Come vivevano gli uomini, le donne e soprattutto i bambini, nel Medioevo? Questo libro, divenuto ormai un classico della storia medievale, ce lo racconta svelando aspetti insoliti e sorprendenti. Cominciamo dalla stanza da letto, utilizzata anche di giorno, per pranzare, studiare, ricevere visite. Come era ammobiliata? E come ci si difendeva dall'assillo per eccellenza, il freddo? Perché i neonati venivano fasciati come piccole mummie e il rosso era così presente nel loro abbigliamento? Come giocavano i bambini e le bambine - che, solo se mandate in monastero, potevano forse non avere un destino infelice? Pagine raffinate e immortali, un racconto reso vivace anche da un sontuoso apparato di immagini.
«Ci vuole molto, molto tempo prima che ciò che è stato cancellato venga alla luce» Patrick Modiano La Shoah si è ormai insediata al cuore della coscienza contemporanea. Ma ciò è accaduto lentamente; in realtà, mentre si consumava, il genocidio degli ebrei è passato quasi inosservato e nell'immediato dopoguerra ha occupato solo una posizione marginale in seno alla cultura del mondo occidentale. Nell'orizzonte di questo «accecamento» sono stati alcuni intellettuali ebrei esuli o reduci dai campi i primi a «pensare Auschwitz». Ripercorrendo il cammino tortuoso della memoria della Shoah, Enzo Traverso ricostruisce la riflessione degli intellettuali che hanno saputo dare voce agli interrogativi sollevati dall'Olocausto: dal suo rapporto con le violenze del XX secolo alla complicità che essa rivela tra modernità e barbarie, tra razionalità tecnica e sterminio di massa.
Al cuore della storia del potere temporale della Chiesa. Ritornato da Avignone a Roma dopo la chiusura del Grande Scisma d'Occidente (1378-1417), il papato attraversa un periodo di consolidamento, vissuto all'insegna del trionfalismo. Il recupero dell'autorità, il radicamento definitivo in Italia e l'edificazione di un apparato centrale di governo della Chiesa vennero celebrati dagli apologeti dell'ideologia papalista non meno che dagli artisti e dai letterati della curia. I controversi mezzi di cui fece uso la Chiesa romana nell'ampliamento del suo dominio temporale, come il bellicismo e il «grande nepotismo», sollevarono proteste e imbarazzi ma nessun ostacolo serio. Eppure, l'ascesa dei papi a fastosi sovrani del più forte e rispettato Stato italico, dopo aver toccato il culmine entro i primi due decenni del Cinquecento, conobbe la più dolorosa delle interruzioni con il Sacco di Roma del 1527, evento che conclude l'appassionante ricostruzione di questo libro.
Il profitto e la circolazione delle ricchezze possono avvicinare il cielo alla terra? Fautori di una povertà rigorosa ed evangelica, i francescani sono paradossalmente indotti, proprio da questa scelta «scandalosa», a indagare tutte le forme della vita economica che stanno tra povertà estrema e ricchezza eccessiva, distinguendo tra proprietà, possesso temporaneo e uso dei beni economici. In che modo i cristiani devono fare un uso appropriato dei beni terreni? Per rispondere a tale interrogativo molti francescani, sin dal Duecento, scrivono sulla circolazione del denaro, sulla formazione dei prezzi, sul contratto e sulle regole del mercato, sottolineando l'importanza dell'investimento socialmente produttivo contro la tesaurizzazione improduttiva. In questo libro Giacomo Todeschini indaga lo sviluppo socio-economico in Occidente mediante la chiave interpretativa del concetto di ricchezza introdotto da San Francesco e poi lungamente lavorato, plasmato, in un certo senso snaturato, dalle abili e dotte menti dei suoi epigoni.
«Formigoni ripercorre in maniera documentata e attenta la vicenda dell'uomo che con coraggio e visione ha segnato la storia d'Italia della seconda metà del Novecento» Andrea Riccardi Aldo Moro fu il principale stratega del centro-sinistra e della «solidarietà nazionale», ma anche a lungo guida del governo e della politica estera italiana. La sua esperienza assunse un carattere drammatico non solo per il violento epilogo ma anche per la crescente difficoltà nel tenere assieme Stato e società, innovazione e tradizione, cambiamento e coesione, in un sistema sociale e politico messo a dura prova dalla transizione degli anni Settanta. Guido Formigoni ne tratteggia un profilo biografico completo: l'intellettuale, il giurista, il dirigente delle associazioni cattoliche, il costituente, il politico, lo statista.
«Volli bene a Mussolini anche quando, nella notte del 25 luglio, durante il Gran Consiglio, sentii il dovere di agire contro di lui... con la nostalgia di un Mussolini che ormai non esisteva più» Dino Grandi «testo fondamentale per capire la personalità dell'autore e soprattutto la natura del regime» Corrado Augias Nel 1983, rompendo un silenzio durato quarant'anni, Dino Grandi decideva di esporre la sua verità sulla fine della dittatura mussoliniana, e lo faceva autorizzando infine la pubblicazione di questo libro che egli aveva scritto a ridosso ancora dei fatti, nel 1944, e aveva poi conservato inedito. Non era, la sua, una verità qualunque: questo è infatti il memoriale di colui che dopo essere stato per molti anni, tra fedeltà e disubbidienza, l'antagonista di Mussolini, fu l'artefice primo della sua fine. Il 25 luglio 1943, che si chiude con il faccia a faccia tra il re e Mussolini e con il licenziamento e l'arresto del duce, si era aperto, alla seduta del Gran Consiglio, con le diciannove firme che, approvando l'ordine del giorno proposto da Grandi, siglarono di fatto la sfiducia del supremo organo del fascismo a Mussolini. Qui dunque Grandi racconta il suo 25 luglio. Il testo è preceduto da una corposa introduzione di Renzo De Felice e da una premessa di Giuseppe Parlato.
L'autore è estraneo al nostro percorso politico-culturale, ma questo non gli impedisce, anzi forse lo aiuta a rompere i vecchi schemi e a fornire un lavoro completo e organico (Secolo d'Italia, 29 giugno 1989) Alla fine degli anni Ottanta, quando venne pubblicata la prima edizione de II Polo Escluso, il Msi era un partito marginale, quasi un reperto archeologico, cementato da un'inestricabile nostalgia; ora il suo erede diretto, Fratelli d'Italia, è al centro della politica italiana. Cosa è accaduto in questi trent'anni per portare quel mondo dall'irrilevanza al potere? Questo volume, oltre a riproporre la prima, ancora insuperata, analisi del Msi, ci conduce lungo gli eventi del trentennio successivo. Si sofferma sulle svolte ideologiche più o meno convinte intraprese negli anni Novanta, sulle lacerazioni del decennio successivo culminato con l'uccisione politica del leader, Gianfranco Fini, che non accettava, diversamente dai suoi ex sodali, l'egemonia del populismo berlusconiano dopo la diluizione di An in Pdl, e infine sull'ingresso in scena di Fratelli d'Italia. Pur con le sue numerose varianti c'è tuttora un mondo riconoscibile in quel passato, nei suoi riferimenti culturali e nei simboli che non tramontano. La fiamma non si è mai spenta.
Il nome di Spartaco è legato alla terza e più nota delle guerre cosiddette servili, ribellioni di schiavi e non solo, che afflissero lo Stato romano fra secondo e primo secolo a.C. All'indomani di conflitti che avevano lasciato strascichi spaventosi di rovine, lutti, odio, Spartaco riuscì a coagulare attorno a sé lo scontento delle popolazioni meridionali, soprattutto appenniniche, non ancora integrate. Fu dunque l'ultimo condottiero di un'Italia disperata e furibonda, da secoli in lotta con Roma. Crasso mise fine alla guerra, ma Roma, provata, fu infine costretta a cedere pienamente alle richieste degli Italici. «Brizzi apre il dossier dell'"altra Italiaµ, quella del mondo appenninico e meridionale che fino all'inizio del I secolo a.C. prese più volte le armi contro Roma» (Paolo Mieli).
Matteo Ricci è una delle personalità occidentali più note in Cina. Arrivato nel 1582, vi rimase per quasi trent'anni svolgendovi un ruolo decisivo nella diffusione non solo del cristianesimo ma anche della cultura e della scienza europea. Avvalendosi delle fonti sia occidentali sia cinesi, Po-chia Hsia racconta la vicenda di questo leggendario gesuita, seguendolo dall'infanzia nella nativa Macerata agli anni della formazione nella Roma dei papi, dal soggiorno nell'India portoghese fino all'approdo in Cina, dove grazie alle sue conoscenze di cartografia, matematica e astronomia, e al prestigio acquisito, fu ricevuto alla corte imperiale dei Ming e fu il primo occidentale a poter entrare nella Città Proibita.
All'inizio del Novecento l'Europa comandava il mondo. Il suo impero coloniale era vastissimo e la popolazione cresceva a ritmo sostenuto. La guerra aveva cessato da tempo di decimare le giovani generazioni. Scoperte e innovazioni producevano il miglioramento delle condizioni di vita anche delle masse rimaste in povertà. La natura, che nei secoli aveva disseminato epidemie e carestie, sembrava sotto controllo. Ma nel volgere di trent'anni si succedono due catastrofi immani. La forza distruttiva delle decisioni e delle azioni determinate dalla politica sovrasta la potenza rovinosa degli eventi naturali. I due conflitti mondiali con decine di milioni di morti, le guerre civili, le carestie, le migrazioni forzate, la pulizia etnica e il genocidio sono il frutto avvelenato di azioni politiche e mietono vittime assai più numerose di quelle provocate dai microbi, dal clima o da altri eventi naturali.
«Una brillante sintesi dei meccanismi attraverso cui la chiesa cattolica esercitava il suo potere sui fedeli» Nuccio Ordine Per quanto gli indici romani dei libri proibiti del Cinquecento registrino un numero esiguo di autori e di opere letterarie, gli interventi sulla letteratura di svago furono molto ampi. Pareva ai censori che gran parte delle opere dei più diversi generi - dalla novellistica, al romanzo cavalleresco, al poema biblico, alla satira - fosse caratterizzata da anticlericalismo, o lascivia e oscenità, o commistione tra sacro e profano, tra pagano e cristiano. Il libro ricostruisce i meccanismi che portarono alla distruzione di un vastissimo patrimonio culturale, alla manipolazione di opere attraverso l'espurgazione, a profonde trasformazioni di interi generi letterari, ma anche alla prassi sempre più diffusa tra gli autori dell'autocensura. Se lo scopo di quest'azione repressiva era la moralizzazione dei fedeli, non vi è dubbio che, unita alla rimozione della Sacra Scrittura e dei libri di contenuto biblico in volgare, alla liturgia e alla recita delle preghiere in latino, essa consentì alla Chiesa di esercitare più facilmente il suo potere sulle menti e sulle coscienze riducendo i fedeli allo stato di «minorenni perpetui».
«Se Dio è lontano, il santo è vicino, è di casa, è il mediatore ideale, un poco come il parente importante che va a Roma a trattare direttamente con il potere, ed è a lui che ci si raccomanda» (Michele Serra). Identificare come petroniani i Bolognesi o come ambrosiani i Milanesi ci dà la misura del legame fondativo che la cittadinanza stringe con il santo che ne è il simbolo. Santa Maria, san Giovanni, san Giuseppe, san Michele, san Francesco, santa Rita... sono fra i toponimi più diffusi, ma anche tra i nomi di battesimo maggiormente ricorrenti: i veri poli della geografia, della storia e del costume italiani. Tuttavia, nella storia del nostro paese, la pratica devozionale si sostanzia anche di aspetti politico-sociali. Nei lunghi secoli che hanno preceduto l'unità del paese, la Chiesa è stata l'unico potere non straniero che ha rappresentato, soprattutto fra i ceti popolari, il tratto identitario effettivamente comune. Il culto per la Madonna (il cui patronato è di gran lunga il più diffuso), per i protomartiri cristiani, per i primi santi vescovi ha finito con il conferire loro il ruolo di taumaturgici «defensor civitatis», facendone al tempo stesso i depositari di consuetudini e memoria, simboli identitari e totem cittadini.
«Merito di Vivarelli è di avere mostrato tutta la complessità del quadro, in un'indagine che esige lettori attenti, curiosi, che non si accontentino» Roberto Pertici In questa fondamentale opera in tre volumi che ha accompagnato per più di cinquant'anni il suo itinerario intellettuale e umano, Roberto Vivarelli rilegge la storia dell'Italia postunitaria mostrando come il fascismo sia il frutto, non la causa, delle debolezze dello Stato liberale, incapace di gestire la propria trasformazione in Stato democratico dopo l'avvento del suffragio universale. Orientata da tale ipotesi interpretativa e sorretta da una rigorosa documentazione, questa opera è molto più di una cronaca delle vicende italiane tra il 1918 e il 1922: al di là della guerra, infatti, il problema delle origini del fascismo trova qui la sua definizione nell'intero contesto della storia politica, istituzionale e sociale dell'Italia dopo l'Unità. Questo secondo volume riprende la narrazione dall'inaugurazione della nuova Camera, il 1º dicembre 1919 per concludersi con la fine, nell'ottobre del 1920, dello sciopero agrario nel Bolognese.
«Merito di Vivarelli è di avere mostrato tutta la complessità del quadro, in un'indagine che esige lettori attenti, curiosi, che non si accontentino» Roberto Pertici In questa fondamentale opera in tre volumi che ha accompagnato per più di cinquant'anni il suo itinerario intellettuale e umano, Roberto Vivarelli rilegge la storia dell'Italia postunitaria mostrando come il fascismo sia il frutto, non la causa, delle debolezze dello Stato liberale, incapace di gestire la propria trasformazione in Stato democratico dopo l'avvento del suffragio universale. Orientata da tale ipotesi interpretativa e sorretta da una rigorosa documentazione, questa opera è molto più di una cronaca delle vicende italiane tra il 1918 e il 1922: al di là della guerra, infatti, il problema delle origini del fascismo trova qui la sua definizione nell'intero contesto della storia politica, istituzionale e sociale dell'Italia dopo l'Unità. Questo terzo e ultimo volume prende le mosse dalla «rinascita dei Fasci», dopo la sconfitta elettorale del novembre 1919 e la successiva crisi organizzativa e ideologica, e si conclude nel novembre del 1922, con Mussolini che presenta il suo governo e il suo programma politico, prima alla camera a poi al senato.
«Merito di Vivarelli è di avere mostrato tutta la complessità del quadro, in un'indagine che esige lettori attenti, curiosi, che non si accontentino» Roberto Pertici In questa fondamentale opera in tre volumi che ha accompagnato per più di cinquant'anni il suo itinerario intellettuale e umano, Roberto Vivarelli rilegge la storia dell'Italia postunitaria mostrando come il fascismo sia il frutto, non la causa, delle debolezze dello Stato liberale, incapace di gestire la propria trasformazione in Stato democratico dopo l'avvento del suffragio universale. Orientata da tale ipotesi interpretativa e sorretta da una rigorosa documentazione, questa opera è molto più di una cronaca delle vicende italiane tra il 1918 e il 1922: al di là della guerra, infatti, il problema delle origini del fascismo trova qui la sua definizione nell'intero contesto della storia politica, istituzionale e sociale dell'Italia dopo l'Unità. Questo primo volume copre il periodo fra l'ultimo anno di guerra e l'impresa dannunziana di Fiume nel settembre 1919.
«Unendo all'autorità della studiosa uno stile elegante e scorrevole Maria Serena Mazzi sa evocare con efficacia un lungo passato di servaggio femminile, e ci costringe a pensare che per molte donne il Medioevo non accenna a finire e la fuga continua» Benedetta Craveri Nel Medioevo le donne erano oggetto di discriminazione giuridica e sociale, senza indipendenza economica, sottoposte a tutela e custodia da parte degli uomini, costrette a conformarsi a rigide norme di comportamento. Non assecondare la volontà della famiglia, non ubbidire a padri, mariti o padroni, manifestare indipendenza di giudizio e di comportamento, rendeva la donna una ribelle. Maria Serena Mazzi racconta la storia di quelle donne, celebri o ignote, sante, regine, badesse, semplici monache, umili contadine, serve, schiave, eretiche, streghe, prostitute, che si sono ribellate, che hanno scelto di sottrarsi a destini segnati, resistendo, opponendosi, fuggendo. Donne decise a viaggiare, conoscere, insegnare, lavorare, combattere, predicare. O semplicemente a difendersi da un marito violento, da un padrone brutale. Da Margery Kempe a Giovanna d'Arco, da santa Brigida a Eleonora d'Aquitania, alle tante ignote o dimenticate donne in fuga verso la libertà.
Si è scritto molto sulle grandi scoperte geografiche dell'età di Colombo, assai meno sull'esperienza che quei primi viaggiatori europei fecero incontrando le popolazioni native. Questi incontri cominciarono in realtà un secolo prima, quando i primi spagnoli arrivarono alle Canarie, continuarono sulle coste africane e infine nelle isole caraibiche in cui approdò Colombo. Gli europei scoprirono che il genere umano era più vasto e differenziato di quanto avessero saputo fin lì. Ma quei «selvaggi» nudi, licenziosi, magari anche cannibali, erano uomini davvero? E se lo erano per l'aspetto, lo erano per l'anima? Perché non conoscevano la parola di Cristo? E potevano riceverla? Abulafia racconta come quegli incontri si svolsero, e quali effetti ebbero sia sull'idea europea di genere umano sia sul destino, tragico, di quei popoli sconosciuti.
La vittoria nella Grande Guerra (4 novembre), la Liberazione (25 aprile), la nascita della Repubblica (2 giugno) sono le ricorrenze canoniche dell'Italia democratica. Ma quale storia hanno dietro di sé? E quali altre ricorrenze sono state invece dimenticate o derubricate? Quella sorta di pedagogia storica che un paese esercita segnando sul calendario la celebrazione dei momenti fondanti della propria storia cambia nel tempo. Lo mostra questo volume raccontando le nostre feste nazionali, dai primi anni unitari alla mobilitazione patriottica della prima guerra mondiale, alla ritualità fascista, all'affermarsi di un patriottismo costituzionale nell'età repubblicana. E infine all'evolvere del calendario civile del primo ventennio del Duemila che ha visto fra l'altro l'istituzione di ben cinque diversi giorni della memoria.
La peste arrivò in Europa nell'ottobre 1347, su una nave proveniente dalla Crimea che attraccò a Messina carica di marinai morti o moribondi. Si diffuse con una velocità impressionante e uccise circa un terzo dell'intera popolazione europea. Fino a tutto il Seicento, l'Europa ha dovuto convivere con ondate pressoché regolari di epidemia; la popolazione europea ha impiegato quattro secoli a tornare ai livelli precedenti il 1350. Questo volume sintetizza in una narrazione densa di fatti la storia della «morte nera» e del suo impatto sull'Europa; dopo aver richiamato le maggiori epidemie del mondo antico e medievale, gli autori raccontano lo scoppio della peste del Trecento, i tentativi di comprenderne le cause e di arginarla, gli effetti delle ricorrenti epidemie e i due ultimi maggiori episodi, la famosa Grande Peste di Londra del 1665 e quella di Marsiglia del 1720.
Nel giro di tre secoli, una piccola setta periferica riesce a diffondere e imporre il proprio messaggio, la propria legge, all'interno dell'impero romano. È questa la vicenda, stupefacente e improbabile, della prima diffusione del cristianesimo, che questo volume ricapitola con chiarezza. Dopo aver tratteggiato il contesto religioso in cui sorse, cioè il giudaismo tardo e i vari paganesimi vigenti nel territorio dell'impero romano, il volume descrive l'azione di Gesù e degli apostoli e l'intensa opera di proselitismo che questi iniziarono, la progressiva fissazione della dottrina, l'organizzazione delle comunità, le persecuzioni di cui l'autore mette in luce in particolare l'importanza nel dar forma a un'idea di Chiesa come Chiesa di martiri e dunque a una particolare idea di santità a partire dalla quale si svilupperà un'imponente letteratura agiografica.
Venezia, che conserva ancor oggi un'evidente impronta bizantina, nacque bizantina nel VI secolo e tale rimase nell'alto Medioevo almeno fino al IX secolo. Poi il legame con Costantinopoli si fece via via più lento, ma all'interno di questo si scrisse la vocazione commerciale di Venezia. L'autore traccia la storia del rapporto millenario che nel corso del Medioevo ha unito la città lagunare all'impero bizantino fino alla caduta di questo, nel 1453. Dalla fondazione di Venezia sotto la pressione dell'espansione longobarda alla dipendenza da Bisanzio, all'indipendenza entro la sfera dell'impero all'aperta ostilità che condusse Venezia a partecipare, nella quarta crociata, alla conquista di Costantinopoli.
In principio furono le stelle. Se il primo a vedere «astri infiniti splendere nel buio» è Omero, poeti e scrittori di tutte le letterature sono stati rapiti dall’incanto del cielo stellato. Su tutti, Dante, che nella Commedia si volge alle stelle all’inizio e alla fine del poema, e al termine di ciascuna cantica. Trapuntano dovunque le volte delle chiese e delle moschee, illuminano mille capolavori della pittura, da Giotto a van Gogh e a Rothko. Ispirano musiche sublimi, da Händel a Haydn, da Verdi a Wagner, come pure folgoranti sperimentazioni contemporanee. Ma il racconto delle stelle intesse di vibrante bellezza anche civiltà lontane, dalla Persia all’India, alla Cina. Sapienti e visionarie, queste pagine esplorano i pensieri e i sogni, gli interrogativi, i fantasmi, i terrori, le speranze che l’umanità ha consegnato alle stelle attraverso il tempo.
Piero Boitani insegna Letterature comparate nella Sapienza - Università di Roma. Con il Mulino ha pubblicato da ultimo «Sulle orme di Ulisse» (20072), «Letteratura europea e Medioevo volgare» (2007) e «Il Vangelo secondo Shakespeare» (2009).
Il Grand Tour, consuetudine delle classi colte europee nei secoli passati, trovava il suo culmine nel Bel Paese, in omaggio al quale diventava il Viaggio in Italia. Come si svolgeva ce lo racconta la messe di diari, memorie, guide, epistolari a cui il libro attinge, restituendoci le vicende di uomini e donne d’ingegno, di nobili, di artisti, di poeti, di studenti e di quanti si dettero con entusiasmo alla scoperta della penisola. Ripercorriamo così gli itinerari più battuti, sperimentiamo l’equipaggiamento e i mezzi di trasporto, riviviamo gli incidenti e le avventure, ma anche i sogni e a volte lo scoramento di quei primi turisti. Ma c’è dell’altro, perché grazie a quelle testimonianze potremo fare l’unica, autentica esperienza di viaggio ancora possibile oggi: tornando sui passi degli antichi visitatori, in loro compagnia, fare nostre le loro mete favolose.
Attilio Brilli è fra i massimi esperti di letteratura di viaggio. Tra i suoi numerosi libri per il Mulino segnaliamo «Il grande racconto del viaggio d’esplorazione, di conquista e d’avventura» (2015), «Il grande racconto delle città italiane» (2016) e «Gli ultimi viaggiatori nell’Italia del Novecento» (2017).
A torto ritenuto un’epoca immobile, il Medioevo è fatto anche di viaggi. Per ragioni politiche e per lavoro, per pregare o per studiare: viaggiano re e mercanti, pellegrini e fuorilegge, chierici e giullari, emarginati e cavalieri erranti. E si naviga nei fiumi, nei laghi, nei canali, nei mari e nell’oceano. Ma che cosa significava mettersi per strada lasciando la propria casa alle spalle, come si viaggiava in concreto, quali erano le conoscenze e le fantasie geografiche, quali i paesi conosciuti, quale il rapporto con le genti straniere? Le fonti dell’epoca, che il libro fa parlare, ci consentono di osservare la gente del Medioevo in cammino, ce la raffigurano mentre attraversa paesi e continenti, mostrandoci i percorsi, le fatiche, le paure, le emozioni.
Il libro indaga le forme che il razzismo - inteso come pregiudizio concernente l'origine etnica dei popoli con relative politiche discriminatorie - ha assunto nel corso della storia occidentale, dal Medioevo a oggi. Per l'autore il razzismo è un fenomeno relazionale, ossia il risultato di circostanze economiche o politiche specifiche. Nella storia europea vi sono tre svolte importanti: il momento delle crociate, di cui è un risvolto la discriminazione religiosa moderna dopo il Cinquecento, il momento delle scoperte geografiche e della mappatura delle civiltà, e il momento della costruzione delle società coloniali con le loro gerarchie, cui fa seguito il razzismo contemporaneo.
Fra il XII e il XIII secolo, al moltiplicarsi delle esperienze religiose fa riscontro l'intolleranza ecclesiastica verso ogni forma di autonomia quale espressione di una volontà di inquadramento tesa a dirigere ogni aspetto della vita degli uomini. La sintesi non fu sempre possibile. Ne derivarono esclusioni, anche violente, e integrazioni proficue. Una parte prevalse, l'altra soccombette: storicamente vinti furono gli eretici, vincitori gli uomini di chiesa. Poiché il conflitto fu tra singoli e gruppi, il libro ruota intorno a figure-cardine individuali e collettive: da Pietro di Bruis a Dolcino di Novara attraverso valdesi, umiliati, catari, amalriciani, apostolici e «santi» eretici.
Sorto nel XV secolo sulle rovine dello stato selgiuchide e di Bisanzio, l'impero ottomano si estende rapidamente sino alle frontiere dell'Austria-Ungheria, in Medio Oriente e nell'Africa settentrionale. Questo volume ne ripercorre la storia politica dalle origini all'apogeo, e poi fino alla sua disgregazione, cominciata già nel XVII secolo e consumatasi nel corso dell'Ottocento, con il risveglio dei nazionalismi balcanici e sotto la spinta imperialista delle nuove potenze industriali. Particolare attenzione è dedicata all'economia, alla cultura, alle arti e al ruolo delle donne nella società ottomana.
Dal Quattrocento a oggi, gli occidentali hanno sempre cercato di conquistare e sottomettere altre società. Nel 1800 il 35 per cento del territorio del pianeta era sotto controllo occidentale; nel 1914 l'85 per cento. Ripercorrendo gli ultimi sei secoli di storia, Headrick mostra come sia stata sì la superiorità di determinate tecnologie (i velieri e le armi da fuoco, il vapore, il progresso medico, gli aerei) ad assicurare volta a volta il predominio occidentale, ma solo là dove l'ambiente era tale da consentirne un utilizzo vantaggioso: i velieri dominarono gli oceani e i mari ma non i fiumi cinesi, i cavalli servirono alle imprese spagnole ma anche alla resistenza degli indiani, le malattie giocarono a favore della conquista delle Americhe ma contro quella dell'Africa, gli aerei e le bombe non piegarono la resistenza vietnamita. Una lettura di singolare suggestione, che getta uno sguardo originale sulle dinamiche che hanno governato la storia mondiale dell'ultimo mezzo millennio.
Per i Greci i miti sono in primo luogo racconti: narrazioni meravigliose, che mescolano il divino e l'umano, il quotidiano e lo straordinario, suscitando davanti ai nostri occhi immagini di eroi, dèi, fanciulle, mostri e personaggi fiabeschi. Una schiera interminabile, perché più ci si addentra in questo fantastico mondo - attraverso l'ausilio della voce, della scrittura o delle immagini - più ci si accorge che ciascuno di questi racconti non è mai concluso in sé, ma rinvia sempre ad altri eventi, altri personaggi, altri luoghi, in un raccontare infinito che chiede solo di diventare a sua volta immagine o scrittura. La mitologia ha infatti la forma di una rete, in cui si intrecciano mille nodi. Nel corso del tempo, questa rete con i suoi molteplici richiami narrativi è stata calata infinite volte nel mare della cultura e, trascinata sul fondo, ha raccolto nomi, fatti, rituali, usi, costumi, regole, atteggiamenti, visioni del mondo. Per questo, raccontare o ri-raccontare oggi i miti degli antichi significa entrare dalla porta principale nella memoria della loro, della nostra cultura.
Il nostro paese ha conosciuto fasi alterne di prosperità e di declino: dopo i successi del Novecento, da anni sembra arenato nelle secche di una lunga stagnazione, che non trova paragoni nel resto dell'Occidente. Come è stato possibile passare da una realtà economica tra le più floride all'attuale declino? Alla luce delle più aggiornate ricerche sul reddito e sulla disuguaglianza, sul divario Nord-Sud e sulla performance delle imprese, il libro mostra come l'origine dei successi e dei fallimenti italiani sia da ricercarsi nell'assetto politico e istituzionale del paese, nelle sue classi dirigenti e nel modo in cui esse hanno inciso, nel bene o nel male, sulle condizioni profonde della crescita.
Poche cose come il treno hanno contribuito a definire la realtà e l’immaginario
degli italiani. Nell’Ottocento la strada ferrata divenne simbolo dell’unità nazionale: non solo si scambiavano merci e idee, ma soprattutto le diverse genti della penisola entravano in contatto, si conoscevano, si mescolavano. Il treno insomma ha cucito insieme l’Italia: con le tradotte dei fanti della prima guerra mondiale, con i "treni popolari" dell’epoca fascista, con i tanti "treni del sole" che nel dopoguerra rovesciarono, a centinaia di migliaia, le genti del sud nelle periferie industriali di Torino e di Milano. Il libro racconta la storia delle ferrovie italiane dalle origini all’evoluzione più recente, che comprende i nuovi treni ad alta velocità e l’ingresso di imprese private a seguito della liberalizzazione del settore.
Prendendo le mosse dal declinare dell'impero ottomano, il libro mostra come già sul finire dell'800 il governo metta in opera un piano demografico-sociale per insediare in Anatolia i turchi espulsi dai territori perduti dall'impero. Nel corso della prima guerra mondiale il governo ultranazionalista dei Giovani Turchi compie la scelta di turchizzare totalmente l'Anatolia e decide di deportare e sterminare la minoranza armena che viveva lì da secoli. La nuova edizione va ancora più in profondità nella ricostruzione del processo che portò al genocidio, sul quale tuttora si combatte la battaglia della memoria, con la Turchia ferma su posizioni negazioniste.
Il mezzo millennio che sta tra la fine dell'impero romano e la rinascita cristiana è visto spesso come un'età di decadenza, i famosi «secoli bui». Secondo l'autrice si tratta di un periodo in realtà caratterizzato da grandi e importanti trasformazioni, oltreché da marcate differenziazioni locali. La sua indagine si appunta non tanto sulle vicende politico-istituzionali o economiche quanto su comportamenti e valori. La condizione dell'umanità, le dinamiche demografiche, le risposte alle calamità, ma anche le relazioni interpersonali come amicizia, parentela, rapporti fra i sessi, le gerarchie sociali, le concezioni del potere: il convincente ritratto di un'epoca multiforme per molti versi all'origine delle specificità culturali dell'Europa.
L'esperienza umana e religiosa di frate Francesco, nella concretezza della società civile ed ecclesiastica e delle vicende degli inizi del secolo XIII, quali si possono ricavare innanzitutto dai suoi "scritti" e da fonti e documenti che le trasmettono in modo attendibile: queste pagine ci offrono un ritratto semplice e insieme estremamente puntuale e documentato, quale solo poteva venire da uno dei maggiori studiosi di Francesco e del francescanesimo. Non mancano riferimenti alle sorprendenti strumentalizzazioni politico-ideologiche che intorno alla figura di san Francesco d'Assisi si sono consumate, ieri come oggi.
Figlia naturale del cardinale Alessandro Farnese, Clelia (1557-1613) sposa nel 1571 Giovan Giorgio Cesarini, gonfaloniere del Popolo romano. Sullo sfondo di una Roma festaiola quanto violenta, cinica e spregiudicata, la bellissima Clelia si muove tra un marito che la tradisce e un padre deciso a servirsi di lei per le sue aspirazioni alla tiara. Riuscirà a piegare questa figlia caparbia e indomita solo facendola sequestrare e rinchiudere nella Rocca di Ronciglione. Costretta a sposare in seconde nozze il marchese di Sassuolo, nel 1587 Clelia verrà "esiliata" nel feudo padano, da dove farà ritorno a Roma solo dopo l'assassinio del marito (1599). La storia di una donna ribelle e affascinante, un eloquente ritratto della corte papale e dell'aristocrazia romana negli anni della Controriforma.
Una storia gloriosa quanto tormentata, quella dei Templari, segnata da processi, roghi, scandali, accuse di eresia: è forse per questo che intorno al potente ordine cavalleresco non hanno mai smesso di fiorire leggende e miti, destinati a suscitare un sempre rinnovato interesse. Il libro ne dipana l'intricata vicenda, dalla fondazione nel Duecento all'abolizione agli inizi del Trecento, in un racconto limpido e appassionante, basato su ricerche originali che hanno portato l'autrice a rintracciare, dopo settecento anni, il documento che attesta l'assoluzione papale dei cavalieri del Tempio.
In origine un corpo d'elite costituito da combattenti a cavallo, la cavalleria ha finito per essere progressivamente identificata con la nobiltà: nobiltà di sangue e nobiltà di spirito. Il libro traccia la storia della cavalleria nelle sue diverse identità, illustrando aspetti come l'investitura, le armi, i metodi di combattimento, i tornei e le giostre. Fa luce poi sul rapporto della cavalleria con la nobiltà e la chiesa, sullo sviluppo dell'ideologia amorosa cavalleresca e sulla letteratura di argomento cavalleresco, fiorente nel Medioevo e dopo.
A differenza di quelle condotte in Terrasanta, le crociate del Nord-Europa, intraprese tra il XII e il XVI secolo per convertire i territori dell'area baltica, non sono molto note. I Cavalieri Teutonici che ne furono protagonisti spinsero avanti la frontiera cattolica conquistando e cristianizzando vaste regioni, dalla Finlandia all'Estonia, alla Prussia, alla Lituania, alla Russia. Una espansione che, sotto il pretesto della conversione delle popolazioni pagane o ortodosse, mascherò aggressive mire colonialistiche.
Per i romani i barbari erano coloro che vivevano oltre i confini dell'impero romano; popoli, per definizione, fuori dalla civiltà. Le fonti scritte che ce ne parlano sono quasi tutte romane, e vanno prese con cautela; e con altrettanta cautela le testimonianze archeologiche. Facendo i conti con questa fondamentale difficoltà, l'autore traccia una storia complessiva dei popoli barbari d'Europa, sottratta al paradigma romanocentrico dell'"invasione". Chi erano i tanti e differenti popoli che vissero dalla Scandinavia alla Scozia, al bacino del Danubio, quale fu l'evoluzione della loro storia fra il primo secolo a.C. e il sesto d.C., com'era fatta la loro società, come si svolsero i contatti, la convivenza, la reciproca influenza con l'impero romano, che cosa furono effettivamente, e quanto grandi, le "invasioni", e quanto e come contarono le società barbare nel formare l'Europa sono le principali domande cui il volume risponde facendo il punto delle conoscenze più recenti.
L'assedio di Vienna a opera dell'esercito ottomano nell'estate del 1683, concluso vittoriosamente per le truppe cristiane con la battaglia del 12 settembre, è uno dei grandi punti nodali della storia europea. Fu l'ultima grande minaccia portata alla Cristianità, un pericolo così serio che i paesi europei seppero mettere da parte la loro reciproca ostilità e coalizzarsi per respingere l'attacco dell'esercito di Kara Mustafa. Le conseguenze della disfatta furono importanti: gli ottomani perdettero metà dei loro territori europei e gli Asburgo dirottarono i loro interessi verso i Balcani. Quell'ultimo scontro fra Croce e Mezzaluna avviò in sostanza un assetto europeo destinato a durare fino al cataclisma della Grande Guerra. Questo volume è una circostanziata descrizione dell'assedio di Vienna, ricostruito nelle sue premesse e conseguenze generali ma soprattutto seguito sul campo, giorno per giorno, nel concreto svolgersi dello scontro.
Nell’anno santo 1600 Giordano Bruno, filosofo di fama europea, venne arso come eretico a Roma in Campo de’ Fiori. Dopo un periodo di oblio, l’800 vede in lui il martire dell’oscurantismo religioso, simbolo della libertà di pensiero e della tolleranza. Il libro ripercorre a ritroso la vicenda di Giordano Bruno, dalla combattuta inaugurazione del monumento in Campo de’ Fiori nel 1889 fino al processo e al rogo, restituendoci un personaggio enigmatico, capace di grandezze e miserie, di utopie politiche e di condotte spregiudicate, dedito alle arti magiche e insieme precursore del pensiero filosofico moderno.
Anna Foa ha insegnato Storia moderna nella Sapienza - Università di Roma. Con il Mulino ha pubblicato anche «Eretici» (20112) e «Andare per ghetti e giudecche» (2014).
Il 14 luglio 1938 veniva pubblicato su un quotidiano di Roma un manifesto firmato da alcuni scienziati; in esso si proclamava la necessità di un razzismo italiano e si definivano gli ebrei come non appartenenti alla razza italiana. Quel manifesto segna l'avvio ufficiale di una campagna antisemita che il regime fascista aveva in realtà cominciato a orchestrare da mesi e che di lì a poco troverà il suo sbocco nelle leggi razziali che sancirono la discriminazione e la persecuzione degli ebrei. Con grande chiarezza e vigore espositivo, questo libro racconta come e perché il fascismo arrivò all'antisemitismo di stato, come fu orchestrata la propaganda e come fu realizzata la persecuzione dal 1938 fino al tragico epilogo della deportazione a opera dei tedeschi. A differenza di altri storici, che hanno messo in luce piuttosto le lunghe radici dell'antisemitismo fascista, l'autrice sostiene la forte rottura costituita dalla politica antisemita e ne individua l'origine nella necessità del regime di tenere il paese in stato di mobilitazione permanente.
Questo volume non intende presentare tanto una storia della città di Costantinopoli quanto una sorta di immaginaria visita alla città condotta nell'anno 1200, cioè prima del disastroso sacco del 1204 che segnò l'inizio della sua decadenza: com'era fisicamente questa città leggendaria, che cosa sapevano o dicevano i bizantini della sua storia. Quindi una descrizione della città quale sarebbe apparsa agli occhi di un visitatore del tempo, e un esame della sua storia di città santa fondata da Costantino, così come veniva trasmessa e com'era in effetti, le difese e il mito dell'invincibilità, il potere, la chiesa, le ricchezze, la vita urbana dei ricchi e dei poveri. I capitoli finali raccontano poi il sacco della città a opera dei crociati nel 1204 e la progressiva decadenza fino alla conquista ottomana del 1453. L'epilogo è una breve descrizione di ciò che resta della città bizantina nella Istanbul di oggi.
Il volume raccoglie quanto fu scritto da Braudel per un libro che preparò sul finire della prigionia in Germania, nell'autunno 1944, a partire da un ciclo di lezioni tenuto in campo di concentramento. Sono lezioni sul senso della storia dedicate non a un pubblico di studiosi o studenti, ma di uomini comuni riuniti da una vicenda storica non comune. L'edizione italiana si correda di una introduzione redatta dalla moglie di Braudel, che sulla base di testimonianze e carte inedite ricostruisce le vicende della prigionia dell'autore in Germania.
In questo libro, l'autore traccia un personalissimo percorso attraverso le infinite testimonianze, scritte e no, lasciate dagli italiani sulle guerre che hanno combattuto, da quelle d'indipendenza alla seconda guerra mondiale. Per cento anni la guerra è stata, per l'italiano comune, il punto d'incontro con la grande Storia: per cento anni ogni generazione ha avuto la sua guerra da combattere, da descrivere, da ricordare. Isnenghi propone un viaggio all'interno di questo infinito discorso sulla guerra, suddividendolo non secondo la cronologia, ma secondo il genere di testimonianze: i comizi, i proclami, i canti, i giornali, la letteratura, le immagini, le lettere dei soldati, i monumenti, i musei, i nomi delle vie.
Le crociate per liberare la Terrasanta hanno opposto per due secoli le forze della cristianità e dell'Islam, ben oltre il Medioevo hanno occupato i pensieri dei cristiani, hanno creato miti e forgiato ideologie nel mondo cristiano come in quello musulmano. Pellegrinaggio o conquista, fede o fanatismo, guerra di liberazione o proto-colonialismo? Ricapitolandone i molti e spesso contraddittori moventi, Flori traccia un quadro delle crociate e le individua come fatto cardinale della storia.
Napoleone fu figlio della Rivoluzione francese, e la sua straordinaria parabola è comprensibile solo in relazione a quell'evento, che egli a un tempo proseguì e liquidò. Il libro traccia un bilancio complessivo della figura di Napoleone stratega e statista, facendo il punto sulla sua azione politica e militare e su quel particolare regime autoritario-plebiscitario che fu il bonapartismo. Sono inoltre illustrate la dimensione europea dell'avventura napoleonica, le sue ricadute per l'Italia, e la fortuna che essa ha avuto nei due secoli successivi, nella cultura storica e politica come in quella letteraria.
Questo libro si può considerare la prima completa biografia politica di Alcide De Gasperi, la prima a tener conto, oltre che dei tanti contributi parziali e della memorialistica, di una ricchissima documentazione inedita degli archivi pubblici e dell'archivio privato di De Gasperi, solo in parte fino a oggi esplorato. Il resoconto copre tutto l'arco della vita di De Gasperi, iniziando dalla giovinezza nel Trentino austriaco, dalla formazione universitaria a Vienna, e dalla prima esperienza politica nel Parlamento austriaco. Seguono le pagine sulla Grande Guerra e sull'ingresso di De Gasperi nella vita politica italiana, che lo vedrà succedere a Sturzo alla guida del Partito Popolare. Dopo l'esilio vaticano nel Ventennio, con il dopoguerra la vita di De Gasperi si intreccia strettamente alla storia del paese. Divenuto presidente del Consiglio nel dicembre 1945, egli terrà costantemente quella carica fino al luglio del 1953. Sono gli anni in cui l'Italia fonda la nuova democrazia repubblicana, compie la sua ricostruzione, avvia un processo di riforme socio-economiche, getta le basi del suo sviluppo industriale, si inserisce nella rete delle alleanze atlantiche ed europee. Di questo processo De Gasperi è la figura direttiva centrale; Craveri ne analizza l'opera in tutti i suoi aspetti facendone emergere sia i successi sia le inevitabili contraddizioni.
Il Risorgimento italiano come processo che inizia alla metà del Settecento con l'Illuminismo e termina con la fine del governo della Destra nel 1876. Nel libro sono esaminate le origini politiche, sociali ed economiche dell'aspirazione all'unità, con una attenzione particolare al Risorgimento artistico e letterario, alla questione della lingua, al ruolo delle donne; è poi discussa l'unificazione del 1860, in quanto frutto in varia misura del Risorgimento, della guerra e del lavorio diplomatico. Il percorso si compie nel primo quindicennio del Regno d'Italia, siglato simbolicamente dal pareggio di bilancio.
Nel mondo greco-romano la società era basata su una presenza massiccia di schiavi, che in determinati luoghi poterono raggiungere e forse superare il cinquanta per cento della popolazione. Il volume offre un panorama completo della questione: che cosa significava essere schiavi e come lo si diventava; la funzione e il peso degli schiavi nei diversi settori della vita economica; la loro presenza nell'organizzazione famigliare e cittadina; come si poteva uscire dallo stato di schiavitù; le trasformazioni che la fine dell'impero romano e il primo diffondersi del cristianesimo produssero nel sistema schiavistico antico.
La moda è un fenomeno che caratterizza la vita contemporanea, tanto più in un paese come il nostro che del "made in Italy" ha fatto il suo biglietto da visita sul mercato internazionale. Ma il predominio italiano è un fatto relativamente recente all'interno di una storia della moda che viceversa inizia nel Medioevo comunale. È questa la storia qui ripercorsa con curiosità e leggerezza da una delle principali storiche della moda italiane. Dopo aver identificato a grandi linee le diverse epoche della moda, segnate volta a volta dall'influenza dell'Italia, poi della Spagna, infine e lungamente della Francia, l'autrice in una carrellata che arriva ai giorni nostri tocca gli aspetti costitutivi del fenomeno, dall'evoluzione del ruolo dei sarti al disciplinamento del lusso, dall'uso degli abiti per segnare appartenenze di luogo e status al succedersi del gusto per i colori, le righe, le fogge larghe o aderenti, i busti e le crinoline.
Come fa un paese che ha perso una guerra a metabolizzare il trauma della disfatta? Guardando al Sud degli Stati Uniti dopo la guerra di secessione che vide la vittoria del Nord nel 1865, alla Francia dopo la guerra franco-prussiana del 1870-71, alla Germania dopo la Grande Guerra si coglie una sorta di itinerario comune attraverso cui passano i paesi sconfìtti. Dalla depressione all'euforia (rivoluzionaria), dalla presa di distanza con il passato alla convinzione di essere comunque i vincitori morali, alle velleità di revanche. È un modello che si ripete anche in epoca contemporanea, basti pensare alla fine dell'Unione Sovietica e agli Stati Uniti dopo l'attacco alle Twin Towers.
Questa solida sintesi della Grande guerra è frutto del lavoro di due storici diversi ma affini: l'uno, Rochat, esperto della dimensione prettamente militare; l'altro, Isnenghi, versato nella storia della cultura e degli intellettuali. Il volume intreccia così felicemente due filoni di studio per raccontare vicende politiche e culturali ma anche operazioni militari, ideologie e sogni ma anche cifre e fatti: il racconto stringente di come la guerra fu voluta e non voluta, condotta e contestata, maledetta e ricordata, di quale ruolo vi giocarono le forze politiche e gli intellettuali, di quale fu l'agire e il pensare di generali, soldati e società civile, donne, prigionieri.
Per dieci lunghi secoli la guerra ha condizionato quasi ininterrottamente la vita politica, sociale ed economica dell'Europa occidentale. Il libro, ormai un classico negli studi sull'argomento, racconta la guerra medievale dai più diversi punti di vista: l'arte militare, l'armamento, il reclutamento, gli eserciti, le implicazioni morali e religiose, le connessioni con la vita sociale, politica ed economica; e traccia un'evoluzione storica che va dalle scorrerie dei barbari alle crociate, alle grandi guerre di fine Quattrocento.
Quale fu il segreto che consentì a un continente piccolo e scarsamente dotato di risorse naturali come l'Europa di guadagnare fra Cinque e Ottocento una superiorità planetaria? Secondo Parker le origini del successo europeo vanno ricercate sul terreno militare. Egli studia dunque la pratica militare europea, facendo riferimento al ruolo delle armi da fuoco e alla trasformazione delle strategie belliche, per poi esaminare il modo in cui la rivoluzione militare, che si sposava a un'esplicita politica di potenza, diede agli europei un decisivo vantaggio sui popoli degli altri continenti. Il volume si conclude con una rassegna degli ulteriori cambiamenti introdotti nella sfera militare in seguito alla rivoluzione industriale, che consentirono all'Occidente di dominare pressoché il mondo intero fino al 1914.
Questo libro ormai classico ha esercitato un'influenza decisiva nel rinnovamento del modo di guardare alla prima guerra mondiale. Non è una storia del conflitto, né un esame dei suoi aspetti politici o militari: grazie a una ricca messe di testimonianze letterarie queste pagine pongono al centro dell'attenzione la vita concreta dei soldati e mostrano come la trincea e la battaglia, le esperienze estreme dell'uccidere e del morire lascino una traccia duratura nelle strutture emotive e intellettuali dell'uomo contemporaneo. Muovendosi fra la realtà effettiva della guerra e l'immaginario da essa suscitato, Fussell riconduce così alla Grande Guerra alcuni stereotipi della "memoria" del Novecento.
Fra il 1914 e il 1918 la grande guerra produsse mutamenti profondi: sul piano politico, economico, sociale, culturale, come pure sul piano più privato delle coscienze individuali. La sensibilità e il mondo interno di coloro che all'esperienza bellica parteciparono direttamente vennero scardinati: costretto per la prima volta dal predominio della tecnologia a una guerra prolungata e statica, chiuso nelle trincee, il soldato vede frantumarsi la propria identità in una disgregazione destinata ad avere pesanti ripercussioni nel dopoguerra. All'interno della propria personalità egli vede scavarsi un vuoto, una sorta - appunto - di "terra di nessuno" psicologica. Le lunghe ore trascorse in trincea alimentano nevrosi, claustrofobie, fantasie di volo che ridanno forza al mito di Icaro: l'aviatore diviene colui che può dominare il teatro di guerra, facendosene spettatore privilegiato. Attraverso gli apporti di antropologia, sociologia e psicologia, e le testimonianze dei combattenti, Leed rilegge in modo originale e innovativo l'"evento guerra", visto in termini non più solo di storia politica o militare, ma di immaginario, emozioni, memoria.
La prima guerra mondiale fu teatro di una carneficina inaudita: i sopravvissuti dovettero fare i conti con quanto era successo e trovare linguaggi adatti ad esprimere sentimenti di perdita e demoralizzazione. Alla elaborazione di questo lutto, pubblico e privato, è alle varie forme che venne assumendo è dedicato il libro. Si parla della commemorazione dei morti, con l'istituzione dei cimiteri militari, i riti funebri collettivi, e dei modi in cui le famiglie e le comunità cercarono di superare la perdita dei loro componenti, per esempio attraverso la pratica dello spiritismo o affidandosi a credenze e superstizioni. Ma l'immaginario doloroso della Grande Guerra è presente anche nel cinema, nell'arte e nella letteratura del primo dopoguerra.
In questa nuova edizione il volume, fortemente innovativo per tesi, documentazione e metodo, ha segnato uno spartiacque negli studi sulla prima guerra mondiale. Le riviste dell'età della "Voce", i fogli interventisti, i diari di trincea e la letteratura sulla guerra: rileggendo questa sterminata produzione Isnenghi ha ricostruito l'atteggiamento di una intera generazione di intellettuali italiani nei confronti dell'intervento e poi dell'esperienza bellica. Da Marinetti a Papini, da Prezzolini a Gadda, da Soffici a Jahier, Serra, Malaparte, Borgese, d'Annunzio, la guerra si configura di volta in volta come occasione rigeneratrice per l'individuo e la società, come veicolo di protesta o, al contrario, antidoto alla lotta di classe. Le molte facce del mito della Grande Guerra compongono in queste pagine uno spaccato di storia mentale, sociale, politica dell'Italia nel passaggio dalla politica delle élites alla società di massa.
La figura del legionario romano, il fante cittadino che domina i campi di battaglia dell'antichità, traduce valori che sono espressione di un profondo senso del dovere nei confronti dello Stato. A partire dagli archetipi omerici del guerriero e dall'analisi delle battaglie e degli armamenti politici, il libro segue l'evoluzione di questa figura, nel contesto degli ordinamenti militari prima greci, poi romani, cogliendo le trasformazioni di età monarchica, repubblicana e imperiale. Sono così descritti tattiche, armi ed equipaggiamenti dei legionari, nonché il loro universo culturale, politico e sociale, in un ampio quadro dell'evoluzione storica degli eserciti nel mondo classico.
Il Medioevo coltivò una intensa passione per le spezie, che si prestavano ad essere usate nei più vari ambiti, dalla gastronomia alla medicina ai cerimoniali religiosi. Una infatuazione che fu davvero un motore di prima importanza per lo sviluppo degli scambi commerciali, le conquiste, la crescita economica. Perché le spezie erano così richieste, e così costose? Come racconta questo libro, erano simboli di bellezza, di ricchezza, di raffinatezza, di grazia. E la domanda di cannella e pepe, di rare ed esotiche essenze aromatiche come l'ambra grigia e il muschio, stimolava i viaggi verso Oriente, le esplorazioni geografiche, commerci. Seguendo il gusto e la tirannia della moda, l'Europa medievale andava così alla conquista del mondo.
Sulla base di una conoscenza diretta delle fonti e dell'ormai sterminata bibliografia di lingua tedesca e italiana, l'autore traccia un profilo dell'imperatore normanno-svevo Federico II (1194-1250), una delle figure più discusse del Medioevo europeo. Il volume è suddiviso in tre parti: la prima è dedicata alla storia politica di Federico, segnata dalla lotta con il Papato e i Comuni; la seconda si occupa dell'uomo, della sua sfera famigliare, dei suoi interessi filosofici e scientifici, e del suo entourage di cui facevano parte anche studiosi ebraici e arabi; la terza segue la formazione del mito di Federico attraverso i secoli fino ai giorni nostri. Pur essendo un uomo del suo tempo e non, come volle dirlo un grande storico dell'Ottocento, "il primo uomo moderno sul trono", Federico II con i suoi interessi multiculturali e il suo tentativo di dialogo con il mondo arabo-musulmano, insoliti per un imperatore medievale, affascina ancora oggi.
Rovesciando una prospettiva tradizionale che vedeva nello stato della Chiesa un ingombrante residuo dell'epoca precedente e un ostacolo allo sviluppo delle forme statuali moderne, questo saggio mostra come il pontefice, a un tempo sovrano di uno stato territoriale e capo della cristianità, papa-re, in quello sviluppo giocò in realtà un ruolo decisivo. La monarchia papale fornisce infatti allo stato il modello per incorporare la religione all'interno della politica e per costruire le moderne chiese territoriali. È questa l'eredità che il papato della prima età moderna ha lasciato alla Chiesa e allo Stato dei secoli successivi.
Scritto a caldo nel 1944 e tenuto nel cassetto per quarant'anni, "25 luglio" è il memoriale in cui il principale artefice del pronunciamento del Gran Consiglio che determinò la caduta di Mussolini racconta distesamente la propria versione dei fatti. Solo nel 1983 Grandi si decise a renderlo pubblico: e fu un evento. Era infatti l'ultimo rilevante tassello che ancora mancava per la ricostruzione di quel momento cruciale. Il testo è preceduto da una corposa introduzione di Renzo De Felice e da una premessa in cui Giuseppe Parlato sottolinea la perdurante importanza del documento e fa il bilancio della sua ricezione e dello stato ultimo delle conoscenze sul 25 luglio.
"Sono figlio di un morto ammazzato": questa è la "confessione" che dà avvio al libro in cui Roberto Vivarelli racconta per la prima volta, con partecipazione ma anche con stupefacente lucidità, la sua esperienza di repubblichino adolescente. Il padre di Vivarelli fu ucciso dai partigiani jugoslavi nel 1942. Alla caduta del fascismo e dopo l'8 settembre 1943, rimanere fascisti per i due figli sarà anche una questione di fedeltà all'ombra paterna. Ma dal 1948 egli avvierà una propria "ricostruzione" culturale e politica, che lo condurrà su posizioni assai lontane da quelle di partenza. Ma solo dopo mezzo secolo riuscirà a far combaciare le stagioni della propria vita e a vedere il filo unitario che le lega.
La donna romana raffigurata dagli scrittori antichi o negli elogi funebri appare una donna ideale, moglie e madre integerrima, dedita alla casa e alla famiglia, sottratta allo sguardo e al contatto con gli estranei. Per contrasto, le donne "facili", di condizione sociale e economica inferiore, e le schiave, sono prive di qualsiasi statuto e considerazione. Attraverso l'uso critico delle fonti disponibili, il volume disegna il profilo variegato della donna nella società dell'antica Roma, cogliendola nelle diverse dimensioni: il diritto e la famiglia, il matrimonio, l'educazione ricevuta e quella impartita ai figli, il quotidiano, l'abbigliamento e la cura di sé, i costumi sessuali, la religione e il lavoro. Ci sono, dunque, molte donne romane: le storie raccontate nell'ultimo capitolo ci parlano di alcune di loro.
In che cosa credettero gli italiani che così numerosi assicurarono il loro consenso al fascismo? Per trovare una risposta, più che le prese di posizione degli intellettuali di regime e della classe politica dominante serve studiare il "senso comune" dei militanti, degli uomini di secondo piano, della folla solitaria del fascismo. È quanto ha fatto Zunino in questo studio che, immergendosi in una sterminata produzione fatta di giornali di provincia, riviste, libri dimenticati, riporta in luce il complesso di idee, spesso contraddittorie, che convissero nel fascismo: le immagini della libertà e della dittatura; dell'America e dell'Unione Sovietica; della donna, della famiglia, dei giovani; della stirpe, della ruralità; del duce e dei capi; della guerra e della pace. Una grammatica mentale che rivela le motivazioni, gli interessi, le paure, le illusioni che resero possibile il consenso al regime.
Quello perpetrato il 12 agosto 1944 a Sant'Anna di Stazzema, minuscolo paese della montagna lucchese, è il maggiore eccidio di civili compiuto dai nazisti in Italia dopo quello di Monte Sole. La strage di Sant'Anna è riemersa prepotentemente all'attenzione della cronaca con il processo celebrato a La Spezia nel 2005, e poi ancora con l'uscita del film di Spike Lee "Miracolo a Sant'Anna" e le vivaci polemiche che ne sono seguite. Paolo Pezzino, storico delle stragi tedesche e consulente della Procura militare per il processo, sulla base di una conoscenza approfondita e puntuale dei fatti, racconta in questo breve libro l'intera storia della strage: in che contesto maturò, chi furono i protagonisti, carnefici e vittime, come si svolse, come non si fece giustizia nel dopoguerra e come la si è fatta a La Spezia, la sempre riaffiorante controversia circa le eventuali responsabilità dei partigiani, che ancora riesce a dar fuoco alla polemica attorno ai morti di Sant'Anna.
Fino a non molto tempo fa in Europa si pensava che gli imperi fossero relitti del passato. Dopo il crollo dell'Unione Sovietica, le cose sono cambiate: gli Stati Uniti sono venuti ad assumere una posizione di egemonia che spesso fanno consapevolmente valere e che molti considerano una minaccia. Si è ricominciato così a parlare di "impero" e di "imperialismo", concetti che erano stati dati ormai per superati. Ma che cosa ha caratterizzato nella storia la sovranità imperiale? Qual è il contributo alla stabilità che un ordinamento imperiale offre, e quali sono i rischi che esso comporta? L'impero cinese della dinastia Han o quello romano dell'età di Augusto, l'impero mongolo di Gengis Khan o quello degli zar russi, l'impero coloniale spagnolo, portoghese o britannico: condizioni storiche differenti presentano i medesimi principi fondamentali dell'esibizione e della conservazione della potenza. In queste pagine Münkler parte dall'esplorazione del passato per ricostruire la parabola millenaria dell'idea di impero e per comprenderne la storia presente.
Posto alla guida dell'Agip all'indomani della Liberazione, Mattei si diede la missione di dotare l'Italia di una ricchezza fondamentale per il suo sviluppo e la sua indipendenza, e nel giro di quindici anni mise in piedi l'Ini e la Snam; conquistò così non solo l'approvvigionamento diretto alle fonti di energia ma fece del nostro paese uno dei maggiori fornitori mondiali di manufatti e know-how per l'industria petrolifera. La sua grande spregiudicatezza nei confronti sia dei concorrenti esteri sia della politica italiana forse gli fu fatale: il 27 ottobre 1962 l'aereo che lo portava da Catania a Milano esplose in volo. Una morte che rimarrà uno dei misteri della storia repubblicana.
Tra la fine di luglio e i primi di agosto del 1588 si svolse nella Manica una grande battaglia navale tra la foltissima flotta spagnola, mai sconfitta da oltre un secolo, e la flotta inglese. Erano le due marine di gran lunga più potenti del mondo, e in gioco vi era il disegno egemonico della Spagna imperiale di Carlo V e poi Filippo II sullo scacchiere europeo. Per gli spagnoli fu una sonora, terribile sconfitta, che sancì la supremazia inglese sui mari e rappresentò un punto di svolta nella storia europea. Questo volume racconta quella battaglia con grande minuzia e al tempo stesso con grande attenzione al contesto storico più allargato. Martelli ricostruisce dunque in una prima parte l'evoluzione della guerra per mare nel Cinquecento, poi la situazione dei due paesi antagonisti e dell'Europa in generale; nella seconda parte segue dettagliatamente tutto lo svolgersi della campagna, e infine discute le conseguenze che il risultato dello scontro ebbe negli equilibri europei.
Sessant'anni fa, il 10 dicembre 1948, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite proclamava a Parigi la Dichiarazione universale dei diritti umani. Evento storico, che sanciva per la prima volta i diritti e le libertà che spettano a tutti gli esseri umani, esso era non solo una reazione ai disastri della guerra appena conclusa, ma anche il punto di arrivo di un lungo percorso iniziato nel Settecento, e il punto di partenza di una sensibilità umanitaria che oggi in particolare si va sempre più diffondendo. Dopo averne rintracciato le premesse nelle epoche precedenti, il libro di Marcello Flores ripercorre l'intera storia dei diritti umani, dall'Illuminismo a oggi. Si tratta di una storia non solo di concetti, idee, teorie filosofiche, politiche e giuridiche, ma anche di organizzazioni, associazioni, battaglie, campagne, istituzioni, di personaggi come Cesare Beccaria oppure Olympe de Gouges (l'autrice della dichiarazione dei diritti della donna durante la rivoluzione francese), Henri Dunant creatore della Croce Rossa oppure Eleanor Roosevelt.
Perché nell'Ottocento l'Europa ha imboccato la strada dello sviluppo economico-industriale? Quali sono le ragioni della "grande divergenza" che si è aperta fra l'Europa e il resto del mondo? Avvalendosi di un'analisi settore per settore, il volume mostra che in realtà le condizioni dell'Europa e della Cina erano del tutto simili ancora nel Settecento per speranza di vita, consumi, mercato dei beni e fattori produttivi, strategie familiari. A creare la differenza furono il carbone e i commerci con le Americhe. La combinazione di questi fattori consentì all'Europa nord-occidentale di svilupparsi secondo un modello basato su un alto sfruttamento di risorse e una bassa intensità di lavoro, al contrario di quanto avvenne in Cina.
Margherita (20 novembre 1851 - 4 gennaio 1926), cugina prima di Umberto di Savoia che divenne suo marito nel 1868, fu regina d'Italia dal 1878 al 1900. In una corte severa e poco dedita alla mondanità e alla cultura, Margherita diede un'impronta più raffinata e intellettuale, e in un'Italia costituita di fresco e bisognosa di simboli unificanti contribuì in maniera determinante al radicamento della casa regnante. Questo volume, pubblicato nel 1956 e da tempo fuori commercio, propone la biografia di una sovrana che fu una delle figure di maggior spicco dell'Italia postunitaria, e certo l'esponente più amato e popolare di casa Savoia. Casalegno segue attentamente le fasi della vita di Margherita, mettendo in luce l'influsso che (con i suoi comportamenti non meno che con la sua leggenda) essa esercitò sulla vita pubblica del tempo.
A soli venti mesi dalla fine del fascismo e della guerra civile, il 26 dicembre 1946 nasceva a Roma il Movimento sociale italiano. Esso costituì il risultato di un intenso lavoro di contatti e di relazioni che ebbe inizio addirittura prima della fine della guerra e che coinvolse anche ambienti legati ai servizi segreti americani. Avvalendosi di un'ampia messe di fonti edite e inedite, italiane e straniere, Parlato rovescia la visione tradizionale di un neofascismo puramente nostalgico: il neofascismo e il Msi si inserirono bene nella politica della Guerra fredda, dove, nella contrapposizione al comunismo, potevano individuare nuovi spazi di agibilità politica. Il volume prende le mosse dalla descrizione del fascismo clandestino al Sud, nell'Italia liberata, fra il 1943 e il 1945, per poi affrontare l'attività riservata svolta dai neofascisti in funzione anticomunista. Scorrono in queste pagine momenti inediti e sorprendenti: la prima apertura ai neofascisti, realizzata da Togliatti nel novembre 1945; il ruolo della Chiesa nella loro organizzazione unitaria; i rapporti fra i neofascisti ricercati dalla polizia con autorità di governo e uomini politici antifascisti al fine di concordare l'amnistia Togliatti; gli uomini della Decima Mas invitati come addestratori dei reparti d'assalto in Israele; aspetti nascosti dell'attentato all'ambasciata inglese a Roma (1946); le profonde differenze fra la strategia di Romualdi e quella di Almirante al momento della nascita del Msi.
Pochi storici hanno avuto, come Vito Fumagalli, il talento di evocare quasi visivamente il mondo dell'uomo medievale. A partire da una preparazione versata in particolare nella storia dell'ambiente e dell'agricoltura, egli sapeva reimmergere il lettore entro il paesaggio e la vita comune del Medioevo, raccontando con grande efficacia il rapporto quotidiano tra uomo e natura: gli animali, le coltivazioni, i boschi, i fiumi, le alluvioni, le malattie, e insieme il complesso di sentimenti e atteggiamenti che quel rapporto generava, In questo volume Fumagalli aveva raccolto alcune delle sue pagine più dichiaratamente narrative centrate sul Medioevo padano: sull'elemento predominante delle foreste, innanzitutto, animate da pericoli veri e immaginari, e poi sul graduale addomesticamento del territorio con la ripresa dell'agricoltura e dei commerci e la rinascita delle città. È la Padania di Matilde di Canossa e di Cangrande della Scala, dei goliardi e dei monaci, dei contadini e dei pastori...
Impareggiabili mercanti di sogni, i viaggiatori hanno riportato dall'Oriente paesaggi abbacinanti di luce, architetture grandiose, abbigliamenti bizzarri e pittoreschi, fragranze di rarissime spezie, voluttuose figure femminili. Essi hanno stipato l'immaginario occidentale delle raffigurazioni di un mondo esotico ed intensamente erotico, dispotico e crudele, elusivo ed enigmatico: una profusione di forme e di immagini di cui si approprieranno l'arte, la letteratura, il melodramma, la moda. L'harem, il bagno turco, il serraglio sono diventati sinonimo di lussuria, di sensuale indolenza, di uso capriccioso e arbitrario del potere. In questo genere di viaggio trova inoltre espressione l'anelito dell'uomo moderno a liberarsi dalle spire del conformismo, a ricongiungersi con le proprie origini, a ritrovare la culla delle religioni monoteiste, e, in una ricerca della fase aurorale delle civiltà, a rigenerarsi a contatto con l'immenso emporio dei miti. Ma vi è implicita anche la violazione di un universo chiuso, interdetto agli occidentali dalle barriere culturali e dalla natura dei luoghi, che si tratti dei deserti dell'Arabia e delle inviolabili città sante della religione musulmana, oppure dell'intrusione voyeuristica nell'harem del sultano o nella comune intimità domestica. Nella sua affascinante ricostruzione il libro attinge ai racconti dei protagonisti, fonti tanto preziose quanto poco conosciute attraverso le quali si è formato nel mondo occidentale il sogno del favoloso Oriente.
A partire dai secoli quarto e quinto si verificò, negli immensi spazi compresi fra l'Asia e l'Europa, un vasto processo di spostamenti a catena di popolazioni eterogenee che, dopo un vario e lungo peregrinare, finirono per stabilirsi in sedi diverse da quelle d'origine, trasformando in profondità gli assetti del mondo allora noto, in concomitanza con il collasso dell'impero romano d'occidente. L'epoca delle grandi migrazioni dei popoli o, come si usa dire adottando il punto di vista dei romani, delle invasioni barbariche ha sempre esercitato una fortissima suggestione ed èattualmente oggetto di una particolare attenzione storiografica. Il profilo di Azzara ripercorre le complesse vicende che portarono alla sostituzione dell'impero d'occidente con una pluralità di regni barbarici assai eterogenei e di disuguale durata, fino agh estremi fenomeni migratori che investirono lo spazio europeo nei secoli decimo e undicesimo. La sua esposizione non solo fa il punto sulle singole questioni, ma indica le ulteriori linee di sviluppo dell'indagine storica su avvenimenti alla radice della nostra civiltà.
Con grande chiarezza e taglio narrativo il volume racconta, ricorrendo a ogni genere di fonti, il cammino del nostro paese dal 1861, anno in cui venne proclamato il Regno d'Italia, ai giorni nostri, spingendosi fino alla crisi della Prima Repubblica. La lettura degli autori mette in risalto come alcune difficoltà del nostro presente abbiano radici antiche: accentramento e decentramento, questione meridionale e settentrionale, debito pubblico e deficit del bilancio, nazionalizzazione delle masse, partecipazione popolare alla gestione della cosa pubblica sono problemi che la classe dirigente ha dovuto affrontare fin dall'inizio. Altre sedimentazioni sono state lasciate dalle drammatiche vicende del Novecento. Ma l'Italia ha saputo sempre uscirne, dimostrandosi una società viva, in grado di trovare in sé la forza per rimediare agli errori e alle colpe della classe dirigente.
Questo breve e denso libretto si propone di scoprire il segreto della personalità di Matilde mettendosi in sintonia con i moti del suo animo e restituendone la complessità. Non si tratta tanto di una biografia quanto di un ritratto morale: Matilde, una delle donne più potenti e guerriere del Medioevo, pur dotata del coraggio di affrontare gravi vicende politiche e militari, è una figura malinconica e sola. Divenuta paladina del papa contro l'imperatore, in realtà, come raccontano queste pagine evocative, fu presa dal miraggio tutto medievale della secessione dal mondo, della vita contemplativo, del ritiro conventuale.
Il 25 gennaio 1959 papa Giovanni XXIII annunciava la decisione di convocare un nuovo concilio, il Vaticano II. Cominciava così la storia di un evento destinato a plasmare il volto del cattolicesimo e a segnare le comunità cristiane del mondo intero. Il volume ne ripercorre l'intera vicenda: la lunga fase di preparazione; l'apertura dei lavori, l'11 ottobre 1962; i quattro periodi successivi, scanditi dalla morte di Giovanni XXIII e dall'elezione di Paolo VI, e culminati nella solenne chiusura dei lavori, l'8 dicembre 1965, con la lettura dei Messaggi all'umanità. Testimone diretto, l'autore ci restituisce anche gli stati d'animo che hanno contrassegnato i lavori conciliari.
Nel processo che portò alla nascita dello Stato unitario italiano Mazzini svolse un ruolo decisivo, accreditando l'idea (per nulla scontata all'epoca) che l'Italia dovesse essere "una" dalle Alpi alla Sicilia. Contribuì come pochi altri a creare il bagaglio di valori e di simboli che avevano sostenuto la lotta per l'indipendenza nazionale. L'idea che quell'indipendenza corrispondesse a un disegno divino, l'etica del dovere, il richiamo pressante e ultimativo al popolo come protagonista della rivoluzione nazionale, l'esaltazione tipicamente romantica del sacrificio per la propria patria: sono questi alcuni dei temi che, nella storia risorgimentale, restano intimamente connessi alla predicazione mazziniana.
Giovanni Belardelli insegna Storia del pensiero politico contemporaneo nell'Università di Perugia. Tra i suoi libri: "Nello Rosselli" (Rubbettino, 2007), "Il Ventennio degli intellettuali" (Laterza, 2005). Con il Mulino ha pubblicato "Miti e storia dell'Italia unita" (con L. Cafagna, E. Galli della Loggia, G. Sabbatucci, 1999).
"Sorprende per densità e profondità di dottrina ma si legge quasi con un racconto di Flaubert: o, se si preferisce, come una commedia di Goldoni" (Franco Cardini).
Venezia è stata per lunghi secoli il principale luogo di contatto e di scambio fra l'Europa e l'Oriente, fra la Cristianità e il vasto mondo musulmano affacciato sul Mediterraneo. Dall'ottavo secolo alla fine della Serenissima (1797), il libro racconta l'evoluzione del rapporto fra lo Stato veneziano e il mondo arabo e turco, sul filo dei commerci, dei pellegrinaggi e delle crociate, degli scontri ma anche delle alleanze, delle peripezie degli schiavi e dei convertiti. Fra i protagonisti: gli ambasciatori con i loro cerimoniali, i dragomanni e i consoli, i mercanti con i loro fondachi, i marinai e gli schiavi, i pirati e le spie. Un viavai di persone e merci che disegna, un secolo dopo l'altro, un quadro vivido di contiguità, di familiarità, di relazioni tra mondi diversi e non sempre necessariamente ostili.
Maria Pia Pedani insegna Storia dell'impero ottomano all'Università Ca' Foscari di Venezia. Fra i suoi libri più recenti: "Dalla frontiera al confine" (Herder, 2002), "Breve storia dell'impero ottomano" (Aracne, 2006).
"Alla storia di quella tragedia della caccia alle streghe che sconvolse l'Europa protomoderna reca ora un interessante contributo Grado Giovanni Merlo, uno dei più importanti e intelligenti tra i nostri storici del francescanesimo e delle eresie" (Franco Cardini).
Dall'Archivio storico del comune di Rifreddo, nel cuneese, sono emersi atti giudiziari a carico di alcune donne del luogo, che alla fine del 1495 furono inquisite e condannate per stregoneria. Denunciate all'inquisitore, imprigionate e torturate, le masche (streghe) confessarono sabba notturni, amplessi demoniaci, profanazioni di croci e ostie, banchetti di carne di bambino, malefici e violenze. Che cosa c'era dietro quelle confessioni implausibili? Di che cosa parlavano veramente? Una possibile realtà, meno fantasiosa, sembra trasparire da alcuni indizi: una storia di furto d'erba e di botte in convento, una morte che innesca la maldicenza. Ma alla fine del Quattrocento la "favola horror" delle streghe e dei demoni era già nata, era già un paradigma esplicativo per fatti oscuri o minacciosi. Per le povere "masche" di Rifreddo la via per il rogo era obbligata.
Grado Giovanni Merlo insegna Storia del Cristianesimo e delle Chiese nella Facoltà di Lettere dell'Università di Milano. Con il Mulino ha pubblicato anche "Eretici ed eresie medievali" (1989), "Contro gli eretici" (1996), "Inquisitori e Inquisizione del Medioevo" (2008).
"Pochissimi 'documenti' mussoliniani - e nessuno di tanta ampiezza e ricchezza di particolari - hanno, per noi, l'importanza di questi Taccuini per cercare di penetrare la personalità di Mussolini" (Renzo De Felice)
"Un vero e proprio passaggio obbligato per chi voglia ricostruire, dal di dentro, l'ideologia del regime" (Dino Cofrancesco)
"La più vasta miniera di annotazioni, giudizi, aforismi mussoliniani" (Gianpasquale Santomassimo)
Fra il 1934 e il 1943 il giovane giornalista Yvon De Begnac ebbe numerosi incontri con Mussolini, di cui intendeva scrivere una monumentale biografia. Davanti al suo biografo l'intervistato si abbandonava a lunghi monologhi sulla sua vita trascorsa, le sue idee, gli uomini e i fatti della sua rivoluzione. Mussolini parlava, De Begnac annotava riempiendo, incontro dopo incontro, migliaia di pagine nei suoi taccuini. Da quell'immenso materiale inedito è nato questo volume, che al suo primo apparire è stato salutato unanimemente come una fonte di straordinaria ricchezza e importanza per cogliere appieno la personalità, le opinioni, la cultura e la vita stessa del duce del fascismo.
Yvon De Begnac (1913-1983), giornalista e scrittore, ha pubblicato "Trent'anni di Mussolini 1883-1915" (1934), una "Vita di Mussolini" rimasta interrotta al terzo volume (1936-1940), "Itinerario della borghesia" (1940), "Pagine nella tormenta" (1942) e un saggio su Filippo Corridoni ("L'arcangelo sindacalista", 1943). Sono del dopoguerra il saggio "Palazzo Venezia. Storia di un regime" (1950) e il romanzo "Colpo di stato" (1960).
Frutto di una vicenda millenaria, ricca di prestiti e contaminazioni, resa possibile dall'esistenza di un unico terreno storico: l'identità italiana è tuttora percepita come fragile e non ha saputo tradurre nelle forme della modernità un'idea unitaria del paese. È il paradosso su cui riflette Galli della Loggia, intrecciando molti fili: il paesaggio e il quadro ambientale, l'eredità latina e il retaggio cristiano-cattolico, il policentrismo urbano e regionale, l'individuo stretto tra famiglia e oligarchia, l'invadenza della politica e la debolezza dello stato.
"Vian offre di questo famoso falso un'esemplare analisi che va ben oltre il testo in sé" (Gianfranco Ravasi)
"Un bellissimo libro" (Silvia Ronchey)
La donazione di Costantino è uno dei falsi più famosi della storia occidentale. Il testo fu composto a metà dell'VIII secolo, proprio mentre nel cuore dell'Italia nasceva lo Stato della Chiesa. Presentato come l'atto con cui l'imperatore avrebbe concesso a papa Silvestro e ai suoi successori Roma, l'Italia e l'Occidente, il documento servì più tardi a sostenere l'espansione territoriale della Chiesa romana. Questione italiana per eccellenza, la storia della donazione di Costantino non solo implica e chiarisce aspetti centrali dell'identità culturale del paese dove risiede il "romano pontefice", ma costituisce anche una chiave d'accesso assai efficace per meglio comprendere il rapporto tra religione e politica.
Giovanni Maria Vian è docente di Filologia patristica nella Sapienza-Università di Roma. Ha tra l'altro pubblicato "Bibliotheca divina. Filologia e storia dei testi cristiani" (Carocci, 2001, tradotto in spagnolo nel 2005). Dal 2007 è direttore dell'"Osservatore romano".
"Un libro controcorrente... la brillante monografia su Cavour finisce per tradursi in un appassionato elogio della politica" (Simonetta Fiori)
Il primo miracolo italiano è stata l'Italia stessa e Cavour ne fu il geniale regista. Uomo di cultura economica, politica, amministrativa, e non letteraria, era il più europeo degli italiani del tempo e il meno italiano degli uomini del Risorgimento: e questa fu la sua carta vincente. L'Italia nacque infatti da una volontà di allineamento al progresso europeo. "Virtuoso" e "fortunato" come un eroe machiavelliano, Cavour fu un politico autentico, un grande alchimista di quell'arte che tenta di estrarre l'oro da una combinazione di metalli vili.
Luciano Cafagna, già professore di Storia contemporanea nell'Università di Pisa, è stato commissario dell'Autorità garante per il mercato e la concorrenza.
Questo innovativo saggio espone la storia della tratta per la prima volta secondo una prospettiva globale. Dopo aver tracciato la storia del commercio degli schiavi a partire dall’antichità, Pétré- Grenouilleau descrive l’organizzazione delle diverse tratte (verso il Medio Oriente, interna all’Africa, e verso l’America), il processo che portò all’abolizione della schiavitù a partire dal secondo Settecento, infine gli effetti economici e sociali che la tratta ebbe nei paesi che la promossero e in Africa.
Il 21 ottobre 1805 la flotta inglese comandata dall’ammiraglio Nelson sconfiggeva al largo di Cadice la flotta franco-spagnola. Quella battaglia leggendaria siglava un secolo di rivalità sul mare fra le due maggiori potenze mondiali. Il libro illustra lo stato delle due marine, i modi di combattere, l’evoluzione delle flotte, gli scontri successivi, per arrivare infine al dettagliato racconto della battaglia di Trafalgar, di cui tratteggia i protagonisti, analizza le tattiche e descrive passo passo lo svolgimento.
L'Europa dell’Ottocento, l’Europa del capitalismo industriale, dell’imperialismo, del colonialismo, del darwinismo sociale, dell’eugenismo, è stata il laboratorio del nazismo. I campi di sterminio, dimostra questo saggio, furono espressione della razionalità produttiva e amministrativa del mondo moderno. Il nazismo coniugò questa «modernità» materiale con una cultura, anch’essa ottocentesca, fatta di stereotipi razzisti e antisemiti, della legittimazione dei genocidi coloniali, di una nuova immagine dell’ebreo come malattia del corpo sociale.
"Un avvenimento storiografico" (Jacques Le Goff)
"'Cavalieri e cittadini' è destinato a restare una pietra miliare nella storiografia sull'Italia medievale" (Alessandro Barbero)
I "milites", ossia i cittadini che costituivano le milizie a cavallo, nelle città dell'Italia comunale furono il ceto dominante fino agli inizi del Duecento, allorché vennero sconfitti da nuovi ceti urbani raggruppati sotto il nome di "popolo". Disegnando le caratteristiche e l'ascesa dei cavalieri, e il loro altrettanto rapido declino, conseguenza anche della cultura dell'odio e della violenza di cui erano portatori, questo volume presenta un originale ritratto del Medioevo comunale italiano.
Jean-Claude Maire Vigueur insegna Antichità e istituzioni medievali nella Facoltà di Lettere e filosofia dell'Università di Firenze. Specialista di storia italiana, ha pubblicato "Les pâturages de l'Eglise et la Douane du bétail dans la province du Patrimonio (XIV-XV siècles)" (1981) e "Comuni e signorie in Umbria, Marche e Lazio" (Utet, 1987); per l'Ecole française de Rome ha curato "I podestà dell'età comunale" (2000).
"Il bellissimo libro di Elias è un'affascinante rappresentazione del mondo della corte di Luigi XIV" (Giovanni Bechelloni)
Gli splendori di Versailles, i fasti e gli sprechi di un'aristocrazia al tramonto, le follie dell'etichetta come spie di una società complessa e fortemente gerarchizzata. Analizzando i rituali della corte francese ai tempi del Re Sole, Elias ricostruisce le origini e l'evoluzione di un sistema sociale nato in Francia, ma affermatosi poi in tutta Europa fino alla Rivoluzione e oltre, e coglie l'essenza del rapporto tra forme del cerimoniale, linguaggio dei rapporti sociali e potere.
Di Norbert Elias (1897-1990) il Mulino ha pubblicato: "La solitudine del morente" (1985), "Saggio sul tempo" (1986), "Humana conditio" (1987), "Coinvolgimento e distacco" (1988), "Il processo di civilizzazione" (1988), "Sport e aggressività" (con E. Dunning, 1989), "La società degli individui" (1990), "Mozart. Sociologia di un genio" (1991), "I tedeschi" (1991), "Teoria dei simboli" (1998), "Tappe di una ricerca" (2001), "Strategie dell'esclusione" (con J.L. Scotson, 2004), "La civiltà delle buone maniere" (2009) e "Potere e civiltà" (2010).
"Una novità rilevante sul piano delle fonti... un importante contributo dal punto di vista interpretativo" (Simonetta Fiori)
"Un libro godibile, tutto fatti, spesso ignoti anche al pubblico colto, e che tra i filoni di indagine fa posto anche a dimensioni di solito trascurate" (Ernesto Galli della Loggia)
La prima, grande sintesi di storia sovietica basata sulla documentazione resasi disponibile dopo il collasso dell'Urss e sulle ricerche condotte su di essa, una ricostruzione nuova, e diversamente credibile, di una storia che ha affascinato e impaurito il XX secolo. Due dittature (Lenin e Stalin), due guerre mondiali, una guerra civile, due carestie sterminatrici, nonché una spaventosa operazione di terrore preventivo formano lo sfondo su cui Graziosi tesse il racconto, stringente e pieno di fatti, della costruzione del "grande esperimento" sovietico.
Andrea Graziosi insegna Storia contemporanea nell'Università di Napoli "Federico II" ed è presidente della Sissco, la Società italiana per lo studio della storia contemporanea. Con il Mulino ha pubblicato anche "Guerra e rivoluzione in Europa 1905-1956" (2002), "L'Unione Sovietica in 209 citazioni" (2006), "L'Urss dal trionfo al degrado. Storia dell'Unione Sovietica, 1945-1991" (2008) e "L'università per tutti" (2010). Il presente volume ha ricevuto il Premio Piemonte Storia 2008.
"Il più importante libro sulla sociologia del suicidio che sia stato scritto da un secolo a questa parte" (Randall Collins)
Il peggiore di tutti i peccati o la massima espressione di libertà, una vendetta privata nei confronti di chi ci ha fatto torto o un'arma potente contro i nemici del proprio popolo, la difesa dell'onore di un eroe sconfitto o l'atto di fedeltà di una sposa virtuosa verso il marito defunto. In un grande affresco storico comparato il volume fa luce sul suicidio come fenomeno socio-culturale illustrando le motivazioni che ne stanno alla base e i significati che ha assunto nelle diverse culture.
Marzio Barbagli insegna Sociologia nell'Università di Bologna. Tra le sue pubblicazioni con il Mulino: "Sotto lo stesso tetto" (II ed. 2002), "Omosessuali moderni" (con A. Colombo, II ed. 2007), "Immigrazione e sicurezza in Italia" (2008) e "La sessualità degli italiani" (con G. Dalla Zuanna e F. Garelli, 2010).
"Una storia delicata, struggente, nutrita di saggezza, condita di affetto e di umorismo" (Elena Loewenthal)
"Un libro tragico, appassionante, delizioso. Sì, anche delizioso (addirittura capace di farci sorridere)" (Angelo Guglielmi)
Per un ebreo italiano classe 1933 come Aldo Zargani il periodo che va dal varo delle leggi razziali fasciste nel 1938 al 1945 ha inevitabilmente un carattere duplice: sono gli anni della persecuzione e della paura ma anche gli anni favolosi dell'infanzia, anni fatali e fatati. In questo libro Zargani ripercorre le traversie sue e della sua famiglia in quei "sette anni di guai": la perdita del lavoro del padre violinista, l'esclusione dalle scuole, l'espatrio fallito, la fuga da Torino attraverso il Piemonte, l'arresto dei genitori, il collegio, la deportazione dei parenti; ma se quell'esperienza si incide nella carne del bambino come una ferita immedicabile, la memoria che la rivisita sa tuttavia estrarne anche quella galleria di personaggi e situazioni comiche o grottesche che comunque abita l'infanzia, donde l'impasto impossibile di un "amarcord" ilare e luttuoso, di un "giornalino di Giamburrasca" che racconta una storia di spavento e dolore. Una prova di virtuosismo narrativo, certo, ma anche un modo vitale per liberarsi del peso di quell'esperienza e di trasmetterne la memoria: magari, da nonno a nipote, come una favola un po' divertente e un po' paurosa.
Aldo Zargani dal 1954 al 1994 ha lavorato alla RAI, prima a Torino e poi a Roma. Negli anni Cinquanta e Sessanta è stato attore con il Centro del Teatro Popolare e il Teatro delle Dieci di Torino. Con il Mulino ha pubblicato anche "Certe promesse d'amore" (1997). "Per violino solo" è stato tradotto in tedesco, francese, spagnolo e inglese.
Quali furono le cause e i meccanismi della catastrofe demografica seguita alla scoperta dell'America? La documentazione giunta fino a noi è straordinariamente ricca: conquistadores, religiosi, uomini di legge, funzionari e mercanti scrivevano memorie e rapporti, stilavano atti, svolgevano inchieste, emettevano sentenze. Il mondo indigeno, per parte sua, ha lasciato eloquenti tracce degli eventi e molte testimonianze dirette dello spietato soggiogamento perseguito dagli europei. Facendo parlare queste fonti, Livi Bacci dimostra che il rovinoso declino degli indios non fu la conseguenza inevitabile del contatto con gli europei, ma un risultato cui contribuirono sia i modi della Conquista, sia la natura delle società sottomesse.
In questo libro il caso Moro, uno degli eventi più traumatici nella storia dell'Italia repubblicana, è ricostruito secondo una prospettiva nuova che lo considera non tanto un fatto criminale da indagare in maniera poliziesca, ma una "tragedia" morale e politica. Fondandosi su un'ampia messe di testimonianze e materiali inediti, Giovagnoli racconta come governo e partiti, stampa e opinione pubblica affrontarono i dilemmi non solo politici del caso: le alternative della trattativa e della fermezza, l'atteggiamento verso le Brigate rosse, la ricerca di possibili mediazioni, il ruolo della Chiesa. In questa luce, il caso Moro è ricollocato nel più largo quadro dell'evoluzione politica italiana, dove segna il punto di massimo avvicinamento del Pci alla De e alle istituzioni, oltreché il principio della fine per la stagione del terrorismo.
Jean Flori dedica questo studio alla trasformazione ideologica che porta il pensiero cristiano dalla originaria nonviolenza alla crociata: una trasformazione lenta, iniziata già al tempo della cristianizzazione dell'impero romano, ma avvenuta soprattutto nel X e XI secolo, fra Carlo Magno e la prima crociata. Flori mette in luce come attraverso la difesa armata dei possedimenti della Chiesa, tanto i singoli monasteri e le chiese quanto i territori papali, la guerra venga a poco a poco sacralizzata, poi come prenda corpo una demonizzazione dei musulmani che risponde allo spirito della "reconquista" spagnola e quindi come nasca infine la "guerra santa" contro gli infedeli.
L'entrata in guerra dell'Italia contro l'Austria nel maggio del 1915 fu un atto sorprendente: il nostro paese era alleato degli imperi centrali e, dopo un anno di neutralità, scendeva in guerra contro di loro. La decisione fu un azzardo basato su calcoli politici e diplomatici, in cui l'aspirazione alle terre irredente entrava ben poco. Fiumi di retorica patriottica hanno messo la sordina su quell'inizio del conflitto, sui piani che pure c'erano per la guerra a fianco di Germania e Austria, sull'ansia italiana di partecipare da grande potenza alla ridefinizione dell'area adriatico-balcanica, sull'errata valutazione della durata del conflitto, sulle mancanze della strategia. Su tutto ciò riflette Rusconi restituendo alla sfera dell'analisi politica l'interpretazione della condotta dei dirigenti italiani che scelsero la guerra.
Inspiegabile alla coscienza del nostro tempo appare il silenzio del papa e della Chiesa di fronte alla Shoah. Il volume ricostruisce il contesto di una scelta che fu informata e consapevole quanto drammatica, mettendo a disposizione di tutti quello che è ormai accertato dalla ricerca storica. Lo scenario è ampio: le radici profonde dell'antisemitismo cristiano; la visione preconciliare della Chiesa di neutralità assoluta nei confronti della guerra e dei suoi figli in conflitto; il peso di una mentalità diplomatica che preferisce i passi discreti alla denuncia pubblica; la storia delle tormentate ricostruzioni della verità, tra la richiesta di perdono di papa Wojtyla e l'ipotesi di beatificazione di Pio XII.
Quest'opera, che costituisce un classico fra gli studi in materia di religiosità medievale, analizza la diffusione del culto popolare dei santi e la risposta istituzionale della Chiesa con i processi di canonizzazione. Dopo aver ripercorso la disciplina del culto dei santi, le modalità dei processi e le ragioni della fioritura del culto, Vauchez illustra dettagliatamente i modelli di santità che emergono dalle fonti processuali - l'idea popolare conservata dalle deposizioni dei testimoni, l'idea ufficiale che risulta dai criteri di giudizio - ed espone gli indizi e le manifestazioni della santità nelle valutazioni concorrenti della mentalità comune e della Chiesa di Roma.
È dal 1909 che, salvo le interruzioni della guerra, la carovana del Giro attraversa l'Italia: il Giro è un'istituzione, fa parte della storia e dell'identità del Paese e nella vicenda del Giro davvero si rispecchia l'evoluzione sociale ed economica dell'Italia. Con una minuziosa attenzione non solo alle cronache, ma anche alle innovazioni tecniche, al contorno pubblicitario, persino ai gadget (dalle figurine agli indimenticabili tappi a corona con l'immagine dei corridori) che alimentano la passione e la mitologia popolare, Marchesini offre al lettore una narrazione di sorprendente spessore storico che illumina molti ed essenziali aspetti della società italiana contemporanea. Un capitolo finale, di particolare attualità, ripercorre la storia del doping nell'evoluzione del ciclismo italiano dalle origini a oggi.
Per molto tempo la storia dell'Impero bizantino (285-1453) ha coinciso con la narrazione della sua decadenza. Eppure, quella bizantina è stata una civiltà ricca e affascinante, una cerniera essenziale tra mondo antico e moderno, e tra occidente europeo e oriente. In anni recenti l'interesse per Bisanzio è stabilmente cresciuto, come dimostra la pubblicazione di diverse opere sull'argomento a cui si aggiunge questo volume, una sintesi aggiornata e vivace sulla politica, la società, la cultura dell'impero bizantino. In un'esposizione densa di fatti (dalle guerre alle epidemie, dal succedersi degli imperatori allo sviluppo urbano e demografico), Treadgold riesce a tratteggiare l'intero corso della storia bizantina e mette in luce quanto Bisanzio abbia contato nel dar forma al mondo moderno, trasmettendo la cultura classica, allargando a est i confini della cristianità e assicurando per un millennio un certo grado di stabilità all'area del Mediterraneo orientale.
Quello degli indoeuropei è il caso unico di un popolo la cui esistenza è stata postulata esclusivamente per via linguistica. Sugli indoeuropei si sono fondate anche mitologie politiche nefaste; basta ricordare il termine che per un certo periodo ha avuto corso come sinonimo: ariani. Il libro racconta nella prima parte chi erano, quando vissero e dove abitarono originariamente gli indoeuropei; che cos'era l'Europa prima di loro; quando arrivarono in Europa. Nella seconda parte viene illustrato quanto si sa di loro: com'erano la religione, la famiglia, la società, l'economia, l'arte, i nomi, i numeri, la razza. La terza parte è dedicata alla lingua; la quarta fornisce una breve descrizione della ventina di popoli la cui lingua è riconducibile alla comune radice indoeuropea. L'ultima parte affronta il problema dei rapporti di parentela tra le lingue indoeuropee.
Francisco Villar insegna Linguistica indoeuropea nell'Università di Salamanca. Ha all'attivo numerosi lavori di indoeuropeistica, tra i quali ricordiamo "Lenguas y pueblos indoeuropeos" (1971), "Origen de la flexión nominal indoeuropea" (1974), "Estudios de celtibérico y de toponimia prerromana" (1995).
Le crociate del Nord sono meno note di quelle dirette in Terrasanta, ma ebbero un successo molto maggiore. I Cavalieri Teutonici che ne furono protagonisti spinsero avanti la frontiera cattolica conquistando, colonizzando e cristianizzando un vasto territorio nelle regioni baltiche, e spingendosi fin dentro la Russia. Con la sua documentata narrazione delle "crociate del Baltico" il volume offre una prospettiva storica su regioni sulle quali, con il recente ingresso nell'Unione europea, si è risvegliato l'interesse anche da noi.
Rossini fu un grande musicista del XIX secolo, che a vent'anni era già ricercato e famoso. Il "cigno di Pesaro" ha continuato ad attirare l'interesse dei lettori di pari passo con la grande popolarità a teatro delle sue opere, dal "Barbiere di Siviglia" alla "Cenerentola, al "Guglielmo Tell". Negli ultimi anni la Fondazione Rossini e il "Rossini Opera Festival" pesarese hanno inaugurato una nuova stagione di attenzione e di studio su Rossini, di cui la biografia di Emiliani raccoglie i frutti. Seguendo con minuzia le vicende rossiniane, Emiliani compone un quadro vivace e affollato, pieno di dettagli sconosciuti, in cui tratteggia la vita del compositore nel più largo contesto storico e culturale che si trovò ad attraversare.
Come l'Europa ha giustificato le sue conquiste coloniali: in questo libro Pagden studia le teorie che accompagnarono e sostennero le imprese imperialistiche spagnole, inglesi, francesi. In Spagna prevalse una visione imperiale che sottolineava la missione evangelizzatrice, in Inghilterra e in Francia, viceversa, si videro le colonie come fonte di profitto per l'agricoltura e il commercio. Alla fine del Settecento però si generalizzò una visione degli imperi coloniali come costosi e brutali strumenti di sopraffazione. L'ostilità al colonialismo si trasformò nell'aspirazione cosmopolita a sostituire gli imperi con una federazione di stati uguali e indipendenti.
La prima metà del Novecento fu un'epoca di guerre, di distruzioni e rivoluzioni che mise l'Europa e a ferro e fuoco. Traverso descrive i tratti principali di questa "guerra civile europea"; il misto di violenza arcaica, fredda violenza amministrativa e tecnologia moderna per annientare il nemico, la brutalizzazione delle popolazioni forzate all'esodo o all'esilio, lo scatenamento emotivo dei conflitti fra civili all'interno delle società (in Urss, 1917-23;in Spagna, 1936-39; Resistenza 1939-45), l'impero della paura e della morte nella mente degli uomini.
In una chiara e densa ricostruzione della storia del Novecento, centrata (ed è questa una delle novità del libro rispetto ad altre opere analoghe) intorno ad alcuni concetti-chiave come passato e presente, pace e guerra, civiltà e civilizzazione, comunità e società, individualismo e appartenenza, Aurelio Lepre segue le vicende del XX secolo sul duplice piano degli avvenimenti e delle idee. Al centro dell'attenzione non c'è solo un Occidente spesso conflittuale e diviso, ma anche il mondo extraeuropeo, anch'esso percorso da profonde divisioni. Nel corso del secolo, i conflitti fra stati e ideologie (con le due guerre mondiali e con la guerra fredda) hanno preparato gli odierni scontri fra civiltà: perché non si trasformino in guerre è necessario promuovere - avverte l'autore a conclusione dell'opera - un processo illuministico di civilizzazione, respingendo la celebrazione delle singole civiltà.
Esperienza religiosa, speculazione metafisica, fermento politico: è dal concorso di tutte queste forze che ha origine nel XII secolo la forma gotica. A partire dai grandi capolavori architettonici del primo gotico, Saint-Denis e Chartres, l'autore illustra il senso simbolico che gli antichi costruttori di cattedrali attribuivano all'architettura, allargando via via l'indagine all'intero sistema di valori dell'età medievale e ai modi in cui questi erano rappresentati. Un grande studio sull'architettura come linguaggio che esprime una civiltà: dalla cultura e dalla spiritualità all'alfabeto mentale, alle tensioni morali e civili dell'uomo medievale.
L'impresa fiumana (1919-1920), per molti versi un episodio precursore del fascismo, coagulò una quantità di esperienze diverse, di ansie di ribellione, di velleità rivoluzionarie. Sotto questo aspetto fu come un lungo e febbrile carnevale all'insegna della festa e della provocazione, in linea con le avanguardie del tempo, ma fu anche un momento "insurrezionale" come lo sarà il Sessantotto. Il volume rivisita l'avventura fiumana da questa particolare angolatura: attraverso le testimonianze anche letterarie di protagonisti noti o dimenticati racconta Fiume dalla parte degli "scalmanati" che vi accorsero a vivere una vita-festa fatta di bravate futuriste e di utopie, di trasgressione sessuale e di pirateria, di gioco e di guerra. In questa luce, Fiume è un capitolo significativo di quella cultura della rivolta che ha caratterizzato il Novecento.
In questo volume Brilli racconta la storia e la fenomenologia del viaggio in Italia dalle origini al sorgere del turismo organizzato, attingendo a una messe pressoché infinita di episodi e osservazioni: come nel concreto si svolgeva il viaggio in Italia, quali i luoghi visitati, quali le aspettative e le reazioni dei "turisti". Ne viene una narrazione di grande piacevolezza, intessuta di notizie curiose e anche divertenti, dove l'erudizione si scioglie in uno stile elegante e privo di pedanterie.
Nel corso della storia d'Italia il confine orientale ha sempre costituito una zona di frizione e scontro: prima luogo simbolico dove doveva compiersi l'azione risorgimentale con il raggiungimento della piena unificazione del territorio nazionale e l'affermarsi dell'Italia come grande potenza, poi confine fra mondi e ideologie negli anni della guerra fredda. A partire dalla disastrosa guerra del 1866, che nonostante le sconfitte portò il Veneto al neonato Regno d'Italia, per arrivare alla situazione attuale, l'autrice ricostruisce con puntualità la storia di questo confine contestato e conteso: lo sviluppo dell'irredentismo, l'intervento nella Grande Guerra, la sistemazione postbellica del territorio sulle ceneri dell'impero austro-ungarico (con la clamorosa protesta dell'occupazione di Fiume), l'aggressiva politica fascista, la durissima e violenta contesa con la Jugoslavia, la spartizione del territorio nel dopoguerra sancita dal trattato di pace del febbraio 1947, il ritorno di Trieste all'Italia nel 1954 dopo anni di governo alleato, da ultimo i lunghi decenni della guerra fredda. Centocinquant'anni di storia d'Italia visti dalla sua periferia più turbolenta.
Nato dall'iniziativa di alcuni cavalieri che si erano votati al Santo Sepolcro di Gerusalemme, quello dei Templari divenne in pochi decenni l'ordine religioso-militare più potente della cristianità. Professionisti della guerra e uomini di religione, protettori dei pellegrini in Terra Santa, i cavalieri del Tempio divennero, grazie al favore dei papi e dei re cristiani, un organismo sovranazionale attivo in tutto il Mediterraneo. L'accusa di eresia rivolta da Filippo il Bello per impadronirsi dei beni dell'ordine, indusse Clemente V a sciogliere il Tempio per evitare uno scisma della chiesa francese da Roma. Questo studio ricostruisce la storia dei Templari avvalendosi di ricerche originali che hanno condotto anche a clamorose scoperte.
Nicola Labanca ripercorre le vicende politiche e militari che portarono gli italiani a stabilirsi in Eritrea, in Somalia, in Libia e poi in Etiopia. Ma l'espansione coloniale non fu, anche nel caso italiano, solo politica e guerra. Il volume smonta quindi i messaggi della propaganda colonialista che affascinarono generazioni di italiani al suono di "Tripoli bel suol d'amore" e mostra i pochi reali vantaggi economici che l'Italia trasse dai suoi domini africani. Inoltre descrive la società coloniale d'oltremare, i suoi tratti razzisti, la sua composizione sociale e demografica, le sue istituzioni.
Per vari secoli nel Medio Evo cristiano la presenza degli Arabi e le loro conquiste nell'area mediterranea non produssero fratture, né gli Arabi furono percepiti come barbari. Eppure Arabi ed Europei non riuscirono a fondere una consapevole intesa: soprattutto da parte cristiana, animata da un istinto politico di rivalsa, fu eretta una barriera di ostilità, prima religiosa e poi razziale, che doveva sfociare nella Crociata. La Crociata fallì, ma restò la diffidenza tra i due mondi estranei uno all'altro, anche se l'Occidente non mancò di attingere copiosamente alla cultura araba. Assorbiti gli apporti arabi, gli Europei rivendicarono sui seguaci di Maometto una superiorità religiosa, morale e culturale, giustificando così l'ansia di un predominio impcrialistico. Questo libro dipana, con lettura originale delle fonti, la vicenda di una progressiva e tragica incomprensione che dal Medio Evo ha prolungato i suoi effetti nefasti presso gli Europei fino al tempo presente.
L'autrice riporta al centro dell'attenzione l'evento politico della Rivoluzione, il mutamento nei modi di concepire i valori e l'azione politica che ad un tempo ha generato ed è stato generato dalla Rivoluzione, e ne sono il lascito permanente, nel bene e nel male, dal momento che democrazia e terrore, giacobinismo e stato di polizia sono da allora realtà ricorrenti della vita politica. L'assunto fondamentale della politica rivoluzionaria, vale a dire che la politica può cambiare la società, che la comunità degli uomini può essere rifondata, prese corpo allora e portò con sé pratiche politiche nuove, come la propaganda di massa, la mobilitazione delle classi inferiori, la politicizzazione della vita quotidiana.
La storia degli ordini monastici e religiosi costituisce un capitolo essenziale della storia sociale e politica, oltre che naturalmente della storia ecclesiastica e spirituale, del Medioevo; basti pensare al ruolo centrale che monaci e religiosi hanno avuto nel definirsi della struttura della Chiesa, su cui hanno esercitato una profonda e durevole influenza. Fra i vari problemi storici che Pacaut contribuisce ad illuminare, il più controverso è senz'altro quello concernente il nodo psicologico della vocazione religiosa, alla quale, a seconda dei tempi e degli individui, è stato di volta in volta attribuito il significato di una "fuga mundi" o di una preparazione spirituale all'azione. Al di là della sfera propriamente religiosa, i monaci svolsero in tutti i campi una funzione importante, nel pensiero come nell'arte, nelle istituzioni come nell'economia e nell'affinarsi del "fare tecnico". Accanto alle grandi personalità (San Benedetto, San Colombano, San Francesco, San Domenico), le grandi organizzazioni, soprattutto i Benedettini e i Cluniacensi, furono determinanti, grazie alla loro capacità speculativa e alla loro forza di irradiamento, per l'evoluzione della cultura medievale.
Obiettivo di questo volume è operare una ricognizione esaustiva intorno alla realtà sociale dell'insediamento ebraico all'interno della comunità medievale umbra. Lo spoglio di fonti, per molto tempo trascurate dagli studiosi, consente ad Ariel Toaff di analizzare nel concreto la reciproca influenza tra l'elemento ebraico e la società cristiana circostante, di superare il luogo comune che vuole la comunità ebraica come un'entità unica ed unitaria, priva di articolazioni interne, e di cogliere il carattere peculiare di un nucleo la cui descrizione in termini di "minoranza" non può essere che inadeguata. A emergere dallo scavo in profondità dell'autore sono tradizioni, rituali, usi connessi con il matrimonio, l'idea della morte, le interrelazioni sociali, i rapporti quotidiani con la comunità cristiana, che vengono restituiti in una densa e suggestiva ricostruzione storica.
Nella Budapest del 1944 occupata dai tedeschi un commerciante italiano, fingendosi addetto all'ambasciata spagnola, pone sotto la sua protezione e salva dalla deportazione e dalla morte cinquemila ebrei: è Giorgio Perlasca, lo "Schindler italiano". La sua vicenda drammatica, avventurosa e per certi versi paradossale è tutta raccontata in queste pagine, rimaste inedite per decenni e venute in luce dopo la sua morte. Le doti diplomatiche, la passione civile, ma anche e soprattutto una grande spregiudicatezza e caparbietà permettono a Perlasca di tenere al riparo dalla ferocia dei fascisti ungheresi e dei nazisti intere famiglie ebree: lo troviamo intento a produrre documenti falsi, a trovare cibo, a organizzare e difendere "case rifugio" per strappare con l'inganno, infine, migliaia di vite ai treni della morte di Adolf Eichmann. Negli ultimi anni della sua vita Perlasca è stato fatto segno di onori sia in Israele sia in Ungheria, dove vivissimo ne è il ricordo: un "eroe per caso" il cui nome è scritto a Gerusalemme fra i Giusti delle Nazioni.
Secondo Lepre, la Repubblica sorge non solo dalla Resistenza, ma anche dalla crisi dello stato-nazione costruito dal fascismo. L'inizio dei bombardamenti sulle città, alla fine del 1942, segnando il primo incrinarsi del consenso al regime, determina anche l'inizio del processo di costruzione del nuovo stato italiano. Lepre segue la storia del dopoguerra ricostruendo non solo gli avvenimenti storici ed economici, ma anche le metamorfosi degli atteggiamenti e degli stili di vita, la storia delle mentalità e del costume, portando alla luce quelle debolezze strutturali della società e della politica che conducono alla crisi della prima Repubblica.
Il Novecento rimarrà come il secolo dei genocidi. Non che stermini di massa non ci siano sempre stati, ma solo nel Novecento la miscela avvelenata di razionalità totalitaria, nazionalismo e modernità ha generato la sanguinosa "specialità" del genocidio. Dopo aver fatto il punto del problema, ancora molto controverso, di come sia esattamente definibile come genocidio, Bruneteau spiega le origini ideologiche e storiche del comportamento genocida, che affondano nei massacri delle guerre di conquista coloniale, nella diffusione di un malinteso darwinismo sociale, nella pedagogia della violenza estrema nella Grande Guerra, e dedica un capitolo a raccontare ognuno dei grandi genocidi del secolo.
Il volume è centrato sulle trattative che portarono alla firma dell'armistizio tra l'Italia e gli angloamericani nel settembre 1943, alla fuga del re, del governo e delle alte gerarchie militari da Roma, all'evaporazione dello stato e al drammatico sbando cui il paese andò incontro. L'autrice ricostruisce l'evoluzione della politica alleata nei confronti dell'Italia durante la guerra, i diversi e inconcludenti sondaggi italiani per uscire dal conflitto tra la conferenze di Casablanca e lo sbarco in Sicilia, l'avviarsi faticoso dopo il 25 luglio e poi il concludersi ai primi di settembre delle trattative per l'armistizio.
Il volume raccoglie "L'alba del Medioevo", "Quando il cielo s'oscura", "La pietra viva" e "Solitudo carnis", i saggi che hanno fatto di Fumagalli un apprezzato scrittore di storia per il largo pubblico. Dalle sue pagine emergono le credenze, i valori, i comportamenti che definiscono l'atteggiarsi dell'uomo nei confronti del mondo naturale, del soprannaturale, del proprio stesso corpo. È un'umanità assediata da una natura ostile irta di pericoli veri e immaginari, perduta in un labirinto "gotico" di sofferenze e terrori, macerata nelle penitenze; eppure, insieme, è l'umanità che caparbiamente resiste agli urti delle calamità e dei barbari, che conquista nuovi spazi all'agricoltura, che ridà vita alle città decadute.
Il libro traccia la parabola di un paese che nell'arco di solamente due secoli da piccolo e isolato divenne rapidamente la potenza dominante d'Europa e del mondo e altrettanto rapidamente decadde. La narrazione prende le mosse dal 1469, allorché il matrimonio dei "re cattolici" Ferdinando e Isabella unificò i regni di Castiglia e Aragona, per passare alla politica di "reconquista" dei territori iberici in mano musulmana, alla scoperta dell'America e al conseguente instaurarsi di un impero immenso, che vive la sua stagione d'oro nel pieno Cinquecento con i regni di Carlo V e di Filippo II, e vertiginosamente decade nel corso del Seicento.
Oggetto del libro è la vistosa ipercolpevolizzazione che prese piede nella sensibilità diffusa dopo il Medievo; Delumeau ne scorge l'origine negli ideali ascetici, nel comptemptus mundi, nel tetro senso del peccato e della fragilità umana che dall'ambiente monastico medievale si allargano nella società ben oltre la sfera religiosa grazie a quella che l'autore definisce una "pastorale della paura", ossia una pervasiva pedagogia attuata dalle prediche, dai libri di edificazione, dall'iconografia macabra; una pedagogia del resto parallela a una terrificante serie di calamità e orrori bellici che punteggiarono e atterrirono quei secoli e dovettero apparire altrettante punizioni in cerca di una colpa.
Sin dall'Ottocento l'istituzione massonica ha avuto in Italia un ruolo importante: nel Risorgimento, nel consolidamento dello stato unitario e fino al fascismo che la mise al bando nel 1925. A partire da una ricca documentazione l'autore traccia la storia della massoneria italiana in questo cruciale periodo, definendone il numero degli affiliati e la loro estrazione sociale, le regioni in cui era più radicata, il suo progetto politico e sociale. Il volume ricostruisce il ruolo del Grande Oriente d'Italia nella costruzione dell'identità nazionale, nella campagna interventista, nell'avvento del fascismo, fornendo una chiave di lettura per comprendere i mutamenti sociali e politici dell'Italia fra Otto e Novecento.
Marcello Flores dedica un'attenzione speciale al mondo extraeuropeo, alle dinamiche tra centri e periferie del globo, agli eventi che unificano sotto i medesimi processi paesi diversi e lontani. La novità di questa storia risiede principalmente in uno sguardo spiazzante che sa rendere evidente come il Novecento sia un secolo a dimensione globale: un secolo mondo appunto. Una narrazione concreta e densa di fatti in cui accanto all'evoluzione economica e sociale trovano posto i mutamenti della mentalità, la storia dei paesi e la storia degli uomini, secondo un tracciato che va, in questo primo volume, dalla guerra dei boxer alla seconda guerra mondiale.
Organizzato secondo una partizione che individua nel Cinquecento e nel Settecento - rispettivamente - il momento culminante delle spinte economiche, politiche, sociali e culturali che costituiranno l'anima della modernità, e il loro punto di maturazione, il volume intende delineare le tappe che hanno scandito questo "tempo forte" della traiettoria percorsa dalla civiltà europea. L'autore traccia i contorni dei grandi mutamenti politico-economico-demografici dell'Occidente europeo a partire da una attenta sensibilità storiografica non solo per le strutture del potere, ma anche per le realizzazioni culturali, artistiche, scientifiche, e per le "mentalità" di cui sono state espressione.