siano realizzate, ciascuna di esse ha prodotto degli effetti collaterali: se oggi conosciamo il mondo naturale attraverso classificazioni rigorose, se inventiamo linguaggi per le macchine, se siamo in grado di compiere calcoli logici, se tentiamo esperimenti di traduzione meccanica, è perché siamo in qualche misura debitori di quei molteplici tentativi di ritrovare la lingua di Adamo.
Questo è un grande libro sullo scenario fisico delle città europee, il cui carattere di persistenza nel tempo attraversa le altre vicende storiche e diventa un canale di comunicazione insostituibile tra presente e passato, ma anche di condizionamento del presente sul futuro. È la stabilità, infatti, che dà risalto e significato al fluire delle esperienze diverse di ogni generazione, ciò che costituisce l'identità dei luoghi in cui viviamo. Da una città all'altra dell'Europa attraverso i secoli, Leonardo Benevolo ravvisa una tradizione urbana europea riconoscibile. Scopriamo ad esempio che i monumenti non si isolano dalla città, ma si affacciano sugli spazi comuni e con le loro facciate li arricchiscono, andando a fondare la nostra tradizione urbana. Una tradizione basata sulla molteplicità, sull'imperfezione, sull'aderenza ai valori della vita quotidiana.
Una palla infuocata si è trasformata in milioni di anni in ciò che noi chiamiamo Terra: un agglomerato di rocce sufficientemente solido da ospitare i vasti oceani della nostra 'arancia blu' e grandi continenti in perpetuo movimento. Un ambiente dove la vita ha prosperato, e continua a farlo nonostante tutto e tutti. Eppure di questo spazio, su cui poggiamo i piedi tutti i giorni e che ci nutre, spesso sappiamo pochissimo. In questo libro, allora, ci muoveremo attraverso i luoghi dove è possibile comprendere la storia della Terra e i profondi legami che essa ha con la storia della vita: dalle tenui tracce della sua origine, più di tre miliardi di anni fa, fino alle prove della coevoluzione del pianeta con il mondo vivente. Andremo alla scoperta di alcuni dei suoi luoghi più incredibili, dalla fossa delle Marianne alla cima dell'Everest, passando per le miniere del Sudafrica e le scogliere coralline tropicali. Il nostro sarà anche un viaggio nel tempo, perché è impossibile raccontare la storia della Terra tralasciando le storie dei protagonisti della sua esplorazione, dalle prime intuizioni sulla sua forma fino alle recenti esplorazioni dei fondali oceanici. Una storia della Terra che propone un approccio globale alla comprensione del pianeta e della sua fisiologia, una dimensione culturale oggi più che mai necessaria.
Non sono più i tempi in cui Togliatti dettava la linea agli storici marxisti, in cui lo scontro tra Craxi e Bobbio produceva un mutamento nella linea politica di un partito, in cui gli intellettuali partecipavano appassionatamente alla vita politica del paese. Ormai non è più neanche il periodo delle fondazioni, dei think tank o degli intellettuali ad personam di una ventina di anni fa. Oggi, semplicemente, politica e cultura hanno ritenuto di poter fare a meno una dell'altra. Perché? E soprattutto, come si è prodotta questa frattura? Un racconto delle tappe attraverso le quali si è arrivati a questa stagione del disamore, del disprezzo per i 'professori' da un lato, dell'inconcludenza e della vanità dall'altra. Un racconto che indaga le ragioni del discredito che ha investito le figure del politico e dell'intellettuale negli ultimi trent'anni; analizza il ruolo che in questo processo hanno avuto i mass media e l'università; riflette sulla dissoluzione di quel nesso tra politica e cultura, cruciale nella storia italiana del pieno Novecento. Un libro che, senza giudizi moralistici, pone al centro una delle questioni più significative del nostro tempo.
In "Se questo è un uomo" Primo Levi ha scritto: «credo che proprio a Lorenzo debbo di essere vivo oggi». Ma chi era Lorenzo? Lorenzo Perrone, questo il suo nome, era un muratore piemontese che viveva fuori dal reticolato di Auschwitz III-Monowitz. Un uomo povero, burrascoso e quasi analfabeta che tutti i giorni, per sei mesi, portò a Levi una gavetta di zuppa che lo aiutò a compensare la malnutrizione del Lager. E non si limitò ad assisterlo nei suoi bisogni più concreti: andò ben oltre, rischiando la vita anche per permettergli di comunicare con la famiglia. Si occupò del suo giovane amico come solo un padre avrebbe potuto fare. La loro fu un'amicizia straordinaria che, nata all'inferno, sopravvisse alla guerra e proseguì in Italia fino alla morte struggente di Lorenzo nel 1952, piegato dall'alcol e dalla tubercolosi. Primo non lo dimenticò mai: parlò spesso di lui e chiamò i suoi figli Lisa Lorenza e Renzo, in onore del suo amico. Questo libro è la biografia di una 'pietra di scarto' della storia, di una di quelle persone che vivono senza lasciare, apparentemente, traccia e ricordo di sé. Ma che, a ben guardare, sono la vera 'testata d'angolo' dell'umanità.
Il dibattito pubblico italiano degli ultimi mesi è stato avvelenato: la necessità di armare la resistenza ucraina lo ha monopolizzato e il discorso pubblico si è polarizzato anche grazie al grande spazio concesso a improbabili cantori più o meno consapevoli del putinismo. In mezzo a questo scontro strumentale di civiltà hanno stentato a emergere le idee, l'etica e il rigore del pacifismo. Le ragioni della pace e del disarmo e le proposte pratiche fatte negli anni, ignorate e confinate nel campo dell'utopia in tempo di quiete, vengono trattate con sufficienza - se non dileggio - in tempo di guerra. Chi sono i pacifisti in Italia? Come hanno realizzato le proprie idee nel corso degli anni? In quali parti del mondo, con quali esperienze e lezioni apprese? Quali sono le contraddizioni con le quali il pacifismo deve fare i conti? Quanto costa la guerra e chi paga il conto? E quindi, a chi interessa soffiare sul vento della guerra? Un libro reportage per raccontare le storie e i protagonisti di un pensiero critico, alto e silenziato di cui ci sarebbe bisogno oggi più che mai.
La missione era nata da subito all'insegna dell'ipocrisia: «Siamo intervenuti in difesa di un alleato NATO dopo l'11 settembre», mentirono i politici. L'attacco all'Afghanistan fu invece parte dell'operazione Enduring Freedom, a iniziativa americana, non autorizzata dall'ONU. La NATO subentrò solo più tardi. Spedendo i primi soldati fuori da Kabul, in zona di combattimenti, nel 2003, il ministro della Difesa dell'epoca dichiarò: «È una missione a rischio, ma le sue finalità sono comunque di peace-keeping». In realtà già da fine 2001 i piloti del gruppo Lupi Grigi decollati dalla portaerei Garibaldi erano impegnati nelle missioni di bombardamento sull'Afghanistan insieme agli aerei americani: ne compirono 278. Non c'era pace da mantenere laggiù, lo dimostra anche l'esistenza di una unità come la Task Force 45, formata dall'élite delle forze speciali italiane, quotidianamente impegnata in azioni di combattimento, ma la cui esistenza all'inizio non era nemmeno ammessa dal governo. Numerosi 'operatori' della fantomatica TF-45 raccontano nei particolari le operazioni di guerra, portate a termine spesso senza poter contare sul supporto degli aerei italiani. In vent'anni di intervento la guerra ha portato con sé corruzione, ruberie, appetiti economici, tradimenti. E il bilancio è uno solo: la situazione in Afghanistan è peggiorata.
Che cosa vuol dire appartenere al genere femminile o maschile? È possibile assegnare un'identità sulla base del solo sesso biologico? Judith Butler è convinta che non sia possibile e in questo libro affronta i luoghi comuni che si nascondono dietro quella risalente assunzione. Come definire, allora, la propria identità? Decisivo è trovare un 'posto tutto per sé' fra maschile e femminile, ai margini delle rigide classificazioni prodotte dalla psicoanalisi, dalla filosofia, dalla biologia e dalla linguistica. Perché non esistono due generi, ma numerose possibilità che devono includere anche tutti i soggetti ritenuti anomali ed eccentrici dalle norme imposte e codificate. Una posizione, quella di Judith Butler, che mette in discussione anche parte del femminismo occidentale che ha riprodotto la stessa gerarchia dei sessi, idealizzando la donna in maniera speculare a quello che ha fatto la cultura maschilista e patriarcale. La sfida lanciata è chiara: ripensare l'identità di ogni persona come qualcosa in continuo mutamento, che non si lascia ridurre ad alcun modello stereotipato. Una sfida che può garantire l'accesso ai diritti e la qualità della pratica democratica.
Il 4 novembre 1854, mentre infuriava la guerra di Crimea, una giovane donna inglese di nome Florence Nightingale, di estrazione liberale, irrequieta e sognatrice, mise piede nella caserma Selimiye a Scutari (Istanbul), una struttura convertita in ospedale per esigenze belliche. A causa di gravi inefficienze organizzative e della mancanza di assistenza infermieristica sul campo, migliaia di soldati stavano perdendo la vita. Florence Nightingale, convinta che l'azione umana potesse e dovesse cambiare anche le prassi e i preconcetti più radicati, non poteva accettare a cuor leggero simili negligenze. Fu così che, tra ratti e sudiciume, ostacoli legati al genere e una salute cagionevole a complicare il tutto, questa donna coraggiosa avviò una vera e propria rivoluzione. Accettando l'incarico di sovrintendente del personale femminile negli ospedali inglesi in Oriente, era diventata la prima donna inquadrata nelle forze armate di Sua Maestà britannica, la regina Vittoria. Iniziò così un percorso destinato a cambiare non solo la sua vita, ma quelle di generazioni di donne e di uomini che avrebbero beneficiato da quel momento di un'assistenza ospedaliera davvero degna di questo nome. Ed è una storia che giunge fino a noi.
Dal 1995 a oggi il ciellino Roberto Formigoni prima e i leghisti Roberto Maroni e Attilio Fontana poi hanno governato in Lombardia attuando misure scellerate in tema di sanità, mobilità e cura del territorio. Scelte inadeguate di fronte all'impatto delle crisi globali, delle sfide del cambiamento ambientale e - soprattutto - della pandemia da Covid-19, in seguito a cui il velo è stato sollevato. A fronte della retorica dell'eccellenza sanitaria, i cittadini hanno toccato con mano l'impoverimento del servizio pubblico. La privatizzazione della sanità è il simbolo di una vita pubblica devastata dalle logiche del puro profitto e interamente subordinata agli affari di pochi. Il modello di Lega, Forza Italia e, in misura minore, Fratelli d'Italia ha costruito un potere impenetrabile, sancito dai voti plebiscitari delle elezioni. La vita quotidiana in terra lombarda è un incubo per chi deve prendere i treni dei pendolari ma il Pirellone finanzia senza battere ciglio autostrade private e sballati comprensori sciistici senza neve. Nella regione più inquinata d'Europa per le emissioni di gas si strappano deroghe per i veicoli più vecchi e si preferisce fare la guerra al Comune di Milano. Insomma, un quadro desolante di fronte a cui sembra non emergere mai una possibile alternativa.
In un'opera scritta da un frate milanese del Trecento, Galvano Fiamma, si nasconde una breve menzione di una terra chiamata Marckalada, situata a ovest della Groenlandia. I marinai che viaggiano per i mari del Nord ne parlano come di una terra ricca di alberi e animali, dove si trovano grandi edifici e vivono dei giganti. È una notizia sensazionale: la prima menzione del continente americano nell'area mediterranea, un secolo e mezzo prima del viaggio di Colombo. Ma chi è Galvano Fiamma e da dove ricava queste informazioni? Cosa si sapeva davvero in Italia delle regioni al di là dell'oceano? Per rispondere a queste domande sarà necessario interrogare molti suggestivi personaggi: gli esploratori vichinghi che dall'Islanda approdarono sulle coste americane; il prete del porto di Genova, che tracciava carte geografiche; i mercanti che dal Mediterraneo si recavano al Nord per acquistare pellicce e uccelli da preda; gli imbarcati sulle galee genovesi scomparse nell'Atlantico mentre cercavano di raggiungere l'India navigando verso ovest. Il risultato è una ricerca appassionante come una spy story, una trama internazionale ricca di colpi di scena.
I boschi italiani hanno caratteristiche uniche al mondo, affascinanti da conoscere. A differenza del resto d'Europa, gran parte della loro biodiversità è legata alla secolare influenza di attività come il pascolo, la produzione di legname, di legna da fuoco, di carbone o di alimenti. La lunga coevoluzione tra uomo e natura ha creato un binomio inscindibile. Le abetine delle Alpi, le faggete appenniniche, i querceti delle colline interne, le pinete litoranee e le macchie di arbusti delle coste e delle isole, sono elementi di un paesaggio bioculturale che già dal medioevo ha attirato studiosi e visitatori stranieri e che ancora oggi mostra persistenze storiche in grado di rappresentare l'identità ambientale e paesaggistica dell'Italia. Questo Atlante identifica 58 boschi, distribuiti dal Sud al Nord della penisola, e ne racconta le principali caratteristiche, offrendo una chiave di lettura originale che integra storia e natura.
Il mondo contemporaneo ha visto l'emergere di individui che hanno avuto il controllo su una serie di strumenti terrificanti e dotati di una forza senza precedenti. Hanno provato a ricostruire da zero intere società, hanno combattuto guerre devastanti, con una volontà e una determinazione che non conoscevano alcun limite. Eletti democraticamente o dittatori, senza dubbio i leader politici che hanno lasciato un segno profondo nella storia sono caratterizzati da personalità sconvolgenti e inquietanti. Ma quali condizioni politiche portano questi soggetti al potere? Quanto è importante la personalità nella conquista del potere e nel suo esercizio? Cosa ne promuove o ne limita l'uso? Queste sono domande che fin dall'antichità la ricerca storica si è posta ma che oggi, con l'emergere di leadership come quelle di Donald Trump, Recep Erdo?an e Vladimir Putin, hanno assunto una rilevanza del tutto inedita. In questo libro, Ian Kershaw analizza e mette a confronto 12 personalità politiche che hanno cambiato il corso della storia europea del XX secolo per rispondere al più classico degli interrogativi: sono i tempi a forgiare gli uomini o gli uomini a determinare i tempi in cui vivono?
Quando pensiamo al Medioevo, automaticamente ci vengono in mente immagini di spade, castelli e armature. Quasi ogni cosa che ricordiamo di questo periodo storico ha a che fare con battaglie, duelli o assedi. Mai come nei mille anni dell'Età di Mezzo, la guerra ha occupato uno spazio così centrale nella vita degli uomini. In queste pagine troveremo tutte le battaglie più famose, da Hastings ad Azincourt, da Poitiers a Bouvines, ma più volte ci stupiremo inoltrandoci in luoghi lontani, sconosciuti e affascinanti: dalle umide pianure indiane alle gole del Tagikistan, dalle acque del Giappone fino alle inesplorate valli dell'Impero azteco, dai ghiacci del Baltico fino al profondo deserto d'Arabia. Ciascuno di questi 21 'fatti d'arme' diventa un prisma attraverso il quale conosciamo gli avanzamenti dell'?arte della guerra', ma anche uomini, culture, contesti. Un libro che piacerà a tutti gli appassionati di storia militare e che ha l'ambizione di proporre uno sguardo nuovo, capace di coinvolgere tutti coloro che amano la storia.
La conquista del potere da parte del fascismo, cento anni fa, si caratterizzò per l'uso di una violenza smodata e senza limiti. Pestaggi, uccisioni, linciaggi, devastazioni furono sistematici nel 'biennio nero' 1921-1922, ma continuarono con la stessa brutalità anche dopo la marcia su Roma fino ad annientare l'opposizione politica nel paese. Questa brutalità così efferata provocò uno shock fortissimo: i socialisti e i comunisti, che si erano sentiti fino a quel momento sul punto di scatenare la rivoluzione, non seppero reagire e difendersi. Ma l'effetto dirompente della violenza sul corpo della nazione venne sottovalutato anche dallo Stato liberale e dalle élites che, in un primo momento, avevano pensato di utilizzare i fascisti per liquidare il 'pericolo rosso'. Se l'ascesa del fascismo fu efferata, altrettanto lo fu la sua caduta, con i venti mesi di guerra civile che portarono l'Italia sull'orlo del baratro. Per molto tempo gli storici si sono interrogati sul consenso al regime fascista e hanno dedicato poca attenzione all'uso della violenza da parte dei fascisti e al ruolo anche simbolico che questo ha avuto. John Foot, nel solco della migliore divulgazione inglese, ne ricostruisce la storia a partire da singole storie individuali, spesso dimenticate.
Il palcoscenico come dimora. Napoli come fede e, insieme, eresia. Un mestiere e una città che si somigliano: perché sono seconda pelle, difficile da dismettere. Peppe Barra, straordinario interprete e cantante che continua a sperimentare e a sorprendere, si lascia interrogare senza filtri da una firma del giornalismo d'inchiesta. Così la conversazione con Conchita Sannino non è solo un viaggio appassionante e ironico con un mattatore amato da De André a Fellini. Ma si fa subito storia collettiva e 'indagine' sulla propria terra, e sul Sud, in uno snodo cruciale del Paese. Un dialogo sincero e, a tratti, toccante. L'infanzia nella magica Procida. La Napoli devastata dalla guerra. I sogni da bambino prodigio. Fino alla 'rivoluzione' di Gatta Cenerentola, al sodalizio artistico con sua madre Concetta, alla carriera da solista che rinnova una grande cultura teatrale. Ma è la metropoli meridiana, l'altra protagonista. Che non sembra imparare dalle proprie cadute. Che soffre, delude, si rialza. E torna a splendere come capitale dell'immaginario.
Sulle rive dell'Ofanto, nel Mezzogiorno italiano, un secolo e mezzo fa si svolse una grande sfida. Da una parte c'era il brigante, Carmine Crocco. Pastore, militare, bandito di professione, divenne il capobanda più famoso nelle campagne meridionali dopo il 1860. Alla guida del brigantaggio filoborbonico, sperimentò forme di guerriglia che avranno fortuna nel XX secolo, anticipandone gli aspetti politici e una organizzazione criminale su larga scala. Dall'altra parte, il generale, Emilio Pallavicini di Priola, aristocratico sabaudo, militare esperto in operazioni speciali e al comando di reparti schierati nella campagna contro il brigantaggio. L'ufficiale era parte dell'antica aristocrazia di spada e interpretò la conclusione di un processo secolare, in cui i ruoli militari passavano definitivamente ai professionisti della guerra. Nel primo decennio dell'Italia unita furono questi due uomini, lontanissimi per origine e formazione, i protagonisti più conosciuti della guerra per il Mezzogiorno. Carmine Pinto racconta le loro 'vite parallele' e, attraverso queste, gli episodi, i luoghi, le battaglie e le leggende, la guerra tra il primo esercito nazionale e l'ultimo dell'antico regime, fino allo scontro finale e al sorprendente epilogo delle loro esistenze.
Nel 1944 un anonimo antifascista pubblicò un opuscolo il cui primo capitolo si intitolava "Il fascismo non è mai esistito". Cinquant'anni dopo un illustre intellettuale antifascista dichiarò: «Il fascismo è eterno». La storia del fascismo è stata spesso raccontata per sostenere o confutare una teoria. Questa "Storia del fascismo" non presuppone né propone una teoria. Racconta i fatti accaduti, come è stato possibile conoscerli attraverso i documenti. Essendo storia e non cronaca, l'autore ha dato risalto a persone, momenti, condizioni, eventi che maggiormente contribuirono a trasformare il minuscolo movimento del 1919 in un regime totalitario nel 1926, con tutto quello che ne è seguito nei successivi diciannove anni. Dall'inizio alla fine, il fascismo ebbe un solo capo, ma questo libro mostra che non fu Mussolini a generare il fascismo, ma fu il fascismo a generare il duce. Nel corso della sua parabola, il fascismo visse varie metamorfosi, ma la "Storia del fascismo" mostra che i suoi caratteri essenziali e indelebili ebbero origine non dal minuscolo fascismo mussoliniano del 1919 ma dal fascismo che nel 1920 iniziò la guerra civile squadrista e la proseguì, diventando un partito di massa, fino alla conquista del potere, per istituzionalizzarla nel regime totalitario e riprenderla nell'ultimo momento dell'agonia. Nel raccontare la storia del fascismo, Emilio Gentile non ha seguito il copione del postero, che sa già come è andata a finire. Il caso, l'imprevisto, la scelta, l'iniziativa, fanno parte di questa nuova "Storia del fascismo", come fecero parte del fascismo durante la sua storia. Che era storia nuova, senza copione, anche per i suoi protagonisti.
Un grande storico come Alessandro Barbero e un grande illustratore come Sergio Toppi ci restituiscono vividamente quel che accadde ad Adrianopoli, nei Balcani, in un lungo pomeriggio d'estate nella battaglia che ha cambiato la storia del mondo e che ha segnato la fine dell'Antichità e l'inizio del Medioevo.
Il libro racconta la parte meno conosciuta della vita e dell'opera di Michelangelo Buonarroti, quella che ha inizio con l'esecuzione del "Giudizio Universale". Negli anni in cui realizza questo dipinto straordinario Michelangelo sviluppa una sensibilità religiosa radicale che lo porterà ad avvicinarsi al gruppo degli 'spirituali', composto da alcuni uomini e donne in lotta per una riforma religiosa e che per la loro militanza segreta saranno sospettati, accusati e perseguitati per eresia. La produzione tarda di Michelangelo, che annovera capolavori quali la tomba di Giulio II, la Cappella Paolina, la nuova basilica di San Pietro in Vaticano e i piccoli dipinti per Vittoria Colonna e Tommaso Cavalieri, non è comprensibile se non all'interno di questa vicenda spirituale che mette in gioco la vita stessa dell'artista. In queste pagine, la ricostruzione dello scenario storico nel quale opera l'artista dopo il "Giudizio Universale" si accosta all'analisi minuziosa della sua produzione, così da permettere al lettore di entrare profondamente nell'opera del genio, comprendere appieno le sue emozioni e ancora più chiaramente, per le dettagliatissime indagini tecniche condotte dall'autore durante i suoi restauri, il suo prodigioso talento manuale.
Perché Putin ha pensato di poter conquistare in pochi giorni l'Ucraina con il consenso dei russi ma anche degli ucraini? Cosa vuol dire 'denazificazione'? Per spiegare questa tragedia che cambia il mondo occorre ritornare ad alcuni passaggi essenziali della storia del Novecento prima e dopo il 1991. Una vicenda complessa, che parte dal rapporto dell'Ucraina con il potere sovietico di Lenin e che passa dall'Holodomor, la terribile carestia provocata da Stalin che nel ?32-?33 fece in Ucraina più di quattro milioni di vittime. Una storia che continua con la seconda guerra mondiale e l'occupazione nazista e prosegue con la fine dell'Urss e le difficoltà degli Novanta, cui l'Ucraina ha risposto guardando all'Unione Europea mentre in Russia si affermava la svolta autoritaria di Putin, fondata sul consenso a una ideologia di potenza radicata nella storia russa e condivisa da una classe dirigente formatasi tra declino sovietico e riaffermazione del potere dello Stato. Una ideologia che spinge Putin a disprezzare un Occidente opulento e corrotto in declino economico e demografico. E che gli fa pensare che sia arrivato il momento per ridare alla Russia il suo ruolo di grande potenza mondiale.
Paul Klee è uno degli artisti più importanti del Novecento e sicuramente uno dei più amati: la sua pittura raggiunge tutti, incanta i bambini come i filosofi che ne hanno molto scritto. Ha dipinto diecimila opere, sperimentando, creando nuove tecniche, usando linguaggi diversi, reinventandosi sempre: è stato astratto e figurativo, lo hanno chiamato post-cubista, surrealista, espressionista, ma nessuna definizione riesce a racchiuderlo. Diceva di essere 'inafferrabile'. E in qualche modo è così. Chi era davvero Paul Klee? Questo libro indaga il mistero di un genio dotato di molti doni: poteva essere un poeta o un musicista, ma è con la pittura che ha cambiato la storia dell'arte. Dominato da una potente ispirazione e da un'inesauribile furia creatrice, che ha saputo regolare ed educare con la più metodica delle vite: un caso molto raro tra i suoi colleghi artisti. Attraverso i suoi Diari e i densi scritti teorici che ha lasciato, Gregorio Botta ricostruisce e intreccia la formazione di un uomo e la nascita di un'estetica che ha segnato il secolo. Dotata di un ricco apparato iconografico a colori, questa è una biografia artistica scritta con un linguaggio chiaro e avvincente da un autore che è a sua volta un artista.
Perché il fascismo? E perché in Italia? Perché proprio nel nostro paese si è imposto un regime dittatoriale che ha proposto una formula politica che è stata presa a modello non solo in Europa e continua a esercitare un suo fascino sinistro? Queste domande ci interrogano da vicino e ne sollecitano molte altre quando proviamo a individuare cause ed effetti per elaborare una risposta. Ad esempio: l'Italia prefascista era una democrazia o era un sistema politico fragile? È bastata la guerra a produrre il fascismo? Ma soprattutto, che ruolo ha avuto l'uso della violenza da parte dei fascisti? È stata una risposta al clima insurrezionale generato da socialisti e comunisti o qualcosa di profondamente nuovo e diverso? Chi erano dunque gli squadristi? L'impressionante numero di uccisioni, bastonature e devastazioni è interpretabile come la reazione della borghesia di fronte alla 'grande paura' prodotta dalla rivoluzione russa? E in tutto questo, Mussolini fu 'l'uomo della Provvidenza' o un opportunista di successo? Tutte questioni ancora aperte e che ancora ci sfidano, soprattutto quando vogliamo rispondere alla domanda principe: il fascismo si poteva evitare?
Forse perché lo leggiamo troppo presto o forse perché siamo costretti a farlo a scuola, sta di fatto che, in generale, abbiamo una opinione abbastanza grigia e sfocata dei "Promessi sposi". Spesso ci rimanda un'immagine di compunzione religiosa e di moderatismo accomodante simile a certe vecchie fotografie che troviamo nelle case dei nostri nonni e che faticano a parlarci ancora. Ecco, vi invitiamo a (ri)leggere i "Promessi sposi" in modo un po' diverso dal solito, cioè in compagnia non di un letterato, ma di uno studioso di storia d'Italia. Scopriremo così che i "Promessi sposi" hanno un carattere fortemente politico e ci dicono moltissimo sulla nostra storia, non solo quella del Seicento, sul nostro carattere nazionale, sull'impronta che il cattolicesimo ha lasciato, nel bene e nel male, nella nostra coscienza morale. Torneranno alla luce l'importanza e il valore del messaggio ideologico al cuore di questo romanzo: una morale privata basata su libertà di scelta e responsabilità individuale, per uomini e donne; un illuminato senso della misura nella valutazione delle cose del mondo, ma con una consapevolezza acuta della giustizia e dell'ingiustizia dei contesti sociali e delle azioni dei singoli.
Come scrivere una legge che voleva essere rivoluzionaria e ritrovarsi il Paese contro? La risposta è nella vera storia della «Buona Scuola», l'iniziativa che ha segnato forse più di ogni altra il governo Renzi. All'epoca dei fatti Alessandro Fusacchia era il capo di gabinetto al Miur e ha dunque avuto un ruolo nevralgico in tutte le tappe che hanno portato all'ideazione, al varo e all'attuazione della legge. Dal tentativo di tornare ad assumere nella scuola solo per concorso alle misure per 'premiare' i docenti, fino all'introduzione dell'alternanza scuola-lavoro obbligatoria o del piano per la digitalizzazione delle scuole, l'autore restituisce con il piglio della cronaca e con sguardo lucidissimo la distanza tra quello che si studia sui commentari di diritto costituzionale e quello che accade nella realtà. Il lettore ha così accesso al dietro le quinte di un ministero e di un governo e può toccare con mano la fatica della burocrazia, i tanti aspetti banali del potere, la complessità di ogni scelta politica. Un libro necessariamente critico e autocritico, che mostra quanto sia difficile in Italia cambiare.
La pandemia ha segnato un prima e un dopo nella vita di tutti noi. Ha costretto a ripensare il ruolo dello Stato, a reinventare il modo di lavorare, ci ha interrogato sull'importanza dei legami affettivi e della vicinanza fisica. Al centro di tutti questi cambiamenti c'è l'esperienza del lockdown, di cui questo libro restituisce una cronaca puntuale, mese per mese, paese per paese. Attraverso una ricostruzione cronologica divisa per aree geografiche, dalla Corea all'Australia, dall'Italia alla Danimarca, dagli Stati Uniti a Israele, Gabriele Crescente ripercorre gli eventi legati all'introduzione e alla gestione dei lockdown. Ne emerge un quadro globale sui modi in cui i governi di tutto il mondo si sono trovati a dover decidere sull'opportunità di limitare le libertà fondamentali per far fronte a una minaccia dai contorni ancora indefiniti e sui tanti fattori che hanno determinato le radicali differenze nelle strategie adottate, nella loro efficacia e nel modo in cui sono state accolte. Non sappiamo ancora se questa è una storia davvero finita, ma di certo sappiamo che resterà uno dei passaggi cruciali della storia di questo secolo.
Lungo tutto il secolo breve, una donna bellissima e fortissima pensa, scrive, agisce, lotta. Viaggia prima per studio, poi attraversando fronti e frontiere dell'Europa occupata dai nazifascismi: Parigi, Lisbona, Londra, Marsiglia, Roma, il Sud dell'Italia dove sono arrivati gli Alleati. Documenti falsi, missioni segrete, diplomazia clandestina. Joyce, insieme al marito Emilio Lussu e ai compagni di Giustizia e Libertà, sostenuta nelle sue scelte dalla sua famiglia di origine, è in prima linea nella Resistenza. Poetessa, traduttrice, scrittrice, ha sempre coniugato pensiero (prefigurante, modernissimo) e azione. Azione che prosegue nel dopoguerra con la ricerca di poeti da tradurre per far conoscere le lotte di liberazione degli altri paesi, in particolare dell'Africa e del Curdistan. Nazim Hikmet, Agostinho Neto, i guerriglieri di Amílcar Cabral che compongono canti di lotta durante le marce, sono alcuni degli autori che Joyce 'scopre' e propone attraverso traduzioni rivoluzionarie. Rievocando le scelte, gli incontri, le occasioni, ripercorriamo l'esistenza di questa donna straordinaria (laica, cosmopolita, 'anglo-marchigiana') e il suo essere, da sempre, riferimento per molte donne e molti giovani.
Cominciamo col dire che non erano tre. Le caravelle, ovviamente. Si tratta di un mito durevole, entrato prepotentemente nell'immaginario. Tre come i Magi, come i Moschettieri, per non citare altri e più sublimi paragoni. Volendo essere precisi, due caravelle e una nao: una grossa nave commerciale. Ma poco importa: il mito si costruisce a suon di semplificazioni. L'invito è a salire a bordo e a ripercorrere, passo dopo passo, le tappe del primo viaggio di Cristoforo Colombo, proprio quello che il 12 ottobre del 1492 porterà l'Ammiraglio ad avvistare la terra (le Indie o una sconosciuta?). Come per ogni navigazione, dovremo prepararci imparando a conoscere i tipi nautici, il regime dei venti, strumenti come la bussola, le carte, le tavole di martelogio per il calcolo del punto nave. Ma soprattutto saremo introdotti alla vita di bordo e incontreremo gli uomini che stanno per compiere la traversata. A guidarci sarà il Giornale di bordo, il diario su cui Colombo annotava tutto ciò che viveva in quelle settimane.
La Grecia che abbiamo imparato a conoscere e ad amare dall'epica, dalla tragedia, dalla storia è ricchissima di straordinarie figure di giovani uomini e giovani donne. Achille è l'eroe che a una vita lunga e incolore preferì la brevità di un'esistenza spezzata ma piena di gloria. Gli fa da contraltare il mite Telemaco: il figlio obbediente che vive nell'ombra di un padre mai conosciuto. E c'è Antigone, la vergine che, in un fragoroso assolo, osa levare la sua voce di dissenso. E Oreste, il figlio che uccide la madre per dare giustizia al padre. Fin qui il mito. Poi c'è la storia, che ci ha lasciato memoria dell'ambizioso Alcibiade, interprete perfetto di un tempo di cambiamenti nella cornice della guerra più atroce di Grecia. E come non ricordare Alessandro? Colui che osò sognare l'impossibile e che l'impossibile riuscì a realizzarlo, riunendo il mondo sotto di sé. Ma ci sono anche le figure femminili tratteggiate dai versi di Saffo, che ancora ci emozionano per la potenza dei sentimenti che esprimono. In queste pagine avvincenti le gesta, i desideri, le passioni di ragazzi e ragazze della Grecia antica cui dobbiamo essere tutti debitori per aver messo in discussione la tradizione e osato il nuovo.
In tutte le raffigurazioni è l'uomo dalla faccia dimezzata, da quando, nemmeno trentenne, un occhio e la radice del naso li aveva perduti per un colpo di lancia ricevuto durante una giostra. Nella storia del Rinascimento italiano, Federico da Montefeltro, duca di Urbino, è il più stimato e strapagato condottiero, circondato dalla fama di non aver perso (quasi) mai una battaglia. Intelligente, coltissimo, ottimo stratega, bravo statista, abile diplomatico, scaltro (ma sempre elegante) curatore dei propri interessi, assieme al suo grande amore, la giovanissima e affascinante seconda moglie Battista Sforza, Federico riuscì a trasformare la corte del Montefeltro in uno dei centri della cultura e della politica italiane: a lui si deve la facies urbanistica e architettonica di Urbino, è lui che riesce a coinvolgere nel suo progetto culturale artisti e architetti come Piero della Francesca o Francesco di Giorgio Martini. Ma come ogni vita avventurosa che si rispetti, anche quella di Federico fu costellata da intrighi e misteri mai del tutto risolti: come riuscì da figlio 'bastardo' a impadronirsi del potere? Che ruolo ebbe nella famosa 'congiura dei Pazzi'?
L'arte contemporanea è specchio sensibilissimo delle tensioni, delle contraddizioni, della bellezza e degli orrori del nostro tempo. Un tempo così vicino che può accaderci talvolta di ritrarci, interrogandoci sul suo senso. Ma basta avvicinarla, con pazienza, ripetutamente, e si impara a conoscerla, se ne trovano le chiavi di lettura, gli intenti. E allora il suo fascino ci avvolge. Questo libro non racconta, per sintesi, 'tutta' l'arte contemporanea, ma vuole proporre il lavoro di dieci particolari artisti vissuti tra gli anni Quaranta del Novecento e i nostri giorni: Pollock, Rothko, Fontana, Burri, Hopper, Bacon, Abramovi?, González-Torres, Mueck e Hirst. La descrizione delle loro opere e il racconto delle loro vite, supportati dalle testimonianze dirette dei protagonisti, segnano, nel vasto territorio della contemporaneità, una sorta di itinerario che lascia emergere una potente tensione spirituale e creativa. Questi artisti hanno scrutato il buio del vuoto di senso dopo i traumi della guerra mondiale e di fronte alla paura della catastrofe nucleare e alla ripulsa per la macchina divoratrice della società dei consumi. Alla ricerca di una luce che non è una risposta definitiva o una certezza metafisica, ma innanzitutto è scoperta di forme espressive e simboliche che diano voce, nell'arte, alle inquietudini e alle domande della contemporaneità.
La storia straordinaria e tragica di una famiglia che si intesse intorno al Novecento italiano. Con il ritmo incalzante del racconto, Giuseppe Fiori segue Carlo e Nello Rosselli dall'infanzia alla maturità, narrandone la giovinezza, gli studi, le lotte, ma anche i legami con la madre Amelia, le mogli Marion e Maria, i figli, i maestri e gli amici. Carlo, una vita avventurosa, turbolenta, centrata sull'azione politica oltre che sull'elaborazione del 'socialismo liberale': l'evasione dal confino, la costruzione del movimento Giustizia e Libertà, la guerra in Spagna. Nello, votato alla carriera universitaria (poi interrotta per l'opposizione al fascismo), studioso, impegnato. Entrambi uccisi a Bagnoles-de-l'Orne, pugnalati a morte all'età di 38 e 37 anni da terroristi di estrema destra inviati da Galeazzo Ciano. In queste pagine Giuseppe Fiori ci immerge a tutto tondo nella vita e nella formazione di una classe intellettuale che costituì un'anomalia nel panorama culturale dell'Italia degli anni Trenta. Una ricca biografia corale in cui si intravede tutto lo spessore umano dei Rosselli e l'universo affettivo della famiglia, anche grazie alla citazione di numerose fonti. Particolarmente forte e significativo il legame con Amelia; nel suo prezioso Memoriale, l'anziana madre pone una questione bruciante: «Fino a quale limite un uomo, un marito, deve sacrificare la famiglia per l'ideale?».
Francesco II Gonzaga e Isabella d'Este furono due protagonisti dell'Italia del Rinascimento. Trasformarono una piccola città come Mantova in uno dei centri culturali e politici del continente e vissero pericolosamente tra intrighi, guerre e congiure.
L'avvento dell'era spaziale ha permesso agli scienziati di inviare sonde interplanetarie a studiare il Sole dallo spazio, al di sopra dell'atmosfera terrestre, e poi anche di andare a osservarlo da vicino, sfidando l'enorme flusso di calore e di radiazioni. L'Europa, attraverso l'Agenzia spaziale europea, ha partecipato fin dall'inizio all'enorme sforzo scientifico e tecnologico di inviare sonde spaziali sempre più sofisticate in missioni sempre più ambiziose. A cominciare da Ulysses, Soho e Cluster, per poi osare avvicinarsi sempre più al nostro astro, prima con Venus Express, poi BepiColombo verso il pianeta Mercurio e infine con Solar Orbiter, la missione più ambiziosa mai ideata per lo studio ravvicinato della nostra stella. Questa esplorazione del Sole dallo spazio è anche una grande avventura che ci viene raccontata direttamente dall'uomo che, nell'arco di trent'anni, ha contribuito direttamente alla preparazione e all'esecuzione delle operazioni di volo di queste missioni spaziali. Conosceremo così le sfide tecnologiche e umane, le difficoltà incontrate, e scopriremo quale rivoluzione scientifica sta nascendo dall'osservazione dei lati nascosti del Sole.
I ghiacciai e le vette del Monte Bianco, le sue pareti di granito e le sue creste di neve dove s'incontrano Italia, Francia e Svizzera, formano paesaggi di straordinario fascino. La prima ascensione ai 4810 metri della cima è stata compiuta nel 1786 da Jacques Balmat e Michel-Gabriel Paccard. Da allora, uomini e donne d'avventura come Edward Whymper e Albert Frederick Mummery, Giusto Gervasutti e Walter Bonatti, Christophe Profit, Catherine Destivelle e tanti altri hanno compiuto imprese straordinarie. Il libro racconta le loro speranze, i loro trionfi, le tragedie che hanno segnato questi due secoli e mezzo. E ancora, l'evoluzione dei materiali e delle tecniche di progressione, dei rifugi e degli impianti di risalita. Il Monte Bianco, da secoli, è anche un perno della storia d'Europa. Per il Piccolo San Bernardo sono passati soldati, pellegrini e mercanti. Nel 1924, a Chamonix, sono nate le Olimpiadi invernali. Attraverso il Col de la Seigne, nel 1940, l'esercito dell'Italia fascista ha attaccato la Francia già invasa dalle armate di Hitler. Infine sono arrivati il Traforo del Monte Bianco, il boom del turismo estivo e invernale, le corse in montagna e il cambiamento climatico con il drammatico ritiro dei ghiacciai
In un dialogo serrato con il filosofo Leonidas Donskis, Zygmunt Bauman affronta il tema del male nella contemporaneità. Perché se da una parte è indubitabilmente un compagno permanente e inalienabile della condizione umana, dall'altra sono inedite le forme e i modi in cui opera nella sua odierna versione liquefatta. Il male liquido ha una stupefacente capacità di camuffarsi e reclutare al proprio servizio ogni sorta di interesse e desiderio umano, profondamente umano. Lo fa con motivazioni tanto pretestuose quanto difficili da sfatare e confutare. Il più delle volte il male liquefatto riesce ad apparire non come un mostro, ma come un amico che non vede l'ora di dare una mano. Utilizza come strategia di fondo la tentazione anziché la coercizione. Ha l'impressionante capacità, tipica dei liquidi, di scorrere attorno agli ostacoli che si trovano sul suo cammino. Come ogni liquido, li impregna e li macera fino a eroderli per poi assimilarli nel suo organismo in modo da nutrirlo e accrescerlo ulteriormente. È questa sua capacità, accanto alla elusività, a rendere così arduo lo sforzo di resistergli efficacemente.
Con la maestria di un grande giornalista, Aldo Cazzullo delinea il profilo dei torinesi - di nascita e di adozione - che hanno contribuito in maniera significativa all'identità italiana: da Gianni Agnelli a Cesare Pavese, da don Bosco a Italo Calvino, da Camillo Benso di Cavour a Carol Rama, da Luigi Einaudi a Norberto Bobbio, da Piero Gobetti a Giovanni Giolitti, da Palmiro Togliatti a Rita Levi Montalcini. Ne esce il racconto di una città straordinaria, un laboratorio dell'innovazione scientifica, tecnologica e industriale ma anche delle avanguardie artistiche e intellettuali. Questa edizione si presenta con una nuova premessa e una revisione del capitolo finale dedicato alle prospettive della città.
Le disuguaglianze economiche sono antiche quanto l'umanità e i poveri, purtroppo, sono sempre esistiti. Quello che è cambiato storicamente è il modo in cui gli ultimi sono stati considerati e trattati. Questo libro tesse le fila di una secolare vicenda che parte dagli albori dell'età moderna, quando per la prima volta il povero perde la concezione sacrale che aveva avuto nel Medioevo e diventa agli occhi dei gruppi dominanti colpevole del proprio stato. S'avvia un processo di criminalizzazione per cui accattoni, vagabondi, stranieri iniziano a essere percepiti come una minaccia. La società via via si trasforma sotto l'impulso di una borghesia che trionfa sulle altre classi sociali imponendo una nuova cultura e un diverso stile di vita, pretendendo il decoro delle città e dei comportamenti delle persone che le abitano, difendendo con ogni mezzo la proprietà e la sicurezza. L'idea che i poveri, e più di recente i contadini e gli operai, siano un pericolo sociale diventa pratica di governo, si trasforma in leggi, seleziona i soggetti che devono essere sorvegliati e, nel caso, messi al bando o rinchiusi lontano dal consesso civile. È una storia che dal Cinquecento arriva all'oggi, evidenziando linee di sconcertante continuità.
Così ecco il grande libro del mare: comincia in un infinito passato, quattro miliardi di anni fa, raccontando una geologia antica e gli inizi della vita, i dinosauri e i pesci primitivi, i mari scomparsi e le grandi catastrofi. E poi giù negli abissi, per riemergere tra barriere coralline, zone acquitrinose, scogli o spiagge di sabbia. Quindi naturalmente la storia. Quella delle prime colonizzazioni, dei mezzi e delle antiche imbarcazioni per affrontare il mare e della nascita dei porti. La storia dei grandi miti, quelli biblici e quelli omerici. E le civiltà: i fenici, i greci, i romani; e attorno a questo le rotte dei mercanti, le storie delle anfore, del corallo; i racconti dei pellegrini e dei vichinghi in America e dei cinesi nell'Oceano Indiano. Una storia fatta anche delle cose più note: la bussola, le caravelle, Cristoforo Colombo, Magellano, Vespucci e i pirati dei Caraibi. Senza mai dimenticare che tutto questo ha a che fare anche con le balene e gli squali, con i tesori nascosti, con le leggende del kraken, del maelstrom, dell'olandese volante e di tutto quanto ha alimentato la nostra fantasia per secoli. Sino al presente, ovviamente, alla crisi ambientale e allo scioglimento dei ghiacci. Perché fare una storia del mare vuol dire sì parlare dei nostri sogni più profondi, ma anche ricordarci che alla fine siamo solo una specie tra altre specie. Siamo parte del mare ed è questa forse la cosa che più conta in tutta questa avventura millenaria.
Allora partiamo da dove tutto è cominciato. Dal Tevere. E iniziamo a camminare. Ecco che quegli stessi luoghi che percorriamo distrattamente ci mostreranno un volto diverso e nuovo. Ci accorgeremo delle infinite stratificazioni di questa città; dei millenni di cultura, potere e bellezza che si sono succeduti sovrapponendosi e mai elidendosi. Per non perderci, la nostra guida ha organizzato 18 itinerari a tema che ci permetteranno ogni volta di scoprire un aspetto diverso magari proprio là dove non saremmo mai andati. Così percorreremo la via Tuscolana per conoscere gli acquedotti che la attraversano e le scenografie romane negli Studi di Cinecittà, oppure risaliremo gli ultimi chilometri della via Francigena per ritrovare i panorami che per secoli i pellegrini ammiravano al termine del loro viaggio o, ancora, visiteremo i Fori per scoprire i luoghi della politica della Roma antica. Riusciremo perfino ad arrivare al mare sulle nostre gambe! Attraversare Roma sarà una magnifica esperienza, perché nessuna come lei accoglie chi vuole conoscerla davvero.
Con il piglio del cronista e con il rigore dello storico, Alessandro Marzo Magno ci accompagna in una passeggiata lungo i secoli per ricostruire la storia che ha portato alcune isolette della laguna adriatica a dominare per secoli mezzo Mediterraneo, e non solo. Una storia di Venezia come questa non la si è mai letta: ogni capitolo si apre con un reportage che racconta come oggi si presenti un luogo simbolo della Serenissima. Il libro ci porta in alcuni dei centri più importanti dello stato da Mar: Famagosta, Cipro, dove nel 1571 è stato scuoiato vivo Marcantonio Bragadin; Heraklion, Creta, assediata per 22 anni dagli ottomani; Zara, la città dalmata che nel 1204 i crociati conquistano per pagarsi un passaggio in nave verso Costantinopoli. Lo stato da Terra è raccontato, tra gli altri luoghi, dal Pizzo dei Tre Signori, la montagna che per tre secoli ha segnato il confine tra Venezia, Milano e la Svizzera; dall'università di Padova, 800 anni nel 2022; da Palmanova, fortezza sì, ma anche città ideale del rinascimento. La storia di Venezia non si ferma con la caduta della repubblica, nel 1797; queste pagine continuano con l'Ottocento, quando la città diventa un importante centro industriale, e arrivano all'oggi, con lo spopolamento che rischia di farla scomparire.
Perché corriamo? Perché tutto questo affannarsi e faticare? Cosa racconta di noi questa continua ricerca di muscoli e sudore? Ancora una volta dobbiamo risalire il tempo e tornare ai Greci, i primi che si chiesero perché mettiamo alla prova noi stessi misurandoci contro gli altri. Il famoso motto mens sana in corpore sano dice del valore che gli Antichi attribuivano a tali prove, tanto che le Olimpiadi erano l'unico periodo in cui le armi dovevano necessariamente tacere. Andrea Marcolongo, dopo anni trascorsi tra libri e grammatiche a provare a 'pensare come pensavano i Greci', ha cominciato ad allenarsi e ha provato a 'correre come correvano i Greci'. E lo ha fatto utilizzando come strumento di accompagnamento il primo manuale di sport della storia, il "De arte gymnastica" del filosofo Filostrato. Fino al folle proposito finale: correre una maratona, anzi, la maratona, i 41,8 km che separano Maratona da Atene percorsi duemilacinquecento anni fa dal soldato Filippide, prima di stramazzare a terra per la troppa fatica.
Da quando la pandemia è diventata protagonista delle nostre vite e del dibattito pubblico, assistiamo continuamente a discussioni, spesso dai toni molto accesi, in cui medici e scienziati esprimono pareri diversi o addirittura opposti su questioni di importanza vitale. Il rischio è non solo di far aumentare la confusione tra i cittadini, ma anche di far perdere fiducia nella scienza. Ed è un rischio che non possiamo permetterci di correre. Ecco perché Giuseppe Remuzzi ricostruisce con ordine in questo libro le certezze fin qui acquisite sull'origine del virus e sui metodi per contrastarlo, sottolineando la natura empirica della scienza e spiegando il suo specifico modo di procedere autocorrettivo, che non aspira a conclusioni certe o stabilite una volta per tutte. Sbaglia dunque chi chiede alla medicina verità assolute. In queste pagine, una guida d'autore che ci rassicura sui risultati eccezionali che la ricerca ottiene ogni giorno e ci suggerisce alcune strategie per orientarci nell'incertezza. Alla base, una convinzione di fondo: la lezione che la pandemia ci sta lasciando è che la salute degli uomini è strettamente collegata a quella degli animali, delle piante, insomma del pianeta.
La situazione della giustizia in Italia è peculiare. Da un lato si assiste a una dilatazione del ruolo dei giudici, dall'altro a una crescente inefficacia del sistema giudiziario. Molti osservatori concordano sul fatto che la magistratura sia diventata parte della governance nazionale; che vi sia una indebita invasione della magistratura nel campo della politica e dell'economia; che in qualche caso la magistratura cerchi persino di prendere il posto della politica, controllando anche i costumi, oltre ai reati, proponendosi finalità palingenetiche delle strutture sociali, stabilendo rapporti diretti con l'opinione pubblica e con i mezzi di comunicazione. In questo contesto, le procure hanno acquisito un posto particolare, tanto che molti esperti parlano di una 'Repubblica dei PM', divenuti un potere a parte, con mezzi propri, che si indirizzano direttamente all'opinione pubblica, avvalendosi della 'favola' dell'obbligatorietà dell'azione penale, utilizzando la cronaca giudiziaria come mezzo di lotta politica e trasformando l'Italia in una 'Repubblica giudiziaria'.
«Ci sono estati chiuse come scatole, sigillate. Sono estati che trascorri in una stanza, in ufficio, o su un letto d'ospedale, in una cella, in uno spazio delimitato da pareti che ti sono ostili. A volte è il lavoro che ti costringe alla clausura, altre volte la malattia, tua o di un tuo caro, oppure la necessità di concentrarti per originare un'opera, o è la depressione che ti impedisce di uscire. Sei rinchiuso in un buio che non se ne va nemmeno quando spalanchi le finestre. Sei al centro della stanza ma è come se non ci fossi. Capitano estati così. È da quel buio che nasce il desiderio incontenibile del cammino. Non è desiderio di andare in ferie dopo un anno di lavoro. Chi è al centro del buio non ha bisogno di ferie, non sa che farsene. Né di spiagge, di hotel, di baite, di centri storici, di musei. Chi sta in quel buio vuole di più. Vuole solamente una cosa: il cammino». Luigi Nacci, originale cantore della 'viandanza', della vita come cammino, si interroga sul valore che ha in questi tempi concitati e iperconnessi la pratica ancestrale e stravolgente del viaggio a piedi.
Da oltre trent'anni l'Italia vede attuarsi periodicamente soluzioni 'irregolari' delle crisi politiche. Ciampi, Monti, Draghi. Da tempo i presidenti della Repubblica si regolano come se fosse in vigore da noi la Costituzione della Quinta Repubblica francese, o forse pensano che sia ritornato lo Statuto Albertino: convocano 'qualcuno' che metta le cose a posto. Non possiamo non chiederci se, tra le cause immediate di questa deriva, non ci sia il disinvolto e reiterato ricorso alla cosiddetta 'unità nazionale' e al conseguente assembramento di formazioni politiche ritenute antitetiche ma destinate a perdere, nel corso di tali esperienze, larga parte dei loro connotati. È probabile che tutto questo si sia verificato sotto la pressione incalzante di costringenti strutture extranazionali in grado di imprimere una accelerazione. Ma il problema ineludibile che abbiamo di fronte è: a quale prezzo e con quale riassetto del nostro ruolo internazionale si sia prodotta una tale mutazione, e se essa sia irreversibile.
Una lunga tradizione letteraria e cinematografica ha rappresentato la donna siciliana come una figura stilizzata: vestita di nero, segregata dalla gelosia, costretta dai familiari a castigare i propri istinti. Ovviamente è un'immagine lontanissima dalla realtà, che si compone invece di tante storie del tutto estranee a questo archetipo. Il quadro è ricchissimo: dalla santa patrona Rosalia a Franca Viola che fece cambiare leggi e costumi; dalla giornalista e scrittrice Giuliana Saladino alla 'vecchia dell'aceto' che nel ?700 preparava pozioni per avvelenare i mariti; dalla cantautrice Rosa Balistreri all'editrice Elvira Sellerio e alla prima miss Italia. Scopriremo in queste pagine che, se pure qualcosa di vero c'è nel personaggio di fantasia interpretato da Claudia Cardinale in "I soliti ignoti" («Carmelina, ricomponiti»), un secolo prima nella realtà c'erano le temibili combattenti socialiste di Piana degli Albanesi, donne che scendevano in piazza e non avevano alcuna intenzione di ricomporsi. Se dobbiamo trovare un carattere comune nei secoli alle donne della più grande isola del Mediterraneo, questo va forse cercato nella volontà di reinventare il proprio destino.
Sui monti di Sarzana, proprio lungo la Linea Gotica, dove nel 1944 i combattimenti infuriavano con maggiore ferocia, il capitano della marina tedesca Rudolf Jacobs, ottimo soldato, abbandonò le proprie fila. Non lo fece per fuggire da una guerra ormai persa, ma per unirsi ai partigiani garibaldini, fino a morire eroicamente durante l'assalto a una caserma delle Brigate nere fasciste. Apparentemente la sua sembra la storia di un'eccezione, commovente e coraggiosa, ma pur sempre un'eccezione rispetto alla nostra idea dei tedeschi zelanti combattenti della Germania nazista, fedeli fino al suo crollo. Eppure questa eccezione non fu così solitaria e isolata: parliamo di centinaia di uomini, almeno mille secondo le stime degli storici. O erano di più? Tedeschi e austriaci, 'banditi', 'disertori', 'senza patria', che hanno saputo dire di no agli ordini ingiusti, che hanno rigettato la legge dell'onore e del sangue per scegliere quella della libertà e della coscienza. Partendo da tracce labili, quasi svanite - un nome su una lapide, poche righe nei documenti ufficiali, qualche ricordo dei partigiani sopravvissuti -, questo libro è un'indagine appassionata e coinvolgente che ci trascina alla riscoperta di una pagina di storia che nessuno in Italia ha mai raccontato in questo modo.
Trent'anni fa un giovane giornalista del "Corriere della Sera" viene assegnato alla sala stampa del palazzo di giustizia di Milano. Siamo nel 1992 e la grande Storia ha deciso di mettersi improvvisamente in movimento e di farlo proprio a partire da qui. Nasce Mani pulite e a raccontarla è una banda di giornalisti ragazzini, i 'mozzi' delle diverse redazioni lasciati a seguire quelle che in un primo momento erano apparse come indagini senza futuro. Come un romanzo di formazione, li vediamo confrontarsi con i protagonisti di quei giorni, alle prese con la ruvida genialità di Di Pietro e le enigmatiche strategie di Borrelli, gli iperbolici paradossi di Davigo e l'amara saggezza di Colombo. Attorno, imprenditori e politici, avvocati e spioni, faccendieri e boiardi compongono una polifonia che non fa sconti su errori e orrori, dagli eccessi negli arresti alla catena di suicidi. Un'Italia dove si staglia la figura drammatica di Craxi e già emerge quella affabulatrice di Berlusconi; l'Italia scossa dagli attentati a Falcone e Borsellino e dalle stragi del '93; quella della gogna per la Prima Repubblica in diretta tv al processo Cusani. È un racconto che abbraccia la vita di redazione di un grande giornale e le avventure sulle tracce dei latitanti di Santo Domingo. Trent'anni dopo, sarà solo la delusione di un gioco a somma zero.
Si dice che in una società meritocratica i redditi seguano i meriti. Ma in alcune società contemporanee che si presentano come meritocratiche le differenze di reddito sono enormi. Com'è possibile che alcuni abbiano meriti superiori ad altri di centinaia di volte? Da qui prende oggi le mosse il rifiuto del programma meritocratico che nella seconda metà del secolo scorso era la sostanza del 'sogno americano' ed era sottoscritto dal laburismo britannico e dal socialismo riformista europeo. Marco Santambrogio difende la meritocrazia con due ordini di argomenti. Dimostra da un lato che quelle società si presentano come meritocratiche ma non rispettano il principio irrinunciabile delle uguali opportunità. Dall'altro sostiene su solide basi filosofiche che il merito non si trasferisce dalle posizioni e dai posti di lavoro alle retribuzioni che li accompagnano. Non si butti dunque il bambino con l'acqua sporca. Si continui - o, in qualche caso, si cominci - a distribuire posti e posizioni rispettando le competenze, senza favoritismi e dando a tutti uguali opportunità. La meritocrazia consiste in questo. Quanto alle enormi differenze di reddito, si dimostri che sono meritate. Se non ci si riesce, una tassazione equa (richiesta dagli stessi principi meritocratici) si preoccuperà di ridurre le sperequazioni immeritate.
Secondo studi recenti la Russia ha la quota più alta al mondo di dark money, soldi opachi detenuti all'estero: un trilione di dollari. Si stima che un quarto di questi sia collegato a Vladimir Putin e a suoi stretti associati, e il Cremlino sembra sempre più capace di pilotare operazioni aggressive. L'Italia è uno dei pezzi di questo grande gioco: gli oligarchi russi in Italia investono e comprano grandi proprietà. Agiscono portando avanti attività che sono a volte al confine con lo spionaggio. Il libro ricostruisce la loro rete di rapporti in Italia: troveremo i rapporti dei servizi segreti italiani sugli investimenti fatti per sostenere operazioni di influenza politica, i passaggi in Italia degli avvelenatori di Skripal, la ricostruzione puntuale dei giganteschi flussi di denaro dalla Russia verso il nostro paese. Così come le relazioni e le onorificenze della Repubblica a personaggi sanzionati da Usa e Ue e le timidezze dei due governi Conte. Vicende che sembrano uscite da un romanzo di John le Carré, ma che sono drammaticamente reali e ci riguardano da vicino.
"Ascoltare Verdi" ci accompagna sapientemente nella conoscenza delle opere del grande compositore: dal Nabucco al Falstaff, ogni capitolo del libro è dedicato a una fondamentale composizione di Giuseppe Verdi, della quale si raccontano la trama, la genesi e il contesto, ma soprattutto si approfondisce la sostanza musicale e drammatica. Ampio spazio è infatti riservato al modo in cui il compositore usa le voci e gli strumenti dell'orchestra, alla sua personale, ricchissima concezione drammatica, all'originale ripensamento delle forme e delle convenzioni dell'opera ottocentesca. Il lettore, risalendo cronologicamente l'evoluzione del pensiero drammatico di Verdi, lo sviluppo della sua poetica, la costante volontà di guardare il mondo attraverso le note, scopre la sua visione allo stesso tempo artistica, morale e politica - il modo in cui, secondo molti studiosi, Verdi ha contribuito a fare l'Italia e soprattutto a fare gli italiani.
Mistero e sospetto: questi i due sostantivi che normalmente associamo alla Massoneria. La segretezza, i rituali stravaganti e occulti, il coinvolgimento in trame e complotti, non hanno fatto che rafforzare questo giudizio o pregiudizio, specialmente nel nostro paese. Eppure, fratelli massoni furono uomini come Winston Churchill e Walt Disney, Wolfgang Amadeus Mozart e Benjamin Franklin, Rudyard Kipling e 'Buffalo Bill' Cody. Fondata a Londra nel 1717, la Massoneria mostrò immediatamente la propria influenza pervasiva, tanto da diffondersi in tutto il mondo in solo due decenni. Così, se con George Washington divenne il credo della nuova nazione americana, furono le reti massoniche a tenere insieme l'Impero britannico. Se con Napoleone divenne uno strumento dell'autoritarismo, con la Restaurazione funzionò da copertura per le cospirazioni rivoluzionarie del Risorgimento. Ai rituali e alle formule di affiliazione della Massoneria si ispirarono, fino a copiarli, tanto i mormoni quanto la mafia siciliana. La Chiesa cattolica ne ha temuto l'influenza al punto di scomunicare gli aderenti già dal 1738 e la temettero anche Hitler, Franco e Mussolini che considerarono le logge uno strumento di diffusione del pacifismo e del giudaismo internazionale. In questo libro, John Dickie ricostruisce con una prosa avvincente il lato oscuro della modernità.
L'uomo ha sempre immaginato il futuro. Lo ha fatto con un misto di speranza e paura, liberando la sua fantasia con racconti, utopie e progetti. Tracce di queste idee del futuro si trovano nelle più diverse opere dell'uomo: dalle tragedie antiche ai romanzi di fantascienza, dalle opere filosofiche ai manifesti politici, ma anche nel cinema e nel teatro, nelle architetture, nei dipinti e nella musica, fino ad arrivare ai serial televisivi. Pagina dopo pagina intellettuali e interpreti del nostro tempo risalgono la storia del futuro attraverso le opere che hanno costruito la nostra cultura attuale: dal "Prometeo" di Eschilo a "La città di Dio" di Agostino, dai disegni sul volo di Leonardo da Vinci a "L'origine delle specie" di Darwin, da Chandigarh di Le Corbusier a "La fine dell'eternità" di Asimov, da "Imagine" di John Lennon a "Black Mirror" di Brooker, fino a "Fratelli tutti" di papa Francesco. Contributi di: Giulio Azzolini, Silvia Ballestra, Alberto Mario Banti, Guido Barbujani, Luca Barra, Lorenzo Benadusi, Giovanni Bietti, Piero Boitani, Emily Braun, Luciano Canfora, Eva Cantarella, Daniela Cardini, Franco Cardini, Michele Ciliberto, Simona Colarizi, Gherardo Colombo, Alberto Crespi, Juan Carlos De Martin, Costantino D'Orazio, Franco Farinelli, Amedeo Feniello, Maurizio Ferraris, Maurizio Ferrera, Anna Foa, Antonio Forcellino, Fridays for Future, Emilio Gentile, Roger Griffin Claudio Longhi, Enzo Marinari, Roberto Mordacci, Maria Giuseppina Muzzarelli, Marco Onado, Valeria Palumbo, Laura Pepe, Alessandro Portelli, Geminello Preterossi, Andrea Riccardi, Vanessa Roghi, Brunetto Salvarani, Elisabetta Scapparone, Emanuela Scarpellini Scomodo, Carlotta Sorba, Donato Speroni, Marida Talamona, Alessandra Tarquini, Gianni Toniolo, Giusto Traina, Nadia Urbinati, Alessandro Vanoli, Giovanni Vecchi, Vittorio Vidotto, Maurizio Viroli, Ignazio Visco.
Attraversiamo metropoli futuristiche e hutong, locali fumosi e campi di ginseng, antichi principi confuciani e intelligenza artificiale, neomarxismo e ipercapitalismo. Incontriamo l'ambiguo funzionario del Partito comunista, l'operosa dottoressa di Wuhan, l'eterea vlogger della Cina rurale, l'astro della letteratura fantascientifica, la giovanissima attivista per l'ambiente. Addentriamoci nella Cina nuova, quella che scopriamo appena smettiamo di leggerne soltanto la superficie. I cambiamenti attraversati dalla Cina in poco più di cinquant'anni sono così profondi e radicali che, nella storia di altri paesi, analoghe trasformazioni hanno impiegato secoli per affermarsi. Là dove oggi si innalzano grattacieli dalle architetture sbalorditive, fino a pochi anni fa c'era solo campagna. Ragazzi e ragazze dell'ultima generazione, una massa di figli di operai e nipoti di contadini, sono arruolati nel settore hi-tech più dinamico al mondo. Il mastodontico inquinamento industriale si affianca alla più avanzata ricerca di fonti di energia sostenibile. Ma nonostante sia apparentemente tutta proiettata verso il futuro, la Cina contemporanea ha radici che affondano in un passato millenario, al quale spesso attinge traendone valori, idee, strategie che usa nel confronto sempre più serrato con l'Occidente. È un gigante con un'identità fatta di contrasti, che mischia furiosamente passato e presente in modo del tutto inedito ai nostri occhi. Simone Pieranni ci accompagna alla scoperta della Cina più contemporanea, immergendoci sapientemente nella sua atmosfera, indagandone i valori, guardando alle più recenti tendenze culturali, ma soprattutto smontando pezzo a pezzo quel volto apparentemente contraddittorio che si mostra allo sguardo del laowai, dello straniero.
Secondo l'ideologia liberista il mercato lasciato a se stesso crea le migliori opportunità e il maggior benessere per tutti. È un'illusione di cui questo libro critica le premesse economiche ed esplora le conseguenze etiche, sociali e politiche. Il progetto liberista ha cercato e tuttora cerca di realizzare non solo un'economia di mercato, ma una società che, in definitiva, si risolve nel mercato. Dove i rapporti sociali sono irrilevanti se non mediati dal mercato e anche le istituzioni politiche vengono guardate e valutate solo in base agli interessi economici di individui egoisti, mentre il denaro può comprare tutto e le disuguaglianze di reddito, di ricchezza e di opportunità possono crescere a dismisura in nome del merito, degli incentivi, dell'efficienza. Di questi fili è intessuta l'ideologia di mercato.
Sul tema giustizia si vive in Italia un vero e proprio paradosso: da un lato si critica la magistratura perché occuperebbe spazi non propri, dall'altro la politica e la società pretendono che moltissimi problemi siano risolti in sede penale. È allora urgente una riflessione su quale sia il modo più corretto ed efficace di 'fare giustizia'. In questo libro, le riflessioni e le proposte di uno tra i più autorevoli e stimati esperti del sistema giudiziario italiano. Alla luce della sua lunga esperienza, Giuseppe Pignatone sottolinea i limiti della macchina giudiziaria italiana e la sua inadeguatezza rispetto alle esigenze del Paese, senza tuttavia sottovalutare gli straordinari risultati che comunque si sono realizzati, in particolare nel contrasto alla criminalità organizzata. Un libro di grande attualità che dovrebbero leggere tutti coloro che hanno a cuore la giustizia come fondamento di una compiuta democrazia.
«Il calore e l'umidità ormai avevano preso ad aumentare senza tregua, giorno dopo giorno e notte dopo notte, senza che mai intervenisse un ostacolo, un fattore di equilibrio - nemmeno il minimo colpo di vento dalla parte del mare. L'esistenza si era fatta complessa in ogni minimo dettaglio, come a volte accade: ai limiti dell'ingovernabilità. Conosco bene, fin dalla primissima infanzia, questo sentimento di ingovernabilità dell'esistenza.»
Il leopardo delle nevi non è soltanto un raro felino dagli occhi color del ghiaccio che vive nei dirupati e gelidi ambienti montani del Karakoram, dell'Himalaya e dell'Altopiano Tibetano, ma è anche un simbolo dell'Asia trascendente e misteriosa che la religione buddhista ha trasformato in messaggero degli dei. Colpito dal fascino che esercita questo fantasma delle impervie montagne asiatiche, Sandro Lovari ne ha studiato per un decennio l'ecologia e il comportamento, seguendone le tracce dal Parco Nazionale del Monte Everest in Nepal a quello del Karakoram Centrale in Pakistan, svelando gli aspetti enigmatici della vita di questo magnifico felino, delle sue prede e dei rapporti con le popolazioni locali. Leggendo questo libro comprenderemo come possano convivere tigri, leopardi, lupi, leopardi delle nevi e anche gli elefanti, tra loro e con l'uomo. Con sottile ironia e senso dell'umorismo, questo diario di viaggio ci fa vivere l'avventura sul campo, svelando antefatti e retroscena inaspettati, avvicinandoci agli animali delle più remote regioni e rendendoci comprensibile il loro comportamento.
Mario Rigoni Stern è stato uno dei maggiori narratori del nostro Novecento. La sua voce ha dato spazio a temi e aspetti assenti nella tradizione letteraria italiana: il mondo naturale, le montagne e le storie di guerra. Una peculiarità che trova origine in una vita segnata a lungo da eventi drammatici: la giovinezza trascorsa su ben tre fronti di guerra, la terribile esperienza della ritirata sul Don, la lunga prigionia nei lager tedeschi. Con il ritorno a casa, nel suo amato altipiano, può finalmente dedicarsi a una passione fino allora accantonata per necessità: la scrittura. Nascono così libri memorabili come "Il sergente nella neve", "Il bosco degli urogalli", "Storia di Tönle", che lo porteranno alla consacrazione letteraria. Oggi, a cento anni dalla nascita, questo libro ne ripercorre la vita e le opere anche attraverso fotografie e immagini scoperte negli archivi e mai prima d'ora pubblicate. Vuole essere anche un invito a visitare i luoghi evocati nei racconti e nelle storie di Rigoni Stern, il quale si augurava che i lettori seguissero le tracce dei suoi sentieri, ritrovando e incrociando le sue emozioni.
Sei storie esemplari di donne del Medioevo e del loro rapporto con la maternità. C'è l'esperienza di Dhuoda (vissuta nel IX secolo), il cui figlio Guglielmo fu consegnato come ostaggio a Carlo il Calvo; c'è - due secoli dopo - la vicenda di Matilde di Canossa, donna potentissima ma delusa nelle sue aspettative di maternità. C'è l'esempio di Caterina da Siena, che pur non avendo figli agisce e scrive da 'grande madre' italiana. C'è Christine de Pizan, impegnata nell'ultimo scorcio di Medioevo a destreggiarsi tra i figli e la carriera. Ancora, c'è Margherita Datini, che cresce come fosse sua figlia una bambina che il marito ha avuto da una schiava; c'è infine Alessandra Macinghi Strozzi, vedova di un esule, che fa da madre e padre ai suoi 5 figli. Pagina dopo pagina, si rovescia ciò che crediamo di sapere sulle donne del passato: scopriamo figure di madri oltre la retorica che le relega a un ruolo angusto, incontriamo autentiche madri anche oltre l'effettiva esperienza biologica, osserviamo donne in azione oltre la sfera domestica, protagoniste oltre i limiti imposti dal tempo in cui vissero al loro genere. Insomma, madri e donne che vanno ben al di là delle nostre (spesso ristrette) concezioni del Medioevo.
Servizi di consulenza non sempre serissimi e interi scaffali di libri di 'self-help' hanno trasformato la riflessione su che cosa sia la vera vita in trattazione superficiale orientata al raggiungimento della realizzazione personale, della riscoperta di se stessi o di una non meglio precisata ricerca della felicità. Con questo libro uno dei più noti e apprezzati filosofi contemporanei, da sempre sensibile agli intrecci tra saperi di provenienza culturale differente, ci esorta a tornare invece ai fondamentali della filosofia, per porre le giuste domande su una questione radicale: qual è la vita degna di essere vissuta? È vita vera quella che portiamo avanti giorno dopo giorno? O esiste una dimensione autentica che ci sfugge? E la storia della filosofia occidentale, da Platone a Cartesio e Heidegger, ci fornisce gli strumenti più adatti per tentare una risposta? François Jullien affronta coraggiosamente un tema che ha da sempre sollecitato pensatori e scrittori, a Oriente come a Occidente. Una lettura utile tanto più in un tempo di smarrimento profondo come è quello che stiamo attraversando.
Mai come in questi mesi di forzata sedentarietà ci siamo resi conto di quanto la dimensione del viaggio arricchisca le nostre vite. Viaggiare è assaporare i primi istanti di quando si arriva in una città nuova, in cui tutto sembra ancora possibile. È immaginare dove condurrà la strada di cui non si vede la fine. È esplorare, scoprire punti di vista diversi, confidarsi con gli sconosciuti, lasciarsi sorprendere dal caso. Matteo Cavezzali - instancabile giramondo, abituato a macinare chilometri da quando, ragazzino, percorreva autostrade e sterrati con la sua famiglia a bordo del 'Supercamper' - ci regala con questo libro un viaggio tra memoria personale e resoconto di tradizioni, miti, credenze, gusti. Ci svelerà modi di affrontare paure antiche e di mettersi in gioco. Ci racconterà di tramonti visti dall'Egeo e di albe baltiche. Ci illustrerà modi diversi di pensare alla vita, ai figli, al lavoro e all'amore, di confrontarsi con la solitudine e con la società. E scopriremo la comune umanità che come un'armonica sinfonia risuona a tutte le latitudini, dalle campagne francesi alle luci di New York, dall'Estremo Oriente all'America Latina. Per poter rimetterci in viaggio.
I fallimenti personali e i successi politici, le folli ossessioni e il freddo pragmatismo del più temuto dittatore del Ventesimo secolo.
«Abbiamo cercato di considerare Hitler un condensato, o se si preferisce come il catalizzatore di forze che si sprigionano dalla vertiginosa mutazione di quei sistemi economici, sociali e cognitivi che costituiscono l’Europa – in particolare l’Europa di mezzo – tra la fine dell’Ottocento e la Grande Guerra e che hanno trasformato il continente, le sue modalità di ‘gestire’ le masse umane, di nutrirle, guidarle, controllarle e di pensare la dimensione politica. Ciò che si delinea è quindi la storia di un uomo, di un destino, ma anche, per suo tramite, di un oggetto che abbracciò l’Europa e che si autodenominò ‘Terzo Reich’. Nel destino di quest’uomo si mescolano infatti militantismo frenetico, speranza imperiale, conquista dell’Europa, guerra ripugnante, inaudito genocidio.»
Già nell'antica Grecia esistevano artiste donne, che hanno decorato palazzi e lasciato tracce del loro lavoro. Durante il Medioevo, per lo più considerato un periodo nel quale le donne non godevano di alcun rilievo nella società, molte opere sono nate grazie alla manualità femminile, che si poteva esprimere soprattutto nei conventi. L'esplosione dell'arte al femminile risale però al Rinascimento, quando alcune artiste sono arrivate a occupare posti di rilievo nelle corti più prestigiose d'Europa godendo di una fama pari ai propri colleghi uomini. Bisogna attendere la fine dell'Ottocento per vedere alcune artiste esporre nelle mostre accanto a pittori uomini: spesso si tratta di compagne di artisti famosi, altre volte di donne capaci di imporre la propria personalità oltre al proprio talento. Sono le apripista di un fenomeno che nel corso del XX secolo diventerà inarrestabile: le artiste firmeranno i manifesti delle avanguardie storiche e saranno sempre più protagoniste, finché nella seconda parte del secolo supereranno i propri colleghi in quanto a fama e quotazioni sul mercato. "Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori" è il titolo della celeberrima opera di Giorgio Vasari che, nel Rinascimento, ha costituito un vero e proprio canone. Oggi Costantino D'Orazio rende onore alle tante 'eccellenti artiste' di cui i canoni si sono troppo spesso dimenticati.
Perché mai occuparsi di un conte bigamo, morto prigioniero in una fortezza di Luigi XIV? Di una moglie che si vendica come può del coniuge che l'ha abbandonata? Di un arcivescovo padre di quindici (forse sedici) figli? Di un uomo rinchiuso in una cella da vent'anni e più, perseguitato per causa di fede? Di una donna prigioniera alla Bastiglia? Tutti sono accomunati da almeno un agente: la volontà, se non la capacità, di sfuggire ai condizionamenti sociali, agli obblighi che il ruolo impone, alle norme, giuste o ingiuste che siano. Tutti marcano uno scarto. Se può esser vero che Chiesa e Stato, in particolare dopo il Concilio di Trento, hanno perseguito il modello del 'disciplinamento', ovvero il controllo dei comportamenti umani in virtù di valori politici e spirituali, bisogna però riconoscere che un tale obiettivo si è scontrato con forti resistenze, talvolta con veri e propri fallimenti. E questo libro, a partire dal racconto di storie particolari, è dedicato proprio a questi fallimenti, allo studio di quegli irregolari che al disciplinamento non si piegano, non tanto e non solo per scelta ideologica, ma anche per questioni private - affetti coniugali e rapporti famigliari, matrimonio e trasgressione -, per fede, aprendo di fatto uno spiraglio su un tema più generale e rilevante: i limiti del controllo sociale e le mille strategie adottate dagli individui per sottrarvisi.
De-sincronizzare i tempi della vita urbana, ripensare gli spazi aperti e quelli domestici, cambiare radicalmente il sistema della mobilità, incentivare l'uso delle energie rinnovabili, realizzare architetture verdi, ricostruire un rapporto di reciprocità con le migliaia di borghi abbandonati sparsi sulle pendici delle Alpi e sulla dorsale appenninica, valorizzare la biodiversità implementando il nostro patrimonio di boschi e foreste. Stefano Boeri, uno dei più influenti architetti e urbanisti italiani, ci mette di fronte alle sfide più urgenti che le città del futuro dovranno affrontare se vogliamo preservare la vita della nostra specie sul pianeta Terra.
La prima grande bugia che si può raccontare sull'emergenza climatica è che non è colpa dell'essere umano. La seconda è che tutti gli esseri umani ne sono responsabili in egual misura. Se oggi non esiste una politica climatica globale efficace, se le temperature continuano ad aumentare, se gli ecosistemi sono al collasso, la ragione va cercata nella macchina organizzata del negazionismo climatico: ingenti finanziamenti, tecniche di propaganda ed efficaci manovre di ingegneria comunicativa che hanno lo scopo di far sembrare il cambiamento climatico solo una teoria, un'opinione, non una realtà scientificamente fondata. Questo libro racconta quello che non viene mai detto a proposito dell'emergenza climatica: quando gli scienziati hanno cominciato a dare l'allarme, le industrie di combustibili fossili non potevano permettere che i loro affari fossero compromessi. Erano gli anni '70 e, da allora, le lobby negazioniste - non solo le industrie fossili, ma politici, think tank, gruppi di pressione, piattaforme mediatiche, gruppi di facciata e falsi esperti - hanno messo in atto la più grande operazione di insabbiamento della storia più recente. Il negazionismo non si limita a rimuovere la realtà. Ne costruisce una alternativa al cui centro c'è un elemento su tutti: l'inganno. La disinformazione diventa la nuova realtà. E il negazionismo diventa vitale per la sopravvivenza di quella stessa realtà. Il negazionismo è strategico, è attivo, è pubblico.
Gli spaccapietre cinesi, i braccianti macedoni, le badanti ucraine, i rider africani, i bengalesi nei cantieri navali, gli allevatori sikh. Da una parte la necessità delle aziende di competere a livello globale sui mercati, dall'altra la rivoluzione digitale, da un'altra ancora la possibilità di usufruire di servizi e merci a prezzi bassi ci portano a nuove forme di schiavismo, più sottili, più opache, talvolta legalizzate. Attraverso le storie e le testimonianze di questi lavoratori emerge un paese che utilizza gli schiavi perché servono a tutti: ai padroni, ma anche ai consumatori che vogliono spendere meno, a chi si oppone agli sbarchi ? ma poi assume manovalanza in nero ?, a chi sostiene idee progressiste ? ma poi usufruisce di prodotti sottocosto grazie alla manodopera sottopagata. Nessuno può chiamarsi fuori: né la politica, né i grandi sindacati, né le istituzioni, né i cittadini consumatori, né le aziende. Neppure i migranti che spesso, una volta capito come funziona, diventano loro stessi sfruttatori dei propri connazionali. Siamo tutti ingranaggi di questo meccanismo che sembra stare bene a tutti, ma mette tutti in pericolo.
Davanti all'ampiezza e alla complessità delle condizioni di povertà estrema diffuse ancora in troppa parte del mondo, lo sgomento è tale che si sarebbe tentati di arrendersi o di proporre soluzioni radicali. Esther Duflo, nella consapevolezza che nessuno purtroppo detiene il segreto della fine della povertà, percorre una terza via molto ambiziosa: quella di lottare contro i mali che essa genera con l'arma della conoscenza che sola può aiutare a proporre delle soluzioni e a valutarne la pertinenza. Dobbiamo essere consapevoli che la lotta contro la povertà è una risposta a una crisi permanente. Ha bisogno di sperimentazione, nelle due accezioni del termine: è necessario cercare senza posa nuovi approcci, ma è necessario anche riconoscere e apprendere dai propri errori per mettere in atto strategie più efficaci. Il compito degli economisti è portare un contributo a questo processo di sperimentazione creativa.
Il web è il più grande apparato di registrazione che l'umanità abbia sinora sviluppato, e questo spiega l'importanza dei cambiamenti che ha prodotto. Basti pensare che sebbene più di un essere umano su due non possieda ancora un cellulare, il numero di dispositivi connessi è pari a 23 miliardi: più di tre volte la popolazione mondiale. Questa connessione, ogni giorno, produce un numero di oggetti socialmente rilevanti maggiore di quanto non ne producano tutte le fabbriche del mondo: una mole immane di atti, contatti, transazioni e tracce codificati in 2,5 quintilioni di byte. Il numero di segni disponibile per la manipolazione e la combinazione diviene incommensurabilmente più elevato che in qualunque cultura precedente, e questo cambia tutto. Ecco perché comprendere la vera natura del web è il primo passo verso la comprensione della rivoluzione in corso, che genera un nuovo mondo, un nuovo capitale, una nuova umanità: anzi una documanità. Alla radicale revisione e alla costruzione concettuale dei nostri modi di guardare alla tecnica, all'umanità, al capitale è dedicato il nuovo e definitivo libro di Maurizio Ferraris, uno dei più influenti e originali filosofi contemporanei.
Vi ricordate cosa accadde il 12 settembre 1962? John F. Kennedy annunciava al mondo che gli Stati Uniti si prefiggevano un obiettivo straordinario: arrivare sulla Luna. La storia ci dice il resto: la missione Apollo 11 venne realizzata e l'allunaggio avvenne sette anni dopo. Per raggiungere questo traguardo fu necessario mettere in campo nuove forme di collaborazione tra il settore pubblico (la Nasa) e quello privato, insieme a investimenti di portata straordinaria. Cosa accadrebbe, si domanda Mariana Mazzucato, se la stessa audacia fosse impiegata per affrontare i più gravi e complessi problemi del nostro tempo, dai cambiamenti climatici alle epidemie, dal digital divide alle disuguaglianze crescenti? Sono problemi enormi, impermeabili a soluzioni semplici, che possiamo risolvere solo affrontandoli in maniera radicalmente nuova. Nel concreto questo significa creare nuove forme di partnership tra pubblico e privato; significa ripensare al modo in cui sono strutturati i bilanci statali per orientarli più esplicitamente al lungo periodo; significa investire coraggiosamente su larga scala e utilizzare l'innovazione, fino a ora impiegata solo per generare profitti privati, a fini sociali. Significa, soprattutto, mobilitare le nostre risorse - materiali, intellettuali, finanziarie - in modo audace, prefiggendoci missioni capaci di ispirare e stimolare l'immaginazione. Siamo riusciti a fare tutto questo per arrivare sulla Luna. Oggi possiamo farlo, di nuovo, per raggiungere un obiettivo ancora più ambizioso: migliorare la vita di tutti.
Una mattina di primavera del 2022, al termine di una lunga riunione del Consiglio dei ministri, i giornalisti vengono convocati a Palazzo Chigi per una conferenza stampa. Li attende un primo ministro tecnico che ha finalmente avviato il Recovery Plan, ha delineato le riforme necessarie, ha tamponato in parte la grave crisi economica e sociale, ma che si rende conto che, malgrado gli sforzi, l'Italia riesce a spendere solo una piccolissima parte dei fondi Ue. In apertura il primo ministro mostra ai giornalisti stupiti una scena del film di Buñuel, "L'angelo sterminatore", in cui un gruppo di borghesi, ospiti in una villa per cena, per qualche misterioso motivo non riescono più a uscirne. Comincia così questo libro, dallo stile narrativo e surreale, in cui Marco Ruffolo spiega come (non) funzionano organismi pubblici come la Conferenza Stato-Regioni, la Conferenza di servizi, la Corte dei Conti, i Tar, l'Anac. Sovrapposizioni di poteri, controlli asfissianti e inutili, scarsa competenza, leggi farraginose, gare d'appalto complicate: alla fine una grande tenaglia impedisce allo Stato di funzionare. L'immaginario premier ha molto più di qualche idea su come uscire dallo stallo. Ma la sua strada è disseminata di trappole.
Rendere non familiare ciò che ci è familiare e il suo contrario sembra essere uno dei fili rossi che attraversano l'intera opera di Zygmunt Bauman. Un compito difficile che può porsi solo colui che ha davanti agli occhi tutto l'uomo, che è capace di guardare al di là della propria specializzazione e leggere di filosofia e psicologia, di antropologia e storia, di arte e letteratura. Come scrive Peter Haffner nella sua prefazione, Bauman non è uomo dei dettagli, delle analisi e inchieste statistiche, delle cifre, dei nudi dati e dei sondaggi. Egli dipinge con pennellate larghe su una grande tela, offre una visione delle cose, lancia delle tesi che vogliono provocare discussione. Se aveva ragione Isaiah Berlin a distinguere due categorie di pensatori e scrittori rifacendosi a un antico detto del poeta greco Archiloco - «La volpe sa molte cose, ma il riccio sa una grande cosa» -, Zygmunt Bauman è insieme riccio e volpe.
Protetto da draghi o spiriti maligni, gravato da maledizioni, rivelato da sogni e visioni, il tesoro è materia magica per eccellenza e fra le più affascinanti. Se cercassimo una ricetta alchemica per crearne uno, avremmo bisogno di alcuni ingredienti fondamentali. Il primo è il valore, quello scintillio che accende il desiderio. Il secondo è il segreto, la consapevolezza che esso esiste senza sapere dove. Il terzo è il tempo, al quale è sopravvissuto e che l'ha reso libero da ogni possesso: attende chi saprà meritarselo ma non è più di nessuno. In queste pagine si proverà a seguire la storia della ricerca dei tesori fra Medioevo ed Età Moderna, analizzando le sfumature del desiderio che ha colto gli uomini attraverso i secoli, descrivendo alcuni degli oggetti che hanno alimentato i racconti più favolosi, svelando come nascono certe leggende, alla scoperta dei nascondigli e dei loro custodi, sulla scia di quei cercatori che, dalle sponde meridionali del Mediterraneo fino all'Europa settentrionale, per secoli hanno seguito il miraggio della ricchezza fra magia e misteriose topografie auree.
«Dovevo cercare di parlare di lei: non solo della sua perdita, ma di lei viva e palpitante, di ciò che abbiamo vissuto insieme, di tutto quello che mi ha dato e non solo di quello che mi ha tolto con la sua assenza. Dovevo, soprattutto, asciugarmi le lacrime e cercare di avvicinarmi a ciò che è stata lei in sé, avulsa dal sottoscritto, alla sua essenza interiore che sono appena riuscito a intravedere e che ho amato ciecamente. Ma dovevo anche raccontare la sofferenza, atroce e definitiva, patita negli ultimi mesi e sopportata con un coraggio superiore a quello che mostravo io con i miei gemiti esibizionisti. Uno dei primi giorni del nostro calvario, all'ospedale di Pontevedra, appena conosciuta la diagnosi il cui esito fatale ancora ignoravamo ma che già presagivamo capace di separarci, abbracciati sul tuo letto sfatto, mi dicesti: "Se tu non lo racconti, nessuno saprà che cosa siamo stati l'uno per l'altro". Non sono sicuro di poterlo raccontare, amore mio, temo di non essere all'altezza di una tale sfida, ma capisco che sarebbe miserabile, da parte mia, non provarci nemmeno. Ecco dunque che cosa mi resta da fare.» Fernando Savater ha deciso di scrivere questo libro dopo la morte di sua moglie Sara. Pagine toccanti e sincere che raccontano l'esperienza della malattia e della morte, che parlano a chi ha perso un affetto caro, ma che sono insieme un inno alla vita e all'amore.